0 – Presentazione – Introduzione

Amor, che ne la mente mi ragiona.

Uno studio de La filosofia della libertà di Rudolf Steiner.

di Lucio Russo


 

Presentazione

Dall’ottobre del 1998 al giugno del 1999, ho svolto, presso la sede della Società Antroposofica Romana, un corso settimanale di studio su La filosofia della libertà di Rudolf Steiner (Editrice Antroposofica – Milano, 1966). A mia insaputa, l’amico Roberto Marcelli, cui va la mia più sincera gratitudine, ha registrato tutte le “lezioni”, le ha pazientemente trascritte e me le ha poi fatte avere.

 

Mi sono ritrovato così tra le mani più di 250 cartelle che mal si sarebbero prestate, nonostante l’accuratezza della trascrizione, a un’immediata pubblicazione. Una cosa è infatti l’esposizione orale, altra quella scritta. E per quanto si voglia conservare nella seconda il carattere della prima, si rende pur sempre necessaria una qualche rielaborazione. Comunque sia, il testo che qui presento, più che una “rielaborazione”, è un vero e proprio “rifacimento” della trascrizione originaria. Nella speranza di riuscire a essere più chiaro ed esauriente, ho infatti eliminato alcune parti, ne ho modificate altre e ne ho aggiunte altre ancora. Ho anche arricchito il numero delle citazioni, ma, per non appesantire il lavoro e non stravolgerne la forma iniziale, ho volutamente omesso di corredarle, com’è consuetudine, dei relativi riferimenti bibliografici (e ne faccio quindi ammenda).

 

Ancora una cosa. Nel 1996, a seguito di un analogo corso sullo stesso tema, ho pubblicato i miei Dialoghi sulla libertà. Non è dunque la prima volta che mi occupo de La filosofia della libertà. Potrei anzi dire che non faccio altro, da quasi trent’anni, che occuparmi di quest’opera. “Nel campo della scienza dello spirito, – dice in proposito Steiner – di fronte a una esposizione che si è fatta, si sente sempre la necessità di portare quel che si è già detto a maggiore chiarezza mediante le luci che vi si vorrebbero gettare da diversi lati” (R.Steiner: prefazione alla nona edizione di Teosofia – Antroposofica, Milano 1990, p.8). Tuttavia, proprio per il fatto di occuparmene sempre, è come se non me ne fossi in realtà mai “occupato”: almeno nel senso in cui si crede che ogni argomento di cui ci si sia già occupati debba ritenersi, per ciò stesso, “chiuso”, “esaurito” o “sistemato”. Sia perciò chiaro: io non “insegno” La filosofia della libertà, ma la penso e la medito tentando di raggiungerne il cuore e cercando di rendere partecipi della gioia di questa mia avventura tutti quelli che hanno la bontà di seguirmi e di sopportarmi (molto mi conforta, in questa impresa, quanto Steiner scrisse, allorchè manifestò all’amico Ronsperger la propria intenzione di scrivere il libro: “Sarei contento se mi riuscisse, attraverso la forma, di rendere il contenuto così accessibile, che i pensieri filosofici vengano letti come un romanzo avvincente ed istruttivo” – cit. in G.Roggero: Fiducia nel pensare – Tilopa, Roma 1995, p.113).

 

Nella presentazione dei Dialoghi sulla libertà, ho parlato dell’insegnamento di Steiner come del “grande amore” della mia vita. Ma ancor più grande, se possibile, è l’amore che mi lega a La filosofia della libertà. Miguel de Unamuno ha detto, una volta, che Cervantes era nato per scrivere il Don Chisciotte, mentre lui era nato per commentarlo. Ebbene, se è concesso ai “piccoli” di ficcare il naso nelle cose dei “grandi”, mi piacerebbe poter dire di me la stessa cosa: di essere nato, cioè, per “commentare” La filosofia della libertà. Del resto, – dice sempre Steiner – nello studiare “un “libro molto difficile” non importa tanto capire il contenuto, quanto seguire, mettersi nel filo delle idee dell’autore ed imparare a pensar con lui. Perciò non dobbiamo trovar troppo difficile nessun libro. Ciò vorrebbe semplicemente dire esser troppo pigri a pensare. I migliori libri sono quelli che bisogna prendere e riprendere molte volte in mano, che non si comprendono subito, che è necessario studiare frase per frase. Nello studio non importa tanto che cosa, quanto come si studia” (R.Steiner: Iniziazione e misteri – Rocco, Napoli 1953, pp.120-121).

 

Amo dunque commentare questo libro non per coltivare in me stesso e negli altri l’illusione di poterne “carpire” una volta per tutte il contenuto (per poi magari “archiviarlo”), quanto piuttosto per accompagnare lo svolgimento della mia e dell’altrui vita con quelle sonorità che sgorgano dall’intelletto d’amore e che, della vita stessa, costituiscono l’essenza più profonda e più sacra.

 

So che alcuni non approvano che si faccia questo con La filosofia della Libertà. A costoro, posso solo dire quel che lo stesso Steiner dice nel testo: “Non riconosco alcun principio esterno del mio agire perché ho trovato in me stesso la causa dell’azione, l’amore per l’azione. Non esamino razionalmente se la mia azione sia buona o cattiva: la compio perché l’amo” (R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966, p.136).

 

Un ringraziamento dal più profondo del cuore a chi mi è stato vicino e mi ha amorevolmente e instancabilmente aiutato in questa piccola (ma non facile) impresa. Sola speranza è che questa mia modesta fatica possa aiutare qualcuno a cimentarsi direttamente col testo e, soprattutto, che non dispiaccia troppo a coloro che, di lassù, vegliano benevolmente sul mio lavoro.

 

 


 

Introduzione

Credo che uno dei modi migliori d’introdurre lo studio dell’opera fondamentale di Rudolf Steiner sia quello di considerare, seppur brevemente, una questione quantomai attuale e importante. A tal fine, vi leggerò alcune righe di una enciclica di Giovanni Paolo II: la Veritatis splendor, del 1993.

 

• “La questione fondamentale che le teorie morali sopra riportate pongono con particolare forza è quella del rapporto fra la libertà dell’uomo e la legge di Dio. Ultimamente è la questione del rapporto tra la libertà e la verità. Secondo la fede cristiana e la dottrina della chiesa, solamente la libertà che si sottomette alla verità conduce la persona al suo vero bene. Il bene della persona è di essere nella verità e di fare la verità”.

 

Come vedete, si colloca da una parte la libertà, dall’altra la verità,

e si afferma che la prima, “secondo la fede cristiana e la dottrina della chiesa”,

dovrebbe essere sottomessa alla seconda.

 

A questo, si oppone però una dottrina filosofico-politica (o etico-politica) che potremmo definire genericamente “liberale” (e che Pio IX, nel Syllabus del 1864, giudica “pestilenziale”).

Per meglio coglierne l’aspetto che qui c’interessa, faremo riferimento a due dei suoi testi fondamentali: ossia, alla Lettera sulla tolleranza di Locke e al Trattato sulla tolleranza di Voltaire. Entrambi sono infatti dei “classici” di quel pensiero liberale che, ben più tardi, ha spinto Croce a parlare addirittura di una “religione della libertà”.

 

Questa dottrina rifiuta la sottomissione della libertà alla verità, ma, nell’intento di affermare la prima, non sa far di meglio che sottometterle la seconda. Essa assegna infatti alla libertà un valore “assoluto”, e alla verità un valore “relativo”: ovvero, quello stesso della “opinione” o – come dice Hegel – del “pensiero casuale” (“l’opinione – spiega infatti quest’ultimo – è un pensiero mio, non già un pensiero in sé universale, che sia in sé e per sé”).

Non si darebbe quindi una sola verità, ma se ne darebbero tante quanti sono gli individui (quot capita, tot sententiae). Ed è proprio questo – secondo tale dottrina – che dovrebbe indurci alla reciproca “tolleranza”. L’esistenza di una verità “assoluta” comporterebbe infatti, necessariamente, l’“intolleranza” di chi ce l’ha nei confronti di chi non ce l’ha. Come vedete, la questione èquantomai complessa e delicata.

 

In ogni caso, dal momento che l’opera che ci accingiamo a studiare s’intitola La filosofia della libertà, potremmo cominciare col chiederci: la libertà di cui parla Steiner in quale rapporto sta con la verità? La sua “sostanza”, vale a dire, è la stessa (omousìa) o non è la stessa (omoiusìa) di quella della verità?

Abbiamo appena visto che, per il pensiero liberale, l’intolleranza conseguirebbe sempre alla pretesa, da parte di qualcuno, di avere o possedere la verità. Ma la verità – chiediamoci ancora – è forse una “cosa” o un “oggetto” che si possa “avere” o “possedere”? O non è invece un “soggetto”?

 

Pilato – ricorderete – chiede appunto al Cristo: “Cos’è la verità?”. Convinto com’è che sia un “oggetto” o una “cosa”, egli non viene nemmeno sfiorato dall’idea che la verità stessa possa trovarsi proprio là, di fronte a lui, quale “soggetto” o “persona”. Dice infatti il Cristo: “Io sono la via, la verità e la vita”.

Tuttavia, se la verità è un “essere” (e non un “avere”), chiediamoci allora se il pensiero che usiamo ogni giorno, ossia quello che ci consente di misurare, pesare, contare e calcolare (e del quale il computer non rappresenta che una reificazione o una “ipostasi”), sia davvero idoneo a pensare la verità e la libertà. In effetti, ove queste fossero dei “soggetti”, e non degli “oggetti”, la domanda rivolta da Pilato al Cristo dovrebbe essere, non più: “Che cos’è la verità?”, bensì: “Chi è la verità?” o “Chi è la libertà?”.

 

Ho voluto dire queste cose soltanto per darvi un’idea del cammino che ci accingiamo ad affrontare. Considerate che sono appunto questi problemi a giustificare il fatto che l’opera si divida in due parti: la prima, dedicata a la scienza della libertà; la seconda a la realtà della libertà.

Tuttavia, alla luce di quanto abbiamo appena detto, la prima parte potrebbe essere anche intitolata: la libertà come verità, e la seconda: la verità come libertà. Ciò significa, dunque, che stiamo per intraprendere e seguire una “terza” via: ovvero, una via che ci condurrà oltre il dualismo di verità e libertà, e quindi al di là tanto della verità oggettiva, ma trascendente del cattolicesimo (che sottomette la libertà) quanto di quella immanente, ma soggettiva del liberalismo (che è sottomessa alla libertà).