Valentin Tomberg e l’esegesi antroposofica dei Vangeli

Il figlio dell’uomo


 

Nella prefazione alle Anthroposophische Betrachtungen uber das Neue Testament (Considerazioni antroposofiche sul Nuovo Testamento), Valentin Tomberg menziona alcuni degli “amici che dirigono la Christengemeinschaft” ai cui “preziosi lavori”, vertenti sullo stesso argomento, si considera debitore, auspicando che essi vengano letti e studiati dai suoi stessi lettori.

La Christengemeinschaft (Comunità dei cristiani) è un “movimento per il rinnovamento religioso”, sorto in Germania nel 1922 in seguito all’iniziativa di un gruppo di teologi o interessati alla teologia, in gran parte giovani e provenienti dal mondo protestante, i quali si erano rivolti a Rudolf Steiner per avere indicazioni su come ridare anima e profondità ad una vita religiosa, che languiva nella consuetudine di una pratica sempre più ridotta a mera forma, man mano che l’invadenza di una critica biblica astratta e demolitrice la svuotava dei contenuti interiori che erano la ragione stessa del suo esistere.

Guidato nei suoi inizi da Friedrich Rittelmeyer (1872-1938), già rinomato predicatore evangelico e avvicinatosi allo Steiner dopo un travagliato confronto con i punti salienti del suo pensiero, il movimento della Comunità dei cristiani riabilitò, in contrasto con l’usanza protestante, la pratica dei sette sacramenti, il cui rituale fu restituito all’essenzialità delle sue forme, capaci di mediarne il contenuto trascendente, e da questo stesso contenuto attinse alimento per la teologia e la critica biblica, costituendo fino ai nostri giorni, grazie ai motivi di spiritualità da esso coltivati, un fermento e un modello in seno alla cristianità.

 

Il richiamo da parte di Tomberg a Friedrich Rittelmeyer, Hermann Beckh ed Emil Bock potrebbe sembrare, se non una formalità, un sincero atto di gratitudine nei confronti di autori che lo hanno preceduto e ai quali egli deve numerosi stimoli e chiarimenti. E così è di fatto. Tuttavia quel richiamo può rivelare a noi, che a distanza di tempo guardiamo i fatti da una prospettiva più elevata, un nesso, l’allusione al quale non fu probabilmente intenzionale neanche per lo stesso Tomberg. Esso risulta da un confronto del carattere di ciascuno dei contributi allo studio dei Vangeli offerto dai quattro autori. Se si considera la natura intima di tali contributi, ci si accorge come essi non stiano casualmente l’uno accanto all’altro, ma si completino a vicenda, costituendo nel loro insieme un percorso attraverso i modi fondamentali di accostarsi, con l’aiuto dell’antroposofia, alla sostanza di ciò che tramandano i Vangeli, o più in generale i libri del Nuovo Testamento.

 

I più importanti lavori del Rittelmeyer ai quali potè attingere Tomberg, sono: Meditation. Zwòlf Briefe uber Selbsterziehung (Meditazione. Dodici lettere sull’autoeducazione, la ed. 1929) e Briefe uber das Johanneseuangelium (Lettere sul Vangelo di Giovanni, circolanti dal 1930-32 come dattiloscritto, pubblicate come libro nel 1938).

Il primo, lo scritto suo più rappresentativo, illustra, ai fini di una ordinata pratica meditativa, i rapporti intercorrenti tra i sette predicati dell’Io-sono (“Io sono il pane di vita”, “Io sono la luce del mondo”, ecc.), i sette miracoli e i sette gradi della Passione, quali risultano dal Vangelo di Giovanni, e secondo un criterio di correlazione, che costituisce l’aspetto più originale della sua esegesi, al quale Tomberg sarà debitore fin nella fase finale del proprio itinerario spirituale.

Il secondo riprende in forma più ampia e distesa alcuni argomenti del primo. Un motivo attraversa, come un interrogativo costante, l’intera opera esegetica e religiosa del Rittelmeyer: quello dell’Io nel mistero della sua originarietà, che riconduce l’affermazione più elementare dell’esser uomo alla vita insondabile dell’essere di Dio. “L’Io è l’autentico miracolo della terra”, scrive il teologo tedesco nella prima delle sue Lettere sul Vangelo di Giovanni dedicata a ‘I misteri dell’Io’, spiegando più oltre:

Cristo non è venuto a noi per mostrarci qualcosa che non potremo mai avere, bensì è venuto per donarci tutto il suo Io come il nostro vero Io. «Io in essi». Con questa parola Cristo conclude la sua preghiera sacerdotale e con essa l’opera stessa del suo Annunzio (Gv 17:26).

[…] Se l’uomo potesse far parlare in sé il puro Io, l’Io più profondo, allora egli sarebbe nel Padre, ed il Padre in lui. Poiché ciò non può fare, interviene il Cristo come ‘Luce del mondo’. In questa luce l’Io compie un bagno purificatore. Egli non ottiene solamente la remissione dei peccati, ma si bagna purificandosi nel Cristo. Nella luce di Cristo si accende il suo proprio lo.

Simili considerazioni ricorrono frequenti negli scritti del Rittelmeyer. Sul mistero dell’Io-sono, manifestatosi in Cristo e irradiante, come un’alba di eternità, nella coscienza umana, si focalizza la sua indagine sui Vangeli. Di qui il carattere tendenzialmente metafisico della stessa, secondo una metafisica che attinge il suo principio dall’evento intimo, eppur universale, della nuova creazione.

 

Del tutto diverso è il modo di accostarsi ai Vangeli di Hermann Beckh (1875-1937), già professore di orientalistica all’Università di Berlino, autore di un pregevole lavoro su Buddha e la sua dottrina, nonché musicologo, iniziatore anch’egli della Comunità dei cristiani. Verso la fine degli anni venti egli si dedicò intensamente ad una ricerca intorno ai ritmi cosmici nella narrazione dei Vangeli di Marco e di Giovanni, volta tra l’altro a rettificare i risultati di ricerche analoghe condotte da studiosi tedeschi, le quali, alla luce del presunto carattere astrologico dei Vangeli, specialmente quello di Marco, giungevano a negare l’esistenza storica di Gesù. Frutto della ricerca di Beckh è l’opera Der Kosmische Rhythmus der Sternenschrift im Markus Evangelium und im Johannnes Evangelium (Il ritmo cosmico della scrittura stellare nel Vangelo di Marco e nel Vangelo di Giovanni, 1928 e 1930), in due volumi, dedicati rispettivamente a uno dei due Vangeli in questione.

L’indagine di Hermann Beckh non è un raffronto esteriore della narrazione evangelica con i dati astrologici che in essa risultano rispecchiati, ma una penetrazione nella sequenza di immagini della narrazione stessa, per la quale quei rapporti si rivelano come il segreto compositivo di una grandiosa opera d’arte, che è la vita stessa del Cristo sulla terra:

Così come possiamo elevarci all’idea che nel Cristo un essere spirituale di natura superiore, un essere celeste, si sia congiunto con la realtà terrestre, allo stesso modo potremo comprendere come i singoli fatti della vita terrena del Cristo, tutta la serie degli eventi accaduti in Palestina alla svolta dei tempi […] siano l’espressione immaginativa di un evento spirituale, di un evento celeste.

I tre anni dell’opera del Dio-Uomo appaiono allora come un triplice passaggio del Cristo-Sole attraverso la volta celeste, secondo un percorso ascensivo paragonabile a quello di tre cerchi a spirale o tre ottave consecutive. La personalità terrena del Cristo, pur riconosciuta nella sua realtà storica, è in certo modo assunta nel divenire cosmico-stellare che ne scandisce i destini. Le ricerche pionieristiche di Hermann Beckh mirano a cogliere dei Vangeli soprattutto l’aspetto cosmologico.

 

In un clima ancor diverso ci introducono gli scritti di Emil Bock (1895-1959), teologo diplomato (Lizentiat), ma non ancora pastore, ai tempi della fondazione della Comunità dei cristiani, della quale assunse la guida dopo la morte del Rittelmeyer. Dicendosi grato ai suoi lavori, Tomberg si riferisce con ogni probabilità ai Beitràge zum Verstàndnis der Evangelien e ai Beitràge zur Ubersetzung des Neuen Testamentes (Contributi alla comprensione dei Vangeli e Contributi alla traduzione del Nuovo Testamento) composti dal 1927 al 1933, parallelamente ad una sua nuova versione del Nuovo Testamento, e circolanti per lungo tempo come dattiloscritti, prima di essere raccolti in volume.

Nei Beitràge coesistono due differenti maniere di affrontare il contenuto dei Vangeli. La prima si preoccupa di fornire le ‘categorie’ di una lettura spirituale degli stessi, mediante raffronti tra le diverse narrazioni e osservazioni sulla loro architettura compositiva, alla luce di alcuni risultati fondamentali dell’indagine antroposofica. Tomberg dovrà molto a quanto di sistematico il Bock ha elaborato con questo metodo.

La seconda maniera prelude a quello che sarà il tratto caratteristico delle opere successive di questo autore. Essa consiste nel far parlare i singoli eventi sullo sfondo del loro ambiente storico, lasciando che in esso per così dire respirino, dilatandosi in un’atmosfera più ampia, nella quale ogni elemento è assunto in una superiore consapevolezza, e restituito al senso che nello svolgimento drammatico gli spetta. I personaggi che gravitano intorno al Cristo appaiono in tutta la loro umanità, ma su di essa si diffonde una presenza che accorda e intesse i destini con la maestosa delicatezza di una luce aurorale. Il prototipo di questo modo di sperimentare la storia è ciò che avvenne nell’ambiente sacro del Cenacolo, allorché il Maestro riunì per l’ultima volta i suoi discepoli:

Qui nel Cenacolo […] il Signore, compiendo il trapasso dall’antico banchetto pasquale ad una nuova azione sacramentale, ha elevato l’umile atto dello spezzare il pane alla più sacra delle celebrazioni e offerto ai suoi commensali il pane e il vino come il suo corpo e il suo sangue. Questi ricordi fanno di questo ambiente, più di qualunque altro sulla terra, un duomo ricolmo di silenzio. […] Lo spezzare il pane è stato elevato a sacramento. Una nuova atmosfera dell’anima si forma grazie alla forza evocatrice di quel ricordo che trae alimento dall’azione sacramentale. Ciò che avviene nel Cenacolo fa da ponte tra il Vangelo e gli Atti degli Apostoli e conduce quindi dai silenziosi eventi di Gerusalemme al grande dramma della storia cristiana.

Come l’eucaristia rende presente il Cristo nei doni offerti sull’altare, così gli eventi passati si fanno presenti nella coscienza dello storico, riacquistando, nella luce del loro senso ultimo, la vita che il tempo ha loro sottratto. La trattazione dei Vangeli di Emil Bock è in senso eminente una trattazione storica.

 

Nelle Considerazioni antroposofiche sul Nuovo Testamento di Valentin Tomberg si ritrova qualcosa di quanto è stato elaborato dai tre autori qui menzionati, ma con in più una componente originale. In che cosa consista, lo si può comprendere considerando la speciale attenzione che in esse è rivolta a quei momenti della vita di Cristo, in cui Egli sperimenta radicalmente la propria condizione umana, ossia durante le tentazioni nel deserto e durante la Passione, dal Getsemani fino al Golgota. Il segreto e la forza delle Considerazioni di Tomberg sono il frutto di una straordinaria capacità di immedesimazione in questo lato della natura del Cristo.

Si potrebbe pensare che ad una ‘vera’ comprensione dell’essere del Cristo si giunga considerandone soprattutto il lato celeste e cosmico, rispetto al quale il lato umano non sarebbe che il ricettacolo o l’ombra. In realtà il mistero che in Lui si compie, è quello dell’intima fusione della natura divina, e quindi anche celeste e cosmica, con la natura umana, e l’assunzione di questa in quella.

Ciò non avviene attraverso un processo armonico e indolore in tutte le sue fasi, come sarebbe quello risultante dalla sola azione delle forze celesti. Lo stato decaduto della natura umana comporta che quel mistero si compia attraverso il dramma e il dolore. La loro culminazione si ha a partire dalla notte del Getsemani, allorché la volontà umana del Cristo accetta di assumere su di sé tutto il male che, a partire dalla colpa d’origine, ha agito nell’umanità. È una decisione suprema dell’amore, per la quale si concentra in forma di dolore la somma degli errori morali commessi dall’umanità nel corso di tutta la sua storia passata e futura. In quel momento il Figlio di Dio, che già aveva assunto la natura umana, vi si identifica totalmente, rendendosi a tutti gli effetti ‘Figlio dell’uomo’. Come tale affronterà la Passione per realizzare quindi, con la Resurrezione, il modello perfetto della divino-umanità.

 

L’indagine sui Vangeli di Valentin Tomberg deriva da un’immedesimazione della volontà con la volontà che ha dato origine al Figlio dell’uomo. Affinché ciò sia possibile, deve avvenire nel soggetto umano una trasformazione dei processi in cui si esplica la volontà. Normalmente questa tiene dietro a ragioni, ossia a idee, diversamente relazionate alla realtà sensibile, e alle quali si dà un assenso.

La parte sensitiva dell’uomo riceve impressioni che la parte razionale elabora attivamente sulla base dell’oggettiva visione d’essenza. Da questa elaborazione maturano i propositi, anch’essi attivi, della volontà, che sfociano poi nell’azione esterna, di cui è tramite l’organizzazione del sistema motorio. Può ora avvenire che la volontà, anziché sfociare nell’azione esterna, si diriga internamente verso un essere conosciuto, al quale aderisce con intensa dedizione.

In questo caso, le forze che normalmente si attuano verso l’esterno, mutano la loro direzione, e da attive si fanno passive, recettive. Esse cominciano a percepire, là ove altrimenti agivano. Ciò che percepiscono non sono però né contenuti sensibili, né idee (essenze), ma atti o correnti di volontà provenienti da altri esseri, atti o correnti i quali hanno forme e gradi di esplicazione differenti.

Se l’essere da cui provengono è il Cristo Gesù, essi coincidono con una corrente di grazia e di rivelazione, cui corrisponde nell’anima un atteggiamento di devozione calma e silente. Percezioni di questo genere fanno da sfondo alle esperienze da cui derivano le Considerazioni di Valentin Tomberg, le quali, d’altra parte, si avvalgono ampiamente dei risultati già conseguiti da Rudolf Steiner sulle vie dell’indagine antroposofica. Per questo lo stesso Tomberg dichiara essere fonti del suo lavoro “l’antroposofia di Rudolf Steiner” e “ciò che egli ha potuto ricavare dal lavoro fondato su di essa”, sviluppandolo in una certa direzione.

 

Se vogliamo chiamare ‘mistica’ la percezione immediata del contenuto di volontà che si esprime in un altro essere, in questo caso nella persona di Cristo perfettamente identificatasi con la natura umana, possiamo dire che i commentari di Tomberg al Vangelo siano i più mistici tra quelli ispirati all’antroposofia. Essi, movendo da una dedizione profonda del volere alla realtà umana di Cristo, dischiudono una corrente di rivelazione connessa con i misteri più sublimi del suo essere. Colui che riguardo al dramma del Getsemani ha potuto scrivere:

“In quella notte avvenne la nascita del puro amore umano. Se il Cristo portò sulla Terra l’amore divino, l’amore dei mondi spirituali, Egli dovette anche sperimentare l’amore umano sulla Terra per realizzare la sua divino-umanità. Nel Cristo Gesù doveva compiersi l’unione del più alto amore dell’essere divino col più alto amore dell’uomo terreno”.

 

Egli stesso descriverà poi con le seguenti parole il retroscena occulto della morte di Cristo:

“Il trapasso nell’essere di un altro Io è possibile solo attraverso la sfera che costituisce il fondamento originario e la patria di tutti gli Io umani, la sfera del Padre. Dal Padre sono nati tutti gli Io umani, nel Padre sussistono e solo dalla sfera del Padre possono venir esercitate azioni sull’interiorità degli Io umani che siano in accordo col principio della libertà. Per questa ragione il Cristo doveva percorrere la via che, attraverso il Padre, conduceva all’interiorità degli Io umani. Questa via fu esteriormente quella della morte; interiormente fu però un totale congiungersi al Padre”.

 

Il corrispettivo cosmico del dramma umano vissuto dal Cristo Gesù, si ha in quel momento della sua vita che più di ogni altro si sottrae ai nostri sguardi, cingendosi di un’indescrivibile atmosfera di silenzio: il Sabato Santo. La ‘discesa agli inferi’, che Egli compie in quel giorno, è il passaggio attraverso le sfere nelle quali vige l’opposizione radicale agli intenti originari della creazione. Per redimere la natura decaduta, Egli deve attraversarne l’aspetto più tenebroso che costituisce, rispetto al cosmo voluto dal Padre, una sorta di ‘anticosmo’. Quel passaggio non sarebbe stato necessario se Egli non avesse assunto su di sé tutto il male di cui è gravata la natura umana. La conseguenza di ciò è espressa da Tomberg con le seguenti parole: “Il Risorto era un’entità che riuniva in sé l’esperienza del cielo, della vita e del dolore terreni, e delle sfere sotterranee”.

 

Il ricordo dell’esperienza da Lui vissuta nelle sfere sotterranee si cela propriamente nel segreto della sua volontà.

Intuirne ed amarne il contenuto, significa condividere, nei limiti umanamente consentiti, qualcosa di quell’esperienza, partecipando alle grazie soprannaturali ad essa connesse e cooperando in tal modo alla redenzione del male profondo della natura. Che questo sia possibile lo dimostrano le Considerazioni di Valentin Tomberg.

Per quanto egli riconosca trattarsi di temi a malapena esprimibili in concetti e parole umane, le indagini in esse contenute, riguardanti il mistero del Sabato Santo e il suo rapporto con la vita spirituale dell’uomo, costituiscono un contributo assolutamente originale, che non trova riscontro in nessun altro autore della scuola antroposofica, neanche nello stesso Steiner.

Va per altro tenuto conto, che l’ambito di profondità in cui muovono quelle indagini e il confronto con gli aspetti oscuri dell’esistenza che esse comportano, fa dei loro risultati qualcosa non solo di ardua assimilazione, ma che richiede di essere sapientemente equilibrato nell’economia della vita dell’anima, per evitare esiti unilaterali, dai quali sortirebbero effetti contrari a quelli auspicati.