Testimonianza in tempo di prove

Il figlio dell’uomo


 

Le Considerazioni antroposofiche sul Nuovo Testamento, iniziate nel 1935 e proseguite nell’arco di tre anni, sono la continuazione di una serie analoga sull’Antico Testamento, anch’essa in dodici capitoli, che Tomberg aveva intrapresa nel 1933 con l’intento di promuovere, anche all’interno della Società Antroposofica, le ricerche in campo biblico, coltivate di preferenza dai membri del movimento affine, ma di carattere specificamente religioso, della Comunità dei cristiani.

Tanto per le Considerazioni sull’Antico Testamento, che per quelle sul Nuovo, non si trattò in origine di un volume edito, ma di dispense dattiloscritte e ciclostilate che l’autore inviava direttamente a coloro che ne avevano sottoscritto l’abbonamento, per una serie di tre, di sei o di dodici. La lingua era, come per quasi tutta la produzione antroposofica di Tomberg, il tedesco. Come già lasciano intendere dal loro titolo, le Considerazioni antroposofiche sul Nuovo Testamento non costituiscono una trattazione organica ed esauriente dei libri neotestamentari – a prescindere dall’ Apocalisse, cui Tomberg dedicherà, come vedremo, uno scritto a parte, molti aspetti della vita e degli insegnamenti di Cristo, così come gli avvenimenti degli Atti degli Apostoli e le Lettere di Paolo non vengono presi in considerazione se non sporadicamente e con brevi accenni -, ma piuttosto un modo per coltivare la vita dell’anima attraverso lo studio dei Vangeli.

Il lettore esperto riconoscerà nel metodo espositivo dell’autore, il suo riferirsi costante agli orientamenti che derivano dalla ‘Pietra di fondazione’ (Grundstein), una meditazione trasmessa da Rudolf Steiner durante il periodo di Natale 1923/24 ai soci della costituenda ‘Società Antroposofica Universale’, affinché fosse posta a base di tutto il loro lavoro spirituale.

 

La ‘Pietra di fondazione’,

incentrata sul fatto sommo della inabitazione del Cristo nell’Io dell’uomo,

mira a renderne operative le conseguenze sul piano dell’anima.

Movendo dalle esperienze elementari del volere, del sentire e del pensare

– in quest’ordine vi compaiono le tre facoltà -,

essa indica una via per liberarle dall’inclinazione egoistica in cui si trovano involute nel soggetto umano,

e restituirle al flusso di forze spirituali che ne sono all’origine,

e nel quale vivono con essenziale dedizione agli intenti divini che presiedono al divenire del mondo.

 

Di qui il richiamo alle Gerarchie spirituali, per ripristinarne l’accordo con l’anima, sullo sfondo della Trinità divina. Riguardo alla ‘Pietra di fondazione’, Valentin Tomberg, in uno scritto del 1936 ad essa dedicata, riconosce di “averla riguardata come il fondamento di ogni lavoro antroposofico”, e di averne perciò fatto “il fondamento di tutto il proprio lavoro nella parola e nello scritto”, orientandosi su di essa “per qualunque lavoro egli dovesse realizzare”.

 

Fondate dunque su una vita dell’anima rivolta alle sorgenti e alimentate da una viva corrente di rivelazione, le Considerazioni di Tomberg offrono visioni e spunti notevoli sulle realtà di cui i Vangeli costituiscono l’annunzio. Di altissimo pregio e originalità sono ad esempio le parti dedicate alle tentazioni nel deserto, alle Beatitudini, al Padre nostro, al risveglio di Lazzaro, alla notte del Getsemani e alla Passione, dove vengono in luce nessi spirituali di grande attualità, su cui ogni lettore dovrebbe soffermarsi con attenzione. Altrettanto si può dire di singole osservazioni sparse nel testo, ad esempio quelle sul ‘sale della terra’ e la ‘luce del mondo’, le quali, svolgendo le implicazioni di una semplice immagine, dischiudono il senso e la portata di tutto il lavoro spirituale del cristiano.

 

Un posto a sé occupa la considerazione sulla Pentecoste, al termine della quale l’autore sente il “bisogno gioioso” di far sapere che “una cerchia di amici ha collaborato” alla sua genesi. In occasione della Pentecoste del 1938, infatti, era stato indetto a Tallin (Estonia), dove l’autore viveva, un convegno al quale parteciparono diverse personalità, tra cui Elisabeth Vreede (1879-1943), matematica e astronoma olandese, già vicina collaboratrice di Rudolf Steiner. La speciale nota di freschezza e di fiorente luminosità che si avverte in questa considerazione, l’ultima della serie, è da attribuirsi non solo al tema, capace in quanto tale di destare forze nascenti dell’anima, ma anche alla situazione in cui è sorta. Essa porge un esempio di quale effetto può produrre l’instaurarsi di un clima di fraterna fiducia tra persone dedite ad un bene spirituale comune: le risorse dei singoli, integrandosi reciprocamente, ne vengono accresciute, e chi sia a ciò predisposto, può, in quell’atmosfera, trarre alla luce verità che altrimenti resterebbero celate.

 

Lo stile delle Considerazioni risente del fatto che l’autore scrivesse in una lingua che non era quella nativa, e per la quale disponeva, come egli stesso confessava, “di una metà del lessico necessario”.

L’ampio movimento descrittivo, che si riscontra ad esempio nella vita di Cristo del Fornari, e che permette di dar respiro alla bellezza di ogni contenuto, o l’attenta disamina del cuore umano che accompagna l’esposizione di Fulton Sheen, sono dunque sacrificati ad una severa architettura di pensiero, da cui il vero traluce con tratti limpidi ed essenziali. Quando però il rigore logico si appesantisce in un impianto eccessivamente sistematico, si producono forme concettuali non sempre adeguate alla natura imponderabile dei contenuti, un difetto questo che non sfuggì a lettori benevoli, ma esigenti, come ad esempio Elisabeth Vreede, e cui può ovviare soltanto lo sforzo di ricondurre quelle forme a vive esperienze dell’anima.

 

La modestia con cui l’autore passò per l’esistenza terrena, lasciando del suo cammino tracce scarse e leggere, avvertibili solamente da chi avesse interesse per lui, fa sì che poco ci sia dato sapere sulle precise circostanze di vita in cui sono sorte le Considerazioni. Una documentazione pubblicata di recente, ci consente tuttavia di ricostruirne per frammenti la genesi.

Quando nel giugno 1935 Valentin Tomberg diede inizio alla serie delle Considerazioni sul Nuovo Testamento, egli viveva da quindici anni nella capitale estone Tallin, dove era emigrato con i genitori dalla patria russa per sfuggire al terrore bolscevico, di cui cadrà vittima la madre, e dove dal 1923 era impiegato come segretario e corrispondente presso il Ministero delle Poste. A quel tempo aveva a suo carico la moglie Maria Leitnecker-Demsky de Monfort, sposata nel 1933, e il figlio Alexander, nato un anno dopo.

 

Per comprendere ora il destino occorso alle opere da lui scritte in quegli anni, occorre aprire una breve parentesi sulla storia della Società Antroposofica, ai cui membri esse erano principalmente destinate. Dopo la morte di Rudolf Steiner, nel 1925, si constatarono presto tra i suoi allievi divergenze sul modo di coltivarne l’eredità spirituale, e di amministrare la Società da lui fondata un anno prima di morire. Queste divergenze si polarizzarono a poco a poco in due correnti, di cui una attribuiva speciale valore all’esistenza di un centro rappresentativo, il Goetheanum a Dornach, nel quale convergessero le attività dell’intera Società, l’altra si affidava maggiormente all’iniziativa spontanea dei singoli gruppi periferici.

Quando questa seconda corrente, in seguito all’acuirsi dei contrasti con la prima, assunse a Stoccarda, nel 1934, forma giuridica con la denominazione di Vereinigten Freien Anthroposophischen Gruppen (Unione dei liberi gruppi antroposofici), comprendente gruppi tedeschi, olandesi e inglesi, i suoi responsabili furono, mediante un decreto apposito, votato a Dornach nell’aprile dell’anno successivo, espulsi dalla Società ufficiale. Contemporaneamente furono estromesse dalla direzione di quest’ultima due personalità che avevano appoggiato quell’iniziativa: Ita Wegman (1876-1943) e la già menzionata Elisabeth Vreede.

Non si può dunque parlare di una uniformità di vedute nel mondo antroposofico di allora, ciò in considerazione tanto dell’autonomia di giudizio dei singoli, quanto dell’esistenza di due correnti abbastanza definite, la cui origine è da attribuirsi non solamente a fattori di opinione in merito alla gestione istituzionale, ma ad interiori punti di forza sul piano spirituale. Nella recezione delle opere antroposofiche di Valentin Tomberg ciò ebbe un’importanza non trascurabile.

 

Se la pubblicazione della serie dell’Antico Testamento, iniziata nel novembre 1933, era stata accolta da Dornach con una fredda censura, espressa da un articolo sul bollettino della Società Antroposofica, lo stesso non potè dirsi per molti antroposofi indipendenti dalla linea ufficiale, i quali manifestarono invece un interesse, talvolta anche fervido, per quei lavori. In vista dei sinceri interessati – si possono qui ricordare, tra i tanti, gli storici tedeschi Karl Heyer e Sigismund von Gleich, lo scienziato inglese George Adams-Kaufmann, oltre alla stessa Vreede – Valentin Tomberg, che dopo i fatti del 1935 aveva sospeso ogni attività negli ambienti convenzionati con le disposizioni di Dornach per aderire ai ‘Liberi gruppi’, si decise, nonostante alcune esitazioni, a dar corso alla serie sul Nuovo Testamento, di cui era stata fatta da alcuni esplicita richiesta. Ciò avvenne, come già indicato, nel giugno 1935.

 

La catastrofe societaria, avvenuta due mesi prima, cui la moglie Maria aveva reagito con un serio disturbo cardiaco, rimasto inspiegato ai medici, era stato soltanto il punto focale di una crisi, che in quel periodo coglieva lui su tutti i fronti della vita: la condizione di per sé già precaria dell’esule, le difficoltà finanziarie nel far fronte ai bisogni della famiglia, lo sforzo fisico estenuante per far coesistere l’impiego professionale con un’intensa attività di scrittore e conferenziere, i frequenti problemi di salute della moglie, le ripercussioni, sul piano dei rapporti umani, dei suddetti conflitti in seno alla Società Antroposofica, e dell’alone di sospetto creato intorno a lui da alcuni suoi membri, e ancora l’incertezza della vicenda politica dell’Estonia, la cui stessa esistenza come Stato indipendente era messa in forse dagli sviluppi che si preannunziavano sullo scenario internazionale, tutto ciò contribuì a fare di questa fase della sua vita un momento tragico, caratterizzato da una lotta contro potenze annientatrici, che parevano assediarlo da ogni lato.

 

Se un’incrollabile fermezza interiore potè in lui mantenersi a lungo senza dar luogo a insostenibili tensioni, ma anzi risolvendosi in un abbandono sempre più fiducioso alla corrente di grazia che lo sosteneva, una buona parte di merito spetta alla moglie Maria la quale, non solo fu costantemente al suo fianco in tutte le prove che si trovò ad affrontare, ma lo accompagnò anche nella stesura dei suoi lavori, per la quale fu consigliera ed ispiratrice.

Così nacquero le Considerazioni, quasi isola di luminosa quiete in mezzo ad un mare tempestoso, che vorrebbe travolgere ogni cosa, ma che nulla può su di esse.

 

Sappiamo da alcune testimonianze, che le dispense sulla Passione furono inviate ai lettori nel periodo precedente la Pasqua del 1938, come aiuto a vivere con intensità il clima di questa festa. Prima ancora, allorché una dispensa – corrispondente alla quinta considerazione – aveva tardato a lungo ad uscire, si era temuto riguardo alla prosecuzione del lavoro da parte dell’autore. Questi allora aveva inviato, intorno al Natale del 1936, una lettera circolare ai lettori, nella quale era detto: “L’uscita delle Considerazioni purtroppo ha dovuto subire un considerevole ritardo. Le circostanze furono per qualche tempo così ostili, che quel ritardo non potè essere evitato. L’autore prega però i lettori di credere che egli non ha pensato neanche per un momento ad abbandonare il lavoro”. Nel 1937 uscirono cinque dispense, nel 1938 le ultime tre, di cui però l’undicesima e la dodicesima non furono più inviate da Tallin.

 

Nell’estate di quell’anno, infatti, i Tomberg, desiderosi tra l’altro di assicurare al piccolo Alexander un’educazione scolastica presso un istituto ad indirizzo pedagogico steineriano, assente in Estonia, si erano trasferiti a Rotterdam, dove lui aveva ottenuto un lavoro come segretario presso l’ambasciata estone. In Olanda potè godere per qualche tempo di una relativa tranquillità che gli permise di continuare, in un contesto più ampio, la propria attività di conferenziere, di ultimare le Considerazioni sul Nuovo Testamento e di dare avvio ad una serie sull’Apocalisse, preannunziata da tempo e già abbozzata in un ciclo di conferenze che aveva tenuto nell’inverno del 1932-33.

 

Le attività da lui promosse in quel periodo nel la Società Antroposofica Olandese, che sotto la guida di Friedrich Zeylmans van Emmichoven (1893-1961) era confluita nei ‘Liberi gruppi’, videro in breve tempo un enorme sviluppo. Lo scoppio della guerra tuttavia (1 settembre 1939), ed un colloquio avuto in quei giorni con lo Zeylmans, dal quale risultò una mancanza di intesa tra i due, ebbero come conseguenza il ritirarsi di Tomberg dalla vita sociale antroposofica.

In concomitanza di ciò egli interruppe, alla terza, la serie sull’Apocalisse, il cui titolo Geisteswissenschaftliche Betrachtungen über die Apokalypse des Johannes, considerazioni dunque ‘scientifico-spirituali’ e non antroposofiche, era quasi un presagio di quel distanziarsi avvenuto poco tempo dopo.

 

Per alcuni anni ancora il nostro autore tenne a Rotterdam, in una cerchia molto ristretta, un corso sul Padre nostro col quale, raccogliendo tutte le sue acquisizioni spirituali in un’istruzione volta ad accordare meditazione e preghiera, voleva porgere un contrappeso di operatività silenziosa all’immane tragedia che si consumava nel mondo. Il corso durò fino all’inizio del 1943. In quello stesso anno lasciavano il mondo terreno, ad un breve intervallo l’una dall’altra, Ita Wegman (4 marzo) ed Elisabeth Vreede (31 agosto). Quest’ultima, dopo la morte dell’amica, aveva affermato: “Ora il centro di gravità del nostro movimento risiede nel mondo spirituale”, riferendosi a lei e allo stesso Steiner. A questo punto Tomberg sentì che un capitolo si era concluso. Da quel momento cercherà altrove il terreno per il cammino di contemplazione e di preghiera, verso cui la sua vita si andava orientando. Approderà presto alla Chiesa cattolica che, con la continuità della sua corrente sacramentale e liturgica, gli offrirà la sostanza di una memoria imperitura, con la quale egli potrà entrare in comunione piena.

 

Sarebbe un errore pensare che Valentin Tomberg abbia abbandonato l’attività nel mondo antroposofico per la scarsa accoglienza tributata alle sue opere. Al contrario, negli ultimi anni prima della guerra l’interesse per i suoi lavori era tutt’altro che tiepido e occasionale. Tradotti in inglese e in ceco, erano richiesti e letti in Germania, Olanda, Inghilterra, Estonia, Boemia. Si potrebbero indicare numerosi autori che vi attinsero proficuamente. Se da Dornach furono per lo più ignorati e giudicati con sufficienza come ‘mistici’, diversa era la situazione nei ‘Liberi gruppi’, dove vigeva maggior, spregiudicatezza ed un coraggio senza riserve per il nuovo.

Furono circostanze esteriori, rette comunque da un superiore ordine provvidenziale, a predisporre quella cesura.

 

Si pensi ad esempio che Friedrich Zeylmans dovette, dopo l’avanzata tedesca in Olanda (14 maggio 1940), sciogliere spontaneamente la Società Antroposofica e bruciarne le liste, per preservare i soci da situazioni spiacevoli, quali già si erano verificate in Germania. Uno svolgimento libero di attività culturali in quel paese fu dunque impossibile per alcuni anni. Lo stesso Tomberg, in seguito all’annessione dell’Estonia all’Unione Sovietica (6 agosto 1940), si trovò privato ad un tempo del lavoro e della nazionalità – aveva infatti conservalo quella estone in quanto addetto all’ambasciata. In tali frangenti provò più radicalmente che mai la precarietà dell’esistenza, avvertendo, con occhio reso vigile dalla prova, i prodromi di un “diluvio del male”, riguardante l’intera umanità.

 

Fu per lui un coraggio imparziale del nuovo, e non una timorosa acquiescenza all’antico, a spingerlo in quel momento verso la spiritualità cattolica, un passo al quale concorsero altresì singolari circostanze di destino. Egli aderì alla più antica delle confessioni cristiane, non per rifugiarsi nostalgicamente nel passato, ma come viandante dell’anima, in cerca di una risposta all’interrogativo che gli poneva quella sorta di ‘discesa agli inferi’ dell’umanità, di cui la guerra era forse solo un inizio. Non intese però mai quel suo passo come una norma valida per chiunque. Con esso volle piuttosto offrire un proprio contributo insostituibile al patrimonio di esperienze dell’umanità.

 

“Ogni mattino di un nuovo giorno, ogni risveglio, è opera della speranza, che permea gli uomini e gli esseri della natura”. Queste parole, tratte dall’ultimo frammento lasciatoci da Tomberg, ci fanno intendere che egli in realtà non smise mai di camminare sulle vie della speranza, di andare incontro con fiducia ad un sempre nuovo mattino. Da qui egli attinse le forze per fronteggiare serenamente le prove, molte delle quali descrisse in forma impersonale nelle Considerazioni sul Nuovo Testamento. L’acre sostanza di un destino, assunto volontariamente su di sé, gli si andava così trasformando in una grazia rigeneratrice dell’esistenza, precorrendo in tal modo un genere di esperienze, riguardo al quale il fine teologo Romano Guardini così si espresse:

Se comprendiamo esattamente i testi escatologici della Sacra Scrittura, la fiducia ed il coraggio formeranno il carattere proprio della fine dei tempi. L’ambiente della cultura cristiana, l’appoggio della tradizione perderanno vigore. Questo sarà uno degli elementi di quello scandalo, del quale è detto che “se fosse possibile, anche gli eletti vi soccomberebbero”. (Mt 24:24)

La solitudine nella fede sarà tremenda. L’amore scomparirà dalla condotta generale (Mt 24:12). Non sarà compreso e diverrà tanto più prezioso, nel suo passare da un solitario ad un altro solitario: forza del cuore che discende immediatamente dall’amore di Dio, quale si è rivelato in Cristo. Forse si farà un’esperienza tutta nuova in questa carità: della sua sovrana originalità, della sua indipendenza dal mondo, del mistero del suo supremo perché. Forse la carità acquisterà una profondità d’intimità mai prima esistita. Qualche cosa di ciò che si esprime in quelle parole che sono la chiave a comprendere il messaggio di Gesù sulla Provvidenza: che le cose si trasformano per l’uomo che ha come suo primo pensiero la volontà e il Regno di Dio (Mt 6:33).

 

Le Considerazioni di Tomberg sono una testimonianza di questa trasformazione. Sta a noi ripercorrerle sull’onda della medesima speranza da cui sono sorte.

Febbraio 2002              Giancarlo Roggero

 

 

Nota redazionale

La presente traduzione è stata condotta sulla 1a edizione tedesca dattiloscritta delle Anthroposophische Betrachtungen uber das Neue Testament (1935-38).

La ripartizione in capitoli e paragrafi rispetta, anche nei titoli, quella originale.

Le note a piè di pagina sono contrassegnate dalla sigla N.d.A., se provenienti dall’autore. Quelle senza sigla sono frutto del presente lavoro redazionale.

Le opere di Rudolf Steiner citate in nota, riportano il titolo in tedesco, se manca un’edizione italiana. Quando il titolo è riportato in italiano si intende, se non vi sono altre indicazioni, che l’opera è pubblicata dalla Editrice Antroposofica di Milano. In ogni caso è indicato tra parentesi dopo la sigla 0.0. il numero d’ordine nell’edizione dell’Opera Omnia (Gesamtausgabe, G.A.) curata dalla Rudolf Steiner Nachlaliuerwaltung, Dornach.