Prefazione e introduzione alla quarta edizione tedesca

O.O. 23 – I punti essenziali della questione sociale


 

1. Sfuggiranno i compiti posti dalla vita sociale del presente a chi vi si avvicini con pensieri utopistici. In base a determinate concezioni e a determinati sentimenti si potrà avere la fede che qualche particolare ordinamento, che ci si è immaginato, possa rendere felici gli uomini; una simile fede può assumere una potente forza di convinzione, ma si parlerà del tutto inutilmente sul significato attuale del “problema sociale”, se si vorrà conservare una fede del genere.

 

2. Oggi si può portare questa affermazione fino alle sue ultime e impossibili conseguenze, e si sarà pur sempre nel giusto. Si può presumere che qualcuno sia in possesso di una “soluzione” teoricamente perfetta del problema sociale, ma egli crederebbe ugualmente qualcosa del tutto non pratico se volesse offrire all’umanità la “soluzione” da lui escogitata. Non viviamo infatti più in un tempo nel quale si poteva credere di agire in questo modo nella vita pubblica. L’atteggiamento dell’anima della gente non è più tale da poter dire nella vita pubblica: “Ecco qui qualcuno che ha capito quali siano i necessari ordinamenti sociali, e noi dobbiamo fare quel che egli suggerisce”.

 

3. La gente non vuole più accettare in quel modo idee sulla vita sociale. Questo scritto, che ha già avuto una discreta diffusione, tiene conto di questo fatto. Chi ha scorto in esso un carattere utopistico ha del tutto travisato gli intendimenti che vi erano stati posti. Lo hanno fatto soprattutto coloro che vogliono pensare soltanto in modo utopistico. Essi vedono negli altri il carattere essenziale delle loro abitudini di pensiero.

 

4. Per chi pensa praticamente fa oggi parte delle esperienze della vita pubblica che non si può fare proprio niente con delle idee utopistiche che in apparenza siano anche molto convincenti. Pure molti credono di sentire che sia per esempio possibile proporre simili idee ai propri contemporanei nel campo dell’economia. Essi devono però convincersi di parlare inutilmente. I loro contemporanei non sanno che farsene delle loro proposte.

 

5. Questa va considerata un’esperienza, perché indica un fatto importante dell’attuale vita pubblica. È il fatto della estraneità alla vita di quel che si pensa in confronto per esempio a quel che esige la realtà economica. Si può infatti sperare di padroneggiare le condizioni confuse della vita pubblica, avvicinandosi ad esse con un pensare estraneo alla vita?

 

6. Un problema del genere non può essere gradevole, perché presuppone l’ammissione che si pensa in modo estraneo alla vita. Pure, senza questa ammissione si rimarrà lontano dal “problema sociale”, poiché si raggiungerà chiarezza su che cosa è necessario per la vita sociale soltanto esaminando questo problema come una delle più serie questioni di tutta la civiltà del presente.

 

7. Questo problema rinvia alla strutturazione della vita spirituale del presente. L’umanità moderna ha sviluppato una vita spirituale che è dipendente in grande misura dagli ordinamenti statali e dalle forze economiche. Già da bambini si viene inseriti nelle strutture statali dell’educazione e dell’insegnamento, e si può essere educati solo nel modo permesso dalle condizioni economiche dell’ambiente in cui si cresce.

 

8. Si potrebbe quindi facilmente credere che l’uomo dovrebbe adattarsi bene alle condizioni di vita del presente, perché lo Stato dovrebbe avere la possibilità di organizzare le strutture della scuola, e quindi della parte più essenziale della vita spirituale pubblica, in modo che la comunità umana venga servita per il meglio.

Si potrebbe anche facilmente credere che in questo modo l’uomo diventi il miglior possibile componente della comunità umana, se viene educato in accordo con le possibilità economiche dalle quali egli deriva, e se grazie a tale educazione egli viene inserito nel posto indicatogli dalle possibilità economiche.

 

9. Questo scritto deve assumere il compito, oggi poco gradito, di mostrare che la confusione della nostra vita pubblica deriva dalla dipendenza della vita spirituale dallo Stato e dall’economia. Deve anche mostrare che la liberazione della vita spirituale da tale dipendenza costituisce uno degli aspetti più brucianti del problema sociale.

 

10. Questo scritto mette quindi in evidenza errori molto diffusi. Da molto tempo si vede qualcosa di salutare per il progresso dell’umanità nell’assunzione dell’educazione da parte dello Stato, e pensatori socialisti non possono immaginare nulla di diverso dal fatto che la società educhi il singolo per il proprio servizio e secondo proprie disposizioni.

 

11. Non ci si vuole adattare a un’opinione che oggi è assolutamente necessaria in questo campo. È l’idea che nell’evoluzione storica dell’umanità, in un tempo successivo può diventare un errore quel che era giusto in un tempo precedente. Per il formarsi delle condizioni dell’umanità moderna era necessario che l’educazione, e con essa tutta la vita spirituale pubblica, venisse tolta alle forze che la dominavano nel medioevo, e data alla responsabilità dello Stato. L’ulteriore conservazione di questo stato è però un grave errore sociale.

 

12. È quel che vuol mostrare questo scritto nella sua prima parte. Nell’ambito degli ordinamenti statali la vita spirituale è matura per la libertà, ma non può vivere giustamente nella libertà se non le viene data la completa autogestione. A seguito della sua essenza, la vita spirituale richiede di essere un membro autonomo dell’organismo sociale. La struttura dell’educazione e dell’insegnamento, dalla quale in sostanza deriva tutta la vita spirituale, deve essere affidata all’amministrazione di coloro che educano e insegnano. Nulla di ciò che è attivo nello Stato o nell’economia deve immischiarsi o essere determinante in tale amministrazione. Chi è impegnato nell’insegnamento deve impiegare per l’insegnamento tanto tempo in modo che gliene resti abbastanza per amministrare il suo settore. Egli curerà l’amministrazione così come si occupa dell’educazione e dell’insegnamento. Nessuno darà disposizioni se non sarà contemporaneamente attivo nell’insegnamento e nell’educazione. Nessun parlamento, nessuna personalità – che magari un tempo abbia insegnato ma che ora non lo faccia più – dovrà interloquire. Quel che si sperimenta immediatamente nell’insegnamento dovrà fluire anche nell’amministrazione. È nella natura delle cose che con simili disposizioni l’oggettività e la capacità agiscano nella massima misura possibile.

 

13. Naturalmente si potrà obiettare che anche con l’autogestione della vita spirituale non tutto diverrà perfetto. Nella vita reale la perfezione non è assolutamente da richiedere. Si può solo tendere a che si realizzi il meglio. Le capacità che si formano nel bambino verranno trasmesse veramente alla collettività se alla loro formazione si dedicherà soltanto chi potrà esprimere il suo giudizio determinante in base a ragioni radicate nello spirito. Solo in una libera comunità spirituale si potrà stabilite fino a che punto un ragazzo potrà venir portato in una direzione qualsiasi. E solo da una simile comunità potrà venir stabilito che cosa si dovrà fare per favorire giustamente la decisione presa. Da una libera comunità spirituale lo Stato e l’economia potranno ricevere le forze che essi non possono darsi se organizzano la vita spirituale nelle loro prospettive.

 

14. È nell’intendimento di quanto esposto in questo scritto che anche le strutture e le materie di insegnamento degli istituti che servono allo Stato ed alla vita economica siano affidate agli amministratori della libera vita spirituale. Scuole giuridiche e commerciali, istituti agrari e industriali dovranno ricevere la loro struttura dalla libera vita spirituale. Di necessità questo scritto deve suscitare contro di sé molti pregiudizi, quando si tragga questa giusta deduzione da quel che si è esposto. Da che cosa derivano tali pregiudizi? Si riconoscerà il loro spirito antisociale vedendo che in sostanza essi provengono dall’opinione incosciente che gli educatori debbano essere persone estranee alla vita, non pratiche, e che non ci si possa attendere che essi possano prendere delle decisioni che servano, in modo giusto, nei diversi settori pratici della vita. Tali decisioni dovrebbero quindi venir prese da coloro che sono inseriti nella vita pratica, mentre gli educatori dovrebbero agire secondo le direttive che vengono loro date.

 

15. Chi pensa così non vede che gli educatori, usi a non potersi dare da soli alcuna direttiva, dalla più piccola alla più grande, proprio per questo diventano estranei alla vita e non pratici. Possono quindi venir date loro direttive che in apparenza derivano da gente tanto più pratica, mentre gli educatori non riescono ad educare gente che diventi pratica della vita. Le condizioni antisociali deriverebbero dal fatto che nella vita sociale non vengono inserite persone che in base alla loro educazione sentano in modo sociale. Persone che sentano in modo sociale possono però soltanto provenire da un sistema educativo che sia guidato e amministrato da chi senta in modo sociale. Non ci si avvicinerà mai al problema sociale se non si tratterà il problema della scuola e della vita spirituale come una delle sue parti essenziali. Si creano elementi antisociali non soltanto mediante provvedimenti economici, ma anche per il fatto che la gente si comporta in modo antisociale nell’ambito di quei provvedimenti. È poi in sostanza antisociale che si faccia educare ed istruire la gioventù da persone che si fanno diventare estranee alla vita per il fatto di prescriver loro dal di fuori le direttive e il contenuto del loro agire.

 

16. Lo Stato organizza facoltà di diritto, e pretende che vi venga insegnato un diritto che, dal suo punto di vista, è stato emanato secondo la sua costituzione e la sua amministrazione. Invece scuole che deriveranno interamente da una libera vita spirituale creeranno il contenuto della giurisprudenza dalla vita spirituale stessa. Lo Stato dovrà solo attendere ciò che gli verrà affidato dalla libera vita spirituale. Verrà fecondato dalle idee viventi che possono nascere solo da una simile vita spirituale.

 

17. Entro la vita spirituale stessa vi saranno uomini che cresceranno nella pratica della vita movendo dal loro angolo visuale. Non diventerà però pratica di vita quel che proviene da strutture educative disposte solo da cosiddetti “pratici”, nelle quali insegnano persone estranee alla vita, ma solo da educatori che comprendono la vita e la pratica sulla base delle loro visuali. Come dovrà essere strutturata nei particolari l’amministrazione di una libera vita spirituale verrà indicato, almeno per accenni, in questo scritto.

 

18. Gente che tende all’utopia porrà molte domande a questo scritto. Artisti preoccupati e altre persone attive in campo culturale diranno: “Forse che in una libera vita spirituale i talenti prospereranno meglio che non nella vita attualmente guidata dallo Stato e dalle potenze economiche?” Chi così domanda deve riflettere che questo scritto non è assolutamente pensato in senso utopistico. Di conseguenza in esso non viene stabilito teoricamente che qualcosa venga fatta in un modo preciso. Vengono piuttosto sollecitate comunità umane che, in base alla loro collaborazione, possano iniziare ciò che ha un valore sociale. Chi infatti giudica la vita non secondo pregiudizi teorici, ma in base all’esperienza, dirà a se stesso che chi lavora movendo dal suo libero talento avrà possibilità di un giusto riconoscimento per il suo lavoro quando vi sia una libera comunità spirituale che possa agire nella vita sulla base delle proprie vedute.

 

19. Il “problema sociale” non è qualcosa che sia sorto ora nella vita degli uomini, che adesso possa essere e venga anche risolto da un paio di persone o dai parlamenti. È invece una parte costitutiva di tutta la moderna vita civile, e tale rimarrà, dato che è sorto. In ogni istante dell’evoluzione storica dovrà venir risolto a nuovo, poiché la vita umana è entrata con l’evo moderno in una condizione che fa sempre sorgere l’elemento antisociale da ciò che viene strutturato socialmente. Ed esso deve venir continuamente dominato. Come un organismo dopo qualche tempo che si è satollato ritorna sempre nella condizione di aver fame, così l’organismo sociale da una condizione di ordine ricade sempre nel disordine. Una medicina universale per l’ordine delle condizioni sociali esiste tanto poco quanto un prodotto alimentare che sfami per tutto l’avvenire. Gli uomini possono però inserirsi in comunità tali che, attraverso la loro collaborazione vivente, venga sempre ridata all’esistenza la direzione verso l’elemento sociale. Una simile comunità è la parte spirituale dell’organismo sociale che si autoamministra.

 

20. In base all’esperienza del presente, come per la vita spirituale la libera autogestione risulta un’esigenza sociale, così per la vita economica è il lavoro associativo. Nella vita umana moderna l’economia si estrinseca in produzione, circolazione e consumo di merci. Attraverso questi processi vengono soddisfatti i bisogni umani; gli uomini si muovono in essi con la loro attività. Ognuno ha in essi i suoi parziali interessi; ognuno deve agire in essi con la partecipazione che gli è possibile. Soltanto ogni singolo può sapere e sentire di che cosa egli abbia veramente bisogno; in base alle sue vedute sulle condizioni di vita generali egli vorrà giudicare quel che deve fare. Non sempre fu così, e ancora oggi non è così dappertutto sulla Terra; è però in sostanza così entro la parte attualmente civile della popolazione del pianeta.

 

21. Nel corso dell’evoluzione umana gli individui occupati nell’economia sono aumentati. Dalla chiusa economia curtense si è sviluppata l’economia comunale, e da questa l’economia nazionale. Oggi viviamo in un’economia mondiale. Nel nuovo rimane però ancora una parte rilevante dell’antico; e nell’antico era già accennato molto del nuovo. I destini dell’umanità dipendono anche dal fatto che la riportata sequenza evolutiva è divenuta attiva in modo predominante nell’ambito di determinate condizioni di vita.

 

22. È un pensiero impossibile, irreale, voler organizzare le forze economiche in un’astratta comunità mondiale. Le singole zone economiche sono in gran parte confluite nelle diverse economie nazionali nel corso dell’evoluzione. Però le comunità nazionali o statali sono sorte in base a forze diverse da quelle solo economiche. Averle volute trasformare in comunità economiche ha determinato il caos sociale dei tempi moderni. La vita economica, in base alle proprie forze, tende a strutturarsi in modo indipendente dalle istituzioni statali, e anche dal modo di pensare legato allo Stato. Ciò sarà possibile soltanto se, seguendo esclusivamente prospettive economiche, si costituiranno delle associazioni nelle quali confluiscano consumatori, commercianti e produttori. A seconda delle condizioni della vita si regolerà da sé l’ampiezza di tali associazioni. Associazioni troppo piccole diverrebbero care, troppo grandi lavorerebbero in modo economicamente incontrollabile. Ogni associazione troverà il modo per trattare ordinatamente con le altre in base alle condizioni reali. Non bisogna preoccuparsi che chi debba passare la sua vita in continui cambiamenti di posto venga costretto, limitato, dalle associazioni. Troverà facilmente il passaggio da una all’altra se il passaggio stesso sarà determinato non dall’organizzazione statale, ma da interessi economici. Nell’ambito del sistema associativo sono pensabili disposizioni che agiscano con la facilità della circolazione monetaria.

 

23. Entro le associazioni, in base alla competenza e all’oggettività, può dominare un’ampia armonia di interessi. Non leggi regoleranno la produzione, la circolazione e il consumo dei beni, ma uomini a seconda delle loro immediate vedute e dei loro interessi. Grazie al loro inserimento nella vita delle associazioni gli uomini potranno sviluppare le opportune vedute; per il fatto che i singoli interessi dovranno contemperarsi contrattualmente, i beni circoleranno con i loro corrispondenti valori. L’ipotizzato riunirsi secondo prospettive economiche è qualcosa di diverso per esempio dai moderni sindacati. Essi agiscono nella vita economica, ma non si costituiscono in base a prospettive economiche. Si sono costituiti in base ai principi che nell’evo moderno si sono formati nel trattare questioni statali e politiche. In essi si agisce come in un parlamento; non ci si accorda secondo punti di vista economici per stabilire che cosa ognuno debba fare. Nelle associazioni non vi saranno “salariati” che grazie alla loro forza chiederanno il massimo salario possibile a un datore di lavoro, ma vi agiranno congiuntamente lavoratori manuali, responsabili spirituali della produzione, e consumatori interessati alla produzione, per determinare attraverso il regolamento prezzi delle prestazioni adeguate alle controprestazioni. Questo non può realizzarsi in assemblee che funzionino come parlamenti. Bisognerà anzi guardarsene! Infatti chi potrebbe mai lavorare se innumerevoli persone dovessero impiegare il loro tempo per discutere di lavoro? In trattative fra uomo e uomo, fra associazione e associazione tutto si svolge accanto al lavoro. È solo necessario che la decisione corrisponda alle vedute dei lavoratori e agli interessi dei consumatori.

 

24. In questo modo non si mostra un’utopia, perché non si dice che qualcosa va regolato in una maniera determinata. Viene solo indicato come gli uomini potranno organizzare le cose se vorranno agire in comunità che corrispondono alle loro vedute e ai loro interessi.

 

25. Che gli uomini si riuniscano in comunità del genere provvede da un lato la natura umana, quando non venga impedita da intromissioni statali, perché la natura crea i bisogni. Dall’altro può provvedervi la vita spirituale, poiché essa forma le vedute che devono agire nella comunità. Chi pensa secondo l’esperienza deve ammettere che le previste comunità associative possono formarsi in ogni momento, e che non racchiudono in sé nulla di utopistico. Al loro nascere null’altro si oppone se non il fatto che l’uomo d’oggi vuole “organizzare” la vita economica dal dì fuori, ‘nel senso che per lui il concetto di “organizzazione” è diventato una specie di suggestione. A un tale organizzare, che vuole determinare la gente alla produzione dal di fuori, si contrappone l’organizzazione economica che si basa sul libero associarsi. Mediante le associazioni il singolo si unisce col suo prossimo, e la pianificazione complessiva nasce dalla comprensione dei, singoli. Si può chiedere che scopo abbia che il povero si associ con il ricco. Si può obiettare che sia meglio se la produzione e il consumo siano “giustamente” regolati da fuori. Una simile regolamentazione organizzativa limita la libera forza creativa del singolo e impedisce l’ingresso nella vita economica di ciò che può nascere soltanto dalla libera forza creativa. Si provi a immaginare, malgrado tutti i pregiudizi, anche solo un’associazione fra chi oggi non ha nulla e chi ha. Se altre forze diverse da quelle economiche non interferiscono, chi ha dovrà di necessità pareggiare con chi non ha le prestazioni e le controprestazioni. Oggi non si parla di questi problemi movendo da istinti di vita derivati dall’esperienza, ma da posizioni che si sono sviluppate non da interessi economici bensì di classe o di altro genere. Essi poterono svilupparsi perché nell’epoca moderna, nella quale proprio la vita economica è divenuta sempre più complicata, quest’ultima non potè venir seguita con idee puramente economiche. La vita spirituale, non libera, lo ha impedito. Le persone attive economicamente sono inserite nella ROUTINE QUOTIDIANA e non rilevano le forze attive nell’economia. Esse lavorano senza direttiva nel complesso della vita umana. Nelle associazioni ognuno saprebbe dall’altro ciò che è necessario egli sappia. Si formerebbe un’esperienza economica in merito a ciò che è possibile, perché le persone, delle quali ognuna ha opinioni ed esperienze nel proprio campo particolare, giudicherebbero concordemente fra loro.

 

26. Come nella libera vita dello spirito sono attive solo le forze che in essa esistono, così nel sistema economico strutturato in associazioni sono attivi solo i valori economici che si formano attraverso le associazioni. Quello che nella vita economica il singolo abbia da fare gli risulta dal ritrovarsi assieme a coloro con i quali è associato. Egli avrà così esattamente un’influenza sul complesso dell’economia, corrispondente alle sue prestazioni. IN QUESTO SCRITTO SI ESAMINA COME VENGA INSERITO NELLA VITA ECONOMICA CHI NON È IN GRADO DI OFFRIRE PRESTAZIONI. Solo una vita economica che sia strutturata in base alle proprie forze può difendere il debole di fronte al forte.

 

27. L’organismo sociale si dividerebbe così in due parti autonome che appunto si sosterrebbero a vicenda per il fatto di avere ognuna una propria amministrazione peculiare, derivata dalle proprie forze caratteristiche. Fra le due deve però viverne una terza. È la sostanziale parte statale dell’organismo sociale. In essa si fa valere tutto ciò che dipende dal giudizio e dal sentimento di ogni singolo maggiorenne. Nella libera vita spirituale ognuno è attivo a seconda delle sue particolari capacità; nella vita economica ognuno occupa il posto che risulta dalla sua posizione nelle associazioni. Nella vita politico-giuridica dello Stato, ognuno perviene al suo valore umano in quanto esso è indipendente dalle capacità che si possono manifestare nella libera vita spirituale, ed è indipendente dal valore che nella vita economica associativa assumono i beni da lui prodotti.

 

28. In questo libro viene mostrato come la durata e il modo del lavoro sia di competenza della vita statale politico-giuridica. In essa ognuno è di fronte agli altri da pari a pari, perché vi si tratta e vi si agisce nei campi in cui ogni singolo è capace di giudicare come gli altri. I diritti e i doveri degli uomini trovano il loro regolamento in questa parte dell’organismo sociale.

 

29. L’unità di tutto l’organismo sociale nascerà dall’autonomo sviluppo delle sue tre parti. Il libro mostra come possa strutturarsi l’efficacia del capitale mobile, dei mezzi di produzione, l’uso dei fondi e dei terreni attraverso la collaborazione delle tre parti. Chi vuole “risolvere” il problema sociale mediante una soluzione derivata dall’economia, escogitata o altrimenti sorta, non troverà pratico, questo scritto; chi invece, sulla base di esperienze di vita, vuole stimolare gli uomini verso decisioni nelle quali essi possano meglio riconoscere i compiti sociali e dedicarvisi, forse riconoscerà all’autore del libro l’aspirazione verso una vera pratica di vita.

 

30. Il libro fu pubblicato per la prima volta nell’aprile del 1919. A quel che allora fu scritto ho aggiunto degli articoli che vennero pubblicati nella rivista “Dreigliederung des sozialen Organismus” (Triarticolazione dell’organismo sociale) e che sono appena apparsi in forma di libro con il titolo “In Ausfuhrung der Dreigliederung des sozialen Organismus” (In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale).

 

31. Si potrà trovare che nei due libri si parla poco degli “scopi” del movimento sociale e invece parecchio delle vie che devono venir seguite nella vita sociale. Chi pensa movendo dalla pratica di vita sa che possono presentarsi singole mete in forma diversa. Solo a chi vive in pensieri astratti tutto appare con contorni precisi. Costui censura spesso la vita pratica perché non la determina lui e non la trova abbastanza “chiara”. Molti che si considerano pratici sono invece teorici del tipo accennato. Essi non pensano che la vita può assumere le forme più diverse. È un elemento mobile. Chi vuole dunque avanzare con la vita, anche nei suoi pensieri e sentimenti deve adattarsi a questa caratteristica di mobilità. I compiti sociali possono venir afferrati solo con un simile pensare.

 

32. Le idee di questo scritto sono ricavate dall’osservazione della vita, e vanno anche comprese allo stesso modo.

 

Stoccarda e Dornach, 1920

Rudolf Steiner