Risposte a domande dopo la conferenza

O.O. 332a – Cultura, politica, economia – 24.10.1919


 

Carissimi ascoltatori!

È nella natura della cosa che oggi abbia dato solo un’introduzione e che facilmente si possano porre delle domande alle quali solo nei prossimi giorni e nel contesto delle altre conferenze si potranno trovare delle risposte adeguate. Una di queste domande, la prima che mi è stata posta, è:

Come si può trovare un criterio oggettivo di valutazione dei beni?

 

Come ho già detto, desidero dire solo poche cose rispetto a questa domanda, poiché sicuramente nei prossimi giorni le mie riflessioni dovranno riferirsi in particolare a questa questione, che quindi troverà risposta nel suo contesto. Desidero però già ora dire quanto segue.

Vedete, cari ascoltatori, quando si pone una simile domanda è importante rendersi conto che la si pone sul terreno della vita economica. La domanda sul valore dei beni può essere posta solo nell’ambito dell’economia. Ma questo significa che occorrerà familiarizzarsi con qualcosa che al presente richiede un nuovo modo di pensare.

 

È facile credere che gli uomini d’oggi sappiano pensare in maniera assolutamente pragmatica. E facilmente al giorno d’oggi si definisce “grigia teoria” questa o quella cosa. Ma con il pensiero davvero pragmatico non si è poi così avanti. E proprio quelli che oggi spesso si definiscono pragmatici sono dominati dalle teorie più grigie. Sono solo in grado di esprimere queste grigie teorie in una specie di ovvia routine di vita, e le ritengono pragmatiche per il semplice fatto che non sanno vedere se agiscono sulla vita in maniera proficua o deleteria.

Ciò che viene propugnato qui, la triarticolazione dell’organismo sociale, deve distinguersi dalle teorie socialiste o da altre per il fatto di essere qualcosa di ricavato in modo assoluto dalla vita pratica. Per questo bisogna dire che la domanda sul valore oggettivo di una merce, di una prestazione, di un prodotto, dev’essere rigorosamente posta sul terreno della vita economica.

 

Ma allora – e qui arrivo a quello che il mondo d’oggi ancora non riesce a immaginarsi – non si tratta di trovare una qualsiasi definizione astratta di quello che è il valore di una merce. Si è sempre trovata la definizione più bella per tutte le cose possibili, ma spesso le definizioni più geniali hanno la caratteristica di non farci compiere neanche un solo passo in avanti.

Quando si parla del valore dei beni, non si tratta di poter dire che il valore di un bene è questo o quello, ma del fatto che il valore dei beni si esprime nella loro circolazione e nell’interazione umana. Si tratta del fatto che la merce da me prodotta mi frutti davvero quel che mi serve per ripetere la stessa prestazione. Si tratta quindi del fatto che il bene entri con il proprio valore adeguato nel traffico delle merci.

 

E la riflessione non deve occuparsi di indicare qual “è” il criterio oggettivo di valutazione del valore di una merce, bensì di instaurare una struttura sociale tale che consenta ai prodotti umani di immettersi nella vita sociale così da circolarvi per il bene della comunità. Si tratta soprattutto di individuare le condizioni che possono far sì che i beni valgano di più o di meno.

 

Vedete, basta far notare per esempio quanto segue: mettiamo che in un’area economica a sé stante venga prodotto troppo grasso, grasso consumabile dall’uomo. Bene, l’eccedenza che non può essere consumata dalle persone può essere usata, che ne so, per ungere i carri. In tal modo però il valore del grasso per questa comunità umana viene sostanzialmente ridotto. Supponiamo che venga prodotto troppo poco grasso, allora il valore aumenta e solo quelli che hanno una ricchezza superiore alla media possono procurarsi questa merce. È quindi possibile indicare le condizioni che fanno sì che il valore di un bene o di una prestazione aumenti o diminuisca.

 

Ora si tratta di instaurare una struttura sociale in cui si manifesti adeguatamente il valore del singolo bene rispetto ad altre merci. Non si tratta quindi di poterlo indicare – cosa che si può naturalmente fare col relativo prezzo in denaro, ma in questo modo non si esprime il valore completo. Si tratta invece di far in modo che le merci in questione abbiano il valore a loro corrispondente in rapporto ad altri beni.

Perciò è importante porre questa domanda sul terreno della vita economica: allora non si chiede una definizione astratta del valore, ma si indagano le condizioni che permettono ai beni di ottenere il giusto valore corrispondente.

 

Questa è la prima cosa che volevo dire. Volevo solo far notare che sotto molti aspetti dobbiamo trasformare il modo di porre le domande circa la vita sociale, il nostro modo stesso di considerarla. L’umanità dovrà abituarsi a un cambiamento di mentalità. Oggi perfino la vita pratica è diventata teoria, e nella conferenza volevo far presente che ora, a sua volta, la vita concreta dell’economia creditizia fa il suo ingresso a poco a poco nella vita diventata del tutto astratta, diventata astratta proprio sotto l’influsso dell’economia monetaria.

 

Vedete, oggi di queste cose ci si occupa con un certo sussiego scientifico. Non si nota affatto da quali complessi fattori dipende il valore, quello reale. Se ci si limita a considerare il prezzo monetario non si può avere un’idea del valore giusto. Bisogna considerare l’intera base economica.

Vedete, si può per esempio parlare della formazione dei prezzi nel senso della formazione dei prezzi in denaro. Se ne ricava – gli economisti politici, ad esempio Unruh, hanno già richiamato l’attenzione su questo fatto, ma senza scorgerne il contesto più vasto –, si arriva a vedere che all’interno di un’area economica circoscritta un’oca ha un certo valore che si esprime nel prezzo. È il prezzo espresso in valore monetario.

 

Ma se poi, come ha fatto per esempio l’economista Ricardo, si vuole capire a partir da lì l’intera struttura dell’economia, si giunge a risultati alquanto unilaterali, poiché in un’area economica delimitata anche il valore delle oche non può essere stabilito unicamente in base al prezzo monetario. Il prezzo stesso dipende anche dal fatto che si tratti di oche da ingrasso da vendere o che si tratti di oche che vanno spennate per venderne le piume. Diverse cose dipendono quindi dal fatto di essere un produttore di oche o un commerciante di piume. Ma questo emerge solo da un’osservazione oggettiva della vita economica.

 

Se si considerano solo a livello statistico le cifre corrispondenti ai prezzi delle singole cose, non ci si fa un’idea dell’andamento oggettivo della vita economica e neppure della reale valutazione delle merci.

Se si vuol parlare di valori è quindi necessario occuparsi dei rapporti che ci sono, attenersi rigorosamente al campo dell’economia. Allora non c’è neanche bisogno di chiedere come si esprime oggettivamente il valore, ma la domanda da fare sarà: quali fattori di natura sociale sono in grado di conferire a una merce, a un servizio, a un prodotto umano il giusto valore in rapporto ad altre prestazioni, altri prodotti e altri beni? Questa è la domanda giusta.

Le domande altamente teoriche che sorgono al giorno d’oggi dovranno, se così posso dire, “impratichirsi”, ed è proprio in questa direzione, che oggi risulta ancora estranea anche a quelli che vorrebbero essere pragmatici, che va la triarticolazione dell’organismo sociale.

 

Poi è stato chiesto:

Da quali premesse ha avuto origine l’impulso alla triarticolazione sociale?

 

Cari ascoltatori, va detto che in effetti la questione sociale si è fatta critica durante questa grande catastrofe della guerra mondiale. Non mi piace sfiorare gli argomenti personali, ma in certi casi si è spesso costretti a farlo.

Ho avuto più che a sufficienza occasione di sperimentare direttamente l’andamento della questione sociale. Per lungo tempo sono stato a Berlino insegnante presso una scuola di formazione di operai, dove il rapporto con allievi non solo adulti, ma spesso anche decisamente anziani, mi ha permesso di studiare bene la questione sociale. Ho avuto modo di entrare in contatto con la questione sociale nella vita pratica dalle più svariate angolazioni, in primo luogo vedendo come essa vive nelle anime delle grandi masse del giorno d’oggi e con quanta difficoltà viene capita proprio da queste classi sociali.

 

Ho visto per esempio che sarebbe stato possibile – il mio insegnamento risale a due decenni fa –, proprio al momento del passaggio dal diciannovesimo al ventesimo secolo, portare alle grandi masse moderne della popolazione operaia delle idee che avrebbero potuto evitare il caos e la furia devastatrice che regnano oggi in ambito sociale.

Davvero, cari ascoltatori, mi era chiaro vent’anni fa che gran parte della popolazione sarebbe stata pronta ad accogliere delle idee nate dallo spirito, se solo la sua attenzione fosse stata diretta su di esse. So bene che cosa si opponeva a questo, perché ho conosciuto anche la controparte. Vedete, ho avuto la “sfortuna” di farmi dei sostenitori fra gli allievi, sostenitori di un modo di pensare davvero diverso da quello con cui erano cresciuti.

 

Ho visto come le grandi masse del popolo fossero realmente disposte ad accogliere delle idee sane. E posso dire senza peccare di immodestia – vi sto raccontando solo dei fatti – che di solito, quando c’erano degli insegnanti socialisti qualsiasi, i soliti insegnanti propagandisti della scuola di cultura operaia, succedeva che nel primo trimestre – le lezioni erano divise in trimestri – avessero un certo pubblico, che però si riduceva nel giro di poco tempo. Il mio uditorio – posso permettermi di dirlo perché è un dato di fatto – cresceva di trimestre in trimestre ed è diventato troppo grande per i capi della classe operaia, per quei capi che hanno assorbito gli scarti della scienza borghese e li hanno riutilizzati in un modo che è ormai arcinoto.

 

Quando costoro videro che mi stavo guadagnando dei seguaci, fecero in modo che per una volta la scolaresca dell’intero trimestre venisse messa insieme. E fra gli allievi furono mandati anche tre esponenti della direzione, ma di levatura inferiore. Mi hanno rimproverato di non insegnare la visione storica marxista ortodossa, il materialismo storico, e di non servirmi della scienza per fondare il materialismo, per sostenere il marxismo, ma per portare in modo serio una visione scientifica alla massa. In poche parole, mi si accusava di non essere un insegnante ortodosso dei dogmi del sistema socialista.

Allora ho osato ribattere: «Voi volete rappresentare una società che lavora per il futuro. A me sembra che la prima cosa necessaria sia che voi rispettiate una vera esigenza del futuro, che permettiate cioè la libertà d’insegnamento.» Al che uno degli emissari rispose: «Non possiamo accettare la libertà d’insegnamento, nella vita pubblica per noi non conta nulla. Conosciamo solo una ragionevole costrizione.»

 

E con questa “ragionevole costrizione” la faccenda ha preso questa piega: tutti gli altri seicento hanno votato in mio favore, ma quei tre hanno votato contro di me ed io sono stato estromesso. Questo è l’altro lato dell’andamento della questione sociale di cui ho potuto fare la diretta esperienza. E qui si poteva vedere quali sono le forze pubbliche che dominano effettivamente la questione sociale.

 

Si veniva sempre più indotti a osservare l’intrecciarsi dell’elemento culturale, di quello giuridico-politico e di quello economico nella vita umana, nell’evoluzione umana in genere. Ma poi si poteva anche vedere come proprio nelle nuove condizioni di vita si siano formati i grandi imperi economici, gli imperialismi economici, per via dell’accoppiamento, dell’identificazione dell’elemento giuridico-politico con quello intellettuale-culturale, da cui dipende tutta la vita sociale.

Si poteva osservare come il sistema economico, continuando nello stesso modo ritenuto ideale da certe cerchie tra la fine del diciannovesimo e gli inizi del ventesimo secolo, avrebbe portato a crisi continue. Si poteva poi rilevare come questa catastrofe della guerra mondiale fosse solo una crisi concentrata, poiché gli Stati, da corporazioni politiche che erano, hanno assunto le dimensioni di imperi economici, imperi che hanno assorbito l’elemento politico e culturale, e si poteva vedere come questi fenomeni si ripercuotono sull’intera collettività.

 

Prendiamo per esempio l’esito di questa catastrofe della guerra mondiale. Se si escludono alcune espressioni occasionali, ho cominciato relativamente tardi a parlare della questione sociale nei termini in cui ne parlo oggi, in quanto fa parte del mio compito il doverne parlare. Ma durante tutta la mia vita ho osservato il movimento sociale dell’umanità.

E chi come me ha trascorso metà della sua vita, trent’anni, in Austria, avrà visto in quest’Austria un tipico esempio di una grande realtà storica che ha dovuto crollare per fattori interni. Chi ha osservato quest’Austria ha potuto vedere in che modo erano ingarbugliate fra loro soprattutto le realtà culturali e quelle nazionali, cioè le condizioni culturali, con quelle giuridico-politiche ed economiche.

 

Prendete in considerazione il sud-ovest dell’Europa, quell’angolo meteorologico che è stato l’elemento scatenante della catastrofe della guerra mondiale. Vedrete allora come si sono preparati gli eventi che in seguito hanno fatto divampare le fiamme per mezzo del Congresso di Berlino, in cui all’Austria è stata concessa l’occupazione della Bosnia e dell’Erzegovina. Quello che così è intervenuto nella struttura politica dell’impero austroungarico era un programma di natura politica, ma le condizioni così create non erano più sostenibili nel momento in cui nei Balcani era in corso uno sconvolgimento, una rivoluzione puramente politica, cioè un sovvertimento in ambito politico-giuridico. L’antico elemento reazionario turco è stato soppiantato dalla giovane classe dominante turca. Un’immediata conseguenza è stata che l’Austria fu indotta ad un’annessione anziché ad un’occupazione della Bosnia e dell’Erzegovina, e che la Bulgaria passò da principato a regno. Queste erano le realtà politiche in gioco.

 

Ma a queste condizioni politiche se ne intrecciavano di economiche. E alla fine le condizioni economiche hanno interagito con quelle politiche in modo tale che da questa “sinergia” sono sorte le cose impossibili del divenire storico. Dato che l’amministrazione politica dell’Austria era nel contempo anche economica, fu necessario collegare strettamente alle condizioni politiche una cosa come il prolungamento della linea ferroviaria verso il sud-ovest dell’Austria, la ferrovia di Salonicco. Era qualcosa di esclusivamente economico, eppure le condizioni politiche continuavano ad interagire con quelle economiche. Il tutto è dovuto alla mancata comprensione delle realtà intellettuali-culturali, e precisamente del divario che c’è fra slavità e germanesimo.

 

Queste tre cose si aggrovigliarono l’una nell’altra, e da questo groviglio ha avuto origine la terribile catastrofe. Si può studiare di anno in anno come siano state create delle condizioni fittizie per il fatto che non si sapeva tener separate l’una dall’altra la sfera giuridica, quella culturale e quella economica. Ma la realtà richiedeva la loro separazione, la loro netta distinzione.

 

E bisogna ricordarsi come, con l’avvento delle recenti circostanze, la vita giuridica, quella culturale e quella economica abbiano avuto fin dall’inizio la tendenza a distinguersi fra loro. Proprio il fatto che dal loro stretto legame potesse nascere qualcosa di così terribile come la catastrofe della guerra mondiale, ha fatto notare l’analogia esistente fra le sostanze non omogenee messe insieme in una provetta in laboratorio chimico, che quindi si separano, e le condizioni economiche che a loro volta si emancipano relativamente presto da quelle culturali e giuridiche.

 

Voglio rammentarvi un fenomeno che si è verificato relativamente presto e di cui in seguito sono state cancellate le tracce dopo la Riforma e il Rinascimento. Già solo studiando la storia del medioevo vedrete che la Chiesa era contraria agli interessi monetari, vale a dire che diffondeva ovunque degli insegnamenti secondo i quali ricavare interessi dal prestito di denaro è immorale, in disaccordo con una vita realmente cristiana. Questo era un insegnamento, era vita culturale, era un insegnamento ritenuto nobile.

 

Ma in realtà la Chiesa incassava enormi interessi tramite i suoi rappresentanti. La vita economica era nettamente separata da quella spirituale, si svolgeva su un binario parallelo a quello dei principi morali. E si potrebbe richiamare l’attenzione su fenomeni analoghi verificatisi negli ultimi anni, se per esempio si volesse dimostrare come la vita economica, sotto forma di ogni tipo di nepotismo, di procacciamento di generi alimentari sottobanco, si sia separata dalla vita giuridica, che per gli altri continuava a “razionare”. Suvvia, in questo vedete dei fenomeni simili a quelli che avvengono in provetta quando le sostanze non affini si separano le une dalle altre.

 

Tutte queste cose vanno studiate una per una, e allora – poiché questo si manifesta sempre più sia nella vita nazionale che in quella internazionale per via della complessità delle moderne condizioni di vita – ne risulta col tempo la necessità di lavorare in vista di una triarticolazione dell’organismo sociale, come illustrerò nelle prossime conferenze, posizione che vedete sostenuta qui in Svizzera dalla rivista Soziale Zukunft (Avvenire sociale) e descritta nel mio libro I punti essenziali della questione sociale.

 

Bisogna assolutamente rendersi conto che l’affermazione di Hartley Withers che vi ho citato all’inizio è del tutto fondata. Negli ultimi tempi le condizioni sono diventate estremamente complesse, e solo se si arriva a individuare determinate leggi fondamentali, determinate idee originarie – così le ho chiamate nei miei Punti essenziali della questione sociale – che possano indicare la strada da percorrere all’interno delle realtà complesse della vita pratica, solo allora si può sperare di contribuire in qualche modo a quella che è oggi la questione sociale. E solo così si può sperare di superare quello che, sotto forma di slogan e di dogmi di partito, si sta impadronendo in maniera così terribile delle masse e che viene purtroppo trasformato dagli uomini in realtà.

 

Non possiamo sperare di andare avanti se prima non riusciamo a emancipare dalle manovre di partito quella che è la questione sociale, mettendola sul terreno della comprensione pratica e ragionevole della realtà. Con queste conferenze desidero mostrarvi che una simile comprensione è possibile. Oggi volevo perlomeno accennare a quanto ho da dire a proposito della nascita e della comparsa della triarticolazione nella vita recente. Nelle prossime conferenze emergeranno anche altre cose.