Risposte a domande dopo la conferenza

O.O. 73 – L’antroposofia e le scienze – 05.11.1917


 

Vengono poste domande sul tema delle ripetute vite terrene

 

Alle domande poste non è possibile dare risposte brevi che risultino soddisfacenti;

per rispondere in modo esauriente occorrerebbero interi libri.

Ma vediamo la prima domanda:

• Quale è lo scopo della reincarnazione?

 

In fondo la domanda sullo scopo (darò alla risposta un carattere scientifico, altrimenti è solo un parlare a vuoto), come l’altra sul motivo (e tralascio per ora la giustificazione della teologia) sono domande che nascono dal mondo “fisico”, hanno un significato nel mondo fisico. La reincarnazione (parlando di ripetute vite terrene evito volentieri le formule, e quindi anche oggi ho parlato di “ripetute vite terrene”) è retta da leggi che appartengono al mondo “spirituale”, che hanno significato in quel mondo, ed è difficilissimo abituarsi alla realtà che nel passaggio dal mondo fisico a quello spirituale si devono cambiare, metamorfosare anche i propri concetti, che entrando nel mondo spirituale i concetti validi per quello fisico perdono il loro significato, la loro importanza. Chi ha iniziato a conoscere il carattere proprio del mondo spirituale non chiede lo “scopo dell’uomo” e tanto meno lo “scopo della reincarnazione”, mentre chiede lo scopo di una macchina.

 

Nel corso della conferenza ho detto che il modo di pensare che è alla base della scienza (è lo stesso che risulta dal mondo fisico) conduce per lo più a porre le giuste domande, ma le risposte vanno cercate nel mondo spirituale.

 

Naturalmente chi ora domanda quale sia lo scopo della reincarnazione ne pensa anche qualcosa. Ciò corrisponde al bisogno di conoscere qualcosa, anche se la domanda sullo scopo non sia proprio applicabile nella sfera di cui qui si tratta. Prego di riflettere che, per mettere ordine nelle risposte da dare, la scienza dello spirito non si può acquisire in fretta come un manuale, perché è in effetti un vastissimo campo.

 

Quando nella vita poniamo domande, possiamo agire in modo da arrivarne per così dire sempre alla conclusione. Forse però ciò non sarà applicabile in tutti i casi. Una domanda come questa viene posta centinaia di volte. Spesso dico: vi è qualcuno che intende andare da Zurigo a Roma e vuol sapere la strada e se non può conoscerla in tutti i particolari qui a Zurigo non va più a Roma. Ci può anche essere chi si accontenta di conoscere la strada da Zurigo a Lugano, e poi di sapere a Lugano come proseguire, e così di seguito. E un paragone che significa: quando siamo in una vita terrena, questa è in relazione con le successive. Qui si manifesta un’evoluzione. In successive vite terrene acquisiremo caratteristiche che non abbiamo in questa. Attraversiamo vicissitudini che ci portano altre prove, altre esperienze. Se potessimo rispondere a tutte le domande in questa vita, essa non determinerebbe le successive!

 

Così per la scienza dello spirito si tratta di presentare la realtà della reincarnazione, volendo usare l’espressione. Come dai suoi liberi impulsi l’uomo dà uno scopo alla singola vita terrena, così ne dà di ulteriori al loro succedersi, ognuno dei quali deriva dal precedente; senza presumere di definire in una vita terrena l’intera estensione dell’esistenza umana che scorre in ripetute vite terrene. Entrando nella reale esperienza spirituale dell’anima si perde l’abitudine alle definizioni che vogliono abbracciare qualcosa. Le definizioni vanno bene nel consueto mondo fìsico; nella vita spirituale, dove tutto si manifesta in molteplici aspetti, il pretendere solo definizioni ricorda l’esempio della storia greca in cui si dice che cosa sia una definizione. Alla domanda su come definire un uomo si risponde (si può infatti definire sempre solo una singola caratteristica): l’uomo è un bipede implume. La volta successiva qualcuno portò con sé come “uomo” un gallo che era stato spennato.

 

Naturalmente so quel che la logica esige da una giusta definizione. Alla visione spirituale le definizioni presentano però un aspetto di unilateralità, come è per la causalità e così via. La realtà è qualcosa in cui si è, in cui si vive e si tesse, che non si abbraccia con un concetto unilaterale. Si scopriranno gli scopi in vite terrene successive. Non vi è quindi un giusto contenuto nella domanda sullo “scopo della reincarnazione”.

 

 

• La reincarnazione è un prodotto di un’idea spirituale?

 

Sì, lo si può dire, ma va aggiunto quel che ho mostrato nel mio libro Enigmi dell’anima: per la visione spirituale le idee che si hanno nella coscienza usuale non sono reali, sono idee paralizzate, sono come cadaveri di idee. È singolare. Quanto vive nell’anima è di gran lunga maggiore di quel che viene a coscienza nel quotidiano. Ciò che vive nell’anima viene paralizzato perché non può essere sopportato dalla coscienza comune, e vive quindi come un cadavere dell’idea. Di conseguenza si hanno nell’anima concetti astratti. Quel che abbiamo è solo un’immagine riflessa, qualcosa che nasce e muore, che non viene ricordato, come ho detto nella conferenza. Quel che però vi è dietro, quel che entra nell’immaginazione, la vivente realtà spirituale attraversa la morte e senza dubbio vive nelle forze della reincarnazione. Forse questa è la risposta.

 

 

• La reincarnazione è un’assoluta e regolare disposizione, non un risultato di forze formative?

 

Un risultato di forze formative è solo la vita fra nascita e morte, o meglio fra concepimento e morte. Quella che però qui chiamiamo reincarnazione dipende da leggi spirituali molto più alte. È difficile rispondere se sia una “regolare disposizione”; è comunque una realtà. Le ripetute vite terrene sono una realtà. Sono “un risultato di forze formative”? Si acquisisce il corpo delle forze formative solo quando l’anima s’avvia al concepimento; lo si abbandona poi di nuovo dopo la morte; il corpo delle forze formative (come ho detto nella conferenza) non è eterno. Tuttavia quando si parla delle leggi della reincarnazione le forze che sono in questione non solo non entrano nella coscienza dell’io, ma neppure nell’ambito del consueto mondo fisico.

 

Qui potrebbe schiudersi a molti il cammino, se solo cercassero nel modo giusto. Come ho già indicato per singoli casi, il punto è che le esperienze nel mondo spirituale agiscono in modo paradossale rispetto a quelle della vita usuale; sotto molti aspetti le cose sperimentate, quando si entra nel mondo spirituale, agiscono in maniera del tutto diversa rispetto a quelle del mondo fisico. Qui occorre dire che, poiché organizziamo la nostra immaginazione sulla base delle esperienze della vita, sugli avvenimenti naturali, con i nostri concetti possiamo a mala pena andare oltre le idee fondate sullo spazio. Una più esatta e realmente onesta autoconoscenza mostra come si vada poco oltre le idee basate sullo spazio. Da dove si ricavano le idee fondate sul tempo? Proprio da quelle spaziali! Dai mutamenti spaziali, dagli spostamenti del sole e della luna, persino dalle lancette dell’orologio, da questi ricaviamo le idee temporali, ma sono in realtà idee spaziali. Però lo spirito nella sua forma inferiore di corpo delle forze formative vive già nel tempo. Occorre avere in proposito una reale idea del tempo.

 

Oggi però pochissimi si fanno una vera idea del tempo; e ancor meno una reale idea della velocità (quindi non tempo, ma velocità); concetti che regnano nella sfera animico-spirituale. Alla base della vita dell’anima vi è ad esempio che il pensare e le idee scorrono a velocità del tutto diversa dal sentire, e questo a sua volta a velocità differente dal volere. Sono proprio questi diversi livelli di velocità nella vita dell’anima a causare la nascita della coscienza. La coscienza nasce solo là dove qualcosa è disturbato. Per questo la coscienza è affine persino alla morte, perché la morte disturba la vita. Così ad esempio l’idea di Bergson è sbagliata, perché suggerisce di guardare alla vita e al movimento; si arriva invece all’essenza del movimento ostacolandolo, e all’essenza della vita vedendo che la vita viene afferrata dalla morte. Penetrare nell’essere della vita è qualcosa di radicalmente diverso dall’afferrarla.

 

Questo ci porta a vedere che le leggi stesse diventano differenti entrando nella vita spirituale, cosa scomodissima per molti. Non trovano il coraggio di entrare nel mondo spirituale con i loro concetti e le loro idee, proprio perché concetti e idee si devono trasformare! Indagando davvero in modo spirituale, in fondo lo si impara con grande esattezza. Non parlo volentieri di cose personali, perché quanto è personale non ha molto a che fare con l’oggettività. Già molti anni or sono mi si presentò un importante problema che per me divenne assai fruttuoso in un campo particolare: Herbart e altri psicologi avevano applicato l’aritmetica, la matematica, alla psicologia; avevano cercato di calcolare i fatti animici. Eduard von Hartmann cercò persino di effettuarne un calcolo morale, tentando di fondare matematicamente il pessimismo: dalla parte del dare della vita registrò ogni esperienza piacevole, e nell’avere le esperienze dolorose; il bilancio dava un’eccedenza di dispiacere, e così concludeva che la vita è cattiva.

 

Mostrai che tutto il calcolo non ha senso. Se ne può trovare la dimostrazione nel relativo capitolo della mia Filosofia della libertà scritta nel 1894. Volendo parlare di conti bisogna farli in tutt’altro modo. Per arrivare a un bilancio occorre fare non una sottrazione, ma una divisione, una frazione con al numeratore i piaceri, le gioie, le elevazioni che si sperimentano nel corso della vita, e al denominatore ogni dolore, ogni sofferenza. Consideriamo questa frazione. Quando apparirebbe che la vita non merita più di essere vissuta? Se il denominatore fosse zero non vi sarebbe alcun dolore, e il valore sarebbe infinitamente grande. Ma perché la frazione abbia il valore di zero il numeratore deve diventare infinitamente grande. Significa che la vita non sembrerebbe più degna di essere vissuta solo quando i dolori fossero infinitamente grandi. Il risultato non ci dà alcun conto astratto; ce lo dà la vita stessa. Così conta la vita!

 

Quando si guarda alle vicende dell’anima non si può fare il conto come lo fanno Herbart o Hartmann. È la vita a dare il risultato; quando si sale nel mondo spirituale, il risultato si scompone in una somma di addendi, in una frazione con numeratore e denominatore. E proprio l’opposto. Mentre qui nel mondo fisico abbiamo i singoli addendi, il numeratore e il denominatore per ottenere il risultato, là è il contrario: nel mondo spirituale vi è il risultato, viene vissuto, e i singoli elementi che portano al risultato entrano nel mondo spirituale. Occorre trasformare a fondo molte idee, quando si voglia oltrepassare la soglia tra il mondo fisico e quello spirituale.

 

Forse le considerazioni che ho collegato alla domanda hanno suscitato l’idea che la scienza dello spirito non si improvvisi alla leggera o nasca dalla fantasia, ma che invece (come ho detto nella conferenza) venga elaborata con forze non minori di quelle usate in ogni altro lavoro scientifico. Sono soltanto in un altro ambito. Così si può dire: è una legge che si manifesta nel corso delle ripetute vite terrene. Occorre però prima conquistarsene la natura. Non si tratta quindi di interpretare i fenomeni naturali, ma di elevarsi davvero sopra di essi e vivere liberamente in sé lo spirito. Con questo ho risposto alla domanda.

 

 

• Ora una strana domanda (strana per questa conferenza): quali sono gli organi spirituali di tatto?

 

Non si deve certo immaginare qualcosa di sensibile. Ho sottolineato con forza che si tratta di qualcosa di animico-spirituale, paragonabile solo con quel che vive nella memoria. Così volendo avere la risposta che col sub-concetto “organo spirituale di tatto” se ne cerca uno superiore che già si conosce, non si arriva a capo di alcunché. Occorre invece districarsi in ciò che è stato mostrato: l’anima arriva ai confini, si differenzia e sviluppa “organi spirituali di tatto” che nella sfera animico-spirituale sono paragonabili agli organi tattili fisici come “occhi e orecchi spirituali” a orecchi e occhi fisici.

 

 

• Vi è una chiara definizione di quella che si intende come “fede”?

 

Se volessi essere esauriente dovrei esporre una filologia per la parola “fede” e quindi sviluppare le sue diverse forme. Dirò invece che la parola “fede” ha assunto nel nostro tempo il ristretto significato di credere sulla base di motivi soggettivi, cioè una conoscenza che in realtà non è conoscenza, ma solo un suo soggettivo surrogato. Non sempre si intese questo con “fede”. Per comprendere da dove è veramente nata l’idea della fede occorre aver presente dell’altro.

 

Come ho solo accennato nella conferenza di oggi, un tempo l’anima era collegata alla realtà in un altro modo. Si staccò dalla realtà naturale solo di recente. Nei tempi antichi, in cui l’anima era più collegata con la realtà spirituale e sviluppava un’interiore coscienza del contenuto animico in altro modo da quello dell’attuale moderna antroposofia, si sapeva che quando si riteneva vero qualcosa non era solo un comportamento teorico, ma insieme al credere vi era la forza del sé. Quando ho un ideale e “credo” al mio ideale, il credere non è solo aver coscienza dell’ideale, ma gli si unisce una forza animica. Il collegamento di tale forza con l’ideale da parte dell’uomo porta alla realtà, contribuisce alla realtà. Un positivo sviluppo di forze è quindi insito nella “fede”.

 

Nell’interessante libro di Ricarda Huch La fede di Lutero, viene alla luce in modo adeguato il concetto di fede. Anche qui si ritiene che il concetto di fede non sia solo un credere, ma un collegarsi con il reale divenire; si potrebbe dire che partecipando alla forza della fede si ha in sé qualcosa di paragonabile al seme della pianta che non è ancora una vera pianta, ma ha la forza di diventarlo.

 

Quel che si vuole nella fede non è un’immagine conoscitiva, ma un elemento di pensiero che si collega con una forza reale, così da essere con la fede nella realtà. Se qualcuno volesse asserire che la fede non gli porta alcuna conoscenza, dovrebbe comunque ammettere che il concetto di fede, usato in questo modo, lo pone nella realtà. Questi sono solo accenni, schizzi.