L’Antico Testamento / Il popolo eletto

L’aurora della rivelazione


 

La storia di Israele è la storia di un popolo ‘eletto’, ossia di un popolo che ebbe la missione di preparare un evento di portata universalmente umana. Dopo che questo evento si è compiuto, cioè dopo il Mistero del Golgota, non vi è apparentemente più ragione che esista un popolo eletto. Si potrebbe pensare che, in seguito al Mistero del Golgota, l’intera umanità sia diventata un tale ‘popolo’.

 

Questo pensiero è però in contraddizione con il quadro futuro offerto dall’Apocalisse, secondo cui saranno prescelte le dodici tribù di Israele, dopo che l’umanità avrà superato tutte le prove connesse con il proprio destino terrestre. I 12 x 12 mila eletti dell’Apocalisse rappresentano il risultato finale dell’evoluzione della Terra nel suo passaggio allo stato di Giove.

L’Apocalisse ci pone dunque a confronto con il fatto enigmatico che un ‘popolo eletto’ dovrà esistere anche nel più lontano futuro. Per comprendere questo fatto, dobbiamo dapprima rispondere alla domanda: se esisterà un ‘popolo eletto’ nel più lontano futuro – alla fine dell’evoluzione terrestre -, fino a che punto si può ripercorrerne la storia nel passato? Dove troviamo l’origine del ‘popolo eletto’? Il momento dell’esodo dall’Egitto rappresenta davvero l’inizio della storia del ‘popolo eletto’?

 

Il modo migliore per intendere la natura dell’elezione e il significato del popolo eletto – l’eterno Israele – nel senso dell’Apocalisse, è quello di guardare alla storia passata dell’umanità ricercandovi l’origine del ‘popolo eletto’. Dobbiamo retrocedere all’epoca in cui a ovest dell’Europa fiorì una singolare civiltà nel continente poi sommerso di Atlantide. Questa civiltà si distingueva da quella odierna per il fatto di essere fondata su facoltà umane del tutto diverse. La civiltà odierna si fonda infatti sulla facoltà di pensiero dell’uomo, e sulle esperienze che egli può compiere mediante i sensi. La civiltà Atlantica si fondava invece su facoltà che oggi sarebbero designate come ‘magiche’. Tali facoltà degli uomini di Atlantide derivavano da un più intimo rapporto con la natura circostante, rispetto a quello proprio dell’umanità odierna.

 

Per un uomo di Atlantide il divenire esteriore della natura era al tempo stesso esperienza interiore;

e similmente una sua esperienza interiore influenzava il divenire esteriore della natura.

La volontà non aveva solo il potere di muovere gli arti dell’uomo, ma agiva anche sulle forze della natura.

Allo stesso modo la parola aveva un potere del quale oggi – in cui ci si compiace dei toni dottorali o declamatori –

non si ha più la minima idea.

Essa poteva guarire e uccidere, edificare e distruggere, in virtù della potenza di natura che la accompagnava.

 

L’uso di queste forze magiche costituiva il fondamento della civiltà atlantica;

il loro abuso fu invece causa della distruzione del continente atlantico.

 

Alla capacità di influenzare i processi di vita della natura si unì infatti in larga misura un’ambizione di potere personale. L’abuso delle forze magiche giunse a tal punto, che minacciò di dividere l’intera popolazione di Atlantide in due gruppi: un piccolo gruppo capace di dominare mediante le forze magiche e la grande massa costretta all’obbedienza. Se ciò si fosse realizzato, sarebbe scomparsa ogni possibilità di evoluzione dell’uomo verso la libertà. Se la catastrofe di Atlantide non avesse avuto luogo, la magia nera avrebbe reso impossibile il procedere dell’evoluzione umana. La catastrofe distrusse una civiltà che si stava evolvendo sempre più nella direzione della magia nera.

 

Tale catastrofe non colpì però tutti gli abitanti del continente atlantico. Alcuni ne scamparono, e ciò non avvenne a caso. Una comunità si raccolse intorno ad una guida eminente da cui, al momento giusto, fu condotta in un’altra regione. Essa era formata da coloro che, né avevano praticato la magia nera, né erano stati sue vittime passive. Sotto la guida del Manu1 , abbandonarono Atlantide e si portarono nell’Asia centrale.

 

Una parte della popolazione di Atlantide fu dunque ‘eletta’ per compiere la migrazione da quel continente.

È questo il momento in cui compare per la prima volta un ‘popolo eletto’: è la prima elezione e il primo esodo.

 

Coloro che abbandonarono Atlantide ebbero il compito di ricercare una regione, dove potesse essere fondata una nuova civiltà, capace di evoluzione. Il ‘popolo eletto’ viaggiò sotto la guida del Manu verso la propria ‘terra promessa’. Dopo una lunga peregrinazione essa fu infine raggiunta. Nell’Asia centrale fu impiantata la prima colonia della civilizzazione ariana, radice di tutte le successive civiltà postatlantiche.

 

Questa primordiale comunità ariana strinse – come più tardi il popolo d’Israele – un patto col mondo spirituale. I doveri che esso comportava formavano il contenuto delle ‘leggi di Manu’. In esse veniva data particolare importanza a una condotta di vita nella quale il cielo e la terra, il mondo spirituale e il mondo dei sensi, fossero mantenuti in equilibrio. Solo a condizione che esista un tale equilibrio è infatti possibile l’evoluzione della personalità libera, che nell’Atlantide era diventata appunto impossibile. D’altro canto, se si voleva mantenere la purezza dell’impulso ariano, doveva essere evitata la mescolanza con gli altri popoli rimasti ad un livello più basso. Questi due precetti – la fedeltà al cielo e alla terra, e la segregazione, rispetto al sangue, del ‘popolo eletto’ dai popoli compromessi con la decadenza di Atlantide – costituivano il fondamento del primo ‘patto’ stretto dal primo ‘popolo eletto’ dopo il primo ‘esodo’.

 

Dalla comunità del Manu si sviluppò più tardi la civiltà paleoindiana, la cui evoluzione, tuttavia, assunse un indirizzo in contrasto con il precetto ariano. Tale civiltà sviluppò infatti una forte propensione per lo spirituale; accompagnata da un disprezzo per le cose terrene. In tal modo si contravvenne al precetto di Manu. Il rapporto armonioso tra cielo e terra fu alterato. Di conseguenza la civiltà paleo-indiana non fu più in grado di adempire il compito spettante all’umanità postatlantica.

 

Dovette così essere fondata una nuova civiltà, atta a far procedere l’evoluzione nel giusto senso. Si ebbe quindi un secondo ‘esodo’, sorse un secondo ‘popolo eletto’, il quale rimase fedele all’originale impulso ariano, fondando una nuova civiltà sull’altopiano dell’Iran.

Le basi spirituali di questa civiltà, date dal grande Zarathustra, consistevano nell’impegno a lottare contro Arimane a fianco dell’essere-solare, Ahura Mazda. La lotta contro Arimane, però, non comportava solo un atteggiamento interiore e un’adeguata condotta di vita; includeva anche il compito di difendere la civiltà ariana dalla potenza turanica. Le popolazioni turaniche avevano conservato il lato oscuro della civiltà atlantica e si trovavano perciò in contrasto radicale con l’impulso trasmesso dal grande Zarathustra. Il conflitto con i Turani era dunque una questione di vita o di morte per la comunità civilizzata dell’Iran. L’esistenza della quale poteva essere conservata solo al prezzo di un’eroica esclusione di ogni pur minimo compromesso con lo spirito turanico.

 

Una corrente spirituale si mantiene infatti tanto più a lungo vigorosa, quanto meno scende a compromessi. Questo vale per il presente, ma non valeva meno ai tempi del primo grande confronto tra la pura cultura dello spirito di Zarathustra e l’oscura magia della natura dei Turani.

Nel corso del tempo, tuttavia, lo spirito eroico della civiltà paleo-persiana si indebolì. Al suo posto subentrò un ‘conciliatorio’ clima di compromesso, allorché si volle dar tregua alla tensione costante del volere richiesta dalla fedeltà allo spirito del grande Zarathustra. L’indebolimento interno sfociò in una sconfitta esterna: nella lotta tra Iran e Turan, risultò vittorioso quest’ultimo.

Ciò rese impossibile un’evoluzione ulteriore della civiltà paleo-persiana in accordo con la sua vera missione. Accadde così ancora una volta che coloro, i quali erano rimasti fedeli allo spirito del grande Zarathustra, lasciarono l’Iran per fondare nuovi centri di civiltà in Mesopotamia e in Egitto.

 

Ancora una volta un ‘popolo eletto’, che non voleva accogliere impulsi a sé estranei, abbandonò la regione della civiltà persiana, per fondare altrove una nuova civiltà.

Quest’ultima si divise in due correnti, la caldaica e l’egiziana, fondate dal grande Zarathustra tramite due suoi discepoli.

La civiltà egizio-caldaica aveva il compito di conservare la sacralità delle due grandi porte del mondo spirituale – la porta della nascita e la porta della morte – fino al momento in cui una nascita santa e una morte santa le avrebbero aperte per sempre a tutta l’umanità. I popoli della civiltà egizio-caldaica dovevano preparare la nascita di quell’Entità che, con la propria morte sacrificale, avrebbe recato la salvezza all’umanità. Questi popoli dovevano mantenere incontaminati i misteri della nascita e quelli della morte, affinché l’evento del Cristo potesse aver luogo su un terreno predisposto.

 

La civiltà caldea fu chiamata ad essere la custode dei misteri della nascita;

quella egizia dei misteri della morte.

 

Entrambi i custodi, tuttavia, mancarono alla propria fedeltà. In Caldea penetrò l’elemento turanico, contaminandone la vita spirituale. Il culto di Baal e Astarte – molto diffuso presso i popoli della Mesopotamia e della Siria – portò ad un concetto della nascita che costituiva esattamente l’opposto di quello che doveva essere coltivato.

Sarebbe illecito descrivere i particolari di questi culti oscuri: è sufficiente dire che tutti i dettagli erano finalizzati a bandire ogni spiritualità, ogni sacralità nei rapporti tra padre, madre e figlio. La vita sessuale veniva disgiunta dalle sue sorgenti divine, per diventare preda di forze demoniache; la nascita doveva ridursi ad un mero fatto meccanico. Ciò doveva conseguirsi mediante l’uccisione di tutti i primogeniti – una misura volta a eliminare l’attesa cosciente e amorevole delle anime che discendono tra gli uomini, e a sostituirla con un’inconscia e meccanica produzione di esseri umani.

Se ciò fosse riuscito, la comparsa sulla terra di uomini di elevata spiritualità sarebbe completamente cessata. Le grandi anime altamente spirituali, infatti, possono nascere solo nel caso che siano attese coscientemente. Condizione fondamentale della loro comparsa è che cooperi la libera coscienza umana dei genitori. E dunque evidente a che cosa mirassero questi culti: ad impedire la nascita di Gesù.

 

Come la nascita fu materializzata in Caldea, così lo fu la morte in Egitto.

Il sublime pensiero del superamento della morte mediante la resurrezione – tramandato nelle sacre sedi dei misteri egizi – fu sostituito dal desiderio di conservare la figura esteriore, la forma corporea.

Introducendo il culto delle mummie, l’Egitto commise contro il mistero della morte lo stesso peccato che la Caldea aveva commesso contro il mistero della nascita, diventando schiava del culto di Baal.

In Caldea fu profanata la nascita, in Egitto la morte.

In conseguenza di ciò, né la corrente spirituale caldaica, né quella egizia, poterono offrire il terreno adatto alla comparsa del Cristo Gesù.

 

Ancora una volta furono necessari un’elezione e un esodo.

Ciò avvenne, allorché un piccolo gruppo di Caldei, sotto la guida di Abramo, si separò dalla nazione caldaica per formare una nuova tribù. Questa migrò poi in Egitto, dove crebbe per diventare una nazione.

Il motivo per cui solo in Egitto potè diventare una nazione lo si può comprendere, se si rammenta che il peccato dell’Egitto consistè nel degradare la morte, non la nascita.

In Egitto il nuovo popolo era preservato dall’influenza nefasta della Caldea. Qui potè custodire intatto quel puro rapporto con il mistero della nascita, che gli era peculiare.

Non doveva però fondersi con l’elemento egizio, poiché in tal caso avrebbe perso il vero concetto della resurrezione.

 

Dovette quindi migrare dall’Egitto come popolo, così come era migrato dalla Caldea come tribù.

Ciò avvenne sotto la guida di Mosè, che condusse il quarto ‘popolo eletto’, il popolo d’Israele, alla sua ‘terra promessa’.

Allorché anche questo popolo si rese infedele alla propria vocazione, esso fu deportato a Babilonia,

da cui una parte ‘eletta’ sarebbe stata ricondotta nuovamente in Palestina.

 

Fu questa l’ultima ‘elezione’ prima della venuta del Cristo Gesù, grazie al quale la nascita e la morte avrebbero riacquistato il proprio significato divino nella coscienza dell’umanità.

È così conclusa la storia del ‘popolo eletto’? Per rispondere a questa domanda, possiamo per il momento tralasciare il Medioevo e l’epoca moderna, i quali non ci forniscono dati decisivi, e volgere invece il nostro sguardo al futuro, alla sesta epoca di civiltà.

 

La sesta epoca postatlantica si distinguerà dall’attuale, principalmente per il fatto che l’umanità sarà divisa in due comunità distinte – una più piccola, formata dagli uomini che avranno accolto l’impulso del Cristo nella propria coscienza, e una più estesa, formata da coloro che l’avranno respinto.

La parte spirituale dell’umanità, fonderà una civiltà basata sulla giustizia sociale, la quale si distinguerà sul piano morale da quella del resto dell’umanità, all’incirca come oggi la civiltà esteriore europea si distingue dalla civiltà degli aborigeni Africani. Le due comunità si distingueranno anche fisicamente, sicché sorgeranno due razze umane, distinte nello spirito, nell’anima e nel corpo.

 

Queste cose dovrebbero essere considerate non astrattamente, ma nel modo più concreto possibile. Gli antroposofi dovrebbero aver riconosciuto da tempo quale significato concreto abbia per il futuro il movimento antroposofico. Non si tratta solo di convinzioni e idee, ma anche dell’inizio della formazione effettiva di una razza, del sorgere di una progenie che, nel corso delle generazioni, si dovrà spiritualizzare fino ad acquisire le facoltà proprie dell’uomo della sesta epoca.

Il futuro richiede non solo idee, ma anche corpi. Esso va realizzato infatti non solo in cielo, ma anche in terra. Le idee dimostrano invero la loro efficacia, solo afferrando la realtà terrestre.

 

Quando bambini di genitori antroposofi, una volta cresciuti, voltano le spalle all’antroposofia, il che accade non di rado, per perseguire altri scopi, non si dovrebbe necessariamente parlare di ‘karma’ e di ‘libera volontà’, ma porsi piuttosto la seguente domanda: l’antroposofia dei genitori era sufficientemente convincente per i bambini, sicché da essa sia fluita nelle loro anime più vita di quella che avrebbero potuto ricevere da qualunque altra realtà del mondo esterno? Se si pone la domanda in questo modo, si scoprirà che solo quel tanto della saggezza antroposofica che è stato appreso dai cuori può passare da una generazione all’altra. Un’antroposofia della testa non ha alcun valore per il fluire della vita antroposofica attraverso le generazioni, lo ha soltanto un’antroposofia del cuore.

 

L’antroposofia è convincente per le giovani generazioni, solo nella misura in cui essa viva nel cuore. Perciò, solo ciò che è divenuto una realtà del cuore può fluire dal presente al futuro con azione plasmatrice sui corpi, fino alla sesta epoca. Un’antroposofia della testa è una faccenda individuale, un’antroposofia del cuore riguarda invece l’intera umanità.

Sarà essa, in futuro, a rivelarsi come la forza capace di fornire agli uomini della sesta epoca l’organizzazione [corporeo-spirituale, n.d.c.] necessaria per vivere sulla terra. 2

 

Viviamo in un’epoca in cui è stato stretto un nuovo ‘patto’ con il mondo spirituale,

il quale ha come meta la preparazione della sesta epoca di civiltà.

Esso richiede fedeltà verso il mondo spirituale,

e uno sforzo costante per mantenere stabile il rapporto cosciente con esso.

 

Le sorgenti da cui fluiscono nuove conoscenze della realtà spirituale concreta non si devono mai esaurire. Per questo la Società Antroposofica può mantenersi viva solo grazie ad un fluire continuativo di conoscenza spirituale. Essa – nonostante la ricca letteratura che possiede – sarebbe destinata a inaridirsi se non ricevesse per molto tempo un apporto diretto di conoscenza dal mondo spirituale. Nulla può sostituire un tale apporto. Esso è la condizione per cui può esistere un movimento scientifico-spirituale. Un tale movimento può infatti adempire il compito sopra indicato, solo se è in grado di afferrare [ergreifen] i cuori. Ciò è in ogni caso possibile, solo se all’interno di questo movimento il rapporto cosciente col mondo spirituale non viene meno. La tradizione da sola non può tenerlo in vita. Se la rivelazione dai mondi spirituali ammutolisse, ammutolirebbero anche i cuori, il che significherebbe però la morte spirituale del movimento.

 

Il mistero del ‘popolo eletto’ si perpetua dunque fin nel lontano futuro.

È la storia della corrente karmica delle anime legate in modo speciale all’impulso del Cristo.

 

Sono sempre le stesse individualità che, attraverso molte incarnazioni, compiono un’opera che è l’opera di Cristo. Tutti i profeti di Israele riappariranno, affinché il rapporto con il mondo spirituale possa essere mantenuto ininterrotto ai nostri giorni come lo era ai loro tempi. Perciò la corrente karmica, il ‘popolo eletto’, l’eterno Israele, continuerà a scorrere attraverso le epoche, per fornire all’umanità, nei momenti di crisi, le radici di nuove civiltà dopo la caduta delle vecchie.

 

Ci siamo così formati un concetto di che cosa sia in realtà il ‘popolo eletto’, il che sarà necessario per una comprensione di che cosa sia in realtà la Bibbia secondo la sua vera natura. La Bibbia contiene infatti la storia del ‘popolo eletto’, che è la storia dell’impulso del Cristo.

 

La comunità karmica

che, durante l’epoca di Atlantide era in speciale rapporto con l’oracolo del Sole,

la comunità degli uomini solari, costituisce il ‘popolo eletto’,

il quale, durante l’intera evoluzione della Terra, è chiamato ad essere

precursore, portatore e annunciatore dell’Essere solare che conosciamo come Cristo.

 

Dopo aver elaborato concetti appropriati sull’Antico Testamento quale libro di occultismo eugenetico, e sul ‘popolo eletto’ quale corrente karmica dell’impulso del Cristo, giungiamo ad una terza domanda fondamentale, la risposta alla quale è indispensabile per comprendere la Bibbia: chi è il dio che nella Bibbia è chiamato Jahvè, e in che rapporto sta con la corrente karmica del Cristo e con il Cristo stesso?

Il capitolo seguente sarà dedicato alla questione relativa alla natura di Jahvè, e al suo significato karmico e storico.

 

 


 

Note:

1 – Col termine Manu si designa nella tradizione indù il legislatore primordiale di un ciclo di esistenza. In questo caso corrisponde alla figura di Noè.

2 – Su alcune implicazioni del principio eugenetico qual è qui inteso dall’Autore, si veda il primo saggio dell’appendice, paragrafo 2.