La solitudine nel deserto

Il figlio dell’uomo


 

Considerando come l’uomo è posto nell’organismo complessivo dell’umanità e della natura, si può dire – e ciò vale in misura ancor maggiore per l’uomo di diciannove secoli fa – che egli con la sua anima, con la sua vita e col suo corpo è collegato a questo organismo complessivo.

Innumerevoli fili si tendono, nell’intessersi del suo pensare, verso persone del presente e del passato; innumerevoli legami di simpatia lo uniscono ai più svariati esseri di questo mondo; i suoi desideri e le sue azioni lo legano a cose ed esseri vicini e lontani – famiglia, amici, il proprio popolo, l’universale cultura umana. Tutte queste cose offrono sostegni alla sua esistenza, nonché una pienezza di vita che lo ricolma di ciò che gli è affine.

La sua coscienza, e ancor più il suo subconscio, ricevono stabilmente un flusso di ‘nutrizione’: impressioni, pensieri, rimemorazioni, stimoli, impulsi di vita, forze. L’uomo assorbe ed ‘inspira’ in sé contenuti, immagini, forze dall’ambiente; egli cerca e trova ciò che lo ristora quando è stanco, lo calma quando è inquieto, lo stimola quando è pigro, lo modera quando è eccitato. Egli ‘beve’ i colori della luce, i suoni e le parole, si disseta alla grande, variopinta, risonante, mobile corrente della vita – e quanto più egli beve a pieni sorsi da questa corrente, tanto più è in salute. Tale è l’uomo nel suo rapporto con il mondo che lo circonda, ed è giusto che sia così.

 

• Ma nella vita dell’uomo può accadere che ad un certo momento tutto cambi. Può accadere che egli venga separato dalla corrente universale della vita e che non ne venga più nutrito. Egli diventa allora solo. Questa solitudine subentra quando l’uomo conosce il mondo spirituale non semplicemente per mezzo di rappresentazioni, e nemmeno per mezzo di immagini rispecchiate nell’eterico, bensì ne è direttamente toccato, compenetrato e riempito – non quindi dal mondo eterico, che propriamente è la pienezza stessa della corrente di vita, bensì dal mondo dello spirito, che si rapporta al mondo eterico come il vento alle onde.

 

Quando l’uomo viene toccato e quindi compenetrato e riempito dalla realtà dello spirito,

ha luogo un grande mutamento in tutta la sua organizzazione.

L’intera organizzazione umana – e precisamente quella che veicola la coscienza –

viene trasformata da organizzazione passiva, recettiva, in organizzazione attiva, irradiante.

• I canali tramite i quali prima fluiva in lui la corrente del mondo,

diventano vie per le quali le sue forze irradiano nel mondo, oppure si estinguono completamente.

• In tal modo l’uomo diventa solo nel mondo fisico-eterico,

la corrente che fluisce dal mondo si impoverisce sempre più;

egli si fa invece sempre più attivo, irradiante rispetto a questo mondo.

 

Da essere che riceve si trasforma, nella propria organizzazione interiore, in essere che dà.

Quanto più egli diviene donatore nella direzione orizzontale della corrente della vita,

tanto più diviene recettore nella direzione verticale della corrente di rivelazione del mondo spirituale.

 

Riguardo a questa condizione vale il contrario del detto di Leonardo da Vinci:

“Il grande amore è figlio della grande conoscenza”.

Qui vale il detto: “La grande conoscenza è figlia del grande amore”.

L’uomo può tanto più conoscere,

quanto più egli illumina entità e processi mediante la luce Interiore dell’amore,

cioè egli li rende visibili con la luce irradiante dal suo stesso essere.

Per lui ora, infatti, tutte le altre sorgenti di luce del mondo si estinguono.

Finché egli non trova in sé la forza di generare amore dal dolore, il mondo resta per lui buio e vuoto

– un immenso deserto, muto e freddo.

 

Nel diciannovesimo secolo vi fu un uomo che, al centro dello scenario visibile della cultura europea, visse innanzi agli occhi del mondo intero la tragedia del deserto interiore e della solitudine, senza avere trovata la possibilità di dedicarsi a quell’impulso che avrebbe potuto mutare il deserto dell’anima in un paradiso fiorito. Quest’uomo offriva straordinarie possibilità ad una rivelazione del mondo spirituale; tutta la sua organizzazione era matura per la realtà spirituale; gli occorreva solo un’umile accettazione dell’amore del mondo spirituale, grazie a cui si sarebbe manifestato in lui uno dei più grandi iniziati e annunciatori del mondo dello spirito. Un grande veggente e annunciatore dello spirito sarebbe stato donato al mondo, se Friedrich Nietzsche avesse aperto gli occhi e le orecchie con umile dedizione all’impulso di amore del mondo dello spirito. Egli conobbe infatti il deserto e sperimentò la tentazione nel deserto, ma vi soccombette.

 

La solitudine di Nietzsche non era un semplice esser solo nel mondo, bensì un processo di isolamento di tutta la sua organizzazione animico-spirituale. Non si tratta di un capriccio poetico, quando Nietzsche, nella sua seria poesia “Solitudine” dice:

 

I corvi gracchiano

e vanno con rumore d’ali verso la città;

presto verrà la neve –

fortunato chi ora ha ancora patria!

Ora tu stai irrigidito,

guardi all’indietro, ah, da quanto tempo!

Sei tu pazzo

a fuggire nel mondo prima dell’inverno?

Il mondo – una porta

verso mille deserti, muto e freddo!

Chi ha perduto, quello che tu hai perduto, mai ha posa.

 

Non è un capriccio poetico, ma una dolorosissima verità. Nietzsche tuttavia non si limita a vivere l’esperienza del deserto, ma ne riconosce anche, fino a un certo grado, le cause. Nel “Canto della notte” del suo Cosi parlò Zarathustra dice infatti:

 

Ma questa è la mia solitudine, che io sia cinto di luce. […]

Ma io vivo nella mia propria luce,

io ribevo in me le fiamme che da me erompono. (…]

Molti soli volteggiano nello spazio deserto:

a tutto ciò che è oscuro, essi parlano con la loro luce

– per me tacciono.

 

• Il dato di fatto, cui Nietzsche allude con un linguaggio poetico,

è che la sua organizzazione astrale ed eterica si era in certo modo rovesciata.

 

Per comprendere la natura di un tale rovesciamento, ci si immagini l’occhio, così come è organizzato. L’occhio percepisce le impressioni dall’esterno e costituisce in tal modo una porta d’ingresso del mondo esterno verso l’interno dell’uomo. Ci si immagini ora che l’occhio sia divenuto incapace di ricevere le impressioni luminose dall’esterno, e che sia invece organizzato in modo da poter percepire solo ciò che esso stesso ha illuminato a partire dall’interiorità umana. In tal caso l’occhio non sarebbe più la porta d’ingresso del mondo esterno verso l’interno dell’uomo, ma la porta d’ingresso di questo verso il mondo esterno.

 

Se ci si Immagina un rovesciamento di tal genere anche nell’attività degli altri organi di senso, si può giungere a un concetto di che cosa significhi concretamente il rovesciamento dell’organizzazione eterico-astrale. Significa appunto l’oscuramento del mondo esteriore e la cessazione di ogni impressione da quel mondo; l’uomo allora, o è immerso nella tenebra e nella solitudine, oppure egli stesso irradia luce nella tenebra che lo avvolge. Non è un gioco di parole, se si dice: il percepire [wahr-nehmen] diventa in lui un dare [wahr-geben]. Prima però che avvenga questa grande trasformazione, l’uomo viene “condotto dallo Spirito nel deserto” e lì sperimenta le tentazioni.

 

Queste tentazioni subentrano in conseguenza delle prove della solitudine. La loro natura essenziale consiste in un ardente desiderio di riempimento, derivante da una condizione di vuoto interiore. L’uomo è ‘affamato’ di pienezza di vita. Questa fame può esporlo all’errore di scorgere la pienezza di vita nel dispiegamento della potenza.

 

L’uomo isolato e svuotato, si trova al bivio tra due possibilità:

• o riconoscersi realmente come mendico

e abbandonarsi con umiltà alla rivelazione di amore del mondo spirituale superumano,

• oppure volgersi alle forze della vita istintiva, per ricolmarsi di queste.

Il contenuto della vita istintiva è però potenza, volontà di potenza.

 

Questa volontà è ancorata profondamente nella vita istintiva della natura umana; come l’organismo della Terra nel suo interno è ricolmo delle forze delle nove sfere infere, così il subconscio umano è ricolmo di volontà di potenza. Questo è più di un paragone, poiché nell’atteggiamento in questione le forze dell’interno della Terra si aprono una breccia nell’essere umano. Tali forze costituiscono appunto la sorgente dell’altra pienezza rispetto a quella del mondo spirituale, e si presentano tentando l’uomo nel deserto.

Le stesse forze si presentarono anche a Nietzsche; egli vi acconsentì e divenne annunciatore della volontà di potenza, della pienezza di vita di questo mondo, dell’uomo dominatore, che si sbarazza di tutto ciò che contraddice l’istinto – e l’eternità terrena!

 

Nietzsche fu dunque condotto su un alto monte e da lassù gli furono mostrati in un istante tutti i regni della Terra. Egli stesso scrive riguardo a questo momento:

E ora racconterò la storia dello Zarathustra. La concezione fondamentale dell’opera, il pensiero dell’eterno ritorno, la suprema formula dell’affermazione che possa mai essere raggiunta -, è del l’agosto 1881; è annotato su di un foglio, in fondo al quale è scritto: «6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo». Camminavo in quel giorno lungo il lago di Silvaplana attraverso i boschi; presso una possente roccia che si levava in figura di piramide, vicino a Surlei, mi arrestai. Ed ecco giunse a me quel pensiero.

 

Quale pensiero? Il pensiero che ogni situazione sulla Terra si ripeta sempre di nuovo, cioè che tutto ritorni, dissolvendosi, per riapparire dopo un determinato tempo in una stessa combinazione degli stessi elementi. Qui il tempo scompare come linea, ed ogni avvenimento diventa un circolo chiuso in se stesso; guardando questo cerchio come un tutto, si vedono “tutti i regni della Terra in un istante” (en stigmè chrònou – Lc 4:5), quali glieli mostra il tentatore.

 

È questo pensiero una realtà? Esso è un’illusione, se lo si considera dalla prospettiva del mondo spirituale; è una realtà, se lo si riconosce ispirato dalle intenzioni delle forze ostacolatrici che contrastano l’evoluzione cosmica. Tale è infatti l’intenzione delle potenze ostacolatrici, che la Terra non debba avere un futuro, e che invece ogni avvenimento terreno giri in un cerchio: dalla superficie alle profondità della Terra e da lì nuovamente alla superficie. Questa intenzione non è però una mera astrazione, ma è oggetto di sforzi costanti da parte delle forze ostacolatrici nel corso della storia terrena. Tali sforzi non sono del tutto infruttuosi; in effetti molto del passato si aggira nel presente. Ma sono pur sempre spettri, saliti dall’interno della Terra, quelli che appaiono quando qualcosa del passato torna a rivivere. Così, per esempio, il culto di Mitra fu a suo tempo un fatto positivo, favorente il progresso; volendolo reintrodurre oggi, bisognerebbe trarlo dall’interno della Terra, ove le sue forme, private del loro spirito, si sono inabissate, evocarlo dunque come uno spettro. Tuttavia le forze attive in esso sarebbero diverse da quelle di un tempo.

 

Nietzsche, dopo che ebbe veduto “6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo” tutti i regni della Terra “in un istante”, ossia ebbe concepito l’idea dell’eterno ritorno, ‘adorò’ quella potenza in tutta la sua magnificenza, ed essa gli fece apparire il mondo realmente così; egli si abbandonò allora a quella sorgente di ispirazione, dalla quale proveniva l’intenzione dell’eterno ritorno. In essa sperimentò quella pienezza cui aspirava.

 

C’è qualcuno che, alla fine del secolo XIX, abbia un concetto chiaro di ciò che i poeti delle epoche forti chiamavano ispirazione! Altrimenti lo spiegherò io. – Se si serba in sé anche un minimo residuo di superstizione, sarà difficile riuscire a rifiutare di fatto la rappresentazione secondo cui noi siamo soltanto incarnazione, soltanto strumento sonoro, soltanto medium di poteri che ci sovrastano.

Il concetto di rivelazione, nel senso di qualcosa che, subitaneamente, con indicibile sicurezza e sottigliezza, si fa visibile, udibile, qualcosa che ci scuote e sconvolge nel più profondo, è una semplice descrizione dell’evidenza di fatto.

Si ode, non si cerca; si prende, non si domanda da chi ci sia dato; un pensiero brilla come un lampo, con necessità, senza esitazioni nella forma – io non ho mai avuto scelta.

 

E dove viene guidato Nietzsche da questi “poteri che ci sovrastano”?

Il concetto di ‘Dio’ inventato in opposizione alla vita – tutto ciò che è dannoso, venefico, calunnioso, mortalmente ostile alla vita vi è raccolto in terrificante unità! Il concetto di ‘aldilà’, di ‘mondo vero’ inventati per svalutare l’unico mondo che esista – per non lasciare alla nostra realtà sulla Terra alcun fine, alcuna ragione, alcun compito! Il concetto di ‘anima’, di ‘spirito’, e infine anche di ‘anima immortale’, inventati per spregiare il corpo, per renderlo malato – ‘santo’ -, per opporre una orribile incuria a tutte le cose che meritano di essere trattate con serietà nella vita, i problemi della alimentazione, dell’abitare, della dieta spirituale, della cura dei malati, della pulizia, del tempo che fa!

 

Con queste parole Nietzsche esprime la situazione in cui fu condotto. Si consideri tale situazione in tutta la sua tragicità, si paragoni il Nietzsche giovane, che parla dei beni supremi dell’umanità nel modo seguente:

 

O luoghi di un sacro passato!

Getsemani e Golgota! Risonare voi fate

La lieta novella per l’eternità.

Voi annunciate, che l’uomo con Dio è riconciliato,

Riconciliato grazie al cuore, che lì ha lottato,

Che qui ha sanguinato e la morte soggiogato.

 

Si paragoni questo Nietzsche a quello che indica i problemi di “nutrizione, abitazione, igiene mentale, cura dei malati, pulizia e clima” come i più importanti, e non si potrà più parlare semplicemente di un mutamento di opinione o cose simili, ma si dovrà parlare di una tragica caduta.

Dal “pinnacolo del tempio” (cf. Lc 4:9), sul quale originariamente Nietzsche si trovava e dal quale egli dapprima considerava in modo altamente idealistico l’umanità e la sua storia, egli cadde in quelle profondità della vita istintiva, dove Dio, spirito ed anima hanno il valore di un’astuta trovata.

 

Una mano invisibile ed amorosa pose fine a tutto ciò. In uno dei primi giorni del gennaio 1889 Nietzsche si accasciò per strada a Torino.

Egli scrisse allora biglietti deliranti ai suoi amici, nei quali si firmava come “Dioniso” o “Il Crocifisso”. Venne poi portato a Jena, nella clinica psichiatrica dell’Università.