Caratteristiche della situazione attuale riguardo all’educazione.

O.O. 311 – L’educazione come arte – 12.08.1924


 

Sommario: Caratteristiche della situazione attuale riguardo all’educazione. Necessità di una reale conoscenza dell’essere umano. L’incarnazione. Ereditarietà e individualità secondo la loro realtà. La natura del bambino prima del cambio dei denti e trasformazione successiva. Compito dell’educazione nei diversi stadi evolutivi.

 

Sono veramente molto soddisfatto che qui in Inghilterra sia stato possibile pensare alla fondazione di una scuola in senso antroposofìco. Ciò significa davvero aver dato un impulso alla storia dell’educazione. Pronunciare una frase simile può con facilità portare a venir tacciati di immodestia. Alla base di tutto quel che deve nascere dal terreno antroposofìco per l’arte dell’educazione e dell’insegnamento sta veramente qualcosa di particolare. È per me motivo di grande gioia, che il primo nucleo del collegio degli insegnanti che si è qui riunito abbia riconosciuto dal profondo dell’anima che c’è qualcosa di particolare nella pedagogia antroposofìca. Dicendo pedagogia antroposofìca certo non partiamo da pensieri fanatici di riforma sulla necessità di un rinnovamento dell’educazione, ma piuttosto dal sentimento e dall’esperienza dell’evoluzione culturale umana.

 

Siamo perfettamente coscienti che per l’arte dell’educazione molto è avvenuto nel corso del secolo diciannovesimo, e soprattutto negli ultimi decenni, ad opera di gente straordinaria. Guardando quel che è risultato dalle più buone intenzioni si può dire che si è cercato di fare tutto il possibile nel campo dell’educazione, ma senza una reale conoscenza dell’essere umano. Ci si è occupati dell’educazione umana in un’epoca nella quale, a causa del materialismo dominante in tutti i campi sin dal secolo quindicesimo, non poteva esserci conoscenza vera dell’uomo. Quando dunque si manifestarono pensieri di riforma educativa, si costruì sulla sabbia o su qualcosa di ancor maggiormente privo di fondamento. Si presentarono principi educativi traendoli da diverse emozioni, da giudizi in merito a come avrebbe dovuto essere la vita. Non ci fu però in alcun modo la possibilità di conoscere l’essere umano nella sua completezza e di chiedersi: come portare a manifestazione ciò che in lui è dato da Dio, dopo che l’essere umano stesso è disceso nella vita terrena dalla sua vita prenatale? È questa in sostanza la domanda che si può anzitutto porre in astratto, ma che può trovare una risposta concreta solo in una vera conoscenza dell’uomo, conoscenza alla cui base vi è il corpo, l’anima e Io spirito.

 

Per l’umanità odierna la conoscenza del corpo è molto progredita. Dalla biologia, dalla fisiologia e dall’anatomia possiamo trarre una conoscenza del corpo umano molto avanzata. Ma se con le concezioni odierne vogliamo arrivare a una conoscenza dell’anima, a nulla si arriva, perché tutto ciò che riguarda l’anima è oggi solo nome, parola. Restando nel campo della psicologia odierna, intorno a pensare, sentire e volere non si afferra più la realtà. Le parole pensare, sentire e volere sono rimaste nel linguaggio, ma non esiste più l’idea che nell’anima viva qualcosa che corrisponde a quei nomi. Quel che i cosiddetti psicologi dicono a proposito di pensare, sentire e volere è in realtà puro dilettantismo. Parlano press’a poco allo stesso modo di un fisiologo che parlasse in generale di polmoni o di fegato, senza distinguere fra il fegato di un bambino e quello di un vecchio. Nella scienza si è molto progrediti in questo campo, e nessuno mancherebbe di considerare la differenza fra un polmone di un bambino e quello di un vecchio, o anche fra un capello di un bambino e quello di un vecchio; li distinguerebbe benissimo. Riguardo a pensare, sentire e volere si dicono però solo parole, in realtà nulla si afferra. Ad esempio non si sa che il volere, quando si presenta nell’anima, è giovane, e il pensare vecchio; che, in altre parole, nell’anima il pensare è un volere vecchio, e il volere un pensare giovane. Di modo che nell’anima umana si ha in pari tempo gioventù e vecchiaia.

 

Già nel bambino abbiamo in pari tempo nell’anima il vecchio pensare e il giovane volere. Esistono contemporaneamente, e sono realtà! Oggi però nessuno può dire qualcosa su tali realtà dell’anima, come invece lo dice sulle realtà del corpo. Di conseguenza l’educatore non sa come raccapezzarsi di fronte a un bambino. Si immagini per un momento un medico che non fosse in grado di distinguere un bambino da un vecchio; non saprebbe come raccapezzarsi! Dato che oggi non esiste una scienza dell’anima, l’insegnante non è in condizione di poter parlare dell’anima umana, come invece oggi il medico parla del corpo. E lo spirito?… di questo neppure si può parlare, perché non esistono nemmeno più le parole adatte. Vi è solo la parola “spirito”, ma anch’essa non dice gran che; altre parole non esistono.

 

In verità non si può parlare di una conoscenza dell’uomo corrispondente alle necessità del presente. Si ha però l’impressione che nel campo dell’educazione non tutto vada come dovrebbe, che bisognerebbe migliorare qualcosa. Già, ma come è possibile migliorare qualcosa in questo campo, se proprio nulla si sa dell’uomo? Di conseguenza tutti i pensieri sulla riforma dell’educazione sono pieni di buona volontà, ma in nessuno di essi esiste una conoscenza dell’uomo.

 

Lo si nota persino nei nostri gruppi di studio. Che cosa oggi può infatti aiutare a conoscere l’uomo? L’antroposofia! Non lo dico per ragioni settarie o fanatiche. Per raggiungere oggi una conoscenza dell’uomo bisogna accogliere in sé l’antroposofia. È naturale che per insegnare partendo dalla conoscenza dell’uomo, occorra conquistarsela come base sicura. È naturale che la si conquisti attraverso l’antroposofia. Se qualcuno oggi cerca le basi per una nuova pedagogia, che cosa gli si potrebbe rispondere? L’antroposofia è la base per una nuova pedagogia! Tuttavia esistono persino fra noi molti che trascurano l’antroposofia e vogliono insegnare la pedagogia senza di essa; vorrebbero anzi che non apparisse che l’antroposofia dà a questa il suo fondamento.

 

Un proverbio dice: non volere la botte piena e la moglie ubriaca. Sono stati fatti diversi tentativi in questo senso. Occorre anzitutto dire e anche pensare la verità. Di conseguenza se oggi qualcuno chiede come poter diventare un bravo maestro, bisogna rispondergli: devi partire dall’antroposofia, non puoi trascurarla, devi conquistare la conoscenza dell’uomo attraverso l’antroposofia.

 

Nella civiltà odierna non esiste la conoscenza dell’uomo. Abbiamo teorie, ma nessuna idea viva, non sul mondo, non sulla vita, non sugli uomini. Le vere idee però conducono alla pratica della vita. Oggi non abbiamo una pratica della vita. Chi sono oggi gli uomini meno pratici di tutti? I meno pratici di tutti non sono gli scienziati, dei quali si può senz’altro dire che sono goffi e trasognati, e lo si nota. I meno pratici sono proprio i cosiddetti pratici, i commercianti, gli industriali, i banchieri; sono quelli che oggi dominano le situazioni pratiche della vita, partendo però da pensieri teorici. Una banca è oggi costruita su pensieri teorici; nulla vi è di pratico. La gente non lo nota perché pensa: dev’essere una cosa pratica dato che la fanno i pratici, e si fida, senza notare i danni che derivano per tutta la vita agendo in modo tanto poco pratico. Oggi la vita pratica è in tutti i campi del tutto non pratica.

 

La gente se ne renderà conto quando nella nostra civiltà in sempre maggior numero entreranno elementi distruttori per dissolverla.

 

La guerra mondiale, se le cose rimangono così, è stata solo un principio, un’introduzione; essa è derivata proprio da questa mancanza di pratica, ma è stata solo un prologo. Si tratta ora di non continuare a dormire, specialmente in campo educativo e nella scuola. Si tratta davvero di cominciare un’educazione che consideri l’uomo intero, con corpo, anima e spirito, e che essi vengano anzitutto riconosciuti.

 

Nel breve corso che sarà tenuto qui, importante sarà soprattutto esporre ciò che riguarda corpo, anima e spirito rispetto al campo educativo e scolastico, ed è quello che faremo. La prima esigenza da porre sin dall’inizio è che veramente ci si sforzi di indirizzare il proprio sguardo sull’uomo nella sua totalità.

 

Come si formulano oggi i precetti pedagogici? Si guarda il bambino e ci si dice che deve imparare qualcosa; si pensa come glielo si possa insegnare affinché impari al più presto le cose più diverse. Già, ma che cosa è un bambino? Un bambino resta tale al massimo fino ai dodici anni, magari anche fino a venti (la cosa è ora indifferente), ma una volta o l’altra diventerà diverso, diventerà adulto. La vita intera è un’unità, e non dobbiamo considerare solo il bambino, ma tutta la sua vita; dobbiamo considerare l’uomo nel suo complesso.

 

Immaginiamo ora di avere a scuola un bimbo pallido: deve diventare per noi un problema da risolvere. Possono esservi molte ragioni, ma può essere che il bambino sia venuto a scuola con un bel colorito e sia diventato pallido durante l’insegnamento; la cosa quindi mi riguarda. Devo ora io stesso stabilire perché il bambino è diventato pallido; forse scoprirò che gli ho dato troppe nozioni da imparare a memoria con suo grave sforzo. Se non lo riconosco, se sono un pedagogo miope e mi convinco che un metodo vada continuato senza badare se il bambino diventa rosso o pallido, il bambino rimarrà pallido.

 

Se però avessi la possibilità di osservare quel bambino diventato uomo di cinquant’anni, vedrei che probabilmente soffre di una terribile arteriosclerosi della quale non ci si sa rendere ragione. È perché la memoria del bambino di 8 o 9 anni era stata tropo affaticata. In effetti l’uomo di 50 anni e il ragazzo di 8 o 9 anni sono in rapporto reciproco, sono in definitiva lo stesso individuo. Dobbiamo sapere quali saranno le conseguenze, dopo 40 o 50 anni, di quel che facciamo ora al bambino, dato che la vita è un’unità. Non è sufficiente conoscere il bambino, occorre conoscere l’uomo.

 

Un’altra volta mi do pena per presentare a una classe definizioni il più possibile buone, in modo che i concetti siano ben solidi, che il bambino sappia che questo è un leone, quest’altro un gatto, e così via. Deve però il bambino poter conservare quei concetti fino alla sua morte? Oggi non abbiamo idea alcuna che anche l’anima debba crescere. Se presento oggi a un bambino un concetto che debba essere giusto una volta per sempre (che cosa è poi giusto?) e che egli debba conservare per tutta la vita, è come se gli comprassi a tre anni delle scarpe e anche in seguito gli facessi fare le scarpe della stessa misura presa a tre anni. Il ragazzo cresce, ed è quindi chiaro che sarebbe una barbarie se gli volessi far usare scarpe così piccole, se volessi mantenere il piede tanto piccolo affinché gli vadano bene le scarpe dei suoi tre anni. Invece facciamo proprio così per l’anima: diamo al bambino concetti che non crescono con lui; gli diamo concetti fissi, mentre gli dovremmo dare concetti che possano crescere. Costringiamo di continuo l’anima entro i concetti che il bambino ha ricevuto. Sono cose che sono viste nel modo più superficiale, mentre nella pedagogia occorre osservare tutto l’uomo, l’uomo vivo che cresce, e non un qualsiasi concetto astratto dell’uomo.

 

Se si ha la giusta idea di come la vita sia un tutto unico, si comprende anche come siano diverse una dall’altra le singole età dell’uomo. Il bambino prima del cambio dei denti è un tutt’altro essere che non dopo. Naturalmente non bisogna dare in proposito giudizi e opinioni grossolane. Certo che se si pensa l’uomo come un bipede con in cima una testa in mezzo alla quale sta un naso, si dirà che anche prima del cambio dei denti il bambino ha due gambe e un naso in mezzo al viso. Avendo però la facoltà di osservare più sottili differenze nella vita, si troverà nel bambino, prima del cambio dei denti, un essere del tutto diverso da quello che abbiamo dopo quel cambio.

 

Prima del cambio dei denti si osserva nel bambino come ancora giustamente agiscano in lui le disposizioni di vita che aveva prima della nascita, o meglio prima della concezione, durante la vita preterrena nel mondo spirituale. Il corpo del bambino agisce come se fosse ancora spirito, perché lo spirito che è sceso dal mondo spirituale è ancora del tutto attivo nel bambino durante i primi sette anni di vita. Si dirà: bello spirito! È diventato del tutto matto, dato che il bambino fa il matto, è maldestro e non sa fare niente. Tutto ciò dovrebbe essere lo spirito della vita preterrena? Immaginiamo un momento che persone educate e abili nella vita siano d’improvviso condannate a vivere di continuo in un ambiente con la temperatura di 62 gradi centigradi: non lo potrebbero. Potrebbero farlo ancora meno dello spirito del bambino sceso dal mondo spirituale e che ora deve comportarsi bene nelle condiziono terrestri. Messo in un mondo totalmente diverso, avendo d’improvviso ciò che prima della vita terrena non aveva, cioè un corpo da portare, esso agisce appunto come si comporta il bambino. Ciò malgrado, sapendo osservare come a poco a poco i tratti ancora in formazione del viso del bambino, ogni giorno, ogni settimana, ogni mese vengano sempre più delineandosi, come i movimenti maldestri diventino sempre più abili e precisi, si comprenderà che lo spirito, sceso dal mondo pre-terreno, cerca a poco a poco di adattare a sé il corpo; osservando in questo modo, comprenderemo perché il bambino è così. Lo spirito disceso agisce nel corpo del bambino come noi lo vediamo attivo in lui.

 

Per questa ragione chi è iniziato nei misteri spirituali nulla trova di più interessante che osservare il bambino. Osservandolo, non si impara a conoscere la terra, ma il cielo da cui egli discende, e questo vale non solo per il cosiddetto bambino docile. Nella maggior parte dei casi i bambini docili hanno il corpo troppo pesante per loro. Già nella fanciullezza il corpo diviene troppo pesante, lo spirito non può compenetrarlo. I bambini sono tranquilli, non gridano, siedono quieti, non fanno i matti. Lo spirito non è attivo in loro, perché il corpo offre troppa resistenza. Nei cosiddetti bambini docili spesso il corpo offre resistenza allo spirito.

 

Nei bambini che non sono così docili, che di solito fanno i matti, che gridano, che danno preoccupazioni, lo spirito è attivo, certo in modo maldestro, perché è stato trasferito dal cielo in un corpo terrestre, e vi è attivo. Ha bisogno del corpo. A volte si può trovare davvero delizioso il brutto verso di un bambino, per la semplice ragione che si vede quale martirio debba sopportare lo spirito, quando scende nel corpo infantile.

 

Certo è facile essere adulti, almeno per lo spirito. Si è già preparato il corpo che non offre più una così forte resistenza. Essere adulti è molto facile, essere bambini è difficilissimo. Il bambino non lo nota ancora, perché la sua coscienza non è ancora sveglia, dorme ancora, ma con la coscienza che esiste prima della discesa sulla terra anche il bambino lo noterebbe. Se egli avesse quella coscienza, la sua vita sarebbe una terribile tragedia. Discende infatti sulla terra, ma è abituato a una sostanza spirituale che formava la sua vita prima della discesa sulla terra, e della quale disponeva. L’abbiamo preparata noi stessi col nostro karma, secondo i risultati delle precedenti incarnazioni terrene. In essa siamo per così dire entro il nostro vestito spirituale, e ora dobbiamo discendere sulla terra. Voglio parlare semplicemente di queste cose, e mi si scuserà se le espongo come cose abituali della terra; se ne può parlare così perché così appunto sono. Ora dunque bisogna discendere, bisogna scegliersi un corpo sulla terra.

 

Il corpo è preparato da generazioni. Un padre e una madre hanno avuto un figlio o una figlia, questi a loro volta un figlio o una figlia, e così via. Un corpo in tal modo si forma per ereditarietà. Quello è il corpo che bisogna prendere, in quello bisogna entrare. Si capita così in tutt’altre condizioni: ci si veste del corpo che è stato preparato attraverso il susseguirsi delle generazioni.

 

Certo si agisce dal mondo spirituale in modo da non avere un corpo del tutto inadatto, ma in genere si finisce per averne uno poco adatto. Se un guanto calzasse anche poco come in genere un corpo è inadatto per l’anima, lo si getterebbe via, non verrebbe in mente di infilarlo. Quando invece si scende dal mondo spirituale e si vuole un corpo, se ne deve prendere uno e lo si deve tenere fino al cambio dei denti. Avviene infatti che nel periodo di sette o otto anni tutta la nostra materia fisica, o quanto meno una parte importante, viene cambiata. I denti che abbiamo in principio vengono cambiati, e i secondi ci restano per sempre. Il fenomeno non è uguale per tutte le parti dell’organismo. Parti ancora più importanti dei denti sono cambiate ogni sette anni, fintanto che si è sulla terra. Se i denti si comportassero alla stessa maniera, avremmo nuovi denti a sette anni, a quattordici, a ventuno e così via, e non ci sarebbero dentisti.

 

Certi organi duri restano, ma quelli più molli vengono sempre rinnovati. Nei primi sette anni si ha un corpo che ci è stato dato dalla natura esterna, dai genitori, ed è un modello. Ci si trova con l’anima di fronte al proprio corpo come un artista di fronte al modello da copiare. Il secondo corpo, che al cambio dei denti sostituisce il primo, naturalmente a poco a poco, con un processo che dura appunto sette anni, è stato fatto da noi secondo il modello che ci è stato dato dai genitori. Solo dopo sette anni abbiamo il corpo che ci facciamo da noi. Tutto quel che la scienza ufficiale dice dell’ereditarietà è solo dilettantismo, in confronto alla realtà. In realtà riceviamo un corpo-modello che ci teniamo per sette anni. Naturalmente si comincia già nei primi anni a reprimerlo e a eliminarlo; poi si continua, e al cambio dei denti abbiamo il secondo corpo.

 

Ci sono anche individualità deboli: discendono deboli e formano il loro secondo corpo, che porteranno dopo il cambio dei denti, esattamente come il primo. Si dice che lo formino proprio come i genitori. Non è vero, lo formano secondo il modello. Solo nei primi sette anni della nostra vita abbiamo qualcosa di ereditario in noi. Naturalmente tutti siamo individualità deboli e copiamo molto, ma anche individualità forti, discendendo, ereditano parecchio nei primi sette anni di vita. Lo si può vedere dai denti. Si vede come i primi denti siano come addomesticati dall’ereditarietà. I secondi invece morsicano già bene e hanno le loro adeguate sporgenze. Così si formano ben bene le individualità forti. Ci sono poi bambini che a dieci anni sono copie dei genitori, come altri lo erano a quattro anni. Altri bambini invece, a dieci anni, sono del tutto cambiati. L’individualità forte si mostra; il modello viene usato, ma poi si forma un corpo indipendente.

 

Occorre considerare cose del genere. Non si fanno molti passi avanti con l’ereditarietà, se non si osserva veramente come sono le cose. L’ereditarietà, nel senso oggi usato dalla scienza, Vile solo per i primi sette anni di vita. Se poi si eredita dell’altra! potremmo dire che lo si fa volontariamente; in altre parole li Copia il modello. In realtà quel che si eredita con il primo corpo viene eliminato al cambio dei denti.

 

Fortissima è la parte animica discesa dal mondo spirituale, ma anche un poco impacciata perché deve adattarsi alla natura esterna. In verità nel bambino anche le azioni più maleducate sono deliziose. Dobbiamo certo essere un po’ conformisti e non lasciargli fare tutte le azioni poco educate. Proprio nel bambino si vede come lo spirito sia tormentato da demoni smodati. Il bimbo deve adattarsi in un mondo per il quale non è adatto. Sarebbe una terribile tragedia, se ciò si vivesse coscientemente. Se lo si dovesse vivere coscientemente, oppure se, avendo un’idea dell’iniziazione, si osservasse nel bambino con coscienza che cosa afferra il suo corpo, si dovrebbe dire: in sostanza è qualcosa di terribile doversi adattare a tutto quel complesso di ossa e di tendini che dapprima occorre modellare; è qualcosa di molto tragico. Il bimbo non ne sa niente, ed è bene, perché il Guardiano della soglia impedisce che ne sappia qualcosa.

 

Il maestro deve però saperlo. Deve porsi con grande rispetto di fronte al bambino e sapere: qualcosa di divino-spirituale è disceso sulla terra. Si tratta di saperlo, di lasciarlo agire sul cuore, e partendo da lì diventare maestro.

 

Esiste una grande differenza fra il modo di essere dell’uomo che si trova nella vita animico-spirituale prenatale, prima di discendere sulla terra, e come deve ulteriormente divenire. Il maestro deve poterne giudicare, perché nel bambino ha di fronte a sé gli effetti del mondo spirituale. C’è qualcosa che il bambino fa molta fatica ad acquisire, poiché nel mondo spirituale l’anima non ce l’ha.

 

Sulla terra all’uomo riesce difficilissimo osservare l’interno del proprio corpo. La cosa viene infatti tentata solo da scienziati e medici che sanno come è fatto l’essere umano entro la sua pelle. In genere si osserva che la maggior parte degli uomini neppure sa dove si trovi di preciso il cuore e lo indica in un posto non giusto. Si avrebbero le più straordinarie risposte se si dovesse chiedere a qualcuno come si distingue il polmone destro dal sinistro, oppure se gli si domandasse di descrivere il duodeno. Per contro, prima di scendere nella vita fisica, l’essere umano ha molto poco interesse per il mondo esterno, mentre ne ha molto per quella che possiamo chiamare la sua interiorità spirituale. Nella vita fra la morte e una nuova nascita si ha un interesse quasi esclusivo per la vita interiore dello spirito. Il karma viene formato secondo le esperienze delle vite terrene precedenti, e lo si intesse secondo la vita interiore dello spirito. Tale interesse è lontanissimo da quella caratteristica terrestre, da quella mania di sapere, che nella sua forma unilaterale si può anche chiamare curiosità. Ansia di sapere, curiosità nei riguardi della conoscenza esteriore della vita, non esistono prima della nascita, prima della discesa sulla terra; non si conoscono, e perciò il bambino ne ha ancora così poche.

 

Il bambino vive invece in ciò che lo circonda. Prima di scendere sulla terra viviamo in definitiva nell’universo. Tutto il mondo è la nostra interiorità; non vi è differenza fra interiorità e mondo esterno, e perciò non ne siamo curiosi. Lo portiamo in noi, è una cosa in cui viviamo con naturalezza.

 

Nei primi sette anni di vita in sostanza il bambino impara a camminare, parlare e pensare ancora nel modo in cui si comportava prima di scendere sulla terra. Se si cerca di fare in modo che il bambino diventi curioso per ogni parola, gli passerà la voglia di impararla. Contando sulla smania di sapere, sulla curiosità, si allontana dal bambino proprio ciò che dovrebbe avere. Proprio non si deve contare sulla curiosità, ma su qualcosa d’altro: che cioè il bambino si apra nel modo più naturale al maestro, che questi viva nel bambino. Tutto ciò che il bambino vive e gode deve essere come se fosse parte della sua interiorità. Si deve dare al bambino la stessa impressione che gli dà il suo stesso braccio; si deve essere semplicemente la continuazione del suo corpo. Si deve inoltre osservare quando il bambino cambia i denti e a poco a poco entra nel periodo fra i sette e i quattordici anni, come a poco a poco nasca la curiosità, l’ansia di sapere, e come si debba essere allora prudenti e pieni di tatto e stare attenti a come sorga a poco a poco la curiosità.

 

Il bambino piccolo è ancora come un sacco informe, in lui non si è destata la curiosità e su di lui dobbiamo fare impressione per ciò che noi stessi siamo. Il bambino è altrettanto poco curioso per ciò che lo circonda, quanto lo può essere un sacco di farina. Ma come si possono lasciare impronte durevoli su di un sacco di farina, specialmente se la farina è ben macinata, così anche dal bambino piccolo tutto viene conservato, non perché è curioso, ma perché noi siamo un’unità con lui.

 

La situazione si modifica solo col cambio dei denti. Si deve allora badare a che cosa il bambino domandi: questo che cos’è? con che cosa guardano le stelle? perché in cielo ci sono le stelle? perché hai il naso storto, nonnina? Il bambino chiede di tutto: diventa curioso per ciò che lo circonda. Bisogna avere una grande sensibilità per osservare come a poco a poco sorgono le curiosità e l’attenzione col cambio dei denti. Sorgono proprio in quegli anni e occorre andar loro incontro. Bisogna che il bambino si formi un’idea di ciò che si fa con lui, vale a dire che bisogna avere il massimo interesse per quel che si desta nel bambino col cambio dei denti.

 

E ciò si desta in modo straordinario. La sua curiosità non nasce dall’intelletto (a sette anni non ha ancora l’intelletto sviluppato, e chi lo crede sbaglia proprio di grosso), ma il bambino di sette anni ha fantasia, e su questa bisogna contare. Molto dipende dall’aver noi sviluppato il concetto di “latte animico”. Dalla nascita si dà al bambino latte fìsico. È un alimento che ha in sé tutto ciò che a lui è necessario. Egli assume il latte e ha così un nutrimento completo. Dopo i sette anni nulla gli si deve dare di speciale, tutto deve essere latte animico. Quando, dopo il cambio dei denti, il bambino va a scuola, tutto quel che gli si dà deve esser parte di un’unità: è latte animico. Insegnargli una volta a leggere e un’altra volta a scrivere sarebbe come separare chimicamente il latte in due parti, per darle separate. Leggere e scrivere, tutto deve essere un’unità. Latte animico, occorre inventare questo concetto per quando i bambini entrano nella scuola elementare.

 

La cosa è solo possibile basando l’insegnamento e l’educazione, dopo il cambio dei denti, sull’arte che deve penetrare dappertutto. Formazione artistica dell’insegnamento della scrittura, in modo che essa sorga dal dipingere (domani ne parlerò più in particolare), formazione artistica nel passaggio dallo scrivere, che anche deve sorgere dal dipingere, al leggere, formazione artistica del leggere e dello scrivere, legati ai semplici conti che il bambino deve fare; tutto deve essere un’unità. Tutte queste cose devono essere formate come un latte animico e sono necessarie per il bambino che entra nella scuola elementare.

 

Quando poi il ragazzo arriva alla pubertà ha invece bisogno di “latte spirituale”. Per l’umanità odierna ciò è difficilissimo, perché nella nostra epoca materialistica non abbiamo quasi più spirito. Se dobbiamo però formare latte spirituale, la cosa diventa difficilissima; negli anni in cui i ragazzi e le ragazze non sono né carne né pesce, dobbiamo un poco lasciarli a loro stessi, perché noi non abbiamo latte spirituale.

 

Con questo volevo oggi dare solo un’idea per avviare il cammino. Domani continueremo con le nostre considerazioni, entrando nei particolari.