La concretezza della scienza dello spirito in astronomia

O.O. 323 – Rapporto delle diverse scienze con l’astronomia – 01.01.1921


 

Sommario: In merito al titolo del corso. Distinzione fra le diverse scienze. Osservazione e dimostrazione. La matematica e la meccanica in astronomia da Copernico e Galileo. Sua necessità nell’evoluzione umana moderna, che tende a concetti precisi. Kant, Du Bois-Reymond, Newton. Incomprensione fra matematici e medici. Ossa lunghe e ossa craniche. Goethe, Oken, Gegenbaur. La matematica moderna non si occupa della realtà. Mancano le basi per una scienza sociale. Il ponte fra astronomia ed embriologia. La cellula e il cosmo. La concretezza della scienza dello spirito in astronomia e l’astrazione di Du Bois-Reymond. Il nesso fra embriologia e astronomia e quello fra scienza naturale e scienza sociale.

 

Desidero iniziare con un’introduzione alle spiegazioni che darò nei prossimi giorni, in modo che gli ascoltatori si possano orientare circa il motivo di queste conferenze. Non sarà mio compito trattare un tema ristretto, ma offrire ulteriori punti di vista al riguardo, con uno scopo ben preciso. Pregherei dunque di non chiamare questo corso “Corso di astronomia”: non intende esserlo. Tratterà qualcosa che a me sembra molto importante in questo momento; ho quindi scelto il titolo Il rapporto delle diverse scienze con l’astronomia. Oggi dunque spiegherò che cosa intendo con questo titolo.

 

Dovranno cambiare un po’ di cose nel campo della cosiddetta vita scientifica, e abbastanza rapidamente se essa non vorrà decadere del tutto. Alcuni campi scientifici, che ora sono riuniti sotto certe designazioni e che sono insegnati come tali nelle scuole usuali, dovrebbero essere separati e raggruppati in modo diverso. L’attuale suddivisione non ci permette assolutamente di avere idee corrispondenti alla realtà. D’altra parte la vita odierna è talmente abituata a questa suddivisione che essa influenza anche la distribuzione delle cattedre universitarie. Al massimo si suddividono i vari campi scientifici in specialità e si cercano singoli specialisti. Tutto ciò dovrà essere cambiato, in quanto si presenteranno nuove categorie; vedremo così riuniti in un nuovo campo scientifico argomenti che ora sono trattati, ad esempio, nella zoologia o nella fisiologia o anche magari nella gnoseologia. Dovranno cosi scomparire gli antichi raggruppamenti che lavorano soprattutto mediante astrazioni. Si dovranno quindi creare rapporti scientifici del tutto nuovi, e ciò incontrerà qualche difficoltà, perché oggi la gente è istruita secondo determinate categorie scientifiche e trova solo con difficoltà la via per riconoscere i necessari rapporti fra le scienze, in base alla loro realtà.

 

Per dirlo schematicamente: oggi abbiamo un’astronomia, una fisica, abbiamo una chimica e una filosofia, una biologia, anche una matematica e così via; in ognuna di esse sono stati stabiliti campi specifici affinché gli specialisti non debbano faticare troppo per sentirsi a loro agio, e anche perché possano impadronirsi senza troppo lavoro della letteratura sull’argomento, la quale tende a estendersi all’infinito. Si dovranno invece creare nuovi campi, composti in modo del tutto diverso, affinché un campo comprenda, ad esempio, qualcosa di astronomia, qualcosa di biologia e così via. Ciò porterà a una nuova formazione di tutta la nostra vita scientifica; e quella che chiamiamo scienza dello spirito, la quale intende essere qualcosa di universale, dovrà lavorare in questa direzione. Sarà suo compito operare in questo senso. Con le antiche suddivisioni non si può più andare avanti. Le nostre università sono ormai del tutto distaccate dalla realtà; formano matematici, fisiologi, filosofi che non hanno alcun particolare rapporto con il mondo. Non possono che lavorare nei loro campi limitati, rendendo il mondo sempre più astratto e inverosimile. Vorrei rendere giustizia a questa necessità nel corso di queste conferenze e mostrare come, col passare del tempo, sia impossibile mantenere le antiche suddivisioni. Mostrerò quindi come alcuni campi, che oggi non si occupano di astronomia, richiedano invece determinati rapporti con una conoscenza universale dello spazio, con l’astronomia appunto; così che alcune conoscenze astronomiche dovranno emergere in altre discipline, se queste ultime vogliono arrivare ad essere reali.

Queste conferenze tratteranno dunque di come creare un ponte tra le varie discipline e l’astronomia e ritrovare in esse, in modo giusto, quel che si riferisce all’astronomia.

 

Per non essere frainteso, premetto alcune osservazioni di metodo. Il modo consueto di esporre nella scienza dovrà subire alcuni cambiamenti, proprio perché esso deriva dalla odierna struttura che dovrà essere superata. Quando oggi si indica qualcosa cui l’uomo non riesce a giungere con i suoi attuali strumenti scientifici, si usa dire che è un assioma e non va dimostrato. È così perché oggi, nell’attività scientifica, si è costretti a presentare dapprima come un’osservazione le cose che poi dovranno essere verificate, via via che saranno mostrati i fatti che contribuiscono alla verifica. Non si può dunque fare in modo che sin dall’inizio tutto si presenti così che nessuno possa obiettare che non è dimostrato e verificato: questo avverrà nel corso del tempo; prima però dovrà essere presentato come un derivato dall’osservazione affinché sia costruito il concetto corrispondente, la corrispondente idea. Prego quindi di considerare queste conferenze come un tutto e di aspettare le ultime per confermare e dimostrare alcune idee espresse nelle prime in apparenza solo buttate lì. Saranno così verificati diversi argomenti che al principio tratterò solo in modo da presentare concetti e idee.

 

Quella che oggi chiamiamo astronomia è, insieme con l’astrofisica, una creazione sostanzialmente recente. Prima di Copernico e di Galileo si pensava in modo del tutto diverso. Ai nostri giorni è difficilissimo spiegare quale fosse il pensiero astronomico dei secoli XIII e XIV, oggi divenutici del tutto estranei. Viviamo infatti, e in un certo senso ciò è ben giustificato, nelle idee create a partire dal tempo di Galileo, Keplero, Copernico, le quali trattano in sostanza i fenomeni celesti in modo matematico-meccanico. Alla base dello studio di questi fenomeni si pongono dati ottenuti da una conoscenza astratta della matematica o della meccanica. Si tiene conto di distanze, movimenti e forze, ma l’umanità attuale ha del tutto perduto la prospettiva qualitativa che esisteva ancora nei secoli XIII e XIV; allora si riconoscevano le individualità degli astri, l’individualità di Giove e quella di Saturno, oggi per noi del tutto perdute. Non intendo ora criticare, ma solo ricordare che il metodo meccanico-matematico è attualmente l’unico per lo studio dell’astronomia. Anche se non comprendiamo la matematica e la meccanica e se le nostre conoscenze sugli astri sono elementari, ce le siamo comunque procurate secondo concetti spazio-temporali, ossia matematico-meccanici. Secondo i nostri contemporanei, che credono di poter pronunciare giudizi definitivi sull’argomento, non esiste che questo modo per osservare il cielo stellato, e tutto il resto è roba da dilettanti.

 

Chi si domanda come oggi si sia giunti a questa visione del firmamento, otterrà, da coloro che considerano il punto di vista della scienza odierna come qualcosa di assoluto, una risposta diversa dalla nostra. Costoro diranno infatti: anticamente l’umanità non aveva idee scientifiche molto chiare; ci siamo arrivati solo ora che siamo giunti alla conoscenza oggettiva matematico-meccanica dei fenomeni celesti, fondata su dati reali. In altre parole diranno: gli antichi avevano una visione soggettiva dei fenomeni celesti; l’umanità moderna è riuscita ad avere un’idea strettamente scientifica della realtà.

 

Noi non possiamo dare questa risposta, ma dobbiamo osservare l’evoluzione dell’umanità che, nel corso della sua esistenza, ha acquisito diverse forze entro la propria coscienza e dobbiamo dire: l’osservazione dei fenomeni celesti fatta dai Babilonesi, dagli Egizi, e forse anche dagli Indiani, era segnata da una determinata evoluzione delle forze dell’anima.

 

Tali forze dovettero evolversi allora secondo la stessa intima necessità per cui un bambino fra i dieci e i quindici anni deve sviluppare determinate forze animiche, così come in altri periodi ne sviluppa altre. In modo corrispondente, l’umanità cambia il tipo di indagine secondo le epoche.

 

Poi è venuto il sistema tolemaico, e in seguito quello copernicano, prodotti ciascuno da forze diverse dell’anima. Sono forze che non si sono sviluppate perché siamo felicemente passati da una concezione infantile all’obiettività, ma perché a partire dalla metà del secolo XV all’umanità si sono rese necessarie facoltà matematico-meccaniche che prima non erano presenti. All’umanità tali forze sono necessarie, e per questo vediamo i fenomeni celesti nel loro aspetto matematico-meccanico. Li vedremo diversamente, quando l’umanità avrà sviluppato per il proprio bene e la propria salute altre forze dal fondo dell’anima. Dipende dall’umanità l’aspetto della conoscenza, e non si deve credere con superbia che un tempo gli uomini avessero idee infantili e che solo ora si è giunti all’oggettività valida per tutti i tempi futuri.

 

L’umanità attuale ha una fortissima esigenza, che ha pure influenzato lo studio delle scienze: da un lato l’esigenza di concetti matematici che si possono facilmente dominare, dall’altro di avere idee che diano una forte costrizione interiore. L’uomo moderno diventa insicuro e nervoso, non appena perde la costrizione interiore, come ce l’ha nel giudizio che è alla base del teorema di Pitagora, e sente di dover decidere da solo, perché la figura disegnata non può decidere per lui, di dover sviluppare attività dell’anima; allora non procede più, dice che così non si è più nella scienza esatta e si diventa soggettivi. In fondo, è terribilmente passivo. Vorrebbe essere portato al guinzaglio da concatenazioni del tutto oggettive. Gli basta la matematica, almeno in massima parte, e dove essa non basta, dove l’uomo dei tempi moderni interviene col proprio giudizio, crede di essere ancora esatto, ma incappa nelle più incredibili idee. Nella matematica e nella meccanica si sente portato al guinzaglio dai concetti stessi, sente il terreno sotto i piedi, ma appena ne esce non procede più. L’umanità moderna ha bisogno, per la propria salute, di questa trasparenza e di questa costrizione. Su quelle basi si è formata la struttura speciale dell’astronomia moderna come immagine del mondo. Non parlo delle singole verità, ma della immagine del mondo globale.

 

Tutto ciò è penetrato talmente nella coscienza dell’umanità, che si è arrivati a considerare come non scientifico ciò che non può essere trattato nel modo indicato. Da qui la frase di Kant* che dice: «Affermo che in ogni dottrina scientifica esiste solo tanta reale scienza, quanta matematica vi si può riscontrare». Dovremmo cioè introdurre in tutte le scienze l’aritmetica o la geometria (anche se non sempre è possibile, perché le più semplici idee matematiche non riguardano, ad esempio, chi studia medicina. La scienza attuale, così come è articolata, non può più parlare in questo caso di semplici idee matematiche). Così si è arrivati a porre come ideale ciò che chiamiamo conoscenza astronomica. Lo formulò Du Bois-Reymond nel suo discorso sui limiti della conoscenza della natura, dicendo che noi soddisfacciamo la nostra esigenza di causalità solo con ciò che può diventare per noi conoscenza astronomica.

 

Per studiare i fenomeni celesti disegniamo quindi mappe celesti con le stelle e facciamo calcoli con i dati che troviamo. Possiamo indicare con precisione: qui c’è un astro che esercita la sua forza di attrazione sugli altri. Cominciamo a calcolare, e gli oggetti del calcolo ci risultano evidenti. Ecco che cosa abbiamo immesso nell’astronomia. Osserviamo ora la molecola. Quando le cose si complicano, troviamo atomi che si attirano a vicenda e ruotano attorno reciprocamente: abbiamo un piccolo universo. Noi osserviamo la molecola secondo il modello del cielo stellato e chiamiamo questo processo “conoscenza astronomica”. Consideriamo gli atomi come piccoli astri, la molecola come un piccolo sistema, e siamo soddisfatti di riuscirci. C’è però una differenza: quando guardiamo il cielo stellato ci sono dati tutti i particolari, e tuttalpiù possiamo domandarci se li mettiamo nel giusto rapporto o se vi è qualche differenza rispetto alle indicazioni di Newton. Tessiamo cosi una rete matematica; essa in realtà è stata aggiunta, ma soddisfa le esigenze scientifiche dell’umanità moderna. Introduciamo poi quel sistema che abbiamo escogitato prima, e quanto prima era un dato ora lo aggiungiamo noi nel mondo di molecole e atomi, e soddisfiamo la nostra necessità di causalità dicendo: se si muovono così quelle che consideriamo le particelle più piccole, lo stesso varrà oggettivamente per la luce, per il suono, per il calore e così via. Noi introduciamo conoscenze astronomiche in tutti i fenomeni e soddisfacciamo così la nostra esigenza di causalità. Du Bois-Reymond disse chiaramente: «Dove non si può fare così, non esistono spiegazioni scientifiche».

 

A ciò che così viene fatto valere si dovrebbe essere conformi, volendo avere, ad esempio, una terapia razionale, ossia studiare l’efficacia di un rimedio, nella cui sostanza si dovrebbero poter osservare gli atomi come si osservano il Sole, la Luna e le stelle fisse. Dovremmo avere tanti piccoli sistemi cosmici. Per mezzo di calcoli si dovrebbe poter dire quale sarà l’azione del rimedio. Molti avevano questo ideale, sino a poco tempo fa, ma ora è stato abbandonato. Il fallimento si è avuto non solo nei campi più remoti, come la terapia razionale, ma anche in altri più comuni, proprio perché le nostre scienze sono articolate come lo sono oggi. Il medico attuale è in effetti formato in modo da non richiedere quasi del tutto la matematica. Gli si può magari parlare della necessità di conoscenze astronomiche, ma a nulla si arriva dicendogli di inserire conoscenze matematiche nel suo campo. Dunque, tutte le conoscenze che non derivano dalla matematica, dalla meccanica e dall’astronomia dovrebbero essere dette non scientifiche in senso stretto. Naturalmente non lo si fa, e si definiscono esatte anche le altre scienze; ma è un’incongruenza. Comunque, è caratteristico della nostra epoca aver formulato l’esigenza di comprendere tutto secondo il modello astronomico.

 

Mostrerò con un esempio quanto sia difficile trattare a fondo certi argomenti. Nella moderna biologia ha avuto grande importanza la questione della forma delle ossa del cranio umano. Ne ho parlato più volte in altre conferenze. Goethe e Oken formularono importanti ipotesi. Poi la scuola di Gegenbaur fece ricerche ormai classiche. Però, ancora oggi nulla abbiamo che soddisfi il desiderio profondo di conoscenza in questo campo; si discute ancora se Goethe avesse ragione o torto quando affermava che le ossa craniche sono vertebre trasformate, ma non si arriva ad alcuna conclusione sull’argomento, perché non si è capiti quando se ne parla, oppure perché quelli che potrebbero capire non se ne interessano. Oggi non si otterrebbe una riunione utile mettendo insieme un vero medico moderno, un vero matematico moderno, ossia uno che padroneggi la matematica superiore, e una persona che possa comprendere abbastanza bene i due. Queste tre persone non arriverebbero quasi a intendersi. Quella al centro potrebbe parlare un poco sia col medico sia col matematico, ma il matematico e il medico non potrebbero intendersi su questioni importanti, perché il primo non si interessa di quel che può dire il medico, e ciò che dice o può dire il matematico, quando parla, non è compreso dal medico perché non ha le necessarie basi matematiche. Ciò rende appunto evidente il problema che ho presentato.

 

Oggi si pensa che se le ossa craniche sono vertebre trasformate, ciò avviene per una metamorfosi diretta da vertebre a ossa craniche che si possa pensare nello spazio. Non si riesce però a estendere questa idea anche alle ossa lunghe, per le ragioni già esposte. Sulla base dei propri studi, il matematico può oggi rappresentarsi che cosa significhi rovesciare un guanto, rivoltare all’esterno una parte interna. Ci si deve allora immaginare un procedimento matematico che porti all’esterno ciò che è all’interno e viceversa. Disegnerò schematicamente (fig. 1) una forma qualsiasi che prima sia bianca fuori e rossa dentro. La rovesciamo come un guanto, così che ora sia rossa all’esterno e bianca all’interno (fig. 2).

 

 

Immaginiamo ora che la forma abbia forze interiori e che non possa semplicemente essere rovesciata come un guanto (che, se pur rovesciato, conserva la propria forma). Immaginiamo invece che la forma abbia forze diverse all’interno e all’esterno. Così vedremo che, rovesciandola, si produrrà una forma tutta diversa. Prendiamo dunque la forma come era prima di essere rovesciata (fig. 1). Se la rovesciamo, agiscono forze diverse nel bianco e forze diverse nel rosso; la conseguenza è che forse, rovesciandola, si otterrà la forma della figura 3. È possibile ottenere questa forma, rovesciando la forma originaria. Quando il rosso era all’interno non poteva sviluppare la propria forza; ora lo può, se è all’esterno. Lo stesso vale per il bianco, che riesce così a sviluppare la propria forza.

 

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È perfettamente pensabile sottoporre questo procedimento a un trattamento matematico, ma oggi non si è portati ad applicare questi concetti alla realtà. Nel momento in cui però si cerca di applicarli alla realtà, si riconosce nelle nostre ossa lunghe (femore, tibia, radio, omero e perone) una forma che, rovesciata, dà le ossa del cranio. Indico qui col rosso la parte interna fino al midollo (fig.. 4), l’esterna con il bianco.

 

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All’interno abbiamo la struttura, i rapporti di forze che possiamo esaminare, e verso l’esterno ciò che vediamo togliendo i muscoli dalle ossa lunghe. Pensando ora che le ossa lunghe siano rovesciate come già indicato, si otterrà la figura 5.

 

Ora il bianco è all’interno e il rosso all’esterno, ed è in realtà il rapporto tra le ossa lunghe e le ossa craniche. In mezzo si trovano le ossa della colonna vertebrale. Rovesciando un osso lungo secondo le forze che agiscono al suo interno, si otterrà un osso cranico. La metamorfosi da ossa lunghe a ossa craniche può essere intesa solo pensando questo rovesciamento. Se ne comprende appieno il significato, pensando che ciò che delle ossa lunghe si rivolge all’esterno, è rivolto all’interno nelle ossa craniche, ossia che queste si rivolgono a un mondo interno al cranio. Questo è un mondo; verso di esso sono orientate le ossa craniche, mentre le ossa lunghe sono orientate verso l’esterno, verso il mondo esterno. Tutto ciò è abbastanza visibile nel sistema osseo. Tutto il nostro organismo è orientato in questo modo: l’organizzazione del cranio verso l’interno, quella degli arti verso l’esterno. Il cranio comprende un mondo interno, gli arti un mondo esterno, e fra i due il sistema ritmico serve da compensazione.

 

Leggendo un testo qualsiasi sulla teoria delle funzioni o sulla geometria non euclidea, si vede quanto acume è stato adoperato per passare dai concreti concetti geometrici allo spazio tridimensionale, per ampliare la geometria euclidea. Ora, a chi è diventato grande matematico e conosce anche la teoria delle funzioni con tutto ciò che oggi si può comprendere della geometria non euclidea, vorrei a questo punto fare una domanda (scusandomi se posso sembrare poco rispettoso dell’argomento, ma è forse il solo modo di esprimersi nei riguardi delle tendenze attuali). Vorrei dunque pregare i matematici più specializzati di chiedersi: che cosa ce ne facciamo di tutte queste riflessioni matematiche?

 

Certo, gli studiosi non si interessano del campo in cui esse possano venir applicate. Se però si riferisse all’organismo umano tutto ciò che si è studiato con la geometria non euclidea, ci si troverebbe nei fatti concreti e si potrebbero applicare cose veramente importanti alla realtà, senza lasciarsi trasportare in vane speculazioni. Se il matematico fosse realmente portato a interessarsi della realtà, a interessarsi ad esempio dell’aspetto del cuore, ad avere un’idea di come si potrebbe rovesciare il cuore secondo procedimenti matematici e ottenere così l’intera figura umana, se fosse portato a fare matematica in questo modo, allora la matematica entrerebbe nella realtà. Non si avrebbe più, da un lato, il matematico che non si interessa degli studi del medico e, dall’altro, il medico che non comprende il matematico che trasforma le figure in modo puramente astratto.

 

Dobbiamo superare queste condizioni, se vogliamo evitare l’arenarsi delle nostre scienze che ora si differenziano sempre di più, fino al punto che gli studiosi non si capiranno più fra di loro. Come fare per portare la scienza alle osservazioni scientifico-sociali, come richiede l’argomento che tratterò in queste conferenze? Non esiste una scienza che possa essere trasformata in scienza sociale.

 

Abbiamo dunque da un lato l’astronomia, che è portata sempre più verso il pensiero matematico e che è diventata grande proprio perché è una scienza puramente meccanico-matematica. Di contro all’astronomia vi è un altro polo, che senza di essa non può essere studiato secondo realtà nelle attuali condizioni della scienza. Nemmeno è possibile costruire un ponte fra l’astronomia e l’altro polo della scienza che è appunto l’embriologia. La verità è studiata solo da chi studia il cielo stellato da un lato e dall’altro lo sviluppo dell’embrione umano. Ma come si studia oggi, di norma, l’embrione umano? Si dice: l’embrione umano è prodotto dall’azione di due cellule: la cellula maschile e quella femminile.

 

Esse si sviluppano nell’organismo fino a raggiungere una certa indipendenza, fino a rappresentare un’opposizione; riunendosi, una cellula suscita nell’altra nuove possibilità di sviluppo, come accade nella cellula femminile. Partendo da qui, si studia la citologia. Ci si chiede che cosa sia una cellula. Si sa che la biologia si fonda sulla citologia fin dal primo terzo del secolo XIX. Si dice: una cellula è una sfera più o meno piccola di una sostanza albuminosa; ha al suo centro un nucleo che presenta una struttura differente, ed è circondata da una membrana che la delimita; è il primo elemento delle strutture organiche. Anche le cellule della riproduzione sono cosi costituite, con differenze secondo il sesso, e ogni organismo complesso è costituito da cellule.

 

Che cosa si intende, dicendo che ogni organismo è costituito da tali cellule? Si intende che le sostanze che si trovano in natura sono accolte nelle cellule, ove agiscono meno direttamente che in natura. Se tali cellule contengono ad esempio ossigeno, azoto e carbonio, quest’ultimo non agisce come di solito su un’altra sostanza esterna, ma gli è tolto questo effetto diretto. Ora è all’interno dell’organismo cellulare e agisce appunto come può agirvi, ossia non direttamente; ma la cellula utilizza le qualità speciali del carbonio, inglobandone una certa quantità. Il ferro, il metallo dell’organismo umano agisce solo attraverso la cellula, che è il mattone.

 

Così, studiando l’organismo si risale fino alla cellula. Considerando la massa della cellula, senza la membrana e senza il nucleo vi si possono vedere due parti distinte: una parte trasparente liquida e un’altra che forma come un’armatura. Si può così disegnare una cellula schematicamente come nella figura 6: dovremmo pensarla come costituita da una massa liquida che non ha forma propria e da un’armatura che ha forme strutturate nei modi più vari. Più o meno la si studia così.

 

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Fig. 6

 

Alcune sue parti sono colorabili, altre no. Utilizzando sostanze coloranti, come carminio o zafferano, ne appaiono la forma visibile t la struttura interna, e le si studia. Si vede, ad esempio, come cambi la struttura interna della cellula femminile dopo che sia stata fecondata. Si seguono i vari stadi, le varie scissioni, le moltiplicazioni di cellule, fino a quando si è raggiunta una formazione complessa. Si studia tutto ciò, ma non ci si chiede da che cosa dipenda tutta la vita della cellula, quale ne sia l’origine. Non si pensa di chiederselo.

 

Possiamo intendere in modo più astratto quel che vi è nella cellula, se la prendiamo, tanto per cominciare, nel suo aspetto più frequente: la sfera. La forma sferica è prodotta dalla sostanza liquida e contiene l’armatura; ma la forma sferica che cosa è? La massa liquida è abbandonata a se stessa, e quindi segue gli impulsi che la circondano. Ma che fa? Ripete la forma del cosmo. La cellula ha la forma sferica perché ripete in piccolo la forma del cosmo, che pensiamo idealmente come una palla, una sfera. Ogni cellula con la sua forma sferica non è altro che la replica della forma di tutto il cosmo.

A sua volta l’armatura con tutte le linee che vi sono tracciate, dipende dai rapporti strutturali del cosmo.

 

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Mi esprimo ora in astratto: immaginiamo la sfera del cosmo delimitata idealmente (fig. 7) e al suo interno due pianeti (a, dj). Gli impulsi delle loro influenze reciproche agiscono lungo la linea indicata (a-a}). In m abbiamo una cellula la cui forma riprende quella della sfera. All’interno, la sua armatura solida dipende dall’effetto del pianeta a sul pianeta dj (fig. 8). Ammettiamo di avere un altro gruppo di pianeti: b e b{ che si influenzano a vicenda, con un altro pianeta c che non ha contrapposizione. Ciò deforma tutto il quadro che altrimenti sarebbe magari ad angoli retti.

 

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Fig. 8

 

La formazione prende quindi un aspetto diverso. Nella struttura cellulare si ha la riproduzione dei rapporti del sistema planetario, del sistema stellare. Si può esaminare in concreto la struttura della cellula, e se ne trova la spiegazione solo vedendo nella cellula l’immagine del cosmo.

 

Esaminiamo ora una cellula femminile e immaginiamo che essa porti le forze cosmiche a un certo equilibrio interno, immaginiamo che le forze abbiano preso la forma di una certa armatura e che in quella forma esse siano in quiete, sostenute dall’organismo femminile. Abbiamo a questo punto l’effetto della cellula maschile, che non ha acquietato il macrocosmo in sé, ma che agisce come una forza speciale. Diciamo che la cellula maschile agisce su quella femminile in riposo, proprio secondo questa linea di forza. L’intervento disturba le condizioni di quiete, e la cellula [femminile], che è immagine del macrocosmo, è portata a inserire di nuovo la propria struttura macrocosmica nel gioco alterno delle forze. Nella cellula femminile l’immagine del macrocosmo è tranquilla, e dalla quiete è strappata dalla cellula maschile che la porta a muoversi di nuovo in un particolare campo di forze. Si era composta in quiete a immagine del cosmo, ma è riportata in movimento dalle forze maschili che sono invece in movimento. Le forze femminili, immagine del cosmo e dapprima in quiete, sono ora squilibrate e portate a muoversi.

 

Abbiamo così modo di vedere la forma e la struttura delle cose più piccole, delle cellule, partendo dall’astronomia. Non si potrà studiare embriologia senza astronomia, perché ciò che mostra l’embriologia è il polo opposto dell’astronomia. Dobbiamo seguire i vari stadi del cielo stellato, e poi seguire lo sviluppo di una cellula germinativa fecondata. Le due cose vanno studiate insieme, perché sono una l’immagine dell’altra. Se nulla si sa di astronomia, mai si comprenderanno le forze che agiscono nell’embrione. Se d’altra parte non si comprende l’embriologia, mai si comprenderà il senso delle forze alla base dell’astronomia, perché esse appaiono in piccolo nei processi embriologici.

 

Si può pensare di fondare una scienza in cui da un lato si facciano calcoli e si descrivano i processi astronomici, e dall’altro si descriva tutto ciò che vi corrisponde nell’embriologia, l’altro aspetto della stessa scienza.

 

Guardiamo ora la situazione attuale della scienza: l’embriologia è studiata come tale, e si sarebbe considerati pazzi se si pretendesse che oggi un embriologo studi astronomia per comprendere i fenomeni della propria disciplina. Pure, è così. Sarebbe invece necessario raggruppare diversamente le diverse scienze. Non si dovrebbe diventare embriologo senza aver studiato astronomia. Non si potranno istruire uomini che dirigano semplicemente occhi e telescopi sugli astri. Studiare gli astri senza sapere che il macrocosmo è ripetuto nel microcosmo non ha senso alcuno.

 

Tutto ciò che pure è concreto, si è trasformato in completa astrazione nelle scienze. Pensiamo però se ci fosse una realtà per cui si potesse dire: nella citologia, e specialmente nell’embriologia, si devono introdurre conoscenze di astronomia. Se Du Bois-Reymond avesse detto: “si deve utilizzare in concreto l’astronomia nello studio delle cellule”, sarebbe stato nella realtà. Ha invece preteso qualcosa che non corrisponde ad alcuna realtà, qualcosa di inventato: la molecola. Gli atomi della molecola vanno studiati astronomicamente, e si deve ricercare secondo la matematica astronomica che è stata applicata al cielo stellato. Da un lato abbiamo dunque la realtà: il movimento, l’effetto delle forze degli astri e lo sviluppo dell’embrione in cui non vive altro che ciò che vive nel mondo degli astri. Qui è la realtà, qui andrebbe ricercata. Dall’altro lato abbiamo l’astrazione. Il matematico, il meccanico, calcola i movimenti e gli effetti delle forze dei corpi celesti e inventa la struttura molecolare, alla quale applica le proprie conoscenze astronomiche. Così egli si è allontanato dalla vita e vive in piena astrazione.

 

Dobbiamo considerare che dobbiamo rinnovare con piena coscienza ciò che nei tempi antichi in un certo senso esisteva già. Se ritorniamo ai misteri egizi, ritroviamo osservazioni astronomiche secondo l’uso di quei tempi. Esse non servivano solo per conoscere le future eclissi di Sole e di Luna, ma anche quel che sarebbe successo nell’evoluzione sociale. Secondo quel che si vedeva nel cielo, ci si regolava per dire al popolo come agire e che cosa andava introdotto nell’evoluzione sociale. Astronomia e sociologia erano considerate una cosa sola. Anche noi dobbiamo imparare, seppure in modo diverso dagli Egizi, a collegare quel che avviene in campo sociale con i fenomeni dell’universo. Non comprendiamo ciò che è avvenuto alla metà del secolo XV, se non lo colleghiamo agli eventi cosmici di quel tempo. Chi tratti le trasformazioni del mondo civile di allora senza tenerne conto, è come un cieco nato che parli di colori. La scienza dello spirito è un inizio. Non possiamo collegare il difficile campo della sociologia, delle scienze sociali, allo studio della natura, se prima non riavviciniamo l’astronomia all’embriologia, se non colleghiamo i fatti dell’embriologia con i fenomeni astronomici.

 

Questo volevo dire oggi come introduzione; lo continueremo domani.