La soluzione nella triarticolazione.

O.O. 340 – I capisaldi dell’economia – 24.07.1922


 

Sommario: L’economia politica è cominciata quando la vita economica moderna era già molto complicata. I suoi tre periodi: l’istintiva economia mercantile in Inghilterra, nel primo, la cosciente economia industriale in Germania, nel secondo, il periodo statale nel terzo. Polarità fra Inghilterra e Germania. La soluzione nella triarticolazione. Il metodo in economia: concetti ponderabili e imponderabili. La vita economica fra natura e capitale. Le idee economiche devono essere viventi. Intromissioni dello Stato nella vita economica. La Terra come organismo economico e sociale.

 

Oggi desidero iniziare con una specie di introduzione, per proseguire poi domani con ciò che in un certo senso deve risultare un tutto, in merito ai problemi economici e sociali che l’uomo deve porsi nel nostro tempo.

 

L’economia politica, quale viene trattata attualmente, è in realtà una creazione recente. In sostanza essa è sorta appena nel periodo in cui la vita economica dei popoli moderni si era già molto complicata rispetto alle condizioni economiche precedenti. E poiché vogliamo articolare questo corso in modo che esso sia soprattutto adatto per studiosi di economia politica, come introduzione si dovrà indicare la speciale caratteristica del modo di pensare economico.

 

Non occorre nemmeno risalire molto indietro nella storia per constatare che la vita economica, anche solo durante il secolo diciannovesimo, ha subito un profondo cambiamento. Si osservi per esempio come l’Inghilterra, dal punto di vista dell’economia, avesse struttura moderna già nella prima metà del secolo diciannovesimo, così che nel corso di quel secolo là sua struttura economica ebbe relativamente poche mutazioni radicali. I grandi problemi sociali che si sono innestati di recente sui problemi economici, si erano fatti sentire in Inghilterra già nella prima metà del secolo diciannovesimo, e fin da allora coloro che cominciavano a pensare in senso moderno sull’economia politica potevano fare i loro studi in Inghilterra, mentre in Germania, a quella medesima epoca, tali studi sarebbero dovuti rimanere infruttuosi. In Inghilterra le grandi relazioni commerciali si erano già stabilite nel primo terzo del secolo diciannovesimo e il loro sviluppo aveva portato l’economia inglese a crearsi una base nel capitale commerciale. In quel paese la nuova economia poteva dunque prendere le mosse dal capitale commerciale connesso con i traffici e da essi aumentato e consolidato, appunto già nel primo terzo del secolo. Da quell’epoca in poi, in Inghilterra tutto si svolse con una certa logica consequenzialità. Però non si deve dimenticare che l’intera economia inglese fu solo possibile sulla base del rapporto della madrepatria con le colonie e specialmente con l’India. Tutta l’economia inglese non è concepibile senza il rapporto dell’Inghilterra con l’India. Ciò significa in altre parole che l’economia inglese, con la sua possibilità di accumulare grandi capitali, è edificata sul fatto di avere alle spalle un territorio in certo modo economicamente vergine. Tutto questo va tenuto presente, tanto più se dall’economia inglese passiamo ora a considerare quella tedesca.

 

Vediamo per esempio che quest’ultima, nel primo terzo del secolo diciannovesimo, risponde ancora in sostanza alle usanze economiche derivate dal medioevo. In Germania le usanze e le relazioni economiche sono in questo periodo ancora quelle del passato. Sicché nel primo terzo, anzi nella prima metà del secolo diciannovesimo, tutto il ritmo della vita economica in Germania era diverso da quello che si svolgeva in Inghilterra dove, nella prima metà del secolo, già si teneva conto del rapido mutarsi delle abitudini di vita. Qui la vita economica, nelle sue linee generali, è ancora sostanzialmente la stessa, ma già si tiene conto del rapido mutare delle abitudini. In Germania invece, queste abitudini sono conservatrici, e la vita economica può ancora progredire a passi di lumaca, può adattarsi al fatto che le condizioni, dal punto di vista tecnico, rimangano per lungo tempo press’a poco invariate, e che anche le esigenze non mutino rapidamente.

 

Ma nel secondo terzo del secolo diciannovesimo, si verificò in questo campo un rivolgimento. Lo sviluppo dell’industria fece sì che le condizioni andassero rapidamente somigliando a quelle inglesi. La Germania, che nella prima metà del secolo diciannovesimo era un paese essenzialmente agrario, fu in breve trasformata in paese industriale, e questa trasformazione vi si attuò molto più rapidamente che in qualsiasi altra regione della Terra.

 

Ma c’è dell’altro. Si potrebbe dire: in Inghilterra il passaggio a una concezione industriale dell’economia avvenne quasi per istinto, come fosse un fenomeno naturale, senza che si sapesse bene come. In Germania esistevano sì, nel primo terzo del secolo, condizioni quasi medioevali (la Germania era uno stato agrario); ma, mentre i rapporti economici esteriori si svolgevano così che si sarebbero potuti chiamare ancora quasi medioevali, il pensiero umano si era profondamente trasformato. Nella coscienza degli uomini si era insinuato il senso che dovesse venire qualcos’altro, e che quanto esisteva non fosse più consono ai tempi; così la riforma delle condizioni economiche, prodottasi nel secondo terzo del secolo, avveniva in Germania molto più coscientemente che non in Inghilterra. In Germania si sapeva molto più coscientemente (in Inghilterra non lo si sapeva affatto) come si fosse entrati nel capitalismo moderno. Leggendo oggi quello che si spiegava o si diceva a quel tempo, sul fatto dell’industrializzazione, vien da dire: è proprio strano il modo di pensare della gente in Germania! Si considerava addirittura una liberazione completa dell’uomo ciò che si chiamava liberalismo, democrazia; si considerava come la salvezza dell’umanità il poter uscire alfine dagli antichi legami, dagli antichi enti corporativi, per passare, come si diceva allora, a una condizione pienamente libera dell’uomo nella vita economica. Per questo non troviamo mai in Inghilterra una teoria dell’economia politica quale la elaborarono gli uomini che ebbero la loro formazione durante l’apogeo dell’epoca ora descritta. Schmoller, Roscher e altri trassero le loro opinioni da questa economia liberalistica al suo apogeo, e costruirono la loro dottrina, nettamente orientata in questo senso, in piena consapevolezza. Un inglese avrebbe ritenuto insulsa una simile dottrina economica; avrebbe detto che su queste cose non occorre pensare. Si può quindi osservare un divario radicale tra il modo in cui si parlava di tali questioni in Inghilterra (voglio solo menzionare uomini che già erano abbastanza teorici come Beaconsfield) e il modo in cui ne parlavano in Germania Richter, Lasker o lo stesso Brentano. In Germania si entrò dunque in questa nuova fase con piena consapevolezza.

 

Seguì il terzo periodo, quello propriamente statale. Nell’ultimo terzo del secolo diciannovesimo lo Stato tedesco, in fondo, si consolidò valendosi esclusivamente di mezzi di potenza; e cioè non si consolidò quello che avevano propugnato gli idealisti del 1848 o già quelli degli anni trenta, ma si consolidò lo Stato con mezzi di potenza. Questo Stato avocò pure a sé gradualmente e con piena coscienza la vita economica, tanto che questa, in tutta la sua struttura, fu del tutto compenetrata nell’ultimo terzo del secolo da principi opposti a quelli precedenti. Nel secondo terzo del secolo essa si era sviluppata secondo le concezioni liberali; ora si sviluppò interamente secondo quelle dello statismo. Ciò diede alla vita economica in Germania la sua impronta generale. In tutta questa evoluzione vi erano sì elementi di coscienza; il complesso era però incosciente.

 

L’importante è che così sorse, non solo nel pensiero ma anche nell’azione economica, un contrasto radicale tra il sistema inglese e quello ch’era ormai il sistema dell’Europa centrale; ma appunto su questo contrasto si basava il modo in cui avvenivano i reciproci rapporti economici. Tutta l’economia del secolo diciannovesimo, quale si sviluppò poi nel ventesimo, non sarebbe stata concepibile senza questo contrasto tra Occidente e Europa centrale, contrasto fondato sul fatto che si vendeva come si vendeva, che si negoziava come si negoziava, che si produceva come si produceva.

 

In tal modo si formò prima, gradatamente, la possibilità dell’economia inglese, fondata sul possesso delle Indie, ed ora la possibilità dell’allargarsi dell’economia sulla base del contrasto tra economia occidentale ed economia dell’Europa centrale. La vita economica non poggia infatti su quello che si vede nelle nostre vicinanze immediate, bensì sulle relazioni che reciprocamente s’intrecciano su vasta scala nel mondo.

 

Con questo contrasto i popoli si avvicinarono a un’economia mondiale, ma non riuscirono a crearla, perché le relazioni internazionali avevano la loro base negli elementi istintivi che si erano andati sviluppando e perché, come ho detto, tali elementi in Inghilterra e nell’Europa centrale erano in contrasto. Nel secolo ventesimo il contrasto si era fatto di scottante attualità e si approfondiva sempre più, senza che il mondo se ne rendesse conto. Sorse allora il grande problema: le relazioni economiche derivano il loro sviluppo da tale contrasto e lo perpetuano; ma come è possibile la collaborazione economica, se il contrasto aumenta? Era questo il grande problema del secolo ventesimo. Il contrasto aveva creato i rapporti economici; questi ultimi avevano acuito il contrasto; il contrasto doveva essere finalmente risolto. Allora il problema divenne questo: come si risolvono i contrasti? L’evoluzione storica ha mostrato che gli uomini non furono capaci di risolverlo.

 

Così come ho parlato adesso, si sarebbe potuto parlare nel 1914, in tempo di pace. Poi, anziché una soluzione, venne il frutto dell’incapacità di trovare una soluzione storica mondiale. Questa è la malattia che sopravvenne, considerando la cosa dal lato economico.

 

Ora, la possibilità di qualsiasi evoluzione è basata in sostanza su contrasti. Voglio citarne uno: per il fatto che l’economia inglese si era consolidata molto tempo prima di quella dell’Europa centrale, per talune merci gli inglesi non erano in grado di fare prezzi così bassi come potevano fare i tedeschi; da ciò sorse il grande contrasto della concorrenza, poiché il «Made in Germany» era questione di concorrenza. Quando poi la guerra ebbe termine, potè sorgere la domanda: ora che gli uomini si sono rotti la testa invece di cercare la soluzione dei contrasti, come possono aggiustare le cose? Io ritenevo che si sarebbero pur dovuti trovare anzitutto degli uomini che capissero che occorreva ora creare dei contrasti in un altro campo, dato che la vita si basa sui contrasti e può esistere soltanto in virtù di tale gioco di contrasti. Così nel 1919 poteva venir fatto di dire: indichiamo dunque i contrasti verso i quali tende realmente l’evoluzione storica: cioè i contrasti della vita economica, della vita politico-giuridica e della vita culturale-spirituale; accenniamo ai contrasti della triarticolazione.

 

Che cosa in fondo giustificava il fatto che si tentasse allora di diffondere l’idea della triarticolazione? Quel che più importava era di riuscire a far entrare l’idea della triarticolazione nel maggior numero possibile di teste, prima che sorgessero i fatti economici che da allora realmente si sono verificati.

 

Si deve considerare che quando si parlò per la prima volta di triarticolazione, non si avevano ancora le odierne difficoltà della svalutazione, e se allora la triarticolazione fosse stata compresa, quelle difficoltà non sarebbero mai potute sorgere. Ma anche qui ci trovammo di fronte all’impossibilità che gli uomini comprendessero tutto ciò in senso veramente pratico. Quando allora si tentò di far capire l’idea della triarticolazione, qualcuno osservò: tutto ciò sarebbe proprio bello, lo vediamo benissimo anche noi; ma per prima cosa si dovrebbe combattere la svalutazione. La risposta da dare a quelle persone era questa: ciò è implicito nella triarticolazione; adattatevi a questa idea; è l’unico rimedio per agire in senso contrario alla catastrofe della moneta. La gente chiedeva come si potessero raggiungere i risultati a cui appunto mirava la triarticolazione; dunque non la comprendeva, sebbene affermasse di comprenderla.

 

Oggi la questione si prospetta così: se ora si toma a parlarne davanti a dei giovani studiosi, ad esempio come qui, non si può più farlo nella stessa forma di allora; oggi è necessario usare un altro linguaggio. Vorrei mostrare in queste conferenze come si debba pensare oggi su tali problemi, specialmente se si è giovani e si può ancora cooperare a ciò che deve esser fatto nel prossimo futuro.

 

Si può così, da un lato, prospettare il carattere del secolo diciannovesimo, mettendone in luce i contrasti economici e storici; si potrebbe però anche risalire assai più indietro, all’epoca nella quale gli uomini cominciarono a pensare sui problemi economici. Se si considera la storia dell’economia, si potrà vedere che un tempo tutto avveniva per istinto, e che in verità solo in tempi recenti è sorta quella complessità della vita economica per cui si prova la necessità di pensare intorno a queste cose.

 

Io parlo ora soprattutto a studenti, per indicar loro come ritrovarsi nell’economia politica. Di conseguenza desidero dire quel che ora è più essenziale. Quando sorse il bisogno di sollevare problemi di economia politica, eravamo già in un tempo in cui non si aveva più la capacità di pensiero atta ad abbracciare un campo come questo; mancavano ormai, semplicemente, le idee adeguate. Voglio mostrare che era così mediante un esempio tratto dalla scienza naturale. Noi uomini abbiamo il nostro corpo fisico, ed esso ha un peso come lo hanno gli altri corpi fisici. Dopo il pasto esso pesa più di quanto non pesava prima; tanto che si potrebbe controllarne l’aumento con una bilancia. Ciò vuol dire che l’uomo è sottoposto alla legge di gravità. Ma solo con tale gravità, che è una qualità di tutti i corpi ponderabili, non potremmo fare molto, e l’uomo sarebbe costretto a girare il mondo come un automa, non come un essere cosciente. Ho detto spesso che cosa occorra perché ci possiamo formare dei concetti che abbiano un valore, cioè che cosa occorra all’uomo per pensare. Il cervello umano, preso per sé, pesa circa 1400 grammi. Se questi 1400 grammi gravassero sulle arterie che stanno alla base cranica, le schiaccerebbero completamente. Non si sopravviverebbe un istante, se il cervello umano fosse fatto in modo da gravare con tutti i suoi 1400 grammi! È davvero una fortuna per gli uomini che esista il principio di Archimede secondo il quale, nell’acqua, ogni corpo perde tanto del suo peso quanto è il peso del liquido ch’esso sposta. Il cervello galleggia nel liquido cefalico e perde così’ 1380 grammi, poiché tale è il peso della massa liquida che corrisponde al volume del cervello umano. Il cervello preme con soli 20 grammi sulla base cranica, e questa pressione è sopportabile. Ma se ci domandiamo: a che serve tutto ciò? dobbiamo rispondere: con un cervello che fosse soltanto massa ponderabile noi non potremmo pensare.

 

Noi non pensiamo con ciò ch’è sostanza pesante, ma pensiamo con la spinta ascensionale. La sostanza deve prima perdere il proprio peso, e solo allora possiamo pensare. Noi pensiamo con ciò che vola via dalla Terra.

 

Siamo però coscienti in tutto il corpo. E da che cosa siamo resi coscienti in tutto il corpo? Nel nostro corpo esistono 25 bilioni di globuli rossi, i quali sono assai piccoli, ma anche pesanti, perché contengono ferro. Ognuno di questi 25 bilioni di globuli rossi galleggia nel siero del sangue, perdendo del suo peso tanto quanto sposta di liquido, sicché anche in ogni singolo globulo rosso viene generata una spinta ascensionale; e proprio 25 bilioni di volte. Nel nostro corpo intero noi siamo coscienti grazie a ciò che spinge verso l’alto. Possiamo così dire che quando ingeriamo degli alimenti, essi devono anzitutto venir alleggeriti, trasformati, perché possano servirci. Tale è l’esigenza dell’organismo.

 

Ora la capacità di pensare a questo modo e di regolarsi in conformità si era perduta nell’epoca in cui era diventato necessario pensare ai problemi economici. Da allora in poi si tenne conto soltanto dei corpi ponderabili, senza ricordare ad esempio che in un organismo una sostanza ha un comportamento diverso in rapporto alla sua gravità quando subisce una spinta ascensionale.

 

Ma v’è di più. Ricordo che in fisica si parla di spettro, e che attraverso il prisma si genera questa gamma di colori: rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco, violetto. Dal rosso al violetto lo spettro appare luminoso. Ma è noto che al di là del rosso e dèi violetto vi sono i cosiddetti raggi infrarossi e ultravioletti, fenomeni non luminosi. Quindi chi parla solamente di «luce» non abbraccia la totalità del fenomeno, ma si deve dire che la luce viene trasformata polarmente in due direzioni: al di là del rosso essa s’immerge nel calore, e al di là del violetto s’immerge negli effetti chimici, e come luce propriamente scompare. Chi dunque dà una semplice teoria della luce, ne dà solo un frammento, e per di più dà una teoria falsa della luce. Nello stesso periodo in cui si sarebbe dovuto cominciare a pensare sull’economia politica, la fisica, il pensiero della scienza fìsica, era in tali condizioni che ne scaturì una falsa teoria della luce.

 

Ho citato tutto ciò perché abbiamo qui una valida analogia. Ed ora osserviamo, non la nostra economia politica, ma l’economia dei passeri o delle rondini! Anch’essa è una specie di economia, ma questa economia del regno animale non arriva molto avanti rispetto all’economia umana. Per il criceto possiamo perfino parlare di capitalismo animale. L’essenziale dell’economia animale sta nel fatto che la natura offre i prodotti, e il singolo animale se ne appropria.

L’uomo, è vero, è ancora impigliato in questo tipo di economia, ma deve uscirne.

 

L’economia che comincia ad essere veramente umana, può confrontarsi con la parte visibile dello spettro, mentre vi è una parte, ancora radicata nella natura, che andrebbe confrontata con la parte infrarossa dello spettro. In questo campo l’economia interferisce con l’agricoltura, con la geografia economica, ecc. Non è possibile delimitare esattamente la scienza economica in questa direzione. Essa entra qui in un campo che deve essere considerato in modo del tutto diverso. Questo da un lato.

 

Ma d’altra parte, proprio la complessità delle nostre relazioni economiche ha fatto gradatamente perdere agli uomini la capacità di pensare economicamente.

Come la luce cessa di essere luminosa verso l’ultravioletto, così l’azione umana nella vita economica cessa d’essere puramente economica. Ho spesso caratterizzato come tutto ciò sia avvenuto. Questo fenomeno comincia veramente soltanto nel secolo diciannovesimo; fino ad allora la vita economica era ancora abbastanza dipendente dalle singole capacità umane.

 

Una banca prosperava se era diretta da un individuo capace. Il singolo significava ancora qualcosa. Ho spesso raccontato un episodio buffo, quando una volta andò da Rothschildt un inviato del re di Francia. Intendeva chiedere un prestito. Rothschildt era in quel momento occupato con un commerciante di cuoio, e quando gli annunziarono l’inviato del re di Francia, disse che doveva aspettare un poco. Quando l’inserviente riferì all’inviato che doveva attendere perché dentro vi era un commerciante di cuoio, l’inviato non voleva credergli e gli disse di riferire al sig. Rothschildt che ad attendere vi era l’inviato del re di Francia. L’inserviente portò la risposta: «Va bene, ma deve attendere». L’inviato allora entrò da Rothschildt e gli ripetè: «Io sono l’inviato del re di Francia». Rothschildt rispose: «La prego, prenda una sedia e si accomodi». «Ma io sono l’inviato del re di Francia!». «Beh! allora ne prenda due».

 

Così allora avveniva nella vita economica, ben radicata coscientemente nelle personalità umane. Ma le cose sono cambiate, sono diventate tali che oggi, nel complesso della vita economica, ben poco dipende più dalla singola persona. L’attività economica umana si è già notevolmente spinta sul terreno che confronterei con la zona ultravioletta. Accenno qui al capitale che opera come una massa autonoma. Alla vita economica sovrasta una vita ultra-economica che è sostanzialmente in funzione della forza propria del capitale. Se quindi vogliamo renderci conto veramente della vita economica odierna, dobbiamo vederla inserita fra due zone, di cui la prima declina verso la natura, e l’altra ascende verso il capitale. Nel mezzo sta la vita economica vera e propria che è nostro compito comprendere.

 

Da tutto ciò appare che non si avevano nemmeno i concetti adatti per delimitare giustamente la scienza economica e assegnarle il suo giusto posto nel campo del sapere in generale. Infatti vedremo che, strano a dirsi, questo campo confrontabile con l’infrarosso, che ancora non penetra propriamente nell’economia, è il solo che si possa afferrare con l’intelletto umano. Come possiamo pensare intorno ad altri fatti naturali, così possiamo pensare sul modo di coltivare l’avena, l’orzo, sul modo migliore di estrarre dalle miniere il materiale greggio, ecc. In fondo, soltanto su quest’ordine di fatti si può rettamente pensare col raziocinio che siamo abituati a usare nella scienza moderna.

 

Ciò ha un’immensa importanza. Torniamo infatti col pensiero al concetto, usato dalla scienza, che ho già citato. Noi ci alimentiamo di sostanze pesanti: che possano servirci si basa sul fatto che in noi esse perdono incessantemente del loro peso, quindi si trasformano completamente; fino al punto che in ogni organo esse subiscono una diversa trasformazione. Nel fegato avviene una trasformazione diversa che nel cervello e nei polmoni. L’organismo è differenziato, e le condizioni variano per ogni sostanza in ogni organo. Abbiamo un incessante mutamento della qualità a seconda degli organi.

 

Press’a poco è lo stesso quando, in un complesso economico, parliamo del valore di una merce. Come è assurdo definire una sostanza, diciamo il carbonio, e domandare poi come si comporti nel corpo umano (qui il carbonio cambia totalmente, perfino nella sua ponderabilità, e assume caratteri del tutto diversi da quelli che ha nel mondo esterno), altrettanto poco si può chiedere che valore abbia una merce. Il valore è diverso se la merce giace in un negozio o se vien trasportata da un posto all’altro.

 

Nell’economia le idee devono essere assolutamente mobili: dobbiamo perdere l’abitudine di fare delle costruzioni concettuali che si prestino a una definizione. Dobbiamo capire che abbiamo a che fare con un processo vivente e che dobbiamo riplasmare e trasformare i Concetti nel processo vivente. Invece si è tentato di comprendere valore, prezzo, produzione, consumo, con le idee che si avevano; ma quelle idee erano inservibili. Perciò in fondo non si è potuto elaborare una dottrina economica. Coi concetti che ci sono divenuti abituali, non possiamo rispondere per esempio alle domande: che cosa è valore? che cosa è prezzo? poiché ciò che ha valore dobbiamo considerarlo in circolazione incessante, e così dobbiamo osservare in incessante circolazione il prezzo che corrisponde a un valore. Se si cerca la semplice proprietà fisica del carbonio, non si saprà ancor nulla di quanto avviene di esso, per esempio nel polmone, sebbene esso sia presente anche nel polmone; appunto perché qui la sua configurazione diventa tutt’altra. Così il ferro, quando lo si trova nella miniera, è tutt’altra cosa che non nel processo economico. L’economia guarda a tutt’altro che non al fatto che «è» ferro. E di questi labili fattori va tenuto conto.

 

Circa 45 anni or sono capitai una volta in una famiglia e mi venne mostrato un quadro; esso giaceva abbandonato in solaio da circa 30 anni. Finché restava lì, e non c’era nessuno che ne sapesse qualcosa di più se non ch’era stato buttato in un angolo del solaio, quel quadro non aveva alcun valore nel processo economico; non appena si riconobbe ch’era pregevole, esso acquistò un valore di ben 30.000 fiorini, e trentamila fiorini, allora, erano molti. Da che cosa dipese allora questo valore? Semplicemente dall’opinione che si era formata intorno al quadro. Esso non era stato rimosso dal suo posto; solo gli uomini avevano mutato le loro idee in proposito. Così per nessuna cosa importa direttamente che essa «è».

 

Appunto i concetti economici non si possono mai svolgere partendo dalla realtà esteriore, ma sempre partendo dal processo economico; e in seno a un processo una cosa varia incessantemente. Bisogna quindi parlare della circolazione economica prima di pervenire ai concetti di valore, prezzo, e così via. Nelle odierne dottrine economiche si comincia invece dalle definizioni di valore e di prezzo. Occorre rifarsi alla descrizione del processo economico, e solo in seguito ne risulterà ciò da cui si suole iniziare la trattazione.

 

Nel 1919, dato che in fondo tutto era distrutto, si poteva pensare che la gente avrebbe riconosciuto di dover cominciare con qualcosa di veramente nuovo. Ma non fu così. Il numero limitato di persone che credettero allora di dover cominciare ex novo, ripiombarono prestissimo anch’esse nell’indolenza, affermando che non vi era nulla da fare. Nel frattempo subentrò la grave calamità della svalutazione del denaro nei paesi orientali e centrali d’Europa e con essa un completo rivolgimento degli strati sociali; con ogni successiva svalutazione, devono infatti naturalmente impoverirsi coloro che vivono di ciò che abbiamo confrontato con l’ultravioletto. Ciò avviene forse anche più di quanto non si osservi oggi; e avverrà totalmente. Di conseguenza si viene portati anzitutto a cercare il concetto dell’organismo sociale, poiché risulta chiaro che la svalutazione del denaro è determinata dall’antica delimitazione statale; essa influisce sul processo economico. Per comprendere il processo economico bisogna prima capire l’organismo sociale.

 

Ma tutti gli economisti, cominciando da Adam Smith, giù giù fino ai più recenti, quando parlano di organismo sociale si riferiscono in realtà a territori ristretti. Essi non tengono conto che, volendosi servire di una mera analogia, questa debba essere appropriata. Ora, si è mai visto nella realtà un organismo completo fatto come nel disegno, con qui un uomo, qui un altro uomo, qui un terzo e così via?

 

 

Sarebbero graziosi degli organismi umani appiccicati l’uno all’altro in questo modo! Ciò non può essere per degli organismi completi; per gli Stati invece si fa proprio così; gli organismi hanno bisogno di un vuoto tutt’intorno, fra sé e l’organismo vicino. Tutt’al più sono le cellule dell’organismo quelle con cui si possono confrontare i singoli Stati; e si potrà paragonare con un organismo soltanto la Terra intera quale corpo economico. Su questo si dovrebbe riflettere; ed è da toccarsi con mano che, da quando abbiamo un’economia mondiale, i singoli Stati si possono confrontare soltanto con delle cellule. La Terra intera, concepita quale organismo economico, è l’organismo sociale.

 

Ma ciò non viene considerato da nessuno; l’insieme della teoria economica, appunto perché vuol porre dei principi che possono valere per una singola cellula, è diventata tale dà non corrispondere alla realtà. Perciò studiando la teoria economica francese si trova una costituzione diversa da quella che si trova studiando quella tedesca, o quella inglese, o qualsiasi altra. Ma come economisti abbiamo pur bisogno di comprendere l’organismo sociale nella sua totalità.

Questo volevo oggi dire come introduzione.