Lettera introduttiva alle massime antroposofiche / 1-37

O.O. 26 – Massime antroposofiche – 17.02.1924


 

Nel Notiziario per i soci si troveranno da ora in avanti delle Massime antroposofiche.

Esse vanno considerate nel senso che contengono consigli attorno all’indirizzo che i soci con funzioni direttive possono dare alle conferenze e alle conversazioni entro i singoli gruppi della Società Antroposofica. Con ciò si pensa solamente ad uno stimolo che dal Goetheanum si vorrebbe dare alla Società nel suo complesso. L’indipendenza nell’azione dei singoli soci aventi funzioni direttive non ne deve venir turbata. È bene che la Società si sviluppi in modo che nei singoli gruppi possa manifestarsi in maniera perfettamente libera quello che i soci con funzioni direttive hanno da dire. La vita della Società ne verrà arricchita e più variamente configurata.

 

• Tuttavia dovrebbe potersi formare in seno alla Società una coscienza unitaria.

Questo può avvenire quando dappertutto si conoscano gli impulsi che vengono dati in singoli luoghi. Perciò saranno qui riassunti in brevi frasi gli argomenti che svolgerò al Goetheanum in conferenze per i soci della Società. Penso che poi le persone che tengono conferenze o dirigono conversazioni nei vari gruppi, potranno trovare nelle Massime un filo conduttore a cui riannodarsi in piena libertà. Così, senza pensare in alcun modo ad una costrizione, si potrà contribuire a dare un carattere unitario all’azione della Società.

Questo provvedimento diventerà fruttuoso per la Società se esso troverà rispondenza di affetti, e se i soci con funzioni direttive informeranno anche la Presidenza del Goetheanum sul contenuto e sullo sviluppo delle loro conferenze e degli impulsi che danno.

 

• Da un caos di gruppi diversi diventeremo così una società avente un contenuto spirituale.

Le linee direttive che qui verranno date, in un certo senso vogliono suggerire dei temi.

• Nella letteratura antroposofica, nei libri e nei cicli di conferenze

si troveranno dappertutto dei punti di appoggio per svolgere l’argomento offerto dal tema,

in modo da poterne formare il contenuto delle conversazioni dei gruppi.

 

Anche quando idee nuove si affacciano ai soci con funzioni direttive dei singoli gruppi, potranno benissimo venir riallacciate a ciò che, nel modo indicato, il Goetheanum verrà suggerendo come cornice per l’attività spirituale della Società.

 

È certamente una verità contro la quale non si deve peccare

che l’attività spirituale può scaturire soltanto dalla libera esplicazione delle persone attive.

 

Ma non si stima sia un peccare contro questa verità, se in seno alla Società l’uno agisce in giusto modo in armonia con l’altro. Se questo non potesse essere, l’appartenenza dei singoli o dei gruppi alla Società dovrebbe sempre rimanere qualcosa di esteriore. Tale appartenenza deve invece essere qualcosa che si sente come interiore.

Non può davvero essere che l’esistenza della Società Antroposofica venga solamente sfruttata da questa o quella persona come occasione per dire ciò che ognuno stima da un suo punto di vista; la Società deve essere il luogo in cui si coltiva l’antroposofia. Tutto il resto può venir coltivato anche al di fuori della sua cerchia. La Società non esiste per questo.

 

Negli ultimi anni non fu vantaggioso per la Società che singoli soci abbiano portato nel suo seno i loro desideri personali unicamente perché credevano che, ingrandendola, essa avrebbe loro offerto un campo d’azione per i loro desideri. Si potrà chiedere perché non ci si è opposti adeguatamente. Se così si fosse fatto, oggi si sentirebbe dire da ogni lato: « Se a suo tempo fossero state accettate le proposte fatte da questo o da quello, dove saremmo oggi? » Ebbene, quante cose sono state accettate che sono poi miseramente naufragate e che ci hanno fatto regredire!

Ma ora basta. È stata fatta la prova che singoli sperimentatori vollero dare nella Società; non occorre ripeterla all’infinito. La Presidenza del Goetheanum deve essere un corpo che vuole coltivare l’antroposofia, e la Società dovrebbe essere un’unione di persone che desiderano intendersi in modo vivo con la Presidenza intorno al modo di coltivare l’antroposofia.

 

Non si deve credere di poter raggiungere dall’oggi al domani ciò a cui si tende.

Ci vorrà tempo. E ci vorrà pazienza.

Se si crederà possibile di realizzare in un paio di settimane ciò che sta nelle intenzioni della riunione di Natale,

andremo incontro a nuovi guai.

 

1 — L’antroposofia è una via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo. Sorge nell’uomo come un bisogno del cuore e del sentimento. Deve trovare la sua giustificazione nel fatto che essa è in grado di offrire a questo bisogno un soddisfacimento. Può riconoscere l’antroposofia solo chi trova in essa quel che deve cercare per una sua esigenza interiore. Possono perciò essere antroposofi soltanto quegli uomini che sentono certi problemi sull’essere dell’uomo e del mondo come una necessità vitale, come si sente fame e sete.

2 — L’antroposofia è mediatrice di conoscenze ottenute per via spirituale. Ma lo è solo perché la vita quotidiana e la scienza fondata sulla percezione dei sensi e sull’attività dell’intelletto conducono ad un limite del sentiero della vita, raggiunto il quale l’esistenza animica umana dovrebbe perire, se non fosse in grado di varcare il limite. La vita quotidiana e la scienza non conducono al limite in modo che sia necessario arrestarvisi, ma, a quel limite della percezione dei sensi, attraverso l’anima umana stessa si apre la vista sul mondo spirituale.

3 — Vi sono uomini i quali credono che, coi limiti della percezione dei sensi, siano posti anche i limiti di ogni altra cognizione. Se ponessero attenzione a come essi diventino coscienti di quei limiti, scoprirebbero in questa coscienza anche le facoltà per varcare i limiti. Il pesce nuota al limite dell’acqua; deve ritrarsene, perché gli mancano gli organi fisici per vivere fuori dell’acqua. L’uomo arriva al limite della percezione dei sensi; può riconoscere che, lungo la via fin lì, ha acquistato forze dell’anima per vivere animicamente nell’elemento che non è abbracciato dalla percezione dei sensi.

4 — Per la sicurezza del suo sentire, per l’efficace esplicazione del suo volere, l’uomo ha bisogno di una conoscenza del mondo spirituale. Può sentire infatti nel modo più ampio la grandezza, la bellezza e la saggezza del mondo naturale; questo però non gli dà risposta alcuna alla domanda sul suo proprio essere. Il suo essere tiene unite nella viva forma umana le sostanze e le forze del mondo naturale, finché l’uomo non varca la soglia della morte. Allora di questa forma si impadronisce la natura. Quest’ultima non può tenerla unita, ma solo disperderla. La grande, bella, saggia natura dà bensì risposta alla domanda su come si dissolva la forma umana, non però all’altra su come sia tenuta insieme. Nessuna obiezione teoretica può estinguere nell’anima umana dotata di sensibilità, a meno che essa non si voglia stordire da sé, questa domanda, la cui presenza deve mantenere incessantemente viva in ogni anima umana, che sia davvero desta, l’aspirazione verso vie spirituali della conoscenza del mondo.

5 — Per la quiete interiore l’uomo ha bisogno di conoscere se stesso nello spirito. Egli trova se stesso nel suo pensare, sentire e volere. Vede come pensare, sentire e volere dipendano dall’essere naturale dell’uomo. Nelle loro esplicazioni devono seguire la salute, la malattia, il rinvigorimento e il deperimento del corpo. Ogni sonno li estingue. L’esperienza comune della vita mostra la massima dipendenza della vita spirituale dell’uomo dall’esistenza corporea. Qui si sveglia nell’uomo la coscienza che nell’esperienza comune della vita l’autoconoscenza potrebbe essere andata perduta. Sorge allora l’ansiosa domanda se possa esservi un’autoconoscenza che trascenda l’esperienza comune della vita e arrivi alla certezza intorno ad un vero sé. L’antroposofìa vuol dare una risposta a questa domanda sulla base di una sicura esperienza dello spirito. Per tanto non si fonda su opinioni o credenze, ma su esperienze nello spirito le quali, nella loro entità, non sono meno certe di quelle vissute nel corpo.

6 — Se si guarda alla natura senza vita, si trova un mondo che si manifesta in rapporti conformi a leggi. Ricercandoli, si scopre che essi sono il contenuto delle leggi naturali. Si trova altresì che, mediante queste leggi, la natura senza vita forma un tutto con la terra. Poi, da questo rapporto con la terra, il quale domina in tutto ciò che è senza vita, si può passare ad osservare il mondo vivente delle piante. Si vede come il mondo extraterrestre mandi giù dalle lontananze dello spazio le forze che traggono il vivente dal grembo di ciò che è senza vita. Si scorge nel vivente l’essenziale che si svincola dal rapporto puramente terrestre e si fa rivelatore di ciò che dalle lontananze dello spazio cosmico agisce sulla terra. Nella pianta più umile si scorge l’entità della luce extra-terrestre, come nell’occhio l’oggetto luminoso che gli sta davanti. In quest’ascesa dell’osservazione si può vedere la differenza fra il terrestre-fisico che domina in ciò che è senza vita, e l’extraterrestre-eterico che corrobora il vivente.

7 — In questo mondo del terrestre ed extraterrestre si trova inserito l’uomo col suo essere extranimico ed extraspirituale. In quanto è inserito nel terrestre, che abbraccia ciò che è senza vita, egli ha il suo corpo fisico; in quanto sviluppa in sé quelle forze che il vivente attrae dalle lontananze del cosmo nel terrestre, egli ha un corpo eterico o vitale. L’indirizzo moderno della scienza ha del tutto trascurato questa opposizione fra il terrestre e l’eterico. Appunto perciò ha svolto sull’eterico le idee più impossibili. Il timore di smarrirsi nel fantastico ha trattenuto dal parlare di questa opposizione. Ma senza parlarne non si arriva ad una cognizione esatta né dell’uomo, né del mondo.

8 — Si può considerare l’entità dell’uomo in quanto risulta dal suo corpo fisico e dal suo corpo eterico. Si troverà che tutti i fenomeni nell’uomo che provengono da questa parte non conducono alla coscienza, ma permangono nell’incoscienza». La coscienza non si illumina, ma si ottenebra, allorché si accresce l’attività del corpo fìsico e di quello eterico. Stati di deliquio si possono riconoscere come risultato di un tale accrescimento. Perseguendo questa orientazione del giudizio, si arriva a riconoscere che nell’organizzazione dell’uomoe anche dell’animaleentra qualcosa che non è della stessa qualità del fisico e dell’eterico, e che non è attivo quando il fisico-eterico agisce con le proprie forze, bensì quando queste cessano di agire alla loro maniera. Si viene così al concetto del corpo astrale.

9 — La realtà di questo corpo astrale si trova allorché, mediante la meditazione, si progredisce dal pensare che i sensi stimolano da fuori ad un’osservazione interiore. Per questo occorre afferrare interiormente il pensare stimolato da fuori, e viverlo nell’anima intensamente come tale, senza la sua relazione col mondo esterno; e poi, mediante la forza animica acquisita in questo afferrare e vivere il pensiero, accorgersi che vi sono organi interiori di percezione che vedono uno spirituale là dove nell’animale e nell’uomo il corpo fisico e l’eterico vengono contenuti nei loro limiti perché sorga la coscienza.

10 — La coscienza non sorge da un proseguimento di quell’attività che viene come risultato dal corpo fisico e da quello eterico, ma entrambi questi corpi devono ridurre a zero la loro attività, anzi scendere al di sotto dello zero, perché « si faccia posto » all’affermarsi della coscienza. Essi non producono la coscienza, ma offrono soltanto il campo su cui deve stare lo spirito per far nascere la coscienza nell’àmbito della vita sulla terra. Come l’uomo sulla terra ha bisogno di un suolo su cui possa stare, così lo spirituale ha bisogno nell’àmbito terrestre di una base materiale su cui possa esplicarsi. E come nello spazio cosmico un pianeta non ha bisogno del suolo per reggersi al suo posto, così lo spirito, la cui osservazione non è diretta mediante i sensi al materiale, bensì mediante la sua propria forza allo spirituale, non ha bisogno di questa base materiale per risvegliare in sé la sua attività cosciente.

11 — L’autocoscienza, la quale si accentra nell’« io », emerge dalla coscienza. Questa nasce quando, per il logorio che le forze del corpo fìsico e di quello eterico hanno fatto dei due corpi, lo spirituale entra nell’uomo. Con il logorio dei due corpi si crea il campo su cui la coscienza esplica la sua vita. Al logorio deve però tener dietro la rigenerazione, se l’organismo ha da esser preservato dalla distruzione. Così, ogni qualvolta, per dar luogo ad un’esperienza cosciente, sia avvenuto un logorio, si rigenererà precisamente quel che era stato logorato. Nella percezione di questa rigenerazione consiste l’esperienza dell’autocoscienza. Si può perseguire questo processo con l’osservazione interiore. Si può sentire come, per il fatto che dall’interiorità si crea una riproduzione di ciò che è semplicemente cosciente, la coscienza venga condotta all’autocoscienza. La semplice coscienza ha la sua immagine nel vuoto che il logorio ha in certo modo prodotto nell’organismo. È accolta nell’autocoscienza, quando il vuoto si è nuovamente colmato da dentro. Il sostanziale quid atto a colmarlo è sperimentato come « io ».

12 — Si trova la realtà dell’« io » quando l’osservazione interiore, per cui si afferra conoscitivamente il corpo astrale, si acuisce sempre più, compenetrando nella meditazione il pensare vissuto col volere. Da prima, in questo pensare, ci si è lasciati andare senza volontà. Con ciò si è giunti al punto che un elemento spirituale entra in questo pensare, come nella percezione dei sensi il colore entra nell’occhio, il suono nell’orecchio. Se ci si è messi in grado di riprodurre con un atto di volontà quello che si è fatto vivere in tal modo mercé un abbandono passivo nella nostra coscienza, allora entra in questo atto di volontà la percezione del proprio « io ».

13 — Sulla via della meditazione, si possono trovare altre tre forme per l’aspetto in cui l’« io » si presenta nella coscienza ordinaria:

1 ) Nella coscienza che afferra il corpo eterico, l’« io » appare come immagine, la quale però è insieme un’entità attiva, e come tale conferisce all’uomo forma, crescita e forze plasmatrici;

2) Nella coscienza che afferra il corpo astrale, l’« io » si manifesta come membro di un mondo spirituale da cui riceve le sue forze;

3) Nella coscienza che è stata appunto menzionata come l’ultima da conquistarsi, l’« io » si mostra come un’entità spirituale autonoma, relativamente indipendente dal circostante mondo spirituale.

14 — La seconda forma dell’« io », a cui si è accennato nella esposizione della massima precedente, si presenta come « immagine » dell’io. Divenendo coscienti di questo carattere d’immagine, si getta anche luce sull’essenza del pensiero, nella quale l’« io » appare alla coscienza ordinaria. Con ogni sorta di considerazioni si cerca il « vero io » nella coscienza ordinaria. Ma un serio esame di quello che la coscienza sperimenta mostra che in essa non si può trovare il « vero io »; bensì che in essa riesce a palesarsene un semplice riflesso in forma di pensiero, il quale è meno di un’immagine. Si è giustamente afferrati dalla realtà di questo fatto, quando si proceda verso l’« io » come immagine che vive nel corpo eterico. E solo così si è giustamente stimolati alla ricerca dell’io come della vera entità dell’uomo.

15 — La comprensione della forma in cui l’io vive nel corpo astrale conduce a sentire nel giusto modo il rapporto dell’uomo col mondo spirituale. Questa forma dell’io è immersa per l’esperienza comune nelle oscure profondità dell’incosciente. In queste profondità l’uomo si collega per mezzo dell’ispirazione con la spiritualità universale. Davanti alla coscienza ordinaria sta solo un debolissimo riflesso sentimentale di questa ispirazione che, dalle vastità del mondo spirituale, domina nelle profondità dell’anima.

16 — La terza forma dell’« io » ci introduce nell’entità autonoma dell’uomo entro un mondo spirituale. Suscita il senso che l’uomo, con la sua natura terrestre-sensibile, sta davanti a se stesso soltanto come la manifestazione di quel che egli è in realtà. Con ciò gli è dato il punto di partenza per una vera conoscenza di sé, perché quel sé, che configura l’uomo nella sua verità, si rivelerà alla conoscenza solo quando si progredisca dal pensiero dell’io all’immagine di esso, dall’immagine alle forze che la creano e, da ti, ai portatori spirituali di tali forze.

17 – — L’uomo è un essere che esplica la sua vita nel mezzo tra due sfere del mondo. È inserito col suo sviluppo corporeo in un « mondo inferiore »; con l’entità della sua anima egli forma un « mondo intermedio », e tende con le sue forze spirituali verso un « mondo superiore ». Egli ha il suo sviluppo corporeo da quel che gli ha dato la natura; porta in sé come parte sua propria l’entità della sua anima; trova in sé le forze dello spirito come doni che lo guidano oltre se stesso a prender parte ad un mondo divino.

18 — Lo spirito è attivo in queste tre sfere del mondo. La natura non è vuota di spirito. Si perde conoscitivamente anche la natura, se non vi si scorge lo spirito. Si troverà però lo spirito come sopito entro l’esistenza naturale. Come nella vita umana il sonno ha il suo compito, e l‘« io » deve dormire un certo tempo per essere ben desto in un altro, così lo spirito del mondo deve dormire nel « luogo della natura », per essere ben desto in un altro.

19 — Di fronte al mondo l’anima dell’uomo è un essere sognante, se non bada allo spirito che agisce in essa. Questo sveglia i sogni animici che s’intessono nella propria interiorità, spronandoli a prender parte al mondo da cui proviene il vero essere dell’uomo. Come chi sogna si chiude dinanzi al circostante mondo fisico e si abbozzola nel proprio essere, così l’anima dovrebbe perdere il suo nesso con lo spinto del mondo da cui proviene, se non volesse udire entro di sé la sveglia dello spirito.

20 — Rientra nel giusto sviluppo della vita dell’anima nell’uomo, che egli divenga del tutto consapevole entro il suo essere dell’attività che parte dallo spirito. Molti seguaci della moderna concezione scientifica del mondo sono in questo senso così fortemente irretiti in un pregiudizio, che dicono essere la causalità generale quella che domina in tutti i fenomeni del mondo. Se l’uomo crede di poter essere di suo la causa di qualcosa, non può che farsi un’illusione. La scienza moderna vuol seguire fedelmente in tutto l’osservazione e l’esperienza. Col pregiudizio della causalità nascosta degli impulsi che sono propri all’uomo, essa pecca contro questo suo principio. Ché l’agire liberamente dall’interiorità dell’essere umano è un ovvio risultato dell’osservazione dell’uomo su se stesso. Non è lecito negarlo, ma bisogna conformarlo con la cognizione della causalità generale entro l’ordine naturale.

21 — Disconoscere l’impulso che parte dallo spirito nell’interiorità dell’essere umano è il maggiore ostacolo al raggiungimento di una penetrazione nel mondo spirituale, perché la classificazione del proprio essere nella connessione naturale significa distogliere lo sguardo dell’anima da tale essere. E non si penetra nel mondo spirituale, se prima non si afferra lo spirito dove è dato in modo del tutto immediato: nell’imparziale osservazione di se stessi.

22 — L’osservazione di se stessi costituisce l’inizio dell’osservazione spirituale. E può costituirne il giusto inizio perché, nella vera riflessione, l’uomo non può fermarsi ad essa, ma deve procedere da essa ad un ulteriore contenuto spirituale del mondo. Come il corpo umano deperisce se non riceve nutrimento fisico, così l’uomo che nel giusto senso osservi se stesso sentirà deperire il suo sé, se non vede come nel sé agiscano le forze di un mondo spirituale che opera all’infuori di lui.

23 — Varcando la soglia della morte, l’uomo entra nel mondo spirituale, e sente come si stacchino da lui tutte le impressioni e i contenuti dell’anima che, mediante i sensi corporei e il cervello, egli si era acquistati nella vita. Alla sua coscienza si presenta allora in un vasto panorama di immagini quel contenuto della vita che, durante la sua peregrinazione terrena, potè essere accolto nella memoria in forma di pensieri senza immagini, oppure quello che è sì rimasto inosservato per la coscienza terrena, ma che ha prodotto sull’anima un’impressione subcosciente. In pochi giorni queste immagini impallidiscono fino a scomparire. Scomparse che siano, l’uomo sa di aver deposto anche il suo corpo eterico, nel quale può riconoscere il portatore di quelle immagini.

24 — Deposto il corpo eterico, l’uomo ha come parti costitutive superstiti il corpo astrale e l’io. Finché gli resta il primo, esso fa sì che la coscienza sperimenti tutto ciò che, durante la vita terrena, ha formato il contenuto incosciente dell’anima immersa nel sonno. Questo contenuto reca i giudizi che gli esseri spirituali di un mondo superiore imprimono nel corpo astrale durante i periodi di sonno, ma che si celano alla coscienza terrena. L’uomo rivive la sua vita appena trascorsa, ma in modo che il contenuto della sua anima è ora il giudizio, pronunciato dal punto di vista del mondo dello spinto, sul suo agire e pensare. La rivive a ritroso: prima l’ultima notte, poi la penultima, e così via.

25 — Il giudizio sulla vita, sperimentato nel corpo astrale dopo il passaggio attraverso la porta della morte, dura quanto il tempo che fu speso nel sonno durante la vita terrena.

26 — Solo a corpo astrale deposto, a giudizio compiuto sulla vita, l’uomo entra nel mondo spirituale. Qui egli sta con esseri di natura puramente spirituale in un rapporto qual era, sulla terra, quello con gli esseri e i processi dei regni naturali. Nell’esperienza spirituale diventa allora mondo interiore tutto ciò che nella vita quaggiù era mondo esteriore. L’uomo non percepisce allora soltanto tale mondo esteriore, ma lo sperimenta nella sua spiritualità, a lui prima nascosta sulla terra, quale suo mondo interiore.

27 — L’uomo, qual è sulla terra, nella regione dello spirito diventa mondo esteriore. Lo si guarda come sulla terra si guardano astri, nubi, monti, fiumi. Né tale mondo esteriore è meno ricco di contenuto di quanto non appaia alla vita terrena il fenomeno del cosmo.

28 — Le forze elaborate dallo spirito dell’uomo nella regione spirituale continuano ad agire nella formazione dell’uomo terreno, così come le azioni effettuate nell’uomo fìsico continuano ad agire quale contenuto animico nella vita dopo la morte.

29 — Nella conoscenza immaginativa sviluppata agisce quel che vive come animico-spirituale nell’interiorità dell’uomo, quel che nella sua vita lavora al corpo fisico, e che, sulla base di esso, sviluppa l’esistenza umana nel mondo fisico. Al corpo fisico, che sempre da capo si rinnova nel ricambio, si contrappone qui l’essere umano interiore che, perdurando, si evolve in sé dalla nascita (o meglio dalla concezione) fino alla morte: al corpo fisico spaziale, un corpo temporale.

30 — Nella conoscenza ispirata vive in immagine ciò che l’essere umano sperimenta in un ambiente spirituale nel periodo fra la morte e una nuova nascita. Lì si manifesta quel che l’uomo è secondo il suo essere in rapporto all’universo, senza il corpo fisico e quello eterico, mediante i quali egli attraversa l’esistenza sulla terra.

31 — Nella conoscenza intuitiva affiora alla coscienza l’influsso di vite terrene precedenti sopra l’attuale. Tali vite terrene precedenti, nella loro ulteriore evoluzione, hanno cancellato i rapporti in cui erano state con il mondo fisico. Sono divenute il nocciolo puramente spirituale dell’essere dell’uomo e, come tali, agiscono nella vita presente. Perciò sono anche oggetto della conoscenza che si ha quale sviluppo di quella immaginativa e ispirata.

32 — Nel capo dell’uomo l’organizzazione fisica è un’impronta dell’individualità spirituale. La parte fisica e quella eterica del capo stanno come immagini concluse dello spirituale, e accanto ad esse stanno la parte astrale e quella dell’io, come entità animico-spirituale autonoma. Net capo dell’uomo si ha dunque a che fare con un’evoluzione parallela delle parti relativamente autonome fisica ed eterica da un lato, dell’organizzazione astrale e di quella dell’io dall’altro.

33 — Nel sistema delle membra e del ricambio dell’uomo, le quattro parti costitutive dell’essere umano sono intimamente collegate. L’organizzazione dell’io e il corpo astrale non sono accanto atta parte fisica ed eterica. Vi sono dentro; le vivificano, agiscono nella loro crescita, nella loro facoltà di movimento, e così via. Per questo però il sistema delle membra e del ricambio è come un germe che vuol continuare a svilupparsi, che tende continuamente a trasformarsi in capo e che, durante la vita dell’uomo sulla terra, ne è continuamente trattenuto.

34 — L’organizzazione ritmica sta nel mezzo. Qui l’organizzazione dell’io e il corpo astrale si collegano alternativamente con la parte fisica ed eterica, e se ne sciolgono di nuovo. Respiro e circolazione sanguigna sono l’impronta fisica di questa unione e separazione. Il processo dell’inspirazione rispecchia il collegamento; quello dell’espirazione, la separazione. I processi nel sangue delle arterie rappresentano il collegamento; i processi nel sangue delle vene, la separazione.

35 — Si comprende l’essere umano fisico solo quando lo si consideri come immagine dell’animico-spirituale. Preso a sé, il corpo fisico dell’uomo rimane incomprensibile. Ma è, nelle sue varie parti, in vario modo immagine dell’animico-spirituale. Il capo ne è l’immagine sensibile più perfetta, in sé conclusa. Tutto ciò che appartiene al sistema del ricambio e delle membra è come un’immagine che non ha ancora assunto le sue forme definitive, ma a cui si sta appena lavorando. Tutto ciò che appartiene all’organizzazione ritmica dell’uomo, quanto al rapporto dell’animico-spirituale col corpo, sta fra questi estremi.

36 — Chi osserva il capo dell’uomo dal punto di vista spirituale ha in ciò un aiuto alla comprensione di immaginazioni spirituali, perché nelle forme del capo si sono in certo modo condensate forme immaginative fino alla consistenza fisica.

37 — Allo stesso modo, nell’osservazione della parte ritmica dell’organizzazione umana, si può avere un aiuto per la Comprensione di ispirazioni. L’aspetto fisico dei ritmi della vita ha nell’immagine sensibile il carattere dell’ispirato. Nel sistema del ricambio e delle membra, quando lo si osservi in piena azione, nell’esplicazione delle sue necessarie o possibili funzioni, si ha un’immagine sensibile-soprasensibile dell’intuitivo puramente soprasensibile.