L’evoluzione del pensiero è progredita attraverso quattro epoche.

O.O. 18 – Gli enigmi della filosofia – I (Per orientarsi nelle linee direttive dell’esposizione)


 

La prima epoca dell’evoluzione delle concezioni filosofiche comincia con l’antichità greca.

Essa può essere rintracciata storicamente e distintamente fino a Ferecide di Siro e a Talete di Mileto,

e termina col periodo in cui appare il Cristianesimo.

 

L’anelito spirituale dell’umanità in quest’epoca assume un carattere essenzialmente diverso da quello dei tempi precedenti. È l’epoca del risveglio della vita del pensiero. Prima l’anima viveva in rappresentazioni figurate (simboliche) del mondo e dell’essere.

Per quanto uno si sforzi di dare retta a quelli che vogliono vedere la vita del pensiero filosofico già sviluppata nell’epoca preellenica, lo studio spregiudicato non lo consente.

Si deve far nascere in Grecia la filosofia autentica, espressa in forma di pensieri.

 

Ciò che nelle riflessioni sul mondo, dell’Oriente e dell’Egitto, era affine all’elemento del pensiero, non era — se considerato accuratamente — pensiero vero, ma immagine, simbolo.

In Grecia nasce lo sforzo che mira a riconoscere le correlazioni del mondo mediante ciò che oggi chiamiamo pensiero.

 

Per tutto il tempo in cui l’anima umana si rappresenta mediante immagini i fenomeni del mondo, essa si sente intimamente collegata con essi; si sente membro dell’organismo cosmico, non si ritiene un’entità indipendente, separata da quest’organismo.

 

Quando il pensiero senza immagini si desta nella mente, essa avverte la separazione tra il mondo e l’anima.

Il pensiero diventa il suo educatore verso l’indipendenza.

Ma il greco sperimenta il pensiero diversamente dall’uomo d’oggi.

Questo è un fatto che può facilmente essere trascurato.

Bisogna però tenerne conto per una visione esatta del pensiero greco.

 

Il greco sente il pensiero come noi oggi sentiamo una percezione,

come proviamo la sensazione del « rosso » o del « giallo ».

Come noi attribuiamo una sensazione di colore o di suono ad un « oggetto »,

così il greco vede il pensiero nel mondo degli oggetti e aderente ad esso.

Il pensiero di questo tempo è perciò ancora il vincolo che unisce l’anima al mondo.

La separazione tra l’anima e il mondo non è compiuta ancora, comincia appena.

 

L’anima sperimenta, sì, il pensiero dentro di sé, ma essa si figura ancora di averlo ricevuto dal mondo, perciò spera, mediante il processo del pensiero, di scoprire gli enigmi del mondo.

In tali condizioni si svolge l’evoluzione filosofica iniziata con Ferecide e Talete, che raggiunge l’apogeo con Platone ed Aristotele, e poi decresce, fino al suo termine, ai tempi della fondazione del Cristianesimo.

Dalle profondità dell’evoluzione spirituale la vita del pensiero scorre nelle anime umane

e vi fa nascere delle filosofie che le educano ad avvertire la loro indipendenza di fronte al mondo esterno.

 

Al tempo della nascita del Cristianesimo comincia una nuova epoca.

L’anima umana non può più sentire il pensiero come una percezione proveniente dal mondo esteriore.

Essa sente il pensiero come creazione del suo essere proprio, intimo: un impulso, molto più potente di quanto fosse la vita concettuale, s’irradia nelle anime dalle profondità dell’evoluzione spirituale.

 

L’autocoscienza si desta solo adesso nell’umanità

in un modo che corrisponde alla natura propria di questa autocoscienza.

Ciò che gli uomini avevano provato fin qui non era che il prodromo di ciò che si può chiamare,

nel significato più completo, autocoscienza interiormente sperimentata.

 

Si può sperare che uno studio futuro dell’evoluzione dello spirito darà a questa epoca il nome di « risveglio dell’autocoscienza ».

Soltanto allora, per la prima volta, l’uomo avverte tutta l’estensione della sua vita animica come « io » nel vero senso della parola.

Tutta l’importanza di questo fatto viene percepita oscuramente, piuttosto che avvertita in un modo cosciente, dagli spiriti filosofici di quest’epoca.

 

Questa caratteristica rimane nell’anelito filosofico fino a Scoto Eriugena (morto nell’880 d.C.). I filosofi di quest’epoca sono proprio tuffati col pensiero filosofico nella rappresentazione religiosa. Tramite questa rappresentazione, l’anima umana, che nella sua autocoscienza risvegliata si vede posta del tutto su se stessa, cerca di acquistare la consapevolezza della sua incorporazione nella vita dell’organismo mondiale.

 

Il pensiero diventa un semplice mezzo per esprimere la concezione, attinta da fonti religiose, sul rapporto tra l’anima umana ed il mondo.

La vita del pensiero, inquadrata in questa concezione, nutrita da rappresentazioni religiose, cresce come il germoglio nella terra fino al momento di nascere.

 

Nella filosofia greca, la vita del pensiero spiega le sue forze, guida l’anima umana fino alla percezione della sua indipendenza.

Poi irrompe nell’umanità, dal fondo della vita dello spirito, una manifestazione di genere essenzialmente diverso dalla vita del pensiero.

Essa riempie l’anima di una nuova esperienza interiore e le rivela ch’essa è in se stessa un mondo poggiante su un proprio centro di gravità.

 

L’autocoscienza viene prima sperimentata, non ancora concettualmente intesa.

Il pensiero si sviluppa poi nascostamente nel calore della coscienza religiosa.

Così scorrono i primi sette, otto secoli dalla fondazione del Cristianesimo.

 

L’epoca seguente dimostra un carattere completamente diverso.

I filosofi più importanti sentono nuovamente ridestarsi la forza del pensiero.

L’anima ha corroborato intimamente l’indipendenza di cui ha fatto l’esperienza per secoli.

Essa comincia a cercare quale sia la sua proprietà originaria.

Scopre che questa è la vita del pensiero.

 

Tutti gli altri dati vengono dal di fuori: ma l’anima crea il pensiero dalle profondità della sua essenza così che, in questa creazione, essa è presente con piena consapevolezza.

Nasce in essa l’impulso a conquistare, per mezzo del pensiero, una conoscenza che possa spiegare il suo rapporto con il mondo.

Come può esprimersi nella vita del pensiero qualche cosa che non sia solo stato concepito dall’anima?

Questo diventa il problema dei filosofi di questa epoca.

 

Le correnti spirituali del nominalismo, del realismo, della scolastica, della mistica medioevale rivelano tale carattere fondamentale della filosofia di questo periodo.

L’anima umana cerca di esaminare la vita del pensiero partendo dal suo carattere di realtà.

 

Con il tramontare di questa terza epoca si trasforma il carattere dell’anelito filosofico. L’autocoscienza dell’anima è già stata corroborata da un lavoro secolare d’indagine della realtà della vita del pensiero. Gli uomini hanno imparato a sentire la vita del pensiero connessa con l’essenza dell’anima e, in questo collegamento, una sicurezza interiore dell’esistenza.

 

Come una stella, potente splende nel cielo dello spirito, quale segno di verità di questa fase dell’evoluzione, il motto « Penso, dunque sono », detto da Descartes (1596-1650). Si sente scorrere l’essenza dell’anima nella vita del pensiero, e nella consapevolezza di questa corrente si crede di sperimentare l’essenza vera dell’anima stessa. E ci si sente tanto sicuri nell’ambito di questa esistenza intraveduta nella vita del pensiero, che si arriva alla convinzione che la vera conoscenza può essere soltanto quella che si sperimenta in un modo analogo a quello in cui, nell’anima, si deve sperimentare la vita del pensiero edificata su se stessa. Tale è il punto di vista di Spinoza (1632-1677).

 

Sorgono ormai filosofie che foggiano l’immagine del mondo quale essa deve presentarsi affinché l’anima umana autocosciente, afferrata mediante la vita del pensiero, possa trovarvi un posto adatto.

Come raffigurarsi il mondo in modo che in esso l’anima umana possa essere pensata come deve esserlo, secondo ciò che si sa dell’autocoscienza?

Questa è la domanda che si trova alla base di uno studio spregiudicato della filosofia di Giordano Bruno (1548-1600) e che risulta evidentemente essere la stessa alla quale Leibniz (1646-1716) tenta di rispondere.

La quarta epoca dell’evoluzione delle concezioni filosofiche del mondo comincia con le raffigurazioni del mondo che derivano da tale problema.

La nostra epoca presente segna solo pressappoco la metà di questo periodo.

Le dissertazioni di questo libro mirano ad indicare fino a che punto la conoscenza filosofica sia riuscita a concepire un’immagine del mondo, nella quale l’anima autocosciente possa trovare per sé un posto tanto sicuro da poter comprendere il suo significato e la sua importanza nell’essere.

 

Quando, nel suo primo periodo, l’anelito filosofico trasse le sue forze dalla vita del pensiero appena destata, nacque la speranza di raggiungere una conoscenza di un mondo cui l’anima umana appartiene con la sua essenza genuina, con l’essenza che non si esaurisce nella vita che si rivela tramite il corpo ed i suoi sensi.

 

Nella quarta epoca le fiorenti scienze naturali affiancano all’immagine filosofica del mondo, un’immagine della natura che a poco a poco si costituisce indipendente, sul proprio suolo.

In questa immagine della natura, col suo progressivo sviluppo, non troviamo più niente di quel mondo che debba riconoscere in sé l’io autocosciente (l’anima umana che si sperimenta come entità conscia di se stessa).

 

Nella prima epoca, l’anima umana comincia a liberarsi dal mondo esteriore e a sviluppare una conoscenza che si rivolge alla sua intima vita. Questa vita animica particolare trova la sua forza nell’elemento di pensiero che si desta.

Nella quarta epoca appare una immagine della natura che, dal canto suo, si è liberata della vita animica individuale. Si delinea lo sforzo di rappresentare la natura in modo che nelle sue rappresentazioni non vi si mescoli nulla che l’anima abbia creato da sé e non dalla natura stessa. Così, in questa epoca, l’anima con le sue esperienze interiori si trova respinta su se stessa. Corre il pericolo di dover ammettere a se stessa che tutto ciò ch’ella può conoscere di sé, non abbia valore che per se stessa e non racchiuda nemmeno una indicazione su un mondo in cui essa è radicata con la sua vera essenza. Poiché nell’immagine della natura essa non può ritrovare nulla di sé.

 

L’evoluzione del pensiero è progredita attraverso quattro epoche.

 

• Nella prima, il pensiero agisce come una percezione dall’esterno.

Esso pone su se stessa l’anima umana conoscente.

 

• Nella seconda epoca, la sua forza in questa direzione si è esaurita.

L’anima diventa più forte nello sperimentare la propria vita; il pensiero vive nel fondo e si fonde con la conoscenza di sé. Esso non può più essere avvertito come una percezione venuta dall’esterno. L’anima impara a sentirlo come una propria creazione. Essa deve giungere a chiedersi: che cosa ha da vedere questa creazione intima dell’anima con il mondo esterno?

 

• La terza epoca si svolge alla luce di questo problema. I filosofi sviluppano una vita conoscitiva che mette alla prova la forza interiore del pensiero. La forza filosofica di questa epoca si rivela come una penetrazione nell’elemento del pensiero, come forza di elaborare il pensiero nella sua stessa essenza.

Nel corso di quest’epoca la vita filosofica accresce la propria capacità di avvalersi del pensiero.

 

• Al principio della quarta epoca, l’autocoscienza conoscitiva vuole creare, movendo dal suo patrimonio di pensiero, una immagine filosofica del mondo. Si oppone a questa volontà l’immagine della natura, che non vuole assorbire nulla da questa autocoscienza. E l’anima autocosciente sta di fronte a questa raffigurazione della natura con questa sensazione: come potrò mai foggiare una immagine del mondo in cui siano saldamente fissati nello stesso tempo il mondo interiore, con la sua vera essenza, e la natura? L’impulso che origina da questa domanda sta dominando (in modo più o meno cosciente per i filosofi) l’evoluzione filosofica dal principio della quarta epoca in poi. Ed è l’impulso che determina la vita filosofica attuale.