L’inizio degli impulsi dell’anima cosciente

O.O. 185 – Lo studio dei sintomi storici – 18.10.1918


 

Sommario: L’inizio degli impulsi dell’anima cosciente

L’importanza dei sintomi storici, soprattutto nei punti di svolta. Il cattolicesimo nel medioevo. I papi ad Avignone. I templari. I Mongoli. La formazione di Francia e Inghilterra. Giovanna d’Arco. Europa centrale e orientale. Gli Asburgo. I comuni. Il parlamentarismo. Lo Stato russo. Personalismo e rivoluzione in Francia, nazione e liberalismo in Inghilterra. Giacomo I.

 

In questi giorni cercheremo di aggiungere alcune importanti considerazioni a quanto è già stato detto in questo luogo la settimana scorsa. Quello che ora voglio aggiungere a quanto ci ha condotto ad approfondire alcuni impulsi che dominano la recente evoluzione umana, dovrà risultare da diversi punti di svolta della storia moderna. Considereremo quest’ultima sino al punto in cui sarà possibile vedere come l’anima umana sia inserita negli avvenimenti mondiali del tempo presente, per quanto riguarda sia la sua evoluzione entro il cosmo, sia il suo sviluppo animico di fronte al divino e il suo sviluppo individuale di fronte al mondo dello spirito. Cercherò naturalmente di esaminare questi problemi allacciandomi ad esperienze quotidiane, o comunque note. In seguito si vedrà meglio il perché, ma appunto per quanto ho detto, partirò da quello sguardo storico sopra l’evoluzione dell’umanità moderna, sul quale è in parte basata anche la conferenza tenuta ieri a Zurigo.

 

Da precedenti conferenze tenute su questi argomenti, ci è noto che per la scienza dello spirito la storia, normalmente intesa, va trasformata in uno studio di sintomi. Questo significa che quanto di solito si chiama storia e s’insegna nei manuali scolastici non rappresenta ciò che vi è di realmente importante nell’evoluzione dell’umanità, ma va soltanto considerato come una serie di sintomi superficiali; attraverso questi si deve penetrare con lo sguardo entro le profonde origini degli avvenimenti, ed in essi si rivela quale è la realtà del divenire umano. Mentre di solito la storia considera gli avvenimenti nel loro valore assoluto, noi li esamineremo soltanto come qualcosa che rivela il corso più profondo e vero delle cose, qualcosa cioè capace di svelarle, quando sia esaminato in modo giusto.

 

Per esempio, non occorre molta riflessione per avvedersi quanto sia errata l’osservazione abituale che l’uomo di oggi è il risultato di quello che l’umanità fu nel passato, soprattutto quando si faccia riferimento alle considerazioni sul passato date dalla storia ufficiale. Si passino in rassegna gli avvenimenti storici, come ci sono stati raccontati sui banchi di scuola, e ci si chieda quale influenza possa avere la storia, come si crede di poterla rappresentare, sulla nostra struttura animica. Ma nell’attuale fase evolutiva dell’umanità un esame della struttura animica fa già parte della vera autoconoscenza dell’uomo, e questa non viene certo favorita dallo studio della storia abituale. A volte può anche capitare che la storia favorisca l’autoconoscenza, ma allora ciò avviene per via indiretta, come nel caso riferitomi ieri da un signore che a scuola dovette fare tre ore di castigo perché non aveva saputo quando avesse avuto luogo la battaglia di Maratona. Si tratta qui di qualcosa che, attraverso un’intrusione nel campo dell’insegnamento della storia, agisce certo sull’anima dell’uomo e, anche indirettamente, contribuisce a suscitare impulsi per l’autoconoscenza; invece il modo usato dalia storia per parlare della battaglia di Maratona contribuisce poco all’autoconoscenza umana. Detto questo, va però osservato che anche uno studio dei sintomi storici deve senz’altro badare ai fatti avvenuti, per la ragione che, appunto considerando e valutando gli avvenimenti esteriori, si può scorgere la realtà delle cose.

 

Vogliamo quindi occuparci di quel periodo della storia moderna che a scuola si fa iniziare con la scoperta dell’America e con l’invenzione della polvere da sparo; si usa dire che in quell’epoca termina il medioevo ed inizia l’evo moderno. Se si vogliono fare osservazioni che risultino fruttuose, bisogna però badare, sopra ogni altra cosa, alle effettive trasformazioni avvenute nell’evoluzione dell’umanità, a quei grandi punti di svolta che la vita animica umana attraversa per passare da un determinato modo di essere ad un altro. Di solito queste trasformazioni non vengono neppure osservate, impigliati come si resta nel groviglio dei fatti.

 

Dalle risultanze della scienza dello spirito noi sappiamo che l’ultimo grande punto di svolta dell’evoluzione umana cade al principio del secolo XV, quando incomincia il quinto periodo di civiltà postatlantica. Sappiamo che il periodo di civiltà grecolatina ebbe inizio nel 747 prima del mistero del Golgota e che esso continuò sino al principio del secolo XV, quando cominciò il quinto periodo postatlantico. Soltanto perché i fenomeni vengono studiati superficialmente, l’osservazione comune non rileva come tutta la vita animica dell’umanità si sia trasformata nel momento considerato. Non ha quindi senso alcuno riferirsi al secolo XVI come se esso succedesse naturalmente all’XI o al XIII, senza cioè considerare la svolta fondamentale verificatasi verso il secolo XV e quanto da essa si sviluppò in seguito. Naturalmente tale data è soltanto approssimativa: ma che cosa non è approssimativo nella vita reale? Quando si ha a che fare con un processo evolutivo, connesso con un’entità in corso di trasformazione, occorre sempre parlare con una certa approssimazione. Quando un ragazzo matura sessualmente, non se ne può precisare il giorno, perché il fenomeno si viene preparando e si sviluppa per gradi. Così dicasi per l’anno 1413. Le cose si preparano a poco a poco, e non tutto appare improvvisamente già col massimo vigore. Non si penetra però nei fenomeni se non ci si fissa in mente il momento del passaggio.

 

Considerando il periodo precedente il secolo XV, e chiedendosi quale fosse l’atteggiamento animico fondamentale dell’umanità, in confronto a quello del periodo successivo, non si può non rilevare un complesso di fatti caratteristici avvenuti nell’Europa civile durante tutto il medioevo, fatti ancora strettamente collegati alla costituzione animica dell’epoca greco-latina: si tratta della forma che, nel corso dei secoli, si era sviluppata dall’impero romano, trasformandosi gradatamente nel cattolicesimo legato al papato di Roma. Fino al passaggio all’epoca moderna, il cattolicesimo deve essere veramente considerato un impulso universale che come tale si diffondeva. Nel medioevo gli uomini erano suddivisi in ceti, in nuclei familiari, in corporazioni, eccetera e, attraverso tutte quelle suddivisioni, passava quanto il cattolicesimo filtrava nelle anime, passava con quell’aspetto che esso aveva dato al cristianesimo, con tutti gli impulsi di cui tratteremo in questi giorni e con quelli di cui abbiamo trattato in conferenze precedenti. Il cattolicesimo si diffuse come quella forma di cristianesimo che aveva subito in Roma gli influssi essenziali indicati poco fa.

 

Su che cosa contava il cattolicesimo irradiante da Roma e sviluppatosi nel corso dei secoli, che realmente era un impulso universale e la più profonda Forza pulsante in tutta la (Mita europea? asso contava su una scarsa coscienza dell’anima umana su una certa forza di suggestione che è possibile esercitare sull’interiorità dell’uomo; contava sulle forze che la configurazione dell’anima umana aveva in sé da secoli, sonni per altro mai essere pienamente desta in esse (ed Infatti si va svegliando soltanto nella nostra epoca). Il cattolicesimo contava su quelle forze che stavano nell’anima razionale e affettiva; esso faceva scorrere nelle anime, con un’azione di suggestione, ciò che esso riteneva utile, e contava su quegli uomini dotti, per la maggior parte appartenenti al clero, che, dotati di un acuto intelletto, non avevano però ancora generato in sé l’anima cosciente. Lo sviluppo della teologia fino ai secoli XIII, XIV e XV è fatto per essere compreso da intelligenze acute al massimo. Conoscendo il raziocinio oggi esistente negli uomini, non è possibile farsi un’idea di quello che si aveva fino al secolo XV. Allora l’intelletto aveva qualche cosa d’istintivo, non era ancora compenetrato dall’anima cosciente. Non si aveva un’indipendente capacità di riflessione, basata soltanto sull’anima cosciente; allora esisteva piuttosto, in singoli uomini, una straordinaria acutezza di pensiero, quale si può riscontrare in molte disquisizioni scritte prima del secolo XV; le disquisizioni di allora sono realmente assai più acute di quelle della teologia successiva. Non si trattava però di un raziocinio proveniente dall’anima cosciente, ma originario piuttosto dal mondo divino, se ci si può esprimere con semplicità; parlando invece esotericamente, dobbiamo dire che questo raziocinio proveniva all’uomo dal suo angelo, era cioè qualcosa di cui l’uomo non poteva ancora disporre; cosa che fu invece possibile quando l’uomo fu reso indipendente mediante l’anima cosciente.

 

Quando, in tal modo, con forza di suggestione, vien diffuso un impulso universale, come avvenne da parte del papato di Roma e di tutto quanto era collegato con la struttura ecclesiastica, si agisce allora piuttosto sull’elemento collettivo degli uomini, paragonabile ad un’anima di gruppo. Così agì anche il cattolicesimo, e portò certi impulsi nella storia moderna, come vedremo ancora esaminando le cose da un altro punto di vista. Quell’impulso universale del cattolicesimo in via di diffusione si trovò a dover cozzare contro l’impero romano-germanico, quasi come contro un « ariete ». La diffusione del cattolicesimo romano avvenne infatti attraverso continui scontri e controversie con l’impero germanico. Studiando in un testo qualunque di storia il periodo dei Carolingi o quello dei Hohenstaufen, si vedrà che l’essenza di tali periodi sta nella penetrazione, entro la civiltà europea, dell’impulso universale cattolico, come era irradiato da Roma.

 

Se vogliamo considerare il fenomeno dal punto di vista dell’inizio dell’epoca dell’anima cosciente, dobbiamo osservare un momento notevole della storia, attraverso il quale si manifesta esteriormente ed in modo sintomatico come cessi di aver efficacia l’influsso che era stato dominante per tutto il medioevo, nel senso appunto indicato. Si tratta dell’anno 1303, quando la Francia trasferì il papa da Roma ad Avignone. Con questo fatto avvenne qualcosa che prima, naturalmente, non sarebbe stato possibile; da quel momento si potè dire che l’umanità era diventata diversa da come era prima, quando si sentiva dominata da un impulso universale. Prima di allora non sarebbe stato immaginabile che un re o un imperatore potesse pensare di trasferire il papa da Roma in un altro posto qualsiasi. Nel 1303 invece si procedette molto rapidamente: il papa fu trasferito ad Avignone, ed ebbero così inizio le varie dispute fra papi e antipapi, conseguenza appunto del trasferimento della sede pontificia. In relazione a ciò avvenne un altro fatto, che, anche se era in un rapporto del tutto diverso col cristianesimo, aveva pur sempre un certo legame esteriore con il papato. Il papa fu trasferito ad Avignone nel 1303, e poco dopo, nel 1312, fu disciolto l’ordine dei templari. Si tratta di punti di svolta nella storia, ed essi non vanno considerati soltanto per il loro contenuto intrinseco, ma anche come sintomi per poter trovare a poco a poco la realtà che oasi nascondono.

 

Considerando il periodo nel quale si verificò il punto di svolta ora esaminato, possiamo osservare altri sintomi. Guardando all’Europa di allora, risulta evidente che la vita europea viene più radicalmente influenzata dall’oriente, da avvenimenti che nella storia possono venir paragonati a fenomeni di natura. Si tratta delle continue migrazioni, iniziate con quella dei Mongoli: che provenivano dall’Asia verso l’Europa, dove portarono influenze asiatiche. Si rifletta come fatti del genere, se si connettono con quello prima descritto di Avignone, possono fornire spunti interessanti per uno studio dei sintomi storici. Le disposizioni e gli effetti che condussero e che sono legati all’avvenimento di Avignone sono un complesso variamente intrecciato di decisioni umane e di fatti umani; la stessa cosa invece non risulta considerando altri avvenimenti, come le migrazioni dei Mongoli prima, o dei Turchi in seguito. Nel valutare tutti questi fenomeni storici, occorre fare un’altra serie di considerazioni, se si vuole arrivare ad una vera sintomatologia storica.

 

Si pensi all’Asia e all’Europa (vedi disegno): le migrazioni passano dalla prima alla seconda. Immaginiamo che una corrente migratoria, composta di Mongoli e di Turchi, sia arrivata sino alla frontiera, per trovarsi di fronte agli Europei. In questo caso non si ha un complesso di decisioni prese da uomini, come nei fatti che condussero al trasferimento papale ad Avignone. Nel caso delle migrazioni occorre considerare i due campi: il primo da un lato della frontiera, e il secondo dall’altro (vedi disegno). Per gli Europei, la tempesta che si avvicina è come un fenomeno naturale, del quale essi osservano soltanto l’aspetto esteriore. Gli invasori non fanno che arrivare, penetrare e disturbare; però la loro civiltà, i loro atteggiamenti animici, la loro vita psichica, tutto ciò rimane al di là della frontiera. Comunque si voglia giudicare la cosa, sussiste però il fatto che gli invasori non portano seco la loro vita animica, che rimane oltre la frontiera: quest’ultima funziona come un setaccio, attraverso il quale passano soltanto cose paragonabili a forze elementari.

 

 

Nel fenomeno delle migrazioni si hanno quindi due aspetti: uno interiore, che si estrinseca nella vita animica degli uomini al di là della frontiera, ed uno esteriore, che si indirizza verso gli altri. Questo doppio aspetto non si ha negli avvenimenti di Avignone, nei quali ogni cosa è riunita in un unico complesso. Le migrazioni dall’Asia, invece, hanno proprio una grande somiglianza con i fenomeni naturali. Al riguardo si consideri che nell’osservare la natura se ne vedono i colori, se ne ascoltano i rumori, in effetti se ne osserva l’apparenza esterna, l’involucro; ma dietro a ciò sta lo spirito, stanno gli esseri elementari; anch’essi giungono soltanto sino ad un certo punto, ad un confine, come quello del disegno. Noi vediamo con gli occhi, ascoltiamo con le orecchie, tastiamo con le mani, ma lo spirito resta al di là dell’involucro delle cose. Nella natura è così: e, se non uguale, il fenomeno delle migrazioni è però molto simile: la parte animica degli invasori non passa, e nelle nuove regioni si riversa soltanto il loro lato esteriore.

 

Quando popoli o razze vengono ad urtarsi fra loro, mostrandosi l’un l’altro soltanto il lato esteriore, è straordinariamente importante considerare molto attentamente quanto così si forma di significativo (annoverabile anch’esso fra i sintomi) fra l’esperienza universale propria dell’anima umana, come è nel caso dell’evento di Avignone, e le vere e proprie impressioni prodotte dai fenomeni di natura. Le disquisizioni storiche dell’epoca moderna, che non tengono conto degli effetti derivanti da questa formazione intermedia, non possono arrivare ad una vera storia della civiltà; esempi ne sono Buckle e Ratzel. Nomino questi due storici, sia pure distanti l’uno dall’altro, perché entrambi partono dalla premessa che, di due avvenimenti storici, il primo debba essere la causa, il secondo l’effetto, e gli uomini vi si trovano coinvolti. Si tratta anche qui di un fenomeno che può essere considerato un sintomo per la più recente evoluzione umana; e, come vedremo nei prossimi giorni, anch’esso può diventare un ponte per passare dai sintomi alla realtà.

 

Ora vediamo emergere dal complesso degli avvenimenti qualche cosa che vogliamo pure considerare come sintomatico. Vediamo cioè sorgere nell’Europa occidentale formazioni più o meno unitarie, che in seguito furono note come Francia e Inghilterra. In un primo tempo, mentre sono in formazione, e se non badiamo a quanto esteriormente le divide, per esempio la Manica che è soltanto qualcosa di geografico, non è possibile distinguerle. In quell’epoca, all’inizio dell’evo moderno, l’Inghilterra è imbevuta di civiltà francese, il dominio inglese si estende alla Francia, i membri di una dinastia hanno pretese sul trono dell’altra, e così via. Vediamo ora invece affermarsi un altro elemento che, durante tutto il medioevo, era stato tenuto in secondo piano dall’impulso universale cattolico romano. Abbiamo già visto che allora gli uomini appartenevano a determinate comunità: comunità di sangue, nelle famiglie alle quali essi restavano attaccati con tenacia, e corporazioni di tutti i generi. Al di sopra di tutte queste istituzioni, però, esisteva qualche cosa di più forte e dominante che dava a tutto il resto la sua impronta: l’impulso universale cattolico, plasmato romanamente. E come quest’ultimo sottoponeva a sé le corporazioni e le altre comunità, così esso poneva in secondo piano anche l’elemento nazionale che non era considerato come la cosa più importante nella struttura animica umana, al tempo in cui il cattolicesimo universale romano sviluppava la sua massima forza.

 

Ad un certo momento, però, l’elemento nazionale cominciò ad esser considerato molto importante per gli uomini, in grado infinitamente maggiore di quanto non lo fosse prima, quando l’impulso universale cattolico primeggiava su tutto. E noi lo vediamo comparire in modo notevole in quelle regioni che abbiamo indicate. Mentre si afferma l’idea generale di sentirsi parte di una nazione — e ne parleremo ancora più avanti — in pari tempo interviene pure una notevole differenziazione. Infatti, mentre nel corso dei secoli si era diffuso in Francia e in Inghilterra un determinato impulso unitario, nel secolo XV si avvertono delle differenziazioni fra i due popoli, per i quali la svolta più importante è data dall’apparire di Giovanna d’Arco nel 1428; nella storia il suo impulso è poderoso, ed esso agì anche in seguito dando l’avvio alla netta differenziazione fra quanto è francese e quanto è inglese.

 

Nell’evoluzione dell’umanità moderna si osservano così due fenomeni paralleli: l’apparire del fattore nazionale, formatore di nuove comunità, e lo svilupparsi di sintomatiche differenziazioni fra le stesse, quando, per esempio nel 1428, si affaccia Giovanna d’Arco. Proprio nel momento in cui l’impulso papale deve allentare la presa sulle popolazioni dell’Europa occidentale, proprio allora appare in occidente la forza dell’elemento nazionale, formatore di nuovi impulsi. In queste cose non bisogna lasciarsi ingannare: nel modo in cui oggi viene insegnata la storia, per ogni popolo si può, naturalmente, risalire ad un momento nel quale l’elemento nazionale si è fatto valere; in tal modo però non si dà valore a come le cose agiscono. Per esempio, nella storia dei popoli slavi, i sentimenti e le forze nazionali potranno esser rintracciati ben addietro, se li si cerca con l’esperienza e le idee di oggi. Certo però che, nel periodo sopra considerato, gli impulsi nazionali furono attivi in modo del tutto particolare, cosicché si ebbe allora, nelle regioni di cui ho parlato, un’epoca ricca di impulsi, in altissimo grado trasformatori. Questo è l’importante: bisogna giungere all’obiettività se si vuole afferrare la realtà delle cose. Un altro fatto, sintomatico come quello descritto prima, caratteristico anche come manifestazione dell’anima cosciente, è la formazione di una coscienza nazionale italiana, liberantesi dall’elemento livellatore papale, prima d’allora diffuso sopra l’Italia, tanto da comprimere il fattore nazionale. Nella penisola, proprio in quella stessa epoca (sec. XV), è l’impulso nazionale che emancipa la gente dal papato. Sono tutti sintomi presenti nell’epoca in cui, in Europa, la civiltà dell’anima cosciente vuole svilupparsi da quella dell’anima razionale.

 

Nello stesso periodo, naturalmente guardato a secoli, comincia la tensione fra l’Europa centrale e quella orientale. Quanto si era sviluppato dal Sacro romano impero della nazione tedesca, contro il quale aveva cozzato il papato, deve ora contrastare l’avanzata tumultuosa, degli Slavi. Attraverso i più svariati sintomi storici si può osservare il continuo compenetrarsi fra l’Europa centrale e quella orientale. Nella storia non occorre dare troppa importanza alle case regnanti, come fanno i professori di storia. Si deve proprio essere un drammaturgo come Wildenbruch per presentare come un grande avvenimento storico quello che avvenne in un determinato luogo d’Europa fra Ludovico il Pio e i suoi figli; bisogna proprio essere un Wildenbruch per pensare che siano storicamente importanti i fatti che egli ci presenta nei suoi drammi. Quegli avvenimenti, riguardanti una famiglia regnante, non hanno maggior importanza, per la storia, di un qualsiasi altro pettegolezzo di una famiglia qualunque; e non hanno comunque nulla a che fare con l’evoluzione dell’umanità. Studiando la storia e osservandone i sintomi, si avverte il loro scarso significato e si sviluppa un senso per distinguere le cose rilevanti da quelle prive di significato per l’evoluzione dell’umanità. Per esempio, nell’epoca moderna è importante lo scontro fra la Europa centrale e quella orientale. Un fatto come quello che si svolse sotto Ottocaro, ha soltanto il significato di un gesto, che accenna però ad una realtà. È invece di profonda importanza non considerare questo avvenimento in modo unilaterale, ma osservare piuttosto che, pur fra i continui cozzi ricordati, avvenne una colonizzazione in Europa orientale da parte di contadini che dal Reno si trasferirono in Transilvania, dove, attraverso la mescolanza di Europa centrale ed Europa orientale, essi influirono profondamente sulla vita di quelle regioni, quale si sviluppò in seguito. Vediamo quindi l’azione degli Slavi mescolarsi con quanto è sorto, nell’Europa centrale, dal Sacro romano impero, continuamente percorso da coloni centroeuropei che si spostavano verso oriente; dal complesso di questi avvenimenti sorge così la potenza degli Asburgo. In seguito a tali movimenti, si verifica dappertutto in Europa un altro fenomeno, vale a dire la costituzione di centri, con atteggiamenti e modi di sentire propri, cioè i comuni nelle città. Fra i secoli XIII e XV si ebbe il principale periodo di fioritura, in tutta Europa, di singole città, ciascuna col suo particolare senso civico. Tale mentalità si sviluppa nelle città, ed in esse si formano anche notevoli personalità.

 

È anche caratteristico di questo periodo che, dopo la differenziazione intervenuta tra la Francia e l’Inghilterra, in quest’ultima si andasse preparando, lentamente ma a fondo, il fenomeno che più tardi in Europa diede luogo al parlamentarismo. Come si può vedere dalla storia, da una lunga guerra civile, durata dal 1452 al 1480, si andò sviluppando il germe del parlamentarismo, anche questo un sintomo storico che si estrinseca in una serie di altri sintomi. Quando nel secolo XV inizia l’epoca dell’anima cosciente, gli uomini vogliono divenire padroni delle loro azioni, vogliono parlarne, vogliono discuterne in Parlamento, vogliono esaminare quanto dovrà avvenire, e fare in modo che gli avvenimenti si svolgano come è stato deciso, anche se a volte si limitano ad avere l’illusione di averli determinati. In Inghilterra, dopo la fine della grave guerra civile del secolo XV, il fenomeno si sviluppa in forme nettamente differenziate in confronto a quanto, pure sotto l’influenza dell’impulso nazionale, avviene in Francia. Anche in Inghilterra il parlamentarismo va formandosi per impulso del fattore nazionale, e deve essere ben chiaro che il nascere di un tale fenomeno dalla guerra civile del secolo XV è sintomatico per le reciproche influenze che in esso giocano: da un lato il sorgere dell’idea nazionale, e dall’altro un impulso che già mostra chiaramente quello che vuole l’anima cosciente che si annunzia nell’uomo. Per le ragioni che risulteranno in seguito, irrompe così l’impulso dell’anima cosciente, proprio attraverso gli avvenimenti inglesi, ed assume quindi quelle caratteristiche nazionali, e quella colorazione, che soltanto in quel paese avrebbero potuto avere. In questo modo siamo arrivati ad esaminare parecchi dei fenomeni che hanno dato all’Europa la sua configurazione caratteristica, all’inizio dell’epoca dell’anima cosciente.

 

Dietro a tutto questo divenire, nello sfondo, si sviluppa a poco a poco ciò che più tardi divenne la Russia, una specie di mistero per l’Europa, a ragione considerata qualcosa d’ignoto. Sappiamo anche che questo avviene perché il suo contributo all’evoluzione è ancora in germe per l’avvenire. In un primo tempo la Russia va formandosi con vecchie componenti, o almeno con componenti che non sorgono dall’anima cosciente, e neppure dall’anima umana; certamente in origine provengono dall’anima umana, ma non in questo caso: nessuna infatti delle tre componenti che contribuirono alla formazione della Russia nascono dalla vera anima russa. Il primo dei tre elementi è il cattolicesimo bizantino, il secondo è rappresentata dagli impulsi portati dalla mescolanza di sangue fra Normanni e Slavi; il terzo è dato dagli influssi asiatici. Nessuno dei tre è prodotto dall’intimo dell’anima russa, ma tutti assieme hanno contribuito a dare la sua configurazione al mistero russa che allora andò formandosi in oriente, come sfondo agli avvenimenti europei.

 

Cerchiamo ora una caratteristica comune per tutti i sintomi che abbiamo esaminato. Ne esiste una, anche ben visibile. Basta confrontare le forze che spingono in tale periodo l’evoluzione dell’umanità con quelle che la determinarono in precedenza: si troverà una notevole differenza fra quanto è essenziale per la civiltà dell’anima cosciente e quanto invece la era per quella dell’anima razionale e affettiva.

 

Per chiarire meglio il concetto, esaminiamo queste forze in rapporto all’impulso cristiano, vale a dire ad un impulso che in ogni uomo deve venir prodotto nella più profonda interiorità, per passare poi realmente nel divenire storico. Il cristianesimo è il massimo impulso di questo genere in tutta l’evoluzione terrestre. Ma possiamo considerarne anche altri minori, per esempio, quanto è fluito nella romanità attraverso l’epoca di Augusto, nonché i numerosi impulsi che scaturirono dall’anima umana nella vita greca: vediamo allora come davvero ogni cosa nuova prodotta dall’anima penetri nella evoluzione dell’umanità.

 

La nuova epoca invece non porta a nessuna creazione, a nessuna nuova nascita, ma al massimo ad un rinascimento. In relazione a quanto sorge dall’anima umana, si giunge al massimo ad una rinascita dei vecchi impulsi, perché i nuovi impulsi non sorgono dall’anima umana. Il primo sintomo che abbiamo considerato è quello dell’idea nazionale o, come si dice, dell’impulso nazionale. Esso viene generato come un prodotto dell’anima umana, ma si trova fra le cose che noi ereditiamo, preesiste a noi. E cioè qualche cosa di ben diverso dai numerosi impulsi spirituali esistenti in Grecia. In un certo senso l’impulso nazionale è paragonabile ad un prodotto della natura; se un uomo si considera appartenente ad una determinata nazione, ciò nulla crea dal suo intimo, anche se indica il fatto che egli è cresciuto in un modo determinato, come cresce una pianta o un altro essere della natura. Con intenzione ho fatto presente che gli impulsi provenienti dall’Asia e che mostrano soltanto un loro lato alla civiltà europea, assomigliano a fenomeni naturali. Infatti anche in questo caso, per il fatto che i Mongoli prima, o i Turchi dopo, siano entrati nella storia europea, nulla avviene in Europa che sgorghi dall’anima degli uomini, anche se molte cose sono in seguito accadute per effetto di tali impulsi. In Russia pure nulla di caratteristico sorge dall’anima umana, e la mescolanza di sangue fra Normanni e Slavi porta soltanto ad una maggiore diffusione degli influssi bizantini e asiatici. Si tratta sempre di avvenimenti di natura che interferiscono nella vita umana, ma che nulla fanno sorgere dall’anima umana stessa. Consideriamo tutto ciò, vale a dire il fatto che il carattere dei fenomeni nei quali l’uomo s’imbatte cambia radicalmente a partire dal secolo XY, come un punto di partenza per successive osservazioni.

 

Sino ad ora abbiamo trattato di fatti storici esteriori, ma ora possiamo esaminare anche avvenimenti interiori, in più stretto rapporto cioè con l’impulso dell’anima cosciente che tende ad affiorare nell’anima umana. Si prenda per esempio il Concilio di Costanza del 1414, con l’esecuzione di Huss: una personalità, quest’ultima, che da un certo punto di vista può essere paragonata ad un vulcano. All’aprirsi del secolo XV, proprio all’inizio dell’epoca dell’anima cosciente, comincia nel 1414 il Concilio di Costanza che dovrà giudicare Huss. Nella vita moderna egli rappresenta una possente protesta contro la forma di civiltà portata dall’impulso universale cattolico, agente per suggestione. La stessa anima cosciente si erge in Huss contro tutto quanto era stato assorbito dall’anima razionale – affettiva per effetto dell’impulso universale romano. Lo stesso fenomeno si era già preparato e manifestato negli Albigesi: e quindi Huss non è un’apparizione isolata. In Italia si affaccia Savonarola, altrove degli altri; essenziale è che l’individuo, facendo leva soltanto su di sé, vuol arrivare, da solo, ad una propria fede religiosa, e si rivolta quindi contro la forza di suggestione del cattolicesimo papale.

 

Il movimento trova la sua continuazione in Lutero e nella emancipazione della Chiesa inglese da Roma, fenomeno questo specialmente interessante e notevole in sé; trova la sua continuazione anche nell’influsso calvinista in alcune regioni europee. Tali correnti si verificano in tutta l’Europa civile e, in confronto agli altri eventi prima ricordati, hanno un carattere interiore, sono maggiormente in rapporto con l’anima dell’uomo. Da un punto di vista storico, in fenomeni come quello di Calvino o di Lutero, oppure nell’emancipazione della Chiesa inglese da Roma, siamo portati ad ammirare non tanto le idee nuove che siano state create dall’anima, quanto piuttosto la forza con cui quelle personalità vollero rifondere in nuove forme gli stessi antichi concetti, in precedenza assorbiti in forma incosciente ed istintiva dall’anima razionale-affettiva, mentre ora essi vengono accolti dall’anima cosciente, poggiata su se medesima. Non che si creino fedi nuove, nuove idee, nuovi simboli; si disputa piuttosto intorno a vecchie idee. Pensiamo un momento a come l’umanità, più si retrocede nel tempo, fosse ricca nella produzione di simboli; pensiamo soltanto ai simboli ecclesiastici che veramente dovettero esser creati dall’anima umana. Ai tempi di Lutero e di Calvino si arriva soltanto a disputare se qualche cosa sia in un modo o in altro, ma non si trova da nessuna parte alcun nuovo impulso che, come tale, sia stato creato dall’anima umana. L’inizio della civiltà dell’anima cosciente comporta un nuovo rapporto verso queste cose, ma non necessariamente nuovi impulsi. Riassumendo si può dire che all’inizio di questa nuova età agisce in essa l’anima cosciente, manifestandosi in sintomi storici. Da un lato sono attivi gli impulsi nazionali, e dall’altro si ergono gli individui, sino nel profondo delle confessioni religiose, individui che vogliono poggiare soltanto su sé medesimi, perché l’anima cosciente vuole uscire dai suoi involucri.

 

Per studiare lo sviluppo degli stati nazionali più rappresentativi, Francia e Inghilterra, occorre seguire gli effetti delle due forze sinora caratterizzate. Esse si rafforzano sempre più, mostrando pure una differenziazione e un continuo intreccio fra l’impulso nazionale e quello individuale, a loro volta diversi in Francia e in Inghilterra, comunque però in modo non da creare cose nuove, ma da modificare le vecchie per metterle alla base di un nuovo corso della storia europea. Il rafforzamento dell’elemento nazionale si manifesta in modo speciale in Inghilterra, dove la forza dell’individuo, che altrove, come nel caso di Huss, irrompe come pathos religioso, qui si unisce con l’impulso nazionale e con quello dell’anima cosciente per realizzare sempre più il parlamentarismo e colorare ogni cosa politicamente. In Francia invece, malgrado il forte elemento nazionale che si manifesta anche attraverso il temperamento e altri fattori, l’affermarsi dell’individuo prende il sopravvento e mette maggiormente in evidenza l’altro aspetto. Mentre cioè in Inghilterra è più accentuato il carattere nazionale, in Francia l’elemento della personalità dà il tono che risulta visibile esteriormente. Questi fenomeni vanno osservati proprio intimamente.

 

Che queste forze agiscano oggettivamente e non dipendano dall’arbitrio umano, lo si rileva quando uno dei due impulsi agisce senza portare frutti, perché non è favorito dall’esterno e perché l’impulso contrario è ancora abbastanza forte da immiserirlo. In Francia l’impulso nazionale agisce così fortemente da emancipare il popolo dal papato: perciò fu proprio la Francia a costringere il papa a trasferirsi ad Avignone; si gettano così le basi per l’emancipazione dell’individuo. Anche in Inghilterra l’impulso nazionale è forte, e in pari tempo vi è quasi innato un intenso impulso individuale; di conseguenza tutta la civiltà inglese si emancipa in alto grado da Roma, dandosi anche una propria struttura confessionale. In Ispagna invece agisce bensì il medesimo impulso, ma noi vediamo che esso non può estrinsecarsi a causa delle peculiarità nazionali, e neppure l’individuo può emergere, svincolandosi dalla suggestione di Roma; tutto resta quindi come in un guscio, e arriva alla decadenza prima di essersi sviluppato. I fatti esterni sono soltanto sintomi per quanto noi cerchiamo attraverso di essi. Solo che lo si voglia vedere, è evidente che i fatti storici, normalmente considerati tali, sono invece soltanto dei sintomi. Per esempio, nel 1476 fu combattuta in Isvizzera una importante battaglia, e sono sintomatici i sentimenti che vivevano allora negli uomini, quando Carlo il Temerario fu vinto presso Murten: comincia allora l’eliminazione della nobiltà, strettamente legata al papato romano. Si tratta di un fenomeno che vale per tutto il mondo civile di allora, anche se affiora alla superficie soltanto in alcuni casi rappresentativi, contrastato anzi dal permanere delle vecchie tendenze. Come è noto, infatti, accanto alla normale evoluzione si riscontrano sempre influssi luciferici e arimanici, derivanti tutti dagli impulsi del passato che cercano d’imporsi. Le tendenze dell’evoluzione umana normale devono combattere contro residui luciferici e arimanici.

 

L’impulso visibile in Huss, Lutero, Calvino, WicliP deve combattere ed affermarsi. Un sintomo di questa lotta è anche dato dalla rivolta dei Paesi Bassi contro la personalità luciferico- arimanica di Filippo di Spagna. Un altro sintomo lo si ha nel 1588, notevole punto di svolta per la storia moderna, quando l’Armenia spagnola fu vinta e venne così combattuta la forte resistenza spagnola contro l’affermarsi dell’emancipazione individuale. I n questi due fatti, la rivolta dei Paesi Bassi e la vittoria sull’Armada, si hanno appunto due sintomi; si tratta di sintomi esteriori, ma si raggiunge la realtà, capace di portarci all’essenza delle cose, soltanto seguendo il succedersi delle diverse ondate superficiali. La vittoria sull’Armada del 1588 è frutto del principio individuale emancipatore, che sviluppa in sé l’anima cosciente e che si erge contro i residui più forti dell’anima razionale.

 

In realtà, anche se è comodo, non ha molto significato considerare la storia come se ogni fenomeno successivo fosse la conseguenza del precedente, come se la storia fosse un continuo susseguirsi di cause ed effetti, è forse comodo per l’insegnamento scolastico passare in questo modo da un fatto storico al successivo, ma se si è desti e si guardano le cose con gli occhi aperti, i sintomi storici medesimi ci mostrano l’assurdità di un tale modo di considerare la storia.

 

Prendiamo un altro sintomo storico, da un certo punto di vista particolarmente chiarificatore. I vani impulsi presenti nel secolo XV e che sono stati indicati, quello nazionale, quello individuale, eccetera, portarono tutti a dei contrasti che condussero alla guerra dei trent’anni. In genere questa pagina di storia è raccontata in modo poco adatto per afferrare i sintomi importanti che da essa affiorano. Quel modo di raccontarla non è utile neppure dal punto di vista delle chiacchiere da caffè, perché alla lunga non può avere molta importanza per la storia europea se Martinitz, Slawata e Fabricius siano stati gettati dalla storica finestra, per incontrare morte certa se sotto di loro non si fosse trovato un provvidenziale immondezzaio sul quale caddero, restando così in vita. Incidentalmente, quel mucchio deve essere consistito soltanto di carta straccia, lasciata per molto tempo a marcire dai servi di Hradschin, fino a diventare un immondezzaio di carta. Tutto ciò ha l’aria di un aneddoto simpatico da raccontare, ma non si può affermare che questa storiella sia in intimo rapporto con l’evoluzione dell’umanità. Importante è invece sapere che la guerra dei trent’anni, iniziata nel 1618, scoppiò per puri contrasti confessionali, per effetto delle diverse forze insorte contro il vecchio impulso cattolico. Si svolsero così le più aspre battaglie, conseguenza del contrasto fra il nuovo principio individuale e il vecchio cattolicesimo agente per suggestione. Se poi studiamo tutta la guerra e arriviamo alla sua fine, con la pace di Westfalia del 1648, ci si può chiedere che cosa sia realmente avvenuto nel frattempo, quali siano i nuovi rapporti stabilitisi fra protestantesimo e cattolicesimo, a quali conclusioni entrambi siano arrivati e come essi si siano sviluppati in quei trent’anni. Allora risulta evidente il fatto che, nei contrasti fra le due confessioni e in tutto quanto ne derivava, nulla era accaduto di determinante. Nel 1648 le cose erano esattamente allo stesso punto che nel 1618. Se anche qualche particolare era un poco modificato da quando si era cominciato a combattere, la sostanza delle cose stava esattamente come prima, almeno nell’Europa centrale. Soltanto le forze che nel corso della guerra si erano successivamente mescolate nella lotta e che nulla avevano a che fare con le cause che nel 1618 avevano portato allo scoppio della guerra, soltanto quelle forze si erano fatte avanti per dare, all’Europa politica, una tutt’altra struttura. L’orizzonte politico di quelli che erano entrati successivamente nella guerra divenne del tutto diverso; gli stati che si avvantaggiarono della pace di Westfalia, e ne risultarono modificati, nulla avevano a che fare con le cause della guerra nel 1618. Proprio nella guerra dei trent’anni questa osservazione è di straordinaria importanza, e ci dimostra quanto poco significato abbia il considerare la storia un seguito di cause ed effetti, come generalmente avviene. Dagli eventi di quella guerra derivò infatti la posizione dominante di Inghilterra e Francia in tutta Europa; ma proprio questo fatto specifico nulla ha a che fare con le cause che portarono alla guerra.

 

Il fenomeno più importante della storia moderna, in conseguenza della guerra dei trent’anni, è proprio che gli impulsi nazionali, in unione con gli altri più sopra considerati, determinano il fatto che Francia e Inghilterra diventano gli stati nazionali più rappresentativi. Oggi si parla molto del principio nazionale per l’oriente, ma non bisogna dimenticare che esso vi è stato portato dall’occidente. Come i venti alisei sulla terra, così il movimento degli impulsi nazionali si è spostato da occidente verso oriente. Un fenomeno da tener ben presente.

 

È anche interessante vedere come i due principii, quello nazionale e quello dell’emancipazione dell’individuo, si manifestino in modo del tutto diverso nelle due nazioni che, come abbiamo visto, iniziarono a differenziarsi nel 1428. In Francia l’emancipazione dell’individuo, sia pure entro la nazione, assume una sfumatura interiore. In altre parole, immaginando il fattore nazionale come una linea che abbia da un lato l’uomo singolo e dall’altro l’umanità, il mondo, in Francia l’evoluzione prende la direzione dal nazionale verso l’uomo e in Inghilterra dal nazionale verso l’umanità.

 

In Francia l’impulso nazionale, entro lo stato nazionale, si trasforma in modo da tendere alla modificazione dell’uomo in sé, in modo da fame qualcosa di diverso. In Inghilterra invece, partendo dall’elemento nazionale, l’individuo vuole proiettarsi in tutto il mondo, vuole modificare il mondo in modo che ovunque l’individualità possa destarsi. Il Francese vuole diventare l’educatore dell’elemento personale nell’anima, mentre l’Inglese tende a divenire il colonizzatore di tutta l’umanità, in rapporto sempre allo sviluppo dell’individuo. Si tratta di due indirizzi completamente diversi, entrambi cresciuti sulla base del principio nazionale. Il primo s’indirizza verso l’interiorità dell’anima singola, il secondo verso l’anima dell’umanità. In Francia e in Inghilterra si hanno così due correnti parallele che si differenziano in due sfumature ben distinte. Di conseguenza, solo in Francia, dove venne afferrata l’interiorità dell’uomo, il corpo sociale in formazione sfociò nella rivoluzione, dopo aver attraversato l’epoca di Luigi XIV; l’Inghilterra invece potè evolversi verso un calmo liberalismo, perché scaricava le sue forze verso l’esterno e non verso l’interiorità dell’uomo, come avveniva in Francia.

 

Questo fenomeno appare anche geograficamente, in modo speciale se consideriamo come sintomo un punto di svolta della storia moderna, quando Napoleone, figlio della rivoluzione, nel 1805 perdette la battaglia di Trafalgar contro gli Inglesi. Napoleone, sia pure a modo suo, rappresentante delle caratteristiche francesi e della tendenza verso l’interiorità, a seguito della sconfitta di Trafalgar, è costretto anche geograficamente a rivolgersi all’interno del continente europeo, mentre gli Inglesi sono sospinti proprio nella direzione opposta, verso il vasto mondo. Non bisogna neppure dimenticare che la differenziazione descritta avviene attraverso le necessarie dispute e gli opportuni reciproci adattamenti. Così avviene, per esempio, nella lotta per il dominio in America che sembra quasi risultare dalla svolta del 1805, anche se in realtà già alcuni decenni prima nell’America settentrionale il romanismo attivo dei Francesi, che ne avevano ricevuto la loro particolare sfumatura, era stato respinto, di fronte al mondo, dall’elemento anglosassone.

 

Soltanto che lo si voglia, si avvertono gli elementi attivi nella storia. Abbiamo visto come l’impulso dell’anima cosciente, al pari di un apprendista stregone, abbia suscitato con la sua forza gli impulsi nazionali che poi, nei modi più svariati, si sono innestati nell’umanità e vi si sono differenziati. Si afferra l’essenza di questi problemi, se si ricerca in essi l’impulso dell’anima cosciente, evitando però un lavoro pedantesco, per arrivare a distinguere le cose importanti dalle non importanti, le caratteristiche dalle non caratteristiche, o dalle meno caratteristiche; in questo modo, attraverso i sintomi esteriori, si può arrivare al cammino interiore della realtà. Infatti avviene spesso che le cose esteriori siano in contrasto, magari totale, con gli impulsi interiori della personalità, specialmente in un’epoca nella quale il singolo deve poggiare soltanto su di sé. Anche questo appare, se nella storia moderna si considerano i sintomi relativi all’evoluzione della umanità.

 

La storia può essere immaginata come una corrente di cui si veda soltanto la superficie, ma, come viene insegnata nelle scuole, essa narra la non-realtà. Nel suo vero corso invece appaiono dei punti, corrispondenti a determinati avvenimenti storici, che, come onde, a volte anche in modo vulcanico, portano in superficie quanto si trovava al di sotto. In altri punti ancora emerge alla superficie qualcosa che scorreva in profondità, e si palesa in singoli avvenimenti storici che sono perciò specialmente caratteristici come sintomi. Ma a volte sono proprio sintomi per i quali si deve completamente prescindere dall’elemento esteriore, per concentrarsi invece sui fatti sintomatici.

 

Nel manifestarsi degli impulsi propri dell’anima cosciente in Europa occidentale, una personalità è, per esempio, specialmente caratteristica, sia per il suo sviluppo personale, sia per la sua posizione nella storia moderna. Essa appare all’inizio del secolo XVII, in una posizione chiave per la differenziazione fra gli impulsi francesi e quelli inglesi, quando già gli effetti di tale differenziazione si erano diffusi nel resto dell’Europa. Nel secolo XVII infatti essa era già avviata da qualche tempo e già si era propagata. La personalità di cui si parla era degna di nota, e si può descrivere come segue : straordinariamente generosa, ricolma di un vero e profondo sentimento di gratitudine per le diverse conoscenze che aveva potuto acquisire; riconoscente al massimo grado ed in modo esemplare per tutto quanto di buono le giungeva dall’umanità; molto colta, riuniva in sé, direi, quasi tutta l’erudizione del suo tempo; era un uomo molto amante della pace, schivo delle questioni del mondo e, come sovrano, seguiva l’ideale della pace nel mondo, specialmente saggio e ponderato in merito a decisioni da prendere o impulsi di volontà da seguire, profondamente disposto all’amicizia verso gli uomini. Solo a voler essere un poco unilaterali, quella figura potrebbe essere descritta in questo modo, considerandola esteriormente, come appare nella storia.

 

Volendo però essere unilaterali in senso opposto, la stessa persona potrebbe essere descritta in quest’altro modo: un dissipatore spaventoso che non aveva alcuna idea di quanto potesse spendere o meno, un pedante, un vero tipo di professore che spingeva sempre la sua erudizione verso l’astrazione e la pedanteria. Lo si può indicare come un uomo timido, un carattere pusillanime che, ogni volta che occorreva difendere qualcosa apertamente e con coraggio, si ritirava pavidamente, e per pusillanimità preferiva la pace. Si può dire che fu uno scaltro e che si destreggiò tutta la vita in modo da scegliere con furberia le soluzioni che sempre gli permisero di trarsi d’impaccio. Si può anche dire che fosse un uomo che cercava di avere relazioni con altri uomini come fanno i bambini, un uomo che, nelle sue amicizie, manifestava un carattere fanciullesco, portandovi un elemento fantastico o romantico, sia nell’onorare gli altri uomini che nel farsi venerare da essi. Basta soltanto essere un poco unilaterali per poter dire di quella persona l’una o l’altra cosa. Ci furono realmente uomini che dissero l’una o l’altra cosa, alcuni persino tutt’e due. Con queste immagini si è descritto un personaggio storico, Giacomo I: quale ci si presenta nel periodo del suo regno, dal 1603 al 1625. Lo si può descrivere nella prima maniera, ed anche nella seconda; entrambe si adattano perfettamente alla personalità di Giacomo I. Descrivendolo in un modo o nell’altro però, non si arriva ad afferrare né quanto in realtà vivesse nel suo intimo, né le sue esperienze di uomo appartenente all’evoluzione umana dell’epoca moderna; appunto in quell’epoca, durante il regno di Giacomo I in Inghilterra, dal basso sorgono sintomi che sono caratteristici per quanto in realtà si stava sviluppando.

Domani ne parleremo di nuovo.