Pasqua, la festa dell’esortazione – I

O.O. 198 – Pasqua, la festa dell’esortazione – 02.04.1920


 

L’abitudine di distinguere la festa di Natale dalla festa della Pasqua per il fatto che il Natale é una festa fissa, che cade all’incirca qualche giorno dopo il 21 dicembre, ossia dopo il solstizio invernale, mentre la Pasqua cade in un giorno determinato da una data costellazione, ossia da una costellazione che mette in relazione il cosmo con l’aspetto umano terreno, si affermò già nei tempi antichi del Cristianesimo.

Ci troveremo domani nella prima luna piena di primavera, con la quale coincide il sole primaverile, entrato nel segno della primavera dopo il 21 marzo. Secondo una visione cristiana della vita, quando gli uomini sulla terra festeggiano la prima domenica successiva alla luna piena di primavera, cioè il giorno che deve loro ricordare il rapporto che essi hanno con le forze solari, festeggiano la Pasqua. La Pasqua é una festa mobile poiché, per capire il momento in cui cade la festa della Pasqua, é necessario, in un certo senso, osservare ogni anno nel cielo questa costellazione.

Tali circostanze vennero stabilite in un tempo in cui erano ancora presenti tradizioni di saggezza che trasmettevano all’uomo una conoscenza che superava di gran lunga quella che può fornirci oggi la scienza. Nei tempi antichi, quando ancora esisteva quel genere di conoscenza, l’uomo cercava di manifestare in questo modo il suo rapporto con il cosmo. Simili circostanze prestabilite indicano sempre gli elementi più importanti per l’evoluzione dell’umanità.

 

• La ricorrenza del Natale ad una data fissa

sta ad indicare quanto esso debba venire sentito come intimamente collegato a ciò che è terreno,

poiché deve ricordare la nascita dell’uomo nel quale entrò poi l’essere del Cristo.

• La Pasqua deve ricordare un evento significativo

non soltanto per il corso dell’evoluzione terrestre, ma per il complesso delle relazioni cosmiche in cui l’uomo è collocato.

Questa è la ragione per cui la Pasqua non è una festa che si orienta semplicemente secondo le consuete usanze terrene, ma è piuttosto una festa la cui data può venire stabilita soltanto se l’uomo volge i suoi pensieri a quanto sta fuori dalla terra.

Nella determinazione della data in cui ricorre la festa mobile della Pasqua ritroviamo un elemento ancora più profondo, ossia il modo in cui l’uomo si dovrebbe liberare, attraverso l’impulso del Cristo, dall’evoluzione terrena, dalle forze della semplice evoluzione terrena; se ne libererà cioè, attraverso la conoscenza del cosmo. Vi è in tale determinazione, in un certo senso, un’esortazione ad elevarsi verso il cosmo ed inoltre la promessa da parte della storia cosmica che l’uomo potrà liberarsi dalla condizione terrena attraverso l’impulso del Cristo.

 

Se vogliamo comprendere a fondo e riconoscere quanto si manifesta nell’atto della determinazione della ricorrenza della Pasqua, come ho appena espresso, dobbiamo considerare i primi misteri connessi al sorgere del Cristianesimo, misteri che sono rimasti via via celati, per un certo periodo, in misura maggiore o minore, alla concezione materialistica del mondo; questa si è introdotta nell’evoluzione dell’umanità fin dagli inizi della quinta epoca post-atlantica ed è ora giunto il momento di superarla. Per poter considerare in modo adeguato queste circostanze è necessario vedere come la figura di Paolo interviene sullo sviluppo dell’impulso di Cristo nell’evoluzione umana, nell’ambito della storia cosmica.

 

Dobbiamo riportare sempre di nuovo di fronte alla nostra anima il modo in cui la figura di Paolo interviene nello sviluppo del Cristianesimo. Paolo ebbe numerose occasioni per poter essere al corrente degli eventi che si verificarono in Palestina e che si ricollegano alla personalità di Gesù, poiché ne ebbe diretta visione e percezione fisica esteriore. Paolo non si lasciò però convincere da quanto in questo modo agì su di lui nel mondo fisico, poiché quando gli eventi di Palestina erano già giunti alla loro conclusione fisica, egli apparteneva ancora a coloro che combattevano contro il Cristianesimo.

 

Paolo divenne apostolo di Cristo soltanto dopo aver vissuto l’evento di Damasco, dopo aver sperimentato l’essere dell’impulso di Cristo attraverso un fatto cosmico, soprasensibile. Paolo è proprio colui che non si lasciò convincere del significato dell’impulso di Cristo dalle impressioni fisiche sensibili, ma che per giungere alla convinzione ebbe bisogno dell’esperienza soprasensibile. Tale esperienza incise profondamente sulla vita di Paolo, tanto che egli divenne un uomo completamente diverso. Fu tanto determinante che Paolo divenne ciò che si può chiamare un iniziato.

 

Paolo era ben preparato per una simile esperienza. Era un uomo che conosceva i misteri della religione ebraica, che conosceva la saggezza e la concezione del mondo degli ebrei. Grazie a queste conoscenze era certamente preparato a giudicare l’evento che gli si presentò come l’evento di Damasco; era tanto preparato da potersene fare un’immagine, un’idea giusta.

 

Dai suoi scritti, detti appunto gli scritti di Paolo, ci appare soltanto un riflesso, direi, di ciò che Paolo veramente sperimentò nella sua interiorità. Parlando dell’evento di Damasco egli mostra che attraverso di esso giunse alla conoscenza della vicenda cosmica che si cela dietro al velo del mondo sensibile. Ne parla in modo tale da farci comprendere che egli fu certo in grado di giudicare la differenza tra il mondo soprasensibile e quello sensibile.

 

Paragonando anche solo esteriormente la vita di Paolo all’esperienza terrena esteriore del Cristo Gesù, riscontriamo un elemento estremamente singolare che si può chiarire soltanto considerando oggettivamente l’evoluzione dell’umanità dal punto di vista della scienza dello spirito. Vi ho spesso fatto notare a questo proposito che in altri tempi lo sviluppo organico e animico dell’uomo era di tutt’altra natura e che è cambiato nel corso dell’evoluzione dai tempi delle epoche di cultura indiana, persiana, egizio-caldaica e greco-latina fino ai giorni nostri.

 

Se si volge lo sguardo ai primordi dell’evoluzione dell’umanità

vediamo che l’uomo manteneva la capacità di svilupparsi organicamente fino a tarda età,

vediamo che egli percorreva fino a tarda età le tappe di uno sviluppo parallelo dell’anima e del fisico,

simili a quelle che egli percorre oggi soltanto con il cambio dei denti, con la maturità sessuale e con l’inizio dei vent’anni.

 

L’umanità in generale ha perso la possibilità di sperimentare simili passaggi

da una fase di sviluppo ad un’altra in età avanzata.

Gli uomini dei tempi antichi hanno potuto sperimentare lo sviluppo parallelo del corpo e dell’anima

• fino ai 50 anni negli antichissimi tempi dell’India,

• fino ai 40 nell’epoca persiana ed in quella egizia

• e fino ai 35 nell’epoca greco-latina.

 

Oggi possiamo avere esperienza di tale parallelismo nell’uomo

nel normale stato di coscienza soltanto fino ai 27 anni,

ed anche allora ciò che si verifica negli ultimi anni è appena percettibile.

 

Ai tempi in cui l’impulso del Cristo si introdusse nell’evoluzione dell’umanità,

gli uomini potevano ancora sperimentare, anche coloro che appartenevano al popolo greco-latino,

tale parallelismo fino al 33° anno.

 

Il Cristo Gesù visse sulla terra il tempo necessario a sperimentare nella vita terrena il parallelismo che intercorre tra l’organizzazione animico-spirituale e l’organizzazione fisica. Dopodiché, dal punto di vista della vita terrena, egli passò attraverso la soglia della morte. Si può riconoscere il significato del passaggio attraverso la soglia della morte soltanto dal punto di vista della scienza dello spirito, se si possiede la facoltà di vedere nei mondi soprasensibili, poiché quello non è un evento comprensibile sulla base di quanto si verifica nel mondo sensibile.

 

Paolo aveva pressapoco la stessa età del Cristo Gesù considerato come uomo fisico; egli trascorse in opposizione al Cristianesimo proprio il periodo di tempo che il Cristo Gesù trascorse agendo sulla terra, e nella seconda parte della sua vita sperimentò quanto gli era derivato dalle esperienze soprasensibili, sperimentò cioè attraverso esperienze soprasensibili, quanto da quel giorno l’uomo non poteva più sperimentare attraverso l’esperienza sensibile nella seconda metà della vita, ossia il parallelismo tra lo sviluppo animico-spirituale e lo sviluppo fisico. L’evento del Golgota fu compreso da Paolo mediante una diretta illuminazione, mentre un tempo gli uomini possedevano una facoltà di comprensione atavica, grazie alla saggezza originaria e nei tempi più recenti la possono raggiungere soltanto attraverso una nuova scienza dello spirito.

 

Questo toccò a lui affinchè egli potesse dare impulso ad un giusto modo di comprendere quanto era avvenuto per l’umanità grazie all’impulso del Cristo. Paolo continuò a peregrinare sulla terra per un tempo equivalente a quello in cui il Cristo aveva peregrinato sulla terra, ossia all’incirca fino all’età di 67/68 anni, per portare egli stesso nell’evoluzione terrestre l’insegnamento del Cristianesimo. Vi è un singolare parallelismo tra la vita del Cristo Gesù e la vita di Paolo. La vita del Gesù era però colmata dell’essere interiore del Cristo, mentre in Paolo era tanto forte l’esperienza a posteriori di ciò che era avvenuto, che egli potè essere il primo uomo in grado di portare le giuste immagini del Cristianesimo cosa che egli fece per un periodo di tempo corrispondente all’incirca alla durata della vita terrena del Cristo. È in realtà molto importante per gli uomini considerare la relazione tra ciò che la vita del Cristo sulla terra significò per lo sviluppo terreno dell’umanità e ciò che Paolo insegnò riguardo all’essere del Cristo; considerarla cioè in modo giusto.

 

Questa relazione deve essere sentita veramente come il risultato dell’influsso soprannaturale che venne esercitato su Paolo. E se la teologia moderna é giunta a spiegare l’evento di Damasco come una sorta di allucinazione, di illusione, ciò solo dimostra che anche essa è ormai sfociata nel materialismo, e non conosce più la natura del mondo soprasensibile, nè il significato che ha la conoscenza di tale mondo per una giusta comprensione dell’essenza del Cristianesimo. Bisognerebbe che oggi ognuno ammettesse di fronte a se stesso, con completa serietà ed onestà, che è difficile penetrare a fondo le immagini che si trovano nei Vangeli e nelle lettere di Paolo, immagini tanto diverse da quelle di oggi; siamo però stati abituati a non tenere conto di tali immagini. L’uomo è in fondo lontano, molto lontano dal farsi le giuste immagini di fronte alle parole di Paolo, tanto le sue rappresentazioni sono compenetrate dalle abitudini rappresentative di oggi. Anche se gran parte dei teologi odierni si sforza di interpretare l’evento di Damasco nel modo più materialistico possibile e sebbene molti teologi cerchino addirittura, pur professandosi veri cristiani, di negare la realtà della resurrezione del Cristo, siffatte personalità dimostrano soltanto di non essere appunto disposte a servirsi di alcun tipo di conoscenza del mondo soprasensibile nei riguardi dell’essenza del Cristianesimo, dell’apparizione del Cristo Gesù nell’evoluzione della terra.

 

Il fatto che la figura di Paolo sia posta in un certo senso all’apice della tradizione cristiana,

come figura di un uomo che è giunto alla comprensione del Cristianesimo attraverso esperienze soprasensibili,

costituisce una specie di esortazione rivolta agli uomini a ricorrere alla conoscenza soprasensibile;

ciò significa che è impossibile capire il Cristianesimo

senza ricorrere a conoscenze che abbiano la loro origine nel mondo soprasensibile.

 

È necessario considerare la figura di Paolo come la figura di un uomo che è stato iniziato alle relazioni cosmiche soprasensibili ed è necessario vedere in questa luce quanto egli si è sforzato di insegnare all’umanità.

Cerchiamo di tenere presenti alla nostra anima, nei termini del linguaggio odierno, alcuni degli argomenti che furono particolarmente importanti, da quanto risulta, proprio per l’iniziato Paolo.

• Fu per lui molto importante indicare all’uomo un modo completamente nuovo di porsi innanzi all’evoluzione cosmica, derivato dall’impulso del Cristo Gesù.

• Fu per lui importante dire che era trascorso per l’uomo il periodo dell’evoluzione cosmica che comprendeva le antiche esperienze pagane e che erano presenti nella vita animica dell’uomo nuove esperienze; si trattava ora soltanto per l’uomo di osservarle.

 

Paolo aveva così già indicato la svolta radicale nell’evoluzione terrena dell’uomo, che si dovrebbe sempre tener presente se si vuole comprendere la storia in modo veridico. Se ci volgiamo indietro e consideriamo l’evoluzione precristiana, ossia quei tempi che erano ancora particolarmente caratteristici in quanto avevano ancora in modo radicale le qualità migliori dell’epoca precristiana, possiamo dire: allora il modo di vedere degli uomini era completamente diverso. Ovviamente un cambiamento tanto profondo non era avvenuto in un solo momento; l’evento del Golgota testimonia comunque il punto che separa una fase dell’evoluzione degli uomini dall’altra!

 

L’evento del Golgota è collocato alla fine del periodo di evoluzione

in cui gli uomini potevano avere una visione del mondo spirituale

anche soltanto osservando il mondo sensibile.

 

Per quanto poco ciò importi all’uomo di oggi e per quanto poco plausibile ciò gli possa apparire,

pure nell’epoca precristiana gli uomini vedevano normalmente il sensibile

ed allo stesso tempo lo spirituale.

Non vedevano semplicemente alberi, piante, ma insieme a questi vedevano anche l’aspetto spirituale.

 

L’epoca di cultura in cui ciò poteva avvenire era però ormai trascorsa quando si avvicinò l’evento del Golgota.

Un nuovo elemento doveva intervenire nell’evoluzione dell’umanità.

 

• Se l’uomo osserva lo spirituale nelle cose fisiche e sensibili che lo circondano,

la sua coscienza non può mai divenire tale per cui possa sorgere in lui l’impulso della libertà.

L’impulso alla libertà può nascere solamente se il divino-spirituale abbandona l’uomo

quando egli si volge semplicemente al mondo esteriore.

• All’impulso della libertà deve essere collegata la necessità

di suscitare la visione dello spirituale dalle forze più profonde dell’anima.

 

Paolo voleva rivelare anche questo all’umanità, ossia che ai tempi in cui gli uomini costituivano soltanto la stirpe di Adamo e non era loro necessario suscitare nella loro interiorità un’esperienza attiva per arrivare a vedere lo spirituale, poiché tutto ciò che viveva nell’aria e sulla terra, il divino-spirituale, si presentava loro come qualcosa di demoniaco. Questa convivenza con il divino-spirituale tramite l’apparenza sensibile doveva però cessare per gli uomini e doveva giungere il momento in cui l’uomo potesse elevarsi al divino-spirituale soltanto attraverso un rafforzamento attivo della sua interiorità. L’umanità doveva imparare a capire queste parole: “Il mio regno non appartiene a questo mondo”, non doveva rimanere vincolata ad un divino-spirituale che vuole risultare dall’apparenza sensibile.

 

Gli uomini devono trovare la via ad un regno divino-spirituale

che debba essere raggiunto grazie alla lotta interiore, allo sviluppo dell’interiorità.

 

Paolo viene inteso oggi in modo così grossolano poiché si continua a voler tradurre nella nostra lingua, cioè nella lingua del materialismo di oggi quanto egli disse.

Lo si intende in modo tanto grossolano da giungere a definire come visionario colui che dice quanto segue (e che corrisponde senz’altro alla verità) sul contenuto del linguaggio di Paolo. Paolo sperimentò cioè come una crisi cosmica la scomparsa nel crepuscolo dell’antico modo di vedere sensibile-divino e il fatto che dovesse nascere, come in un nuovo regno di luce, una visione dello spirituale non presente nella visione sensibile da conquistare per mezzo dell’iniziativa interiore.

 

Paolo sapeva, in base alle sue esperienze di iniziato, che il Cristo è unito all’evoluzione terrena dell’umanità dalla resurrezione in poi; ma egli sapeva anche che sebbene il Cristo vada errando sulla terra, lo si può trovare soltanto raccogliendo le forze della visione interiore, e non semplicemente attraverso la visione sensibile. Chi voglia trovarlo attraverso la semplice visione sensibile è senz’altro in errore, scambia un demone per il Cristo.

Paolo insegnava, a coloro che nella sua comunità ne avevano le facoltà, che non ci si doveva avvicinare al Cristo attraverso l’antico modo di vedere demoniaco, poiché in quel modo si sarebbe certamente scambiato per il Cristo un essere sbagliato! Per questa ragione Paolo si preoccupò di distogliere lo sguardo degli uomini dai demoni dell’aria e della terra, certamente a loro molto familiari nei tempi passati, poiché erano rimasti in possesso di facoltà ataviche ormai non più giustificate che consentivano di vederli.

 

Paolo non si stancò mai nel continuare ad esortare gli uomini affinchè sviluppassero la forza interiore che, sviluppandosi, avrebbe reso loro possibile comprendere che era subentrato nell’evoluzione della terra un impulso completamente nuovo, un nuovo essere:

“Cristo tornerà a voi se riuscirete a trovare la via che conduce al di fuori della visione sensibile e fisica della terra. Cristo tornerà a voi, poiché egli è qui. Soltanto per voi egli dovrà ritornare. Egli è presente grazie all’evento del Golgota, dovete soltanto trovarlo”.

Ecco quanto Paolo annunciò nel suo linguaggio, un linguaggio che suonava allora spiritualmente in un modo molto diverso da quello, tanto amato, in cui lo si traduce oggi. Paolo continuò a voler destare negli uomini la convinzione che, se si vuole capire il Cristo, è necessario un modo di vedere diverso da quello che basta invece per il mondo sensibile.

 

A questo riguardo l’umanità di oggi è giunta al punto di parlare ancora del divario esistente tra la scienza esteriore sensibile e la fede. La teologia moderna consente alla scienza esteriore sensibile di essere complicata, connessa alle cose e di dover sempre apprendere qualcosa; non lo consente però alla fede. La fede deve appellarsi (come si è sempre ribadito) all’aspetto più infantile dell’uomo, all’aspetto per il quale non è necessario apprendere alcunché.

Questo modo di vedere si è così configurato, giungendo persino a negare la realtà dell’evento di Damasco, volendo considerarlo soltanto come una specie di allucinazione di Paolo. Se però l’evento di Damasco fu soltanto un’allucinazione, o, meglio, se fu soltanto ciò che gran parte dei teologi moderni intendono, allora si dovrebbe anche avere il coraggio di dire: “liberiamoci al più presto del Cristianesimo”, poiché in tal caso, con il Cristianesimo sarebbe penetrata nell’umanità la più grande assurdità.

 

Ecco quanto si dovrebbe fare nei confronti delle più recenti dottrine teologiche, se gli uomini le considerassero prima con serietà, poi con coraggio: ma essi non le considerano né con serietà, né con coraggio. Si arrendono di fronte alla semplice scienza esteriore sensibile, negano il vero impulso interiore dell’evento di Damasco, ma continuano ad aggrapparsi al Cristianesimo. Proprio in queste cose si manifestano nel modo più evidente le deformazioni interiori, animico-spirituali dei nostri tempi, poiché in esse si dimostra la profonda menzogna interiore del nostro tempo.

Si dovrebbe ammettere questa verità: o l’evento di Damasco fu un fatto reale, corrispondente ad una realtà, ed allora il Cristianesimo ha un senso; oppure l’evento di Damasco fu quanto sostiene la teologia moderna, che vuole conformarsi alla scienza, ed allora il Cristianesimo non avrebbe alcun senso.

 

È molto importante che – in questi tempi di ardue prove – gli uomini si pongano di fronte all’animo questa alternativa. La tendenza alla falsità, spesso inconscia ma non per questo meno dannosa, ha colpito l’umanità proprio perchè gli uomini sono diventati interiormente insinceri verso se stessi riguardo alle questioni più sacre, insinceri perchè non dovrebbero più poter chiamare Cristianesimo quello che essi definiscono come tale. Per questo esiste l’inclinazione alla menzogna, per questo essa è tanto intimamente collegata agli avvenimenti che dovranno ormai portare alla completa decadenza della vita culturale europea, a meno che in essa non si rifletta in tempo sulla necessità di volgersi alla conoscenza spirituale.

 

Per volgersi alla conoscenza spirituale non basta però davvero, in questi tempi di difficili prove, fermarsi alle piccole cose; è necessario invece considerare le cose veramente a fondo e pensare che bisogna che proprio oggi si verifichino grandi cambiamenti. Bisogna continuare ad insistere su questo punto: che cosa rappresenta oggi veramente la Pasqua per gran parte degli uomini?

Quando si avvicina la Pasqua, molti nel formulare pensieri sulla ricorrenza insieme agli altri con i quali la festeggiano mantengono le vecchie abitudini di pensiero, servendosi nel parlare di termini vecchi, o continuando a parlare in modo più o meno automatico e recitando le stesse formule che si sono sempre recitate. Ma abbiamo oggi il diritto di recitare tali vecchie formule, dal momento che possiamo notare ovunque intorno a noi la mancanza di volontà a partecipare alle grandi trasformazioni che sono oggi necessarie? Possiamo con diritto appellarci alle parole di Paolo: “Non io, ma il Cristo in me”, dal momento che siamo così poco propensi a riflettere su ciò che nel corso degli ultimi tempi ha condotto l’umanità ad una grande disgrazia? Non si dovrebbe piuttosto, proprio in occasione della Pasqua, far luce su quanto ha colpito l’umanità e sulla conoscenza soprasensibile, che sola può salvare dalla catastrofe? Se si considerasse in modo serio la Pasqua, il cui significato poggia sulla conoscenza soprasensibile (poiché il significato della Pasqua, la resurrezione del Cristo Gesù, non può certamente costituire una mera conoscenza sensibile), non dovrebbe forse essa far pensare agli uomini che il soprasensibile deve nuovamente entrare a far parte della conoscenza dell’uomo? Non dovrebbe forse oggi nascere il pensiero che la falsità della cultura attuale è dovuta al fatto che non riusciamo più neppure a considerare seriamente le feste sacre?

 

• Festeggiamo la Pasqua, la festa della resurrezione, pur avendo ormai da tempo rinunciato a comprendere seriamente la resurrezione, poiché abbiamo pensieri e sentimenti materialistici.

Siamo in totale contrasto con la verità e cerchiamo ogni possibile espediente per giungere al paradosso cosmico, invece che alla verità; “paradosso cosmico”: così si lo dovrebbe chiamare, dal momento che

gli uomini festeggiano la festa della resurrezione

e credono nel contempo alla scienza moderna,

che non potrà ovviamente mai appellarsi alla resurrezione.

• Il materialismo ed il festeggiamento della Pasqua

non dovrebbe assolutamente aver a che fare l’uno con l’altro, nè coesistere.

 

Neppure il materialismo della teologia moderna si accorda oggi con la Pasqua. Da uno dei più rispettati teologi dell’Europa centrale è stato scritto, in questi tempi, un libro intitolato “L’essenza del Cristianesimo”, nel quale è stato possibile esaltare l’essenza del Cristianesimo come un fattore particolarmente importante. In questo libro possiamo veramente ritrovare lo sforzo di non considerare come reale la resurrezione del Cristo Gesù! È un fatto che appartiene alle caratteristiche del nostro tempo e verso il quale dovrebbe sorgere nel cuore e negli animi degli uomini un sentimento profondo.

Non riusciremo però ad uscire da questa situazione preoccupante se non sorgerà un giusto sentimento sulla lotta che l’uomo moderno conduce alla verità, se non si comprenderà a fondo ciò che ha per l’appunto tanta importanza nella vita. È necessario che la tendenza sorta nella Va epoca postatlantica verso una conoscenza scientifica, comprensibile ed adeguata alla facoltà di giudizio degli uomini, penetri anche nella conoscenza del mondo soprasensibile, dal momento che l’evento del Golgota è senza dubbio un evento che si è verificato nel mondo soprasensibile.

 

L’evento di Damasco, nella forma in cui fu vissuto da Paolo, fa parte degli avvenimenti che possono venir compresi solamente per mezzo di rappresentazioni soprasensibili. Dalla comprensione di questi eventi dipende il fatto che si riesca o meno a percepire veramente qualcosa dell’impulso di Cristo.

L’uomo di oggi dovrebbe davvero mettere alla prova se stesso chiedendosi: “Che posizione ho io nei confronti della Pasqua, nei confronti delle conoscenze soprasensibili?” La Pasqua dovrebbe ricordare all’uomo di volgere lo sguardo dalla terra verso il cielo anche soltanto per la determinazione della sua data di ricorrenza. L’uomo si occupa del cosmo soltanto in termini matematici, meccanici o di analisi degli spettri. Su questi elementi egli vorrebbe fondare le sue conoscenze su di esso; non ha più alcun sentimento del suo legame con il cosmo, del fatto che il Cristo sia venuto dal cosmo e sia entrato nella personalità di Gesù.

 

Considerate dunque veramente con serietà i pensieri che ne derivano e che ora esporrò. Vi ho fatto spesso notare che alcuni uomini finemente spirituali, come Herman Grimm, citano la teoria di Kant-Laplace, oggi leggermente mutata ma essenzialmente ancora dominante. Con questa si sostiene che il nostro sistema solare si sarebbe formato da una nebulosa originaria; nel corso della trasformazione e della concentrazione di questa nebulosa sarebbero sorti le piante, gli animali e perfino l’uomo! E prosegue: un giorno la terra ricadrà come una scoria sul sole, dopo che su di essa ogni cosa sarà stata sepolta, e nulla risuonerà più nel cosmo degli ideali, delle forme di cultura che gli uomini si erano immaginati; successivamente il sole si disintegrerà nell’universo, non soltanto seppellendo, ma distruggendo tutto ciò che è stato fatto dall’uomo;

• è una visione dell’ordine cosmico che può essere sorta soltanto in un tempo in cui si vuole comprendere il cosmo semplicemente in base alle conoscenze matematiche e meccaniche. Il luogo dal quale il Cristo sarebbe disceso per unirsi alla vita della terra non va ricercato in un mondo nei confronti del quale non si fanno che calcoli matematici o nel quale si studiano le caratteristiche del sole con lo spettroscopio!

 

Una parte degli uomini preferisce non occuparsene affatto; dal momento che non riesce a venir a capo dei suoi pensieri, preferisce continuare a ripetere le parole apprese dai Vangeli, dalle lettere di Paolo, ripetere pappagallescamente ciò che ha imparato, senza riflettere se ciò si accorda con la visione che normalmente si ha dell’evoluzione della terra e dell’umanità.

La profonda menzogna interiore del nostro tempo consiste proprio nell’evitare ciò che andrebbe veramente e necessariamente collegato nel pensiero. Si finge una cortina di nebbia per non dover pensare come collegate le cose che sono in relazione le une con le altre. Si finge una cortina di nebbia anche soltanto per il fatto di festeggiare delle feste, di parlare della Pasqua, della festa della resurrezione, pur rimanendo in realtà lungi dal farsi un’idea della resurrezione, idea che si può oggi formare soltanto attraverso la conoscenza spirituale soprasensibile.

Anche soltanto pensando che è sopravvenuta oggi una catastrofe mondiale l’uomo può ora collegare alla Pasqua a un sentimento; e non intendo solo la catastrofe di questi ultimi anni di guerra, ma una catastrofe che consiste per l’uomo nel non avere più delle immagini sulle relazioni esistenti tra la terra e il cosmo.

 

• È dunque necessario che gli uomini del presente siano coscienti del fatto

che la conoscenza soprasensibile deve resuscitare dalla tomba della conoscenza materialistica,

poiché insieme alla conoscenza soprasensibile resusciterà da questa tomba anche la conoscenza del Cristo Gesù.

 

• L’unico simbolo giusto che abbiamo oggi per la Pasqua è questo:

l’intero destino delle anime degli uomini è crocifisso nella concezione materialistica dell’uomo;

ma l’uomo stesso, l’umanità deve cercare qualcosa affinchè possa risorgere dalla tomba del materialismo

quanto può derivare dalla conoscenza soprasensibile.

 

L’aspirazione alla conoscenza soprasensibile è già di per sé pasquale e, se viene sentita, può dare nuovamente all’uomo il diritto di festeggiare la Pasqua. Se volgete lo sguardo alla luna piena e riuscite ad intuire la relazione che sussiste tra il manifestarsi della luna piena e l’uomo, così come sussiste tra il riflesso dell’aspetto solare e l’aspetto lunare, allora cercate di pensare che l’umanità di oggi deve aspirare alla conoscenza di se stessa, attraverso la quale l’uomo risulta come vero riflesso del soprasensibile.

Se l’uomo riconosce se stesso come riflesso del soprasensibile, se si riconosce come costituito da elementi provenienti dal mondo soprasensibile, allora troverà anche la via al mondo soprasensibile.

 

Voler essere soltanto il più evoluto degli animali e non un riflesso del divino-spirituale è in realtà una presunzione umana, presunzione che viene espressa nella concezione materialistica in modo piuttosto singolare. Nel regno animale l’uomo è il più evoluto. Si tratta soltanto di vedere tra quali esseri egli è il più evoluto! Tale presunzione porta l’uomo a non riconoscere assolutamente alcunché al di fuori di se stesso. Se la concezione scientifica del mondo fosse coerente con la verità, essa dovrebbe continuare a ripetere all’uomo: “tu sei il più alto degli esseri dei quali sei in grado di farti una rappresentazione”. Le conseguenze della concezione che vuole oggi essere veramente “scientifica” sono tali che dovrebbero in realtà far impallidire l’uomo, dovrebbero mostrargli i fondamenti morali da cui provengono, per quanto questi rimangano di solito nell’inconscio.

 

Il nostro è proprio il tempo in cui

il Cristo Gesù è stato crocifisso e portato alla morte

soprattutto proprio nel campo della conoscenza.

 

L’umanità non potrà elevarsi a sentimenti pasquali se prima non avrà considerato il modo di conoscere di oggi, legato soltanto al mondo sensibile, come la tomba della conoscenza, dalla quale essa dovrà risorgere.

Per tale motivo dovremmo porci di fronte all’anima questo pensiero: esistono delle tradizioni di una Pasqua che si deve festeggiare la prima domenica successiva alla luna piena di primavera. Non abbiamo il diritto di festeggiare la Pasqua se siamo uomini che appartengono alla cultura del presente.

Come possiamo riacquisire tale diritto? Dobbiamo collegare il pensiero del Cristo Gesù che giace nella tomba, del Cristo Gesù che solleva la lapide rovesciata sul suo sepolcro, al pensiero che l’anima umana deve sentire su di sé il peso della lapide della conoscenza puramente esteriore e meccanicistica e che essa deve lottare per vincere l’oppressione di tale conoscenza per poter acquistare la capacità di non avere solamente questo “credo”: “Non io, ma l’animale evoluto in me”, per potere avere di nuovo il diritto di dire: “Non io, ma il Cristo in me”.

 

Si racconta che un dotto in scienze naturali (deve essere avvenuto in Inghilterra) disse che preferiva immaginarsi di essere giunto ad essere uomo per forza propria, di essere giunto alla sua attuale condizione superiore trasformandosi a poco a poco dallo stadio scimmiesco, piuttosto che immaginarsi di essere caduto tanto in basso, come uomo, dalle altezze divine di un tempo, come pareva aver fatto il suo avversario, il quale non poteva credere alle semplici rappresentazioni scientifiche.

 

Simili episodi indicano quanto sia necessario trovare la via che porti a dire non “Non io, ma l’animale evoluto in me”, ma “Non io, ma il Cristo in me”. Bisogna cercare di capire queste parole di Paolo; solo allora un vero messaggio pasquale potrà di nuovo entrare nella nostra coscienza dalle profondità della nostra anima.