Richard Wagner e i miti.

O.O. 92 – Leggende e misteri antichi – 28.03.1905


 

Sommario: La guida dell’umanità da parte dei grandi iniziati. Un esempio del loro modo di agire: Jakob Bòhme. Con la sua rielaborazione dei miti nell’opera d’arte totale, Richard Wagner mira a impedire che l’umanità sprofondi nel materialismo. Il suo riferimento alle leggende su Carlomagno e Federico Barbarossa. I drammi musicali di Wagner offrono un’incisiva rappresentazione del passaggio dall’antica civiltà della chiaroveggenza alla conquista dell’intelletto e della coscienza di sé.

 

I miti sono racconti che vengono fatti conoscere agli uomini dai grandi iniziati, e dietro i quali si celano grandi verità. Il racconto della guerra di Troia, per esempio, adombra il conflitto fra il terzo e il quarto periodo di civiltà della quinta epoca della Terra. L’uno è rappresentato da Laocoonte, sacerdote e al tempo stesso re dell’antico stato sacerdotale, l’altra da Odisseo, personificazione dell’astuzia, della forza del pensiero, che prende a svilupparsi giusto in questo periodo. Anche nel nord vediamo iniziati come questi alla guida dell’evoluzione. Nel Galles esisteva una cerchia di iniziati che risaliva all’età del paganesimo, della sovranità sacerdotale, e che giunse con re Artù e la Tavola rotonda all’apice della sua fioritura. Di contro ad essa stava, con i propri cavalieri, la comunità del santo Gral, che si adoperava per l’annunciazione del cristianesimo.

 

Ogni cosa, dall’arte all’evoluzione politica, è condizionata dai grandi iniziati di queste due cerchie, espressione della civiltà pagana e di quella cristiana. Alle soglie del tredicesimo secolo la comunità del Gral acquista un’influenza sempre maggiore. Quest’epoca, l’epoca della fondazione delle città, segna un importante punto di svolta nella civiltà europea: alla civiltà contadina, che si basa sulla proprietà terriera, subentra quella borghese, imperniata sulle città. Si tratta di un cambiamento decisivo di tutto il modo di vivere e di pensare. Non è quindi un caso se proprio in questo periodo, lo stesso in cui si svolge la tenzone poetica della Wartburg, vediamo emergere la leggenda di Lohengrin. Qual era, nel Medioevo, il senso di questa leggenda?

 

Oggi non abbiamo idea di che cosa fosse l’anima del popolo nel Medioevo, non abbiamo idea della sua particolare sensibilità per le correnti spirituali che si agitano sotto la superfìcie delle cose. Ai giorni nostri si è portati a pensare che la leggenda di Lohengrin dia eccessivo risalto al punto di vista cattolico. Ma se questo oggi può disturbarci, dobbiamo considerare che, allora, l’efficacia della leggenda dipendeva unicamente dal fatto che la veste in cui era avvolta corrispondesse a ciò che effettivamente scuoteva le anime. Doveva essere rivestita di fervore religioso, perché potesse avere qualcosa di ciò che viveva nel popolo. Dunque, qual era il senso della leggenda di Lohengrin? Quello di rappresentare un’iniziazione, l’iniziazione di un chela al grado di arhat, di un discepolo al grado di maestro. Il chela diviene innanzi tutto un uomo senza patria, vale a dire che adempie i suoi doveri come chiunque altro, ma deve sforzarsi di guardare oltre se stesso e di formare il suo io superiore.

 

Ora, quali sono le caratteristiche dei diversi gradi di iniziazione di un chela?

Per prima cosa: il superamento dell’elemento personale, il lasciar campo a Dio nella propria interiorità. In secondo luogo: la libertà dal dubbio, la fine di ogni scetticismo. Le cose del mondo spirituale si impongono all’anima del chela come dati di fatto. E, con la libertà dal dubbio, la libertà da qualsiasi superstizione: a questo punto egli può esaminare da sé ogni cosa, senza cadere più vittima di nessuna illusione. A un grado più alto, gli viene consegnata la chiave del sapere. Si dice che ottiene la parola: diventa un messaggero del mondo soprasensibile. Le profondità del mondo spirituale gli si fanno manifeste. E questo il secondo grado dell’iniziazione del chela. Il terzo grado è quello in cui l’individuo, proprio come nella vita comune chiama “io” se stesso, così ora può chiamare “io” tutti gli esseri del mondo; è il grado in cui viene innalzato alla comprensione dell’universo. Nella mistica, il chela che ha raggiunto questo terzo grado è detto “cigno”: egli diventa il mediatore fra l’arhat, il maestro, e gli uomini. Il cavaliere del cigno, dunque, ci si presenta come un messaggero della grande Loggia bianca; Lohengrin è un messaggero della comunità del Gral.

 

Era tempo che la civiltà prendesse una nuova piega, che vi si introducesse un nuovo impulso. Nella mistica, come sapete, l’anima o la coscienza vengono simboleggiate da un soggetto femminile. Così, anche in questo caso è un soggetto femminile a rappresentare la coscienza della nuova civiltà borghese. La penetrazione di questa nuova civiltà è concepita come un avanzamento della coscienza. Elsa di Brabante rappresenta l’anima medievale, e Lohengrin, il grande iniziato, il cigno del terzo grado di iniziazione del chela, è colui che porta la nuova civiltà dalla comunità del Gral. Non è dato fare domande. Chiedere all’iniziato di rivelare ciò che deve rimanere un segreto è al tempo stesso una profanazione e un fraintendimento.

 

Dunque, l’avanzamento a nuovi stati di coscienza è sempre frutto dell’azione di grandi iniziati. Per addurre un esempio di come agiscono, potrei citare Jakob Bòhme. Voi sapete che Jakob Bòhme ha proclamato delle profonde verità. Donde traeva la sua saggezza? Egli stesso racconta che una volta, quando era apprendista, fu lasciato solo nella bottega del suo maestro. Arrivò a un certo punto uno sconosciuto che gli chiese un paio di scarpe. Il ragazzo, in assenza del maestro, non poteva vendergliele; lo sconosciuto gli disse ancora qualche parola, quindi si allontanò, ma di lì a poco chiamò fuori il giovane Bòhme e gli disse: «Jakob, tu conti ancora poco, ma diventerai un giorno tutt’altro uomo, e susciterai la meraviglia del mondo intero». Questo, che cosa vuol dire? Che siamo di fronte a un’iniziazione, che quello che si delinea è il momento dell’iniziazione. Il giovane non comprende ancora che cosa gli sia accaduto, ma l’impulso è ormai dato.

 

Un simile momento si delinea anche nella leggenda di Lohengrin. Queste leggende sono degli importanti segnali, decifrabili unicamente da chi abbia una visione organica delle cose. La leggenda di Lohengrin, come già accennato, nasce in connessione con quella della tenzone poetica. Richard Wagner se ne servì per comporre il suo Lohengrin. Questo ci dà la misura della profondità della sua vocazione interiore.

 

Nell’Anello del Nibelungo Wagner elabora altri materiali leggendari di età assai remote.

Si tratta di antiche saghe germaniche, nelle quali si manteneva vivo il destino di quella stirpe che, ridotta a scarsi resti della popolazione atlantica dopo la grande inondazione, si propagò in Europa e in Asia dando inizio all’epoca postatlantica. Le saghe conservano un ricordo del grande iniziato Wotan, il dio degli Asi. Wotan è un iniziato dell’epoca atlantica, al pari di tutti gli dèi nordici, che altro non sono se non grandi iniziati dei tempi antichi.

 

Nell’elaborazione wagneriana della saga di Sigfrido possiamo chiaramente distinguere tre livelli. Al primo livello troviamo un certo modo di considerare la civiltà moderna. Per Wagner, gli uomini si sono ridotti oggi a semplici operai della civiltà. Egli vede la grande differenza che separa l’uomo dell’età moderna dall’uomo medievale. Il lavoro degli uomini, oggi, è in gran parte lavoro meccanico, mentre nella civiltà medievale ogni lavoro era espressione dell’anima umana. La casa, il villaggio, la città, e tutto ciò che vi si trovava, apparivano pieni di senso, e l’uomo vi riponeva la propria gioia. Oggi, che cosa sono per noi i nostri magazzini, i nostri negozi, le nostre città? Che rapporto hanno con la nostra anima? Nella casa, allora, si esprimeva un’idea artistica. L’intera disposizione delle strade, il centro della città con il mercato e con il duomo, che sovrastava tutto e verso cui tutto convergeva, erano espressioni dell’anima. Wagner sentiva questo contrasto. E ciò che si proponeva con la sua arte era di costruire qualcosa che, per lo meno in un campo, facesse apparire la totalità dell’uomo. Nel suo Sigfrido, Wagner ha inteso rappresentare un uomo totale, un uomo armonico, in contrapposizione al semplice operaio dell’industria. I grandi spiriti della cultura tedesca hanno sempre provato ciò che provava Wagner; così Goethe, e così Hòlderlin, che lo esprimeva con queste parole: «Vedi artigiani, ma non uomini; pensatori, ma non uomini; sacerdoti, ma non uomini; padroni e servi, giovani e anziani, ma non uomini». Non sarebbe stata possibile un’inversione di rotta puramente esteriore; non si può, con un giro di vite, far tornare indietro tutta la nostra evoluzione. Wagner perciò voleva che sorgesse un tempio dell’arte, nel quale l’opera d’arte totale avrebbe elevato gli uomini al di sopra della loro vita ordinaria. L’epoca moderna aveva appunto bisogno di un luogo di elevazione come questo, proprio perché la vita moderna era così frammentata. È stata questa la prima idea che ha mosso Wagner nella composizione del Sigfrido.

 

Tuttavia, un secondo livello si presentò distintamente alla sua anima nel momento in cui egli attinse strati ancor più profondi del proprio sentire. C’è un’antica leggenda recepita nella poesia tedesca durante il primo Medioevo, quella dei Nibelunghi, nella quale vivevano i sentimenti più radicati nell’anima del popolo. Solo chi studia davvero l’anima del popolo può farsi un’idea di ciò che si agitava allora nel cuore degli uomini. Le leggende erano l’espressione di grandi, profondissime verità. È il caso, per esempio, delle leggende di Carlomagno. Ciò che si narrava dell’imperatore non era storia nel senso moderno del termine, ma nasceva da una visione più profonda degli antichi eventi e delle loro concatenazioni. La stirpe reale franca era identificata con gli antichi avi dell’epoca postatlantica. I Nibelunghi erano re sacerdoti che non si preoccupavano solo materialmente del loro regno, ma gli davano anche l’impronta spirituale. Queste leggende serbavano la memoria di una grande epoca ormai perduta. In tale prospettiva, l’incoronazione di Carlomagno a Roma era vista come un fatto di importanza particolare. In tempi remoti, i Nibelunghi erano stati i re sacerdoti consacrati, e di ciò si perpetuava la memoria nelle leggende degli imperatori fiorite sul suolo tedesco. A queste leggende Wagner doveva necessariamente rivolgere la propria attenzione.

 

Una figura in particolare gli sembrava impersonare il contrasto fra l’epoca moderna, l’epoca del possesso materiale, e quella medievale, ancora legata alla civiltà spirituale di un tempo. Era la leggenda del Barbarossa ad attrarre la sua attenzione. Anche nel Barbarossa ritroviamo la figura di un grande iniziato. Il racconto narra della sua spedizione in Oriente; di là, dagli iniziati del luogo, egli deve riportare la superiore saggezza, la conoscenza, il santo Gral. Il mito del XII e XIII secolo rappresenta l’imperatore che siede, soggetto a incantesimo, nell’interno della montagna; i suoi corvi gli recano notizia di ciò che accade nel mondo. I corvi sono un antico simbolo dei misteri. Nel linguaggio dei misteri persiani essi rappresentano il grado inferiore degli iniziati; sono quindi i messaggeri degli iniziati superiori. Che cosa doveva portare questo iniziato? Wagner intendeva mettere in luce il passaggio dall’epoca antica a quella moderna, con i suoi rapporti di proprietà. Quel che esisteva prima si era ritirato in disparte, come il Barbarossa. L’intervento degli iniziati appariva cristallizzato, per Wagner, nella figura del Barbarossa.

 

Quest’idea traspare ancora nei Nibelunghi. Concepita dapprima esteriormente, e fondata ora su basi più profonde, essa diviene l’espressione di quella penetrante visione del Medioevo in cui si prefigura l’avvento di una nuova civiltà. Ancora una volta, tuttavia, Wagner cerca di approfondire ulteriormente questo pensiero; in luogo del Barbarossa, egli sceglie infine la figura di Wotan, con una incommensurabile capacità di cogliere intuitivamente il senso delle antiche saghe germaniche degli dèi. Esse illustrano il dissolversi della civiltà atlantica, l’emergere della quinta epoca della Terra dalla quarta, con il che ha inizio al tempo stesso l’evoluzione dell’intelletto. Presso gli Atlantidi non c’era ancora stato uno sviluppo dell’intelletto umano, della coscienza di sé. Dominava, nella loro vita, una sorta di chiaroveggenza. Solo con il quinto periodo di civiltà degli Atlantidi, con i Protosemiti, si costituiscono i primi elementi dell’intelligenza combinatoria, che si perpetua nella quinta epoca della Terra. Sorge con ciò la coscienza dell’io. L’uomo dell’Atlantide non chiamava ancora “io” se stesso con l’intensità con cui lo avrebbero fatto gli uomini delle epoche posteriori. Scomparsa l’Atlantide, la sua antica civiltà trasmigra in questa parte del mondo; gli Europei sono un ramo tardivo degli Atlantidi. Si crea dunque un contrasto fra l’universale civiltà spirituale e gli iniziati, che agiscono nascostamente ispirando l’intelletto esteriore.

 

I nani del Nifelheim sono i rappresentanti della coscienza dell’io. Wagner mette l’uno di fronte all’altro, come avversari, Wotan, l’antico iniziato atlantico, e Alberico, il rappresentante dell’egoismo che discende dalla stirpe nana dei Nibelunghi, l’iniziato dell’epoca postatlantica. L’oro ha un profondo, importantissimo significato nella mistica. L’oro è luce; la luce, che si effonde, diviene la saggezza. Alberico prende l’oro, la saggezza solidificata, dai flutti del Reno. Le acque sono sempre l’elemento animico, l’elemento astrale. L’elemento animico genera l’ego, l’oro, la saggezza dell’io. I flutti del Reno sono l’anima della nuova epoca, nella quale sorge l’intelletto, la coscienza dell’io. Alberico si impossessa dell’oro, lo sottrae alle figlie del Reno, che, in quanto elemento femminile, caratterizzano lo stato primordiale della coscienza.

 

Questo complesso intreccio era profondamente vivo nell’anima di Wagner. La conquista della coscienza dell’io in questa nuova epoca è potentemente sentita, e potentemente rappresentata, negli accordi in mi bemolle maggiore con cui si apre l’Oro del Reno. Attraverso il dramma wagneriano, quella conquista vive e tesse anche in forma musicale. Wagner aveva davanti a sé dei poemi che traevano origine dai miti dei tempi più antichi. Esiste qualcosa, in queste saghe, che, ricolmo di forza e di vita, pervade l’anima con ritmo spirituale. La vita stessa che l’uomo stesso vive, l’essere che egli stesso è, si destano e risuonano attraverso le antiche saghe fino a pervaderlo interamente.