Risposte a domande dopo la conferenza

O.O. 332a – Cultura, politica, economia – 25.10.1919


 

Signor Ballmann: A un tecnico meccanico la questione si pone così: se lo si osserva si vede cosa si dovrebbe dire. Al tecnico che non ha direttamente a che fare con questioni monetarie, ma soltanto con la costruzione di una macchina o di un oggetto, la cosa dovrebbe presentarsi in questo modo: c’è una macchina in funzione che costa, mettiamo, 100.000 franchi. Ora diciamo che forse questa macchina lavora un mese all’anno, che può essere usata per un mese per questa fabbrica, per chi la ordina. Però ci sono altre tre o quattro fabbriche simili, e anche queste fabbriche hanno bisogno di tanto in tanto di una macchina come questa, che anche per loro costa 100.000 franchi. Qui si vede che se si pensasse a livello sociale si direbbe: un momento, questa macchina che adesso ciascuno utilizza solo un mese all’anno per la propria produzione potrebbe essere usata in modo che basti una sola macchina che viene fatta funzionare tutto l’anno. Sarebbero quindi forse trecento o quattrocentomila franchi, su cui adesso si pagano gli interessi in ogni fabbrica e su cui in base all’attuale sistema devono essere pagati gli interessi, che verrebbero meno se pensassimo su scala sociale. Diciamo che ci sarebbe una fabbrica che lo realizzerebbe e avrebbe per questo una macchina, e l’altra potrebbe ultimare il semilavorato. … Questo pensiero sociale, così come l’ho capito io, sarebbe quindi di grande aiuto. E con questo ho finito di esporre la mia opinione e chiedo al Dr. Steiner se questa opinione, così come l’ho intesa io, è in linea con la sua idea. Io credo che sia proprio così.

 

Rudolf Steiner: Forse posso rispondere subito dicendo che quanto ha appena detto questo signore conferma in pieno il principio di associazione. Quando si lavora in maniera del tutto individuale, senza che gli operai si associno fra loro e quindi lavorino insieme, è naturale che si verifichi ciò che Lei ha appena immaginato, e cioè che una macchina venga usata solo in parte. La piena utilizzazione può essere ottenuta solo se i diretti interessati si associano. Ecco dunque che quanto Lei dice è del tutto in linea con il principio di associazione.

 

Signor Marder: Il Dr. Steiner ha spiegato che il tracollo nell’Europa dell’est e in Ungheria deriva dal fatto che certi uomini hanno intrapreso qualcosa che probabilmente non hanno compreso nel modo giusto. Mi potrebbe fornire ulteriori informazioni su come si sarebbe dovuta affrontare la cosa in base alle circostanze che regnavano allora in Austria e in Ungheria, e come mai quello che c’è adesso in Ungheria è meglio di quel che c’era prima?

 

Rudolf Steiner: Desidero rispondere prima all’ultima domanda, nel senso di una conclusione che raggruppi le risposte – le volte prossime avremo ancora occasione di occuparci di altre domande.

Al giorno d’oggi, cari ascoltatori, in realtà – e va detto, senza provare né timore né speranza per le opinioni di questi ambienti – in ampie cerchie è diffusa l’opinione che quanto accade all’est sia qualcosa di terribile. E ci sono ambienti che vi vedono invece qualcosa di promettente per l’avvenire.

Di solito coloro che più o meno a ragione condannano le condizioni dell’est presentano a comprova l’una o l’altra cosa terribile che lì accade. Vengono descritte certe situazioni e alcune descrizioni possono far rabbrividire, è chiaro. Quelli che vogliono ritoccare i fatti, che sono dei sostenitori di quello che accade là, cercano di minimizzare o di negare le condizioni terribili.

 

Ma vedete, cari ascoltatori, in questo modo non si conclude nulla. Queste cose non possono essere giudicate in base a singoli sintomi. Possono andare all’est tanti giornalisti quanti volete, e descrivere tutte le cose che osservano – da simili descrizioni nessuno potrà formarsi un giudizio, per il semplice motivo che nessuno è in grado di dire quale parte degli orrori dell’est europeo, che non sono di certo piccoli, siano imputabili ai governanti attuali e quale alle conseguenze della terribile guerra. Le cose si intrecciano: le conseguenze della guerra e ciò che nasce a partire dalle condizioni attuali.

Quello che si vede e che accade oggi direttamente potrà anche essere oggetto di interessanti conversazioni da terza pagina, ma non fornisce alcun appiglio per una valutazione della situazione. Bisogna saper individuare le intenzioni a partire dalle quali si verifica quello che viene fatto all’est con l’intento di introdurre un nuovo futuro sociale dell’umanità.

Ora questo signore mi chiede se credo che si sarebbe potuto fare qualcos’altro o se le condizioni attuali non siano più promettenti di quelle passate.

 

So molto bene quanto poco promettenti fossero le precedenti condizioni zariste. Che siano piaciute a moltissima gente deriva dal fatto che queste persone non si sono create le basi per un sano giudizio, né avevano la volontà di crearselo. Chi prenda davvero in esame ciò che è stato fatto dallo zarismo – soprattutto quello che lo zarismo ha combinato in tempi recenti – può forse già adesso arrivare a chiedersi: che cosa è meglio, quello che c’era prima o quello che c’è oggi?

Ma neanche questa è la cosa più importante. La questione è invece: quello che è subentrato oggi è sostanzialmente qualcosa che ha davvero migliorato le vecchie situazioni? Allora bisogna essere in condizione di analizzare le intenzioni – e in un simile campo occorre mantenere un giudizio imparziale, che per esempio potete procurarvi occupandovi di intenzioni come quelle che persegue un Lenin.

 

Se vi leggete qualcosa come Stato e rivoluzione di Lenin, vi trovate le intenzioni di Lenin da prima della guerra, dato che il libro è stato scritto a quei tempi. Si può dire che in un certo senso Lenin ha addirittura ragione quando dà una lavata di capo a quelli che sono marxisti a metà o per un quarto o per tre quarti, quando ritiene di essere l’unico marxista davvero coerente. In futuro, dice, gli uomini dovranno essere inseriti nell’ordinamento sociale in modo che ciascuno vi possa vivere secondo le proprie capacità e i propri bisogni. Questo però dovrebbe creare un’altra situazione che si sostituisce a quella attuale iniqua e impossibile.

Ora si trova in Lenin una discussione estremamente interessante, in cui finisce per dire: ma con gli uomini che ci sono oggi non è possibile vivere nell’ordinamento sociale in base alle capacità e ai bisogni di ognuno, questo potrà avverarsi solo quando ci saranno altri uomini, quando sorgerà una razza umana completamente diversa. Occorre prima creare questa razza umana del tutto diversa.

 

Vedete, cari ascoltatori, lì avete un procedere a vele spiegate nell’irrealtà più estrema, il contare su qualcosa che non è affatto possibile. Per mezzo delle condizioni là prodotte infatti non viene di sicuro allevata quella nuova razza umana che possa poi introdurre delle condizioni sociali eque. È su un terreno così friabile che poggiano le intenzioni rispetto a ciò che accade. E allora si può inorridire per i dettagli o trovarli inevitabili, lodarli o biasimarli, non è questo che conta. Importante è rendersi conto che si sta facendo affidamento su idee irreali, su illusioni.

E per questo ciò che viene realizzato in questo modo altro non è che una dilapidazione di ciò che è stato costruito in passato. Me ne sono accorto in maniera singolare – a volte le cose più importanti si presentano in sintomi – alcuni mesi fa a Basilea, dove ho parlato ad un’assemblea dello stesso argomento di cui sto parlando a voi adesso. Ad un certo punto un signore si è alzato e ha detto: «Sì, tutto questo è molto bello e lo sarebbe anche se venisse realizzato. Ma non potrà essere realizzato prima che Lenin sia diventato l’imperatore del mondo.»

 

Vedete, cari ascoltatori, quella volta ho dovuto rispondere: «Se qualcosa dev’essere socializzato, allora la prima cosa da rendere sociali sono i rapporti di sovranità.» Ma questo socialista, che era un seguace di Lenin, voleva fare di Lenin un sovrano universale, l’imperatore del mondo o il papa dell’economia mondiale. In questo modo però i rapporti di sovranità non vengono socializzati e neanche democratizzati, ma vengono monarchizzati, anzi tiranneggiati. Si crea un’autocrazia. Chi sostiene una cosa simile non ha capito affatto che bisogna cominciare a socializzare prima di tutto i rapporti di sovranità.

 

Così, per chi osserva più attentamente, emerge qualcosa di molto singolare circa la realtà dell’est odierno. I fautori delle intenzioni attuali dell’est credono di poter raggiungere in questo modo qualcosa di costruttivo. No, cari ascoltatori, quello che là si intende non è qualcosa di opposto allo zarismo, ma è la quintessenza dello zarismo, solo ulteriormente perfezionato per un’altra classe, è una prosecuzione dello zarismo che lo rende peggiore di quanto non fosse prima – come coloro che si trovano all’ala più a sinistra dei partiti radicali oggi non nascondono più di non essere dei progressisti, bensì solo dei reazionari ancora più conservatori di quelli che prima di loro hanno sostenuto la reazione.

 

Chiedendo la dittatura di una classe, da questa classe non scaturisce nient’altro che la tirannia di alcuni singoli, non voglio dire “eletti”. Non sono certo degli eletti, ma sono quelli che gettano polvere negli occhi agli altri. Nascerebbe la tirannia di quelli tra i provenienti dalle singole classi che gettano sabbia negli occhi degli altri. Si verificherebbe solo un sovvertimento di uomini, ma le condizioni non migliorerebbero, anzi tenderebbero sostanzialmente a peggiorare.

Si tratta quindi di individuare veramente il principio che sta alla base, di pensare a partire dalla realtà, non da grigie teorie preconcette. Vedete, talvolta coloro che pensano in modo sano a partire dalla realtà sono in grado di dare un sano giudizio su singoli fenomeni.

 

Oggi vi ho illustrato che la plutocrazia ha un effetto disorientante sulle reali condizioni sociali. Bisogna solo rendersene conto. La plutocrazia agisce in modo che il denaro produca rapporti di potere, rapporti di tirannia, che al posto delle vecchie potenze conquistatrici e compagnia bella subentri il potere del denaro.

In Europa ci si rende conto ancora poco di queste cose. C’è un proverbio americano che dice più o meno: «Essersi arricchiti con la sola economia capitalistica significa ritrovarsi in braghe di tela dopo tre generazioni.» Il carattere illusorio dell’economia di denaro viene lì presentato molto chiaramente, come il dissolversi di qualcosa di puramente immaginario. Si può diventare miliardari, e dopo tre generazioni i discendenti di sicuro girano in braghe di tela, perché il denaro diventa il padrone degli uomini.

 

Quelli che lavorano secondo le intenzioni di Lenin non vogliono trovare principi nuovi, non vogliono studiare a partire dalle condizioni di vita degli uomini come dev’essere la struttura sociale. Quello che vogliono è applicare ciò che hanno appreso sul capitalismo a un grande capitalista reclutato dall’enorme Stato a loro disposizione. Quello che ha agito nella dominazione capitalistica continuerà ad agire attraverso l’economia di spionaggio, di protezionismo e quant’altro.

Prima si diceva: trono e altare. All’est si dice: ufficio commerciale e macchina. Ma la superstizione è la stessa. Importante è di non voler creare nuove condizioni usando i vecchi concetti e limitandosi a introdurre una nuova classe di persone. L’importante è unirsi intorno a principi davvero nuovi, ad una concezione della vita realmente nuova.

 

Dopotutto questo risulta anche dalla realtà dell’evoluzione. Prendete ancora l’America: oggi ci sono un partito repubblicano e uno democratico. Se oggi si studiassero questi partiti senza sapere niente della storia, non si capirebbe come mai vengono chiamati in questo modo. Infatti il partito repubblicano non è repubblicano e quello democratico non è democratico, ma sono soltanto delegazioni di cricche, dove ciascuna rappresenta gli interessi particolari della propria brigata. I nomi dei partiti sono dei residui di tempi andati e hanno perso da tempo il loro significato originario. La realtà è ormai un’altra.

 

Oggi non si tratta di farsi abbagliare da qualche cliché partitico, ma di osservare in modo pratico la realtà. Di questo si tratta.

E chi osserva con sguardo pratico la realtà dell’est si dice quanto segue – forse posso raccontare una storiella, è importante che queste cose sulla sintomatologia dell’epoca non vengano taciute del tutto.

 

Quando nel gennaio del 1918 sono tornato dalla Svizzera a Berlino, ho parlato con un uomo profondamente immerso negli avvenimenti, molto coinvolto, e che da tempo conosceva la mia idea secondo la quale era giunta l’ora che nell’Europa centrale e orientale si capisse il concetto della triarticolazione dell’organismo sociale. All’epoca l’avevo elaborata e presentata in base alla situazione di allora alle persone che avrebbero potuto farne qualcosa.

L’uomo di cui vi parlo ne era al corrente. Gli sembrava molto plausibile che si dovesse uscire dalla miseria prendendo sul serio lo spirito. All’epoca se ne parlava già da parecchio tempo. Come vi dicevo, sono arrivato a Berlino – ricordatevi cosa c’era nel gennaio del 1918. Quando gli ho parlato dell’infelice idea, dell’idea impossibile – era un militare, un ufficiale di grado superiore – di riprendere quell’offensiva primaverile, quella terribile del 1918, invece di intraprendere un’azione spirituale, mi ha risposto: «Ma che cosa vuole? Kühlmann non ha forse avuto la triarticolazione in tasca? Sì che l’aveva in tasca, eppure ha stipulato Brest-Litovsk

 

Oggi per voi possono sembrare i racconti di un sognatore qualsiasi, ma io so che questa “fantasticheria” affonda le sue radici nella realtà: so che nel popolo russo ci sono gli elementi necessari per comprendere per primo l’idea della triarticolazione, se la si comunica nel modo giusto. È quello che sarebbe dovuto subentrare come azione spirituale al posto dell’azione insulsa di Brest-Litovsk. Fra l’Europa centrale e quella orientale sarebbe stata possibile una comunione che avrebbe rappresentato un’azione spirituale, un venirsi incontro su un terreno comune. Questo sarebbe stato qualcosa di completamente diverso!

 

Credo che quanto è stato instaurato dal leninismo sia un’importazione – vi ricordo solo che Lenin è stato condotto in Russia attraversando la Germania in un vagone piombato. Se si vuole parlare del militarismo tedesco bisogna dire che il leninismo è stato un’importazione. Vorrei ricordare che è lecito pensare che un’azione spirituale avrebbe potuto avere effetti ben diversi, solo che non c’è stata. Ignorando del tutto l’indole del popolo russo, è stata imposta una vuota retorica marxista universale sulla realizzazione di condizioni sociali che, se mai fossero state attuabili, avrebbero potuto essere attuate in Brasile o in Argentina o in qualsiasi altro paese, anche sulla Luna per quel che mi riguarda, proprio come è stato fatto in Russia senza tenere minimamente conto dell’indole particolare di quel popolo.

 

Questa superstizione, secondo la quale si può imporre qualsiasi cosa ugualmente a tutte le regioni della Terra, è la grande disgrazia dell’est, è quello che dà fondamento alla tirannia di un’idea che sarà terribile nei suoi risultati poiché saccheggia in modo abusivo ciò che è stato creato nel passato. Anche se si sostituisce a qualcosa di terribile, quello in cui è produttiva sono solo i resti, le vestigia del vecchio. Ma quando tocca a lei essere produttiva, si vede piombare nel nulla.

 

Cari ascoltatori, non farsi un’idea imparziale su queste cose costituisce oggi un’omissione sociale, poiché la situazione è straordinariamente grave. Per questo non è possibile valutare queste cose in base ad una qualsiasi opinione di partito, ma vanno invece giudicate tenendo conto di tutta la realtà.

Allora bisogna chiedersi: che cosa si sarebbe dovuto creare dalle fondamenta a partire dalla società russa stessa? Di certo non il leninismo, che è un’astrazione tale da affermare che prima bisogna creare una nuova razza umana. Il lavoro di Lenin non è quindi per i russi, ma per uomini che lui vuol far spuntare dal nulla per mezzo delle condizioni inverosimili da lui create. Questo è il dato di fatto. Alla base di quanto dico non c’è davvero né simpatia né antipatia, ma un intento di comprensione. Oggi il non osservare queste cose in tutta la loro gravità non porta a niente.

 

Un’altra domanda molto interessante è questa:

Qual è il rapporto fra quanto detto oggi e la scena della truffa monetaria di Mefistofele nel Faust di Goethe?

 

Cari ascoltatori, è interessante che venga posta questa domanda. Le si può rispondere indicando con quale profondità il goetheanismo osservasse le condizioni reali già ai tempi di Goethe. Cercate di immaginarvi tutta la scena della seconda parte del Faust, in cui Mefistofele, il diavolo, inventa la cartamoneta, dove presenta all’imperatore tutta la truffa del denaro. Cercate di vedervi questa scena davanti agli occhi. In fin dei conti avete una bella immaginazione, una rappresentazione metaforica di quella che oggi dev’essere considerara come realtà sociale: la totale separazione dell’economia monetaria dalla realtà concreta, presentata come una creazione dello «spirito che sempre nega», che non crea mai niente di positivo – una grandiosa raffigurazone poetica!

 

Mostra come Goethe abbia dato forma poetica a qualcosa che a quei tempi non avrebbe potuto dire apertamente, dato che perfino il duca Karl August di Weimar, uomo decisamente spregiudicato, non sarebbe stato più di tanto in grado di capire quello che Goethe intendeva con questa creazione del denaro da parte dello «spirito che sempre nega». Ma Goethe le voleva dire le cose. Andate un po’ a vedere quante idee di questo tipo ci sono nel suo romanzo Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister. Goethe voleva esprimersi. Nella sua epoca non poteva esprimersi in modo diverso da come ha fatto, e proprio in questa scena ci sono moltissimi intuiti con impulsività in campo sociale.

 

Un po’ alla volta si capirà cosa significhi il fatto che Goethe sia stato in evoluzione per tutta la sua vita. Al giorno d’oggi è qualcosa che si capisce molto poco, perché oggi si parla di evoluzione nelle scienze naturali, ma non dell’evoluzione dell’uomo nel corso della sua vita. A vent’anni si è maturi per essere eletti al parlamento, scrivere articoli di terza pagina, esprimere giudizi su ogni cosa possibile. Si pensa ben poco al fatto che ci si debba evolvere ulteriormente, non è vero? Goethe invece ci pensava. Era abbastanza consapevole di essersi conquistato negli ultimi anni della sua evoluzione delle cose di cui non disponeva in gioventù.

 

C’è un’ottavina piuttosto simpatica tratta dalle opere postume di Goethe, in cui lui si è espresso a proposito di quelli che dicevano: «Eh sì, Goethe è diventato vecchio. Le opere giovanili – all’epoca era stata pubblicata solo la prima parte del Faust –, quelle sì che testimoniano una vera forza artistica, ma il vecchio Goethe è proprio invecchiato.» Lo si è detto anche dopo la sua morte. Vedete, Vischer ha definito la seconda parte del Faust un lavoro abborracciato della vecchiaia. Per il resto non ho niente da obiettare a Vischer, che stimo molto. Ma era un perfetto filisteo, borghese fin sopra i capelli, che non poteva capire ciò che Goethe ha conseguito grazie a un lungo cammino interiore.

Goethe stesso ha lasciato come dicevo un’ottavina valida per i contemporanei e non solo. Ve la leggo:

 

«Ora lodano il Faust.»

 

Si riferisce alla prima parte del Faust,

la seconda non era ancora stata data alle stampe, era un’opera dell’evoluzione matura –

 

«e quanto d’altro

nei miei scritti rintrona

a loro comodo.

Il vecchio su e giù

si rallegra assai;

per la marmaglia io non sarei

più quello di prima!»

 

Goethe era ben consapevole del fatto di aver raggiunto grazie alla propria evoluzione qualcosa che doveva unicamente all’età avanzata. E così, quello che ha “nascosto” nella seconda parte delFaust è davvero artistico ed è quando lo si rappresenta euritmicamente – come vogliamo fare prossimamente con la scena della seconda parte del Faust sulla cura – che se ne nota l’artisticità anche nella forza creativa.

Ma gli uomini non prestano attenzione all’evoluzione interiore e pensano di trovare una visione del mondo matura citando il sentimento astratto e affermando che in Goethe c’è già tutto e citano: «Il nome è solamente un suono, un fumo. Il sentire è tutto. Chi può nominare e riconoscere Colui che tutto abbraccia e tutto regge» – e così via.

 

E questo dovrebbe avere più valore di una concezione del mondo matura! Perfino i filosofi lo citano, dimenticandosi completamente che Goethe l’ha messo in bocca a Faust mentre cerca di catechizzare una ragazzina di sedici anni. L’insegnamento all’adolescente viene citato in contrapposizione ad una concezione matura del mondo! Sono molte le cose in cui oggi bisognerebbe cambiare modo di pensare, e il goetheanismo è già qualcosa che lo consente. E proprio come questa scena con la truffa monetaria, si potrebbe richiamare l’attenzione su altre cose tratte da Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister, che potrebbero mostrare che cos’è l’evoluzione umana, come si possa trarre ispirazione da questo Goethe.

 

Mi è stato anche chiesto:

Come dev’essere pagato il salario se non dal ricavato della merce?

 

Vedete, cari ascoltatori, è decisamente interessante riflettere sulla retribuzione del lavoro – il tempo che ci resta è talmente poco che posso solo occuparmene brevemente. È significativo il fatto che a poco a poco la vita economica con esclusione di ogni altra cosa abbia avuto un effetto talmente ipnotico da far subire al programma socialista una completa trasformazione, proprio per quanto riguarda queste cose, all’epoca in cui l’umanità ha cominciato a cullarsi nella grande illusione.

Entrare nel merito di questi tre programmi fa parte dello studio più importante del moderno movimento operaio:

• il programma di Eisenach,

• il programma di Gotha,

• il programma di Erfurt.

 

Se prendiamo i programmi fino a quello di Erfurt, redatto nel 1891, troviamo ancora dappertutto la consapevolezza di dover lavorare a partire da determinati ideali di giustizia, da convinzioni politiche. Per questo motivo le due richieste principali presenti in quei vecchi programmi erano: l’abolizione del salario e la creazione dell’uguaglianza in merito ai diritti politici.

È vero che il programma di Erfurt è semplicemente economico, ma tende a politicizzare, come vi ho descritto oggi. Le principali richieste che avanzava sono: trasferimento dei mezzi di produzione all’amministrazione collettiva, alla proprietà collettiva, e produzione effettuata dalla collettività. Il programma veniva stabilito a livello puramente economico, ma era pensato secondo categorie politiche. Oggi si dà talmente per scontato l’attuale ordinamento sociale, che su vasta scala non ci si rende affatto conto di come il salario in quanto tale sia in realtà una menzogna sociale.

La realtà del rapporto che c’è fra il cosiddetto lavoratore salariato e il cosiddetto direttore d’impresa è quella di una collaborazione. In realtà quello che avviene è un contrattare – che viene solo camuffato da ogni tipo di rapporto ingannevole, perlopiù rapporti di potere e così via –, per venire a un’intesa sulla distribuzione del ricavato.

 

Volendo esprimersi in maniera paradossale si potrebbe dire: il salario non esiste affatto, quello che esiste già oggi è la distribuzione del ricavato. Solo che di solito oggi chi è debole dal punto di vista economico al momento della spartizione viene imbrogliato. Di questo si tratta.

L’importante è di non trasporre nella realtà qualcosa che si basa solo su un errore sociale. Nel momento in cui la struttura sociale è così come l’ho descritta nel mio libro I punti essenziali della questione sociale, risulta evidente la natura di una collaborazione fra i cosiddetti lavoratori e i datori di lavoro. E del resto questi concetti di “lavoratore” e “datore di lavoro” cessano di esistere, e resta una pura e semplice intesa riguardo alla spartizione del ricavato.

 

A quel punto il rapporto salariale non ha più nessun senso. Non si deve neanche pensare di pagare il lavoro in quanto tale. Questo è ovviamente l’altro lato della medaglia. Il lavoro viene subordinato ad un rapporto giuridico – ne parlerò soprattutto domani. La quantità e il tipo di lavoro vengono determinati in ambito giuridico, nello stato di diritto. Il lavoro, come le forze di natura, fa parte delle basi della realtà economica. Ma ciò che viene prodotto non potrà costituire il criterio per un salario di qualsiasi genere.

Nell’ambito economico conta esclusivamente la prestazione. La cosa più importante è conoscere il fondamento della vita economica, la sua cellula originaria. Questa cellula primordiale l’ho descritta spesso in questo modo:

Sostanzialmente le misure da me oggi descritte devono tendere a far sì che, grazie all’efficacia dell’associazione, ogni uomo riceva in cambio di ciò che produce ciò che lo metta in condizione di soddisfare tutti i suoi bisogni fino al momento in cui avrà realizzato un altro prodotto uguale.

 

In parole povere: se produco un paio di stivali, grazie alle istituzioni di cui vi ho parlato oggi, questi devono avere un valore tale per cui io ricevo in cambio quello che mi occorre finché non ne avrò realizzato un altro paio. Non può quindi trattarsi di fissare un salario come remunerazione del lavoro, ma di stabilire i prezzi reciproci dei prodotti. Naturalmente nel calcolo va compreso tutto ciò che serve per l’assistenza agli invalidi, ai malati, per l’educazione dei bambini e via dicendo. Di questo dovremo ancora parlare.

Si tratta di creare una struttura sociale tale per cui la prestazione, il risultato del lavoro occupi davvero una posizione di primo piano, e che il lavoro stesso al contrario venga fondato su un rapporto giuridico, poiché non può essere regolato se non in modo che l’uno lavori per l’altro. Ma il modo in cui l’uno lavora per l’altro dev’essere regolamentato in campo giuridico, non va cercato nella mentalità di mercato propria dell’economia. Domani vedrete che questi pensieri poggiano su una base assolutamente ragionevole.

 

• Poi mi si chiede anche come dovranno essere rilevate le uscite.

 

Cari ascoltatori, è molto facile registrare le uscite per il semplice fatto che non si possono nascondere. Ogni volta che inserisco qualcosa nel processo sociale, questo può essere naturalmente rilevato, proprio come viene registrata una lettera spedita per posta, dove l’ufficio postale non mancherà di farmi pagare il francobollo e così via. Chi rifletterà su questi singoli provvedimenti particolari non li troverà poi troppo difficili.

 

E ancora:

come si comportano i rapporti di credito agricoli?

 

Oggi non abbiamo più tempo per occuparci di queste cose. Nel corso delle prossime conferenze tornerò a parlare delle condizioni agricole in altri contesti.