Risposte a domande dopo la conferenza

O.O. 73 – L’antroposofia e le scienze – 07.11.1917


 

Dopo la conferenza di Zurigo del 7 novembre 1917

 

Come va vista la concezione materialistica della storia, ad esempio quella di Marx?

In proposito devo far presente che da parte della scienza dello spirito, proprio in base ai suoi principi, è preso e sarà sempre preso con molta serietà quello che dissi nella conferenza precedente in merito alla posizione che l’anima a poco a poco prende rispetto ai concetti nella loro relazione con la realtà. Dissi che nella coscienza ordinaria si è soddisfatti quando un concetto corrisponde in qualche modo alla realtà; nella coscienza veggente si deve invece sempre tendere ad afferrare un gran numero di concetti che si rapportano fra loro come le fotografie di uno stesso oggetto, prese da diverse parti. Quel che si afferra in concetti non esaurisce mai nel mondo spirituale la realtà, ma solo un suo aspetto. Così è anche per i massimi concetti filosofici: per la coscienza abituale si è panteisti, oppure monadisti, per citare solo queste due polarità. Si riconosce un elemento divino che tutto compenetra e si è allora panteisti, oppure come un seguace di Leibniz si riconoscono singole reali monadi che con un’azione comune generano l’intero universo.

 

Il seguace della scienza dello spirito non può essere né panteista, né monadista, perché nel panteismo vede puramente una somma di concetti, e nel monadismo un’altra somma di concetti; entrambe illuminano la realtà da parti diverse. Se posso osare un raffronto direi che chi è panteista vede solo un’espirazione, e chi è monadista solo un’inspirazione. Come il processo della vita non consiste soltanto di un’inspirazione oppure di un’espirazione, ma di entrambe, così si riesce a comprendere la realtà spirituale solo vivificando la propria vita concettuale e sapendo illuminare la realtà nei suoi aspetti panteistici e monadistici. Quando si sia soltanto monadista come Leibniz, per la scienza dello spirito è come se per la troppa inspirazione si soffocasse. Si soffoca. Quando si sia solo panteista, per la scienza dello spirito è come se si pretendesse di respirare in uno spazio vuoto di aria. Lo scienziato dello spirito acquisisce una relazione vivente con la vita dei concetti, e tale relazione va pensata nel modo più vivente possibile. Facendolo, si vive allora nello scontro e nell’armonizzarsi dei concetti e si penetra ben addentro nella realtà dello spirito; si vive invece in modo astratto nei propri concetti con la coscienza ordinaria. Già i concetti più semplici si modificano così nella loro relazione con la realtà.

 

Vorrei fare un esempio. A scuola oggi si impara che i corpi sono impenetrabili; se ne dà una definizione dicendo che l’impenetrabilità consiste nell’impossibilità per un corpo di occupare lo spazio di un altro corpo.

 

Chi segue la scienza dello spirito non formula però così la frase, non parte mai da una definizione concettuale, ma da una caratterizzazione concettuale. In questo caso dice: ciò che si comporta in modo da riempire uno spazio escludendo che lo riempia un altro essere è un corpo materiale. Rovescia cioè il problema e applica il suo concetto, poiché per lui è vivo, solo entro i limiti nei quali è applicabile; non assolutizza i concetti. Questo avviene nelle più semplici operazioni di pensiero, quando davvero si faccia il salto che vorrei chiamare il salto della soglia del mondo spirituale. La cosa va presa molto seriamente. Oggi la gente ama parlare in modo astratto quando si tratta del mondo spirituale. Tuttavia l’intera costituzione animica, tutto il modo di pensare si modifica quando si entri nella realtà. Così la si vive, e i concetti vengono sperimentati. Per chi pensa in modo astratto, una rosa che sia stata posta nell’acqua in una stanza è ovviamente una realtà. Ma non lo è. Nella vita reale infatti una rosa non esisterebbe se non ci fosse il rosaio, al quale è totalmente legata. Il seguace della scienza dello spirito è sempre cosciente che quando qualcosa è in connessione con qualcosa d’altro, va sempre pensato in tale connessione. Sa quindi che il concetto di rosa, in quanto rosa recisa, è un concetto non reale.

 

Pensiamo tutto ciò esteso all’intera forma, all’intera struttura del pensare, e avremo un’idea del significativo capovolgimento che avviene quando si passa la soglia del mondo spirituale. Si acquisisce allora appunto la realtà, si acquisisce un’intima e sperimentabile rappresentazione dell’importanza dei concetti. Quando ci si muove nella sfera astratta, come deve fare la scienza, non si riesce a vedere che si arriva a concetti non reali. In proposito ricordo una conferenza tenuta a Londra al principio del secolo dal professor Dewar, un’ottima conferenza dal punto di vista del pensare scientifico. Nella prospettiva del pensiero fisico egli costruì uno stato finale dell’esistenza terrestre, uno stato al quale la terra sarebbe giunta quando fossero trascorsi diversi milioni di anni, il calore della terra sarebbe stato diverso e così via. Seguendo determinati fatti oggi esistenti e traendone le conseguenze si riesce senz’altro a pervenire alla descrizione dello stato finale della terra. Dewar descrisse benissimo come alcune sostanze, oggi opache sarebbero diventate luminose, e come stendendole sulle pareti esse sarebbero diventate luminose tanto da poter leggere il giornale. Sarebbe comunque stato tanto freddo che non si sa chi avrebbe ancora potuto stampare giornali. Già qui la descrizione si scontra con la realtà, ma Dewar usa quell’immagine. Ciò che oggi si rompe per la pressione di un piccolo peso avrebbe in futuro una coesione tale che potrebbe sopportare pesi di quintali, e così via. Il tutto è pensato in modo giustissimo, e seguendolo si riesce a costruire uno stato finale della terra fisicamente esatto. La conferenza fece naturalmente una grande impressione perché un fisico, ben addentro nei concetti della fisica, descriveva lo stato finale della terra facendolo quasi toccare con mano.

 

Chi segue la scienza dello spirito sperimenta una descrizione del genere in modo diverso e viene subito condotto ad altri concetti. Quel che fece il professor Dewar descrivendo lo stato finale della terra dopo milioni di anni è acquisito come se si estrapolassero le condizioni dello stomaco o del cuore di un ragazzo dai tredici ai sedici anni (condizioni che si modificano lentamente) e si deducesse come quello stomaco o quel cuore sarebbero dopo due o trecento anni. Secondo la scienza, pensato astrattamente, sarebbe magari anche giusto, ma l’uomo nel frattempo sarebbe comunque morto, lo stomaco non ci sarebbe più! Ponendo il senso della realtà accanto al concetto certo intelligente, si vive in concetti viventi e si arriva a vedere che è certo giusta la descrizione del professor Dewar per lo stato finale della terra fra alcuni milioni di anni, solo che la terra allora sarà morta, non esisterà più.

 

Lo stesso avviene quando si conta a ritroso come era una situazione centocinquant’anni fa in base a quella di tredici, dodici o undici anni fa. Allora l’uomo non viveva ancora! Così però stabilisce la teoria di Kant-Laplace immaginando dalle condizioni fisiche attuali la sua nebbia primordiale dalla quale tutto sarebbe derivato; solo che proprio il momento da cui si comincia ancora non esisteva.

 

Questo è il passaggio dal pensare astratto a quello reale. Dopo aver caratterizzato il problema in generale, posso ora dire che la concezione materialistica della storia con i suoi concetti si presenta con una certa necessità e immagina che quanto avviene nella storia dipenda in sostanza soltanto dalla lotta di classe, dal manifestarsi di interessi materiali. Il concetto di materialismo nella concezione materialistica della storia non ha lo stesso significato che ha nella scienza. Si è formato mentre erano stati costruiti altri possibili concetti. Ci si deve comunque chiedere: quanto del divenire storico è possibile afferrare con quei concetti? Si afferra appunto soltanto una corrente, quella che si presenta solo nel secolo sedicesimo.

 

Naturalmente oggi la gente non ha fede nell’autorità! Se ne è infatti allontanata! Però…la scienza gode quanto meno di una forte autorità. Quando poi si giuri su un certo numero di dogmi, tutto il resto è privo di senso, sciocchezza, miseria. Anni fa e per molti anni tenni conferenze in ambienti operai, molte conferenze, anche di storia, nelle quali cercavo di caratterizzare la storia come appunto può risultare a un pensare non dogmatico. Avevo un uditorio piuttosto fedele che era anche sempre in aumento, posso dirlo senza vanità. Alcuni capi socialdemocratici rilevarono però che nelle mie lezioni non insegnavo un marxismo ortodosso, una ortodossa concezione materialistica della storia, che persino sostenevo la strana idea che i concetti pensati dalla concezione materialistica della storia potevano essere applicati soltanto dal secolo sedicesimo in poi, che prima non erano applicabili, che essi trovarono un’applicazione movendo dai sostrati della storia, perché in quel tempo l’intelletto si emancipa, come ho mostrato, perché solo allora l’uomo arriva ad emanciparsi da una certa vita istintiva; in quel tempo gli interessi materiali forniscono la controprova, anche se solo come una parte degli ingredienti storici, affinché si possa arrivare alla concezione materialistica della storia e in qualche modo si arrivi a illuminare qualche fenomeno.

 

Se però ci si affida soltanto alla concezione materialistica non si arriva in sostanza ad alcuna storia; si tralasciano cioè altri impulsi esistenti, e quindi anche i concetti presentati dal marxismo vanno considerati come qualcosa che è solo un aspetto, come una fotografia di una realtà, vista da un solo lato, che va però completata da aspetti presi da altri lati. Quei capi socialdemocratici misero così fine a quelle conferenze. La caratteristica della scienza dello spirito è appunto di trovare giustificati gli impulsi che si presentano nei diversi campi spirituali, di vedere in essi una relativa giustificazione, vedendo però subito l’errore che sorge quando si assolutizza un singolo aspetto per renderlo il solo principio esplicativo. Questo è il problema.

 

Naturalmente nella vita avviene che la gente si irrigidisca su un concetto; preferisce vivere in concetti piuttosto che nella realtà, in astrazioni invece che nella realtà. Si è molto più soddisfatti avendo un paio di concetti nei quali si riesce a immettere ogni sorta di cose. Le realtà non è tuttavia così. Come appunto non si vede un albero nei suoi diversi aspetti, e uso di nuovo lo stesso paragone, solo fotografandolo da un solo lato, ma occorre farlo da altre prospettive, così è anche per la realtà nel suo complesso, volendola appunto afferrare come tale.

 

Va detto che, poiché nel corso degli ultimi tre o quattro secoli nel divenire storico si presentarono poderosi interessi materiali, è del tutto naturale che sorgesse anche una concezione materialistica della storia, l’idea che il corso della storia andasse compreso con i concetti più grossolani, adatti solo per l’esistenza naturale. Così però si afferra soltanto qualcosa sa di morto, di non vivente. Ritornerò su questi argomenti ancora nella quarta conferenza, quando mi occuperò di più di vita etica e sociale. Si mostrerebbe comunque la non realtà, se davvero ci si volesse accontentare soltanto di simili concetti; si vedrebbe allora come la realtà verrebbe uccisa da concetti del genere se dovessero affermarsi. Potrebbero invece essere utili considerandoli come uno degli aspetti della realtà.

E’ quello che intendevo dire a proposito della domanda posta, ma naturalmente potrei continuare a parlarne per ore.

 

 

• Viene richiesto di illustrare ancora una volta il processo che è alla base del ricordo, già descritto nella prima conferenza.

 

Poiché ritornerò su questi argomenti nella prossima conferenza, potrò essere breve nel rispondere alla domanda. Abbiamo comunque solo ancora un paio di minuti. Anzitutto vorrei dire che è un’idea sbagliata credere che rimanga conservata la rappresentazione attuale, acquisita grazie a una percezione, quando ad esempio vedo un oggetto e in pari tempo me lo rappresento. Quella che così acquisisco, la conseguenza che ne ho quando l’oggetto esce dal mio campo visivo, è solo un’immagine riflessa, non è qualcosa che possa ricomparire; è qualcosa che è presente e che poi realmente scompare, come esiste l’immagine dello specchio quando ci passo davanti e scompare quando me ne allontano. È cioè un’idea sbagliata pensare a un serbatoio dell’anima nel quale confluiscano le rappresentazioni, per poi esserne ripescate. Le rappresentazioni non permangono, non si conservano! Quando formo rappresentazioni avviene in pari tempo un processo subconscio che si può osservare immaginativamente, pur essendo inconscio per la coscienza ordinaria; questo processo determina qualcosa nell’organismo che viene rimesso in moto grazie a nuove occasioni, quando si ricorda.

 

Quando formo una rappresentazione di un oggetto perché esso agisce sui miei sensi, nasce appunto la rappresentazione; quando ho una rappresentazione mnemonica il processo è uguale, solo che non è l’oggetto esterno a esercitare un’impressione su di me a seguito della quale io formo la rappresentazione, ma per così dire io guardo nella mia interiorità a ciò che era stato acquisito inconsciamente e mi formo la relativa rappresentazione. Volendo fare uno schema, formo ora la rappresentazione “dieci” e dopo qualche tempo essa si ripresenta, ma non è vero che è la stessa rappresentazione che è passata e che ritorna. Ciò che rimane è un inconscio engramma che si è formato come processo parallelo mentre avevo la rappresentazione; quello percepisco quando ho la nuova rappresentazione. Il primo “dieci” si presenta come risultato di una sollecitazione dall’esterno, e quando si ripresenta è il risultato di una sollecitazione interiore: percepisco qualcosa dall’interno e lo ricordo. Questo è il processo che si riesce bene a osservare grazie alla scienza dello spirito, che può bene essere applicato pedagogicamente e che un attento pedagogo può bene osservare, solo che orienti in modo adeguato la sua capacità di osservazione.

 

Pensiamo soltanto a come si impara a memoria; osserviamolo bene e potremo toccare con mano tutto quanto avviene affinché si svolga il processo parallelo! La rappresentazione è accolta e si vuole far svolgere il processo parallelo in modo che per così dire venga inculcato in qualcosa che rimane subconscio. In questo processo si può osservare che le rappresentazioni non portano in qualche modo al ricordo, ma che invece sorge un processo di sostegno della semplice rappresentazione, un processo che davvero è nel subconscio. Tale lavoro nel subconscio (si pensi solo a tutti gli aiuti ai quali ci si appoggia per ficcarsi in testa una poesia) è osservato direttamente dal seguace della scienza dello spirito, e lo vede con la luce che si acquisisce. Chi intende ficcarsi qualcosa in testa ricorre ad ogni possibile aiuto, picchiandosi magari sulla fronte, comunque facendo cose che nulla hanno a che fare con l’esperienza della rappresentazione! Osservando meglio il processo, si vede che qui si tocca un’importante zona di confine fra la psicologia e la fisiologia. La volta prossima vedremo anche come la fisiologia orientata secondo la scienza dello spirito possa pervenire qui a qualche risultato.

 

Se potessi definire una direzione direi che la rappresentazione nasce anzitutto come fenomeno primario sotto l’influsso della percezione esteriore, sollecitata dall’oggetto esterno, oppure come ricordo sollecitato dall’interiorità; una volta io leggo per così dire fuori di me, e un’altra volta in me. Se leggo un libro due volte di fila, la lettura avviene sullo stesso libro, ma sono due conquiste successive.

 

Questo si può dire per caratterizzare eventualmente il processo, e nella terza conferenza potrò aggiungere qualcosa parlando dell’uomo come essere di natura.

 

 

• Gli stati di coscienza superiori sono individualmente diversi?

 

Come già dissi l’ultima volta è ben possibile arrivare all’idea che chi sviluppa uno stato di coscienza superiore pervenga a forme diverse da un altro; questo però non deve spaventare e far ritrarre dal perseguire quello che ho chiamato il dramma della conoscenza; l’impressione individuale è infatti soltanto uno stadio intermedio. Si attraversa cioè un periodo molto individualistico, ma se ne è coscienti e quindi lo si supera. Si arriva così a una obiettiva interiorità. Solo non osservando con precisione si arriva a credere che uno sostenga una cosa e un altro un’altra. Non è però così. Le differenze non sono maggiori di quanto non lo siano in definitiva quando due viaggiatori descrivono lo stesso paesaggio: uno dirige il suo sguardo a un aspetto, un altro a un altro. Le descrizioni non sembrano per nulla simili, e tuttavia descrivono lo stesso paesaggio; sarebbe privo di senso credere che la loro descrizione non conduca per questo all’oggettività o che lo stesso osservatore non sia oggettivo. Per questo avevo detto che è facile pensare a una espressione individuale dell’esperienza fatta in uno stato superiore di coscienza; è però soltanto uno stadio intermedio. Come però si supera la soggettività nell’osservazione della natura e si perviene all’oggettività, in verità si arriva allo spirito oggettivo quando si riesca ad eliminare l’elemento soggettivo nell’immaginazione. Nei miei libri L’iniziazione e La scienza occulta è detto come si elimina l’elemento soggettivo elevandosi agli stati superiori della coscienza; si vede così che si perviene a un’intima e oggettiva spiritualità, come vi si giunge nell’osservazione della natura. Veramente si elimina l’elemento soggettivo nella scienza, come lo si elimina nella scienza dello spirito per l’osservazione spirituale.