Antroposofia e storiografia

O.O. 73 – L’antroposofia e le scienze – 07.11.1917


 

Sommario: Risultati della scienza dello spirito in merito all’evoluzione dell’umanità e alle sue forme culturali.

 

La storia diviene scienza solo nel secolo XIX. Voci critiche di Wolff, Schopenhauer, Nietzsche e Mauthner. I tentativi di Spencer e di Comte di trattare scientificamente l’evoluzione storica. L’educazione del genere umano di Lessing. Die Traum-Phantasie di Johannes Volkelt. Sogno e sentimento; sonno e volontà. Errori di Herbart. Morte e coscienza secondo Fortlage. La storia come scienza nasce con la coscienza veggente. Jacob Burckhardt e il formarsi di movimenti religiosi. Con la scienza dello spirito la cronaca diventa scienza. Herman Grimm e la storia. La storia romana di Gibbon. La posizione nella storia di Lasaulx. Goethe e la storia.

 

È singolare che la scienza storica sia sorta in un tempo che in effetti era il meno adatto a farla nascere, come si nota a una più precisa osservazione. Nell’esposizione di oggi mi trovo quindi in una posizione diversa dall’altro ieri, quando intendevo stabilire i contatti fra l’antroposofia e la psicologia. Per quest’ultima, quando nell’evoluzione dell’umanità irruppe il pensiero scientifico moderno, il problema era in certo modo estendere il campo del pensiero scientifico ai fenomeni dell’anima. Si trattava di conquistare con i metodi della scienza il campo dei fenomeni animici, che in precedenza erano stati trattati in modo diverso e anche pensati diversamente. Questo per la ragione che nell’epoca moderna molti, che erano soprattutto chiamati a elaborare la scienza, avevano giustamente l’impressione che lo spirito, dominante nella ricerca scientifica, fosse l’unico davvero scientifico.

 

Va tuttavia detto che quando il modo di pensare scientifico si indirizzò alla psicologia, lo fece comunque rispetto a qualcosa di dato. Anche se la vera psicologia, come abbiamo visto l’altro ieri, dovrà pervenire a tutt’altri metodi di indagine, pure l’oggetto della sua indagine è dato direttamente nell’uomo anche per il metodo scientifico.

 

La cosa appare molto diversa per l’indagine storica. Se poi si cerca di far presenti fatti paradossali nel campo ora studiato, va ricordato ciò che in realtà è poco noto o a cui almeno si pensa poco, e cioè che la scienza storica non è per niente antica.

 

Quelli che nel secolo diciottesimo formularono e diffusero il concetto della scienza non considerarono affatto la storia una scienza. La scienza storica è in sostanza una creazione del secolo diciannovesimo. Essa è in effetti iniziata in un tempo in cui appunto i metodi scientifici erano stati riconosciuti e giunti a una speciale fioritura. Nel secolo diciottesimo non ci si poneva ancora di fronte alla storia come lo si fa oggi. Vorrei solo ricordare una frase caratteristica del filosofo Wolff del secolo diciottesimo in merito alla storia, una frase della quale molto va scartato e che comunque prova che allora i cultori della scienza consideravano la storia un elenco di fatti, ma non qualcosa che meritasse il nome di scienza. Wolff disse: «Poiché gli scritti storici raccontano soltanto che cosa è avvenuto, non occorre molta intelligenza e riflessione per leggerli». Metodi per spiegare e mettere ordine nel susseguirsi dei fatti storici furono in effetti pratica corrente nel corso del secolo diciannovesimo.

L’idea che la storia, per la sua natura e la sua essenza, non possa essere una scienza è comunque sempre diffusa fra chi si è sempre più abituato al modo di pensare scientifico, e compare in maniera radicale in Fritz Mauthner, noto per i suoi studi sul linguaggio e per il suo Dizionario della filosofia scritto negli ultimi anni. Chi in quel dizionario legga la voce “Storia”, che a buon diritto vuol essere definita partendo dalla coscienza che solo nel conoscere la natura vi può essere “scienza”, troverà che in modo radicale viene negato il carattere di scienza a quella che si chiama storia, che viene addirittura visto come paradossale considerare la storia una scienza, dopo che le conoscenze sulla natura sono state elaborate fino a tali metodi tanto specifici.

 

Già uno dei cardini sui quali costruisce i suoi concetti il pensatore scientifico moderno non è adeguato alla storia. Che cosa vuole lo scienziato quando fa le sue ricerche? Oggi egli richiede soprattutto che le condizioni alle quali si presenta qualsivoglia fenomeno naturale siano tali per cui l’evento naturale avvenga in modo da poter dire: quando si presentino condizioni simili o identiche, devono anche presentarsi gli stessi fenomeni.

 

Il pensatore scientifico del presente attribuisce una speciale importanza a questo modo di porre l’attenzione alla ripetizione dei fenomeni. Pretende da un esperimento corretto che sia fatto in modo che si arrivi a prevedere che cosa deve accadere, date determinate condizioni naturali.

 

Si può quindi dire che quando si pongano queste richieste alla storia in quanto scienza, essa non se la cava certo bene! Farò solo un paio di esempi. A poco a poco negli ultimi tempi in chi vuol pensare da storico si è formata una singolare concezione che è stata confutata in un modo che direi strano ed efficace. In gente che credeva di avere un profondo sguardo storico per le condizioni sociali ed economiche del divenire umano, si è formata l’idea, specialmente forte all’inizio della presente guerra, che date le condizioni economiche e sociali di oggi, la guerra non sarebbe durata più di quattro o sei mesi. Va detto che i fatti stessi si preoccuparono in modo radicale di confutare quell’idea! Molti ritennero che quell’opinione fosse scientificamente molto ben fondata. Quando ci si pone di fronte a eventi del presente tanto importanti per la vita umana da volerli giudicare, si sente allora spesso ripetere che la storia è maestra di vita!

 

La gente si pone così di fronte agli avvenimenti e vuole avere un giudizio su come deve comportarsi, come deve pensare in merito al loro corso; si sente allora dire da parte di chi si è occupato in qualche modo della storia che essa dà degli insegnamenti. Di fronte ai tragici e sconvolgenti eventi del presente che sono intervenuti nella storia dell’umanità, quanto spesso si sente oggi dire che la storia offre degli insegnamenti! Se però la storia insegna come ritengono coloro che predissero l’impossibilità che la guerra durasse più di quattro o sei mesi, è allora lecito affermare che il sapere derivato dalla storia è contraddetto in modo clamoroso dai fatti. Desidero fare un altro esempio che forse non è meno indicativo. Una personalità davvero non sconosciuta assunse nel 1789 l’incarico di professore di storia. Si era agli albori dello studio della storia come scienza, quando nel 1789 Schiller iniziò il suo insegnamento a Jena e tenne la sua prolusione sul modo di trattare gli eventi storici secondo la filosofia e una concezione meccanicistica. Nel corso della prolusione pronunciò una strana frase che egli credeva di aver ricavato da un modo filosofico di considerare gli eventi umani, da quella cioè che si chiama “storia”. Credeva di aver raggiunto un concetto in merito a ciò che è lecito “imparare dalla storia”, e disse quindi: «Gli Stati europei sembrano trasformati in una grande famiglia i cui membri potranno avversarsi, ma è auspicabile, non più sbranarsi». La frase fu pronunciata nel 1789 come un cosiddetto giudizio storico da una personalità di grande rilievo. Seguirono poi la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche! Se quel che si può imparare dalla storia fosse veramente appreso, anche il nostro tempo avrebbe potuto essere coinvolto dalla verità di quella frase: «Gli Stati europei potranno avversarsi, ma non più sbranarsi».

 

Anche qui, ponendosi di fronte ai fatti del presente e dell’avvenire, si ha una strana confutazione dei giudizi che si stima di poter ricavare dalla storia, quale oggi è concepita. Si possono portare innumerevoli dimostrazioni di quel che qui si intende. Questo è un punto. Un altro è il modo di considerare la storia, il corso degli eventi storici, in una prospettiva “scientifica”. Il secolo scorso fu particolarmente felice in questo senso? Proprio quelli che credettero di applicare alla storia i severi metodi scientifici potrebbero essere i meno soddisfatti quando ci si domandi se veramente si ricava qualcosa applicando al divenire storico i metodi che sono giustamente correnti nelle altre scienze, al fine di vedere il divenire storico “alla luce di una scienza”.

 

Occorre aver presente alcune cose. Poiché non è proprio mia intenzione criticare la storiografia come tale, oggi non mi è possibile occuparmi nei particolari delle ricerche fatte per arrivare a un metodo storico. Vi è una concezione secondo la quale la storia sia fatta dai grandi uomini, e un’altra secondo cui essi avrebbero formato il loro carattere e le loro forze secondo il cosiddetto ambiente. Un’altra concezione sostiene che gli eventi storici possano solo venir compresi vedendo alla loro base le condizioni economico-sociali: ciò che avviene nell’evoluzione dell’umanità deriverebbe dalle basi economiche e sociali della società.

 

Anche solo da un paio di esempi, per i quali si è cercato di avvicinarsi ai contenuti storici col modo di pensare bene affermatosi nella scienza, si vedrà come il tentativo, se proprio non è fallito, ha portato a insoddisfazioni. Per cominciare da qualcosa, abbiamo il tentativo dell’inglese Herbert Spencer di trattare anche l’evoluzione storica dell’umanità movendo da una complessiva aspirazione scientifica. Poiché voleva compenetrare con il pensiero scientifico tutta l’evoluzione universale e ogni essere, cercò di applicare concetti scientifici alla storia, al divenire storico, e giunse a conclusioni stranissime. Sapeva che il singolo organismo, ad esempio quello umano ma anche quello degli animali superiori, dato che si sviluppa a poco a poco dalla cellula, lo fa movendo da tre parti della stessa cellula: l’ectoderma, l’endoderma e il mesoderma. Sono le tre parti, i tre elementi di una cellula dalle quali si evolve l’organismo.

 

Anche in ciò che si evolve nella storia, nell’organismo dell’umanità in evoluzione, egli vede in qualche modo un processo simile a quello che si svolge nella cellula per divenire un organismo naturale. Come cioè i singoli sistemi di organi dell’organismo umano si sviluppano ad esempio dalle parti della cellula che prima ho indicato, così egli presume che avvenga allo stesso modo anche l’evoluzione dell’organismo storico dell’umanità. Sostiene che anche qui esiste qualcosa di simile a un ectoderma, a un endoderma e a un mesoderma. Così Spencer, il filosofo inglese, sviluppa la strana opinione: nel divenire storico dell’umanità si evolve da quello che si può chiamare ectoderma del processo storico il ceto dei guerrieri, tutto quanto nel mondo è guerresco; dall’endoderma si sviluppa il ceto pacifico dei lavoratori, e dal mesoderma quello dei commercianti. Dalla collaborazione di questi tre ceti nasce “l’organismo storico”. Così nel senso di Spencer l’organismo comunitario più perfetto è quello che nel corso della storia si forma dall’ectoderma; da esso infatti si sviluppa nell’organismo umano il sistema dei nervi. Poiché ancora egli pensa che il ceto dei guerrieri, la forza militare di uno Stato, derivi dall’ectoderma, da quello cioè che corrisponde nel processo evolutivo umano al sistema dei nervi, così secondo lui la comunità statale più perfetta è quella che dispone del più perfetto ceto di guerrieri. Come il cervello è derivato dal sistema dei nervi che a sua volta deriva dell’ectoderma, così Spencer pretende che nelle comunità umane i governanti siano presi soltanto dal ceto dei guerrieri! Intendo solo ricordare questa stranezza; tenendo presente il nostro tempo non mi propongo di aggiungere nessuna osservazione critica a questa teoria militare di Spencer relativa all’evoluzione della società umana nel corso della storia.

 

Per ricordare soltanto alcuni dei pensatori, citerò un altro tentativo di penetrare nel divenire storico con concetti presi dal modo di pensare della scienza, quello di Auguste Comte. Egli cerca di applicare le leggi della meccanica, della statica e della dinamica a ciò che avviene fra gli uomini nel divenire storico: i rapporti dei singoli organi dello Stato esistenti nel divenire storico vengono collocati in una “statica sociale”, in una “statica storica”, mentre ciò che si modifica, che si muove, che progredisce, viene visto come “dinamica storica”.

In questo modo si può fare molto. Volendo occuparsi criticamente di questo tentativo e di molti altri si potrebbe mostrare quanto poco si arrivi a qualcosa di soddisfacente trasponendo appunto i concetti scientifici, nel loro campo tanto validi, allo studio del divenire storico.

 

In un altro modo pensatori, che più o meno operavano all’inizio dello studio della storia come scienza, cercarono di introdurre principi chiarificatori nel divenire storico. Basta ricordare uno dei più grandiosi tentativi, fatto nell’epoca in cui iniziava lo studio della storia, da Lessing nella sua breve opera, scritta al culmine della sua evoluzione spirituale: L’educazione del genere umano. Il tentativo è specialmente interessante perché egli cercò non tanto di applicare il modo scientifico di pensare al divenire storico, ma di applicarvi il concetto di educazione, vale a dire qualcosa a cui è comunque collegato un elemento spirituale. Lessing pensa che il susseguirsi degli eventi storici sia comprensibile solo considerando la vita dell’umanità nella storia appunto come un’educazione del genere umano, guidata da determinate potenze storiche che operano dietro gli eventi esterni.

È interessante il modo in cui Lessing mette in relazione il continuo corso degli avvenimenti storici. Proprio perché egli lo fa in un modo particolare, come a volte succede, si disse che certo Lessing era un grand’uomo, ma che scrisse L’educazione del genere umano quando non era più al culmine del suo cammino, dato che cercò di presentare il corso degli eventi storici in una prospettiva animica, come eventi interiori, almeno come ipotesi, giungendo così all’idea delle ripetute vite terrene dell’anima umana. Egli riguardò le diverse epoche storiche e disse che gli uomini oggi viventi vissero spesso e che portano nelle loro anime nel nostro tempo ciò che accolsero da epoche precedenti. Questi sono gli impulsi che percorrono l’evoluzione storica e che sono insiti nelle anime.

 

Anche volendo considerare quell’idea come un’ipotesi, si potrebbe sempre mostrare quanto si potrebbero chiarire molte delle cose che appaiono dubbie nella storia evolutiva del’umanità, accettando anche solo come ipotesi che i portatori degli impulsi storici da un’epoca in un’altra siano le anime umane. In tale modo lo sconnesso tessuto del divenire storico si riconnette. Soltanto così si può sperare che i singoli fatti del divenire storico non siano più soltanto uno vicino all’altro, ma derivino uno dall’altro, perché ogni evento deriva da quanto lo precedette.

 

La concezione presentata da Lessing nella sua Educazione del genere umano non ebbe alcun seguito, perché l’epoca della scienza raggiunse allora il suo culmine, e per le ragioni che risulteranno nella prossima conferenza doveva essere negata ad accettare l’idea delle ripetute vite terrene; e il modo di pensare scientifico nel suo ambito ha perfettamente ragione di rifiutarla.

 

Avvenne così che nel corso del secolo diciannovesimo vennero fatti i più diversi tentativi. Basti solo ricordare quello di Hegel per comprendere tutto lo sviluppo della storia universale come un progresso della coscienza umana verso la libertà, e così via. Si potrebbero elencare centinaia e centinaia di tentativi tesi a mostrare come si cercasse sempre di nuovo di trovare principi chiarificatori nel divenire storico e di conseguenza rendere la storia una scienza.

 

D’altro lato vi furono sempre spiriti, come ad esempio Schopenhauer, che erano dell’opinione che appunto nella storia nulla si ripete e che quindi non è possibile parlare di una scienza storica, perché la storia può solo venir raccontata come una successione di fatti, senza che sia possibile trovarvi impulsi che valgano come principi chiarificatori, come lo sono le leggi di natura per i fatti naturali.

 

È ancora un ricordo recente la violenta protesta di Nietzsche contro la storia come tale. Egli cercò di mostrare come l’anima umana, appropriandosi non della storia e delle sue idee, ma del modo di pensare storico che sottolinea quel che “la storia produce” e che l’anima rielabora, venga in tal modo risucchiata da ciò che lui definì “istorismo”, mentre invece l’anima dovrebbe essere attiva e produttiva nel presente, ponendosi feconda di fronte agli eventi che le si presentano. Chi dunque sente in sé solo impulsi storici era per Nietzsche simile a un essere che deve sempre astenersi dal sonno e che non riesce quindi ad accogliere feconde forze vitali nella sua evoluzione, ma deve sempre farsi consumare da quel che appunto opera in modo distruttivo sugli uomini, come la vita nell’istorismo. Lo scritto di Nietzsche sull’utilità e il danno della storia per la vita è uno dei più importanti di tutto il suo modo di pensare.

 

Queste parole introduttive intendono solo mostrare come oggi la storia sia contestata in quanto scienza dalle più diverse parti, in misura molto maggiore di quanto ad esempio non lo sia la psicologia. Da tutto quanto si è detto sorge la domanda: da che cosa deriva tutto ciò? Dalle premesse poste dalla scienza dello spirito antroposofica la risposta è perché in questo campo non si presta anzitutto attenzione al grande problema fondamentale: con quale parte dell’uomo abbiamo in genere a che fare quando si parla del divenire storico? che cosa dell’uomo partecipa al divenire storico? che cosa agisce nell’uomo quando egli è inserito nel divenire storico? Per rispondere a queste domande occorre acquisire alcuni concetti della scienza dello spirito relativi all’essere umano, perché esso è ben più vasto di quanto non veda la coscienza usuale.

 

Per chiarire quel che intendo dire e per avere un punto di partenza al fine di studiare la storia, e vedremo subito perché lo faccio, desidero riallacciarmi a un’osservazione relativa alla vita dell’anima umana, in quanto essa di continuo si stacca ritmicamente da quella che di solito chiamiamo coscienza abituale. Nella vita dobbiamo infatti sempre alternare la coscienza abituale con lo stato di sonno. Nella prossima conferenza parleremo con più precisione di questo argomento, considerando la natura nella prospettiva della scienza dello spirito; oggi vorrei solo far presente quella che può essere la base per uno studio della storia.

 

Quando interviene il sonno nella nostra vita dell’anima, la nostra coscienza sprofonda tanto in basso che possiamo quasi parlare di una perdita della coscienza anche se, a una più precisa osservazione non esiste nel sonno una completa perdita di coscienza. Il contenuto del nostro mondo delle percezioni, il nostro mondo del sentire e del volere che abbiamo nella usuale vita diurna cessa e scompare nel buio di una vita inconscia o subconscia. Fra i due stati, della veglia e del sonno, vi è poi lo stato del sogno.

 

Esso è qualcosa di ben singolare. Nel secolo scorso la stessa filosofia, con i suoi concetti vicini alla scienza, cercò di penetrare nella natura del mondo enigmatico del sogno che sale dallo stato inconscio del sonno ed è tanto diverso dalle esperienze della coscienza abituale. Anche qui avvenne qualcosa di singolare. Ad esempio il filosofo Johannes Volkelt, che negli anni Settanta si prese la briga di scrivere un libro sulla fantasia dei sogni, abbandonò poi l’argomento come un pezzo di carbone rovente che qualcuno afferra e poi subito lascia cadere. Critici che scrissero del libro furono accusati di spiritismo, solo perché si erano in genere spinti a prendere l’argomento sul serio. Di che cosa mai si può oggi accusare qualcuno!

 

Ma che cosa è in effetti l’enigmatico mondo dei sogni che sale dalla profondità del sonno? che cosa sono le immagini che fluttuano nel sogno? Si può discutere di questo problema soltanto con la coscienza di cui parlai l’altro ieri, con la coscienza veggente. Chi salga dalla coscienza abituale a quelle che l’altro ieri descrissi come coscienza immaginativa, coscienza ispirativa e coscienza intuitiva, chi cioè veramente salga con l’anima separata dal corpo, come appunto dissi, per vivere nel mondo spirituale, riesce a giungere a una visione di che cosa in realtà avvenga nell’anima umana quando essa vive nelle immagini del sogno. Ovviamente oggi potrò dare solo qualche indicazione di quanto risulta alla scienza dello spirito; altre descrizioni si trovano nei miei libri.

 

Quando si esamina la vita dei sogni con i metodi che descrissi qui l’altro ieri, si arriva a vedere che quanto si svolge per così dire nell’anima durante il sonno dal momento dell’addormentarsi fino al risveglio è in realtà separato dalla vita fisico-corporea. Con i metodi della scienza dello spirito si impara appunto a conoscere tale separazione dalla vita fisico-corporea. Si impara a conoscere in quale condizione si trovi l’anima quando è separata dal corpo. Di conseguenza è anche possibile paragonare la vita delle immagini oniriche con la separazione dal corpo scientificamente osservabile. Si trova allora che in effetti il sogno è un fenomeno molto più complesso di quanto si immagini di solito.

 

Quel che vive nell’anima mentre sogna è in effetti qualcosa che ha a che fare non soltanto con il presente, come accade con la vita diurna di veglia, ma è ciò che in realtà si forma nel nostro organismo, nel nostro essere complessivo umano, come un piccolo germe di una pianta in crescita. Il germe che si sviluppa in una pianta in crescita è la causa fisica della successiva pianta. Se posso usare l’espressione, le immagini del sogno che si sviluppano nell’anima umana uscendo dal buio del sonno non sono fisiche, ma sono la base spirituale-animica per quanto passa attraverso la porta della morte, che entra poi nel mondo spirituale e attraversa la vita fra morte e rinascita per riapparire in seguito.

 

E comunque un debole germe spirituale-animico, è tanto debole che non arriva con la forza insita in esso a un contenuto animico. Di conseguenza arriva soltanto a un contenuto che si ricollega a reminiscenze, a vaghi ricordi del mondo vissuto, del presente o del passato. Chi studia il sogno partendo dalla scienza dello spirito si dice: come per molte altre cose, nella coscienza, presaga ma anche superstiziosa, che nel sogno potrebbe spesso svelare il futuro, è celata da un lato una verità cui si aspira, e dall’altro una pericolosa superstizione; quest’ultima perché in ciò che vive nel sogno, in modo sostanziale e reale, è veramente presente come l’anima si svilupperà nell’avvenire, è presente la parte eterna della nostra anima. Da quel che si sogna si può già intuire che contiene, sia pure non in rappresentazioni, il germe vivente del nostro futuro. Il contenuto del sogno viene preso da caotiche reminiscenze e da altro del genere. Mentre è superstizione voler dare un significato diverso da quello suggerito dalla scienza dello spirito, va comunque detto che quel che si sogna ha a che fare con l’essere eterno dell’anima umana; è soltanto il contenuto della vita onirica che porta a illusioni.

 

Se movendo dalla coscienza abituale si perviene a quella che l’altro ieri ho caratterizzato come coscienza veggente, come ho detto si arriva a immaginazioni, a ispirazioni e col contenuto della nuova coscienza si è in un mondo spirituale. Si è cioè anche nel mondo in cui vive l’anima quando è fuori dal corpo e sogna. Direi che allora, quasi in un modo infantile, in un modo ancora imperfetto, essa vi è inserita come il germe lo è nella pianta, quale disposizione per la pianta futura. Nell’immaginazione, nell’ispirazione si svela un mondo nel quale è inserita anche l’anima che sogna.

 

In genere si crede che si sogni soltanto quando si dorme. Anche questo è un errore naturalmente paragonabile a quello di credere che i concetti si formino solo nel mondo sensibile, ed è appunto un errore, un’illusione. Molti pensatori, tra cui Kant e anche molti altri, già avevano presagito che quanto pervade l’anima nel sonno e nel sogno non è presente soltanto appunto nel sonno e nel sogno, ma compenetra tutta la vita. Quando siamo svegli certo una parte della nostra vita animica è trasposta nel mondo nel quale si presentano le osservazioni dei sensi e i concetti che si riferiscono a quelle osservazioni. Siamo del tutto afferrati da quel contenuto di coscienza e vi siamo del tutto abbandonati; poiché in certo qual modo esso supera come una forte luce tutti i deboli contenuti che vivono nell’anima, lo consideriamo il solo contenuto della coscienza diurna di veglia. E però un errore! Mentre infatti siamo pervasi dal contenuto della coscienza diurna di veglia, nelle profondità della nostra anima continuano a vivere inconsci i contenuti che sono del tutto simili ai sogni che nella notte si presentano durante il sonno. Durante la veglia continuiamo a sognare, solo che non sappiamo di sognare. Per quanto paradossale possa sembrare è anche giusto dire che non soltanto continuiamo a sognare, ma anche a dormire. Nello stato di veglia la nostra coscienza ha quindi tre aspetti: in alto, alla superficie la desta coscienza diurna, in basso, nel subconscio una continua corrente sognante, e ancora più nel profondo continua il sonno.

 

Possiamo anche indicare quel che sogniamo e dormiamo!

Sogniamo in effetti in merito a cose che ci si presentano all’anima non in rappresentazioni, non in concetti precisi, ma in sentimenti. I sentimenti non sorgono in noi da uno stato di piena e sveglia coscienza, ma da un mondo in noi che è soltanto sognato. Non è giusto sostenere, come fanno alcuni filosofi seguaci di Herbart, che i sentimenti risultano da un’azione congiunta di rappresentazioni. Al contrario, le rappresentazioni sono compenetrate da ciò che sale da una più profonda vita dell’anima e che consiste di un sogno continuo fatto durante lo stato di veglia. Anche le passioni, gli slanci salgono dalla vita di un desto sognare che viene superato solo dalla piena vita cosciente dell’anima. Anche gli impulsi volitivi direi che rimangono tanto enigmatici nel loro scaturire dalla vita dell’anima, perché sorgono da sostrati dell’anima nei quali dormiamo anche durante lo stato di veglia.

 

Così dunque le nostre rappresentazioni del tutto coscienti si sviluppano nella coscienza di veglia, i sentimenti sorgono come onde da uno stato subconscio, dalla vita diurna di sogno, e gli impulsi volitivi sorgono dalla vita del sonno. Nell’ultima conferenza parleremo di quale importanza tutto ciò possa avere per la formazione di idee sociali, giuridiche ed etiche, di quale importanza ciò abbia per il problema della libertà della volontà.

 

Oggi ci deve soprattutto interessare qualcosa d’altro. Alcuni spiriti acuti già notarono che ad esempio mai si potrebbero spiegare le passioni se non si arrivasse a spiegare il mondo dei sogni, dato che le passioni, anche le migliori, le più nobili, vivono nell’uomo perché egli sogna durante la veglia, e perché quanto si sogna non si presenta allo stesso modo della coscienza di veglia, ma fluttua nella coscienza di veglia provenendo dalla regione in cui appunto si sogna.

 

In proposito abbiamo un altro risultato della scienza dello spirito che oggi presento quasi contro voglia, tanto esso contraddice tutti gli abituali concetti; d’altra parte molto di quanto venne introdotto nella scienza nel corso dell’evoluzione dell’umanità venne in un primo tempo visto come un paradosso, ma venne poi assimilato. La concezione copernicana, da parte di un certo atteggiamento spirituale, fu considerata permessa solo nell’anno 1822. Perché anche per la scienza dello spirito o antroposofia non si dovrebbe magari attendere altrettanto a lungo fino a quando essa non sia riconosciuta non dalla Chiesa, ma dalla scienza moderna?

 

Quando si studia il corso della vita umana, quel che veramente vi scorre non è qualcosa che viene vissuto con i concetti elaborati nella coscienza di veglia, ma i dati della storia, ciò che agisce ed opera nella storia non vive per nulla nella coscienza umana di veglia, per quanto paradossale appaia: gli impulsi che operano e si muovono nella storia sono soltanto sognati dall’umanità. Ciò che compenetra e fa progredire la storia non è più chiaro e non è diverso da un sogno per l’anima umana. E del tutto scientifico parlare del sogno del divenire. Lo si vede appunto sapendo che solo con la coscienza veggente si riescono in effetti a vedere gli impulsi storici, quando li si compenetrino con l’indagine immaginativa e ispirata. Dato che facciamo parte della storia, in quanto interferiamo in essa, non abbiamo a che fare con qualcosa che sia possibile osservare, che possa esser messo in concetti simili a quelli in uso nella scienza; abbiamo infatti a che fare con concetti che in realtà la coscienza usuale conosce soltanto dal sogno.

 

Si potrebbe con facilità obiettare alla scienza dello spirito che essa è qualcosa di fantasioso, perché fa risalire importanti impulsi a puri prodotti della fantasia, persino a prodotti del sogno. Sarà anche così, ma se questa è la realtà e se essa appunto vive come sogno nell’anima, va afferrata dove può essere percepita.

 

Proprio da parte del pensare scientifico viene contestata la scientificità della storia, perché nella storia si avrebbe a che fare solo con singoli fatti senza poter mai riuscire a risalire ai moventi che determinano un evento storico; non si riuscirebbe ad averla davanti a sé in modo altrettanto chiaro e preciso come ci si presentano fatti scientifici e naturali.

 

Per la scienza ciò è senz’altro giusto, ma per la scienza dello spirito il problema va ancora molto approfondito. Lo scienziato dello spirito dice anzitutto: osservando i veri impulsi storici, essi non sono affatto dati quando si indirizzi su di essi l’intelletto abituale che si usa per i fatti esteriori; in questo modo i fatti storici non sono per niente dati. Lo sono solo indirizzando la coscienza immaginativa e ispirativa agli impulsi soprasensibili che non sono affatto negli eventi esterni.

 

Quello che la scienza dello spirito porta alla superficie del pensare umano non è comunque tratto dal nulla, soprattutto non lo è nell’epoca moderna. Pensatori che lottarono con i problemi della conoscenza, che vissero in sé i drammi della conoscenza, anche se soltanto in singoli sprazzi di luce portarono a volte la loro attenzione su ciò che la scienza dello spirito sistematizza. Anche qui potrei elencare molti esempi di come in modo quasi divinatorio questo o quel lottatore per la conoscenza sia giunto a qualcosa che viene portato a chiarezza dalla scienza dello spirito. Fra gli altri un esempio che ho anche esposto nel mio libro Enigmi dell’anima di prossima pubblicazione.

 

Lo psicologo Fortlage, nelle sue conferenze sulla psicologia tenute nel 1869, espresse pensieri molto interessanti in merito alla coscienza umana e ai suoi rapporti col fenomeno della morte. Egli dice: «Se noi ci chiamiamo esseri inventi, attribuendoci così un carattere che condividiamo con animali e piante, con la condizione di vivente intendiamo di necessità qualcosa che non ci lascia mai e che sempre continua in noi, sia nel sonno, sia nella veglia: è la vita vegetativa della nutrizione del nostro organismo, una vita inconscia, una vita del sonno. Il cervello fa qui un’eccezione per il fatto che tale vita della nutrizione, del sonno, nelle pause della veglia viene sopraffatta dalla vita della distruzione. In queste pause il cervello è abbandonato a una lenta distruzione che prende il sopravvento e cade di conseguenza in uno stato che, se si estendesse ai restanti organi, porterebbe all’indebolimento assoluto del corpo o alla morte».

 

E un grandioso sprazzo di luce, perché Fortlage non dice nulla di meno che: se i processi che agiscono sul cervello occupassero in piena coscienza di veglia tutto il resto del corpo, lo distruggerebbero; abbiamo cioè in realtà a che fare nell’essere umano con processi di distruzione collegati con le condizioni della coscienza abituale. Era un profondo sprazzo di luce, ed egli più avanti conclude: «La coscienza è una piccola e parziale morte, la morte è una grande e totale coscienza, uno svegliarsi dell’essere intero nelle sue più intime profondità».

 

Come in presagio risulta qui in modo grandioso la relazione fra morte e coscienza. Fortlage sa: se ciò che avviene una volta, quando la morte ci colpisce, viene scomposto in atomi, ora in “atomi di tempo”, tali atomi costituiscono l’evento duraturo della nostra coscienza di veglia. Dispiegando la coscienza di veglia, sviluppiamo una morte atomistica, e la morte è soltanto, più in grande, ciò che in ogni istante della coscienza di veglia si ha nel cervello; anche per Fortlage la morte non è altro che il conseguente e improvviso risveglio della coscienza per il mondo spirituale, mentre la continuità della coscienza ci uccide sempre e in piccolo poiché ne abbiamo bisogno per l’abituale coscienza di veglia. Se dunque siamo di fronte a un essere umano possiamo dire (e quello che Fortlage presagiva viene integralmente confermato dalla scienza dello spirito): la parte animico-spirituale che vive in noi è in effetti qualcosa che consuma, che distrugge, mentre la parte vegetativa che vive in noi resiste alla distruzione fino al momento in cui interviene la morte. Quando interviene la morte si ha soltanto in grande ciò che si sviluppa lentamente, direi in forma atomistica, durante la vita cosciente. Portiamo di continuo la morte in noi, solo che accanto alla morte abbiamo in noi la vita che la combatte, ed è una vita in lotta compenetrata dall’anima.

 

Considerando quindi il singolo essere umano vivente, che ci sta di fronte col suo corpo, vediamo che il corpo è il risultato della vita dell’anima; ne parleremo ancora nella terza conferenza. Abbiamo quindi la morte a cui, fino a che sono ancora attive le forze vitali, è di continuo impedito di realizzarsi, che è come in attesa dietro gli eventi, è addirittura una parte essenziale della vita, perché questa sarebbe solo vita vegetale se la morte di continuo non la uccidesse e di conseguenza non si formasse la coscienza appunto nel corpo.

 

Tenendo presente questa particolare relazione della morte con la vita del corpo, si chiarisce la coscienza veggente in modo da poter acquisire un giudizio e attribuire un senso per i fatti che ci si presentano nel corso della storia, i fatti che appunto i racconti storici in uso ci presentano come avvenuti e che in genere la storia raccoglie.

 

Che cosa si nasconde negli avvenimenti esteriori, nei fatti che si susseguono? Di nuovo va detto qualcosa di paradossale: rispetto al loro contenuto animico, che noi soltanto sogniamo nel corso del divenire storico, gli usuali eventi della storia non si comportano come un corpo che abbia in sé la morte, ma come un corpo già morto dal quale sia uscita l’anima. Vale a dire che nei “fatti storici” l’anima non è mai presente! Mentre nella vita umana interviene la morte quando la vita del corpo si è esaurita (dopo cioè che l’anima ha compenetrato la vita corporea e dopo che il corpo è stato abbandonato dall’anima), l’organismo complessivo dei fatti storici è un corpo soltanto morto rispetto agli interiori impulsi storici che scorrono e vivono di epoca in epoca e che solo possono venir afferrati non limitandosi a guardare i fatti esteriori, ma indirizzando lo sguardo a ciò che vive e che non risulta da quei fatti.

 

Vorrei spiegarmi meglio con un esempio Immaginiamo che qualcuno credesse, e sono in molti a crederlo, che sia soltanto sufficiente osservare con chiarezza i fatti della storia, come si osservano per la scienza i fenomeni naturali; dal succedersi degli avvenimenti storici si avrebbe in tal caso veramente una scienza storica. Chi lo creda, per quanto paradossale appaia, dovrebbe anche essere del parere che avendo davanti a sé un cadavere gli dovesse essere possibile ricavarne in qualche modo la vita dell’anima. Non è però più presente! Altrettanto poco è presente nei fatti storici l’anima della storia. Noi osserviamo gli eventi storici con l’intelletto, legato alle percezioni esterne, che si sviluppa con quanto è appunto ad esse legato; con quell’intelletto vediamo però soltanto ciò che è morto del divenire storico. Riusciamo a penetrare con la coscienza usuale nel divenire storico soltanto come sognatori; possiamo invece comprenderlo, comprendere la vera vita animica nella storia soltanto con la coscienza immaginativa e ispirativa. Di conseguenza, degli eventi storici che ci si presentano possono venir fomiti soltanto racconti, solo enumerazioni; è quindi proprio vero quel che disse il grande Jacob Burckhardt «La filosofia è non-storia, perché filosofia pone i singoli fatti sotto gli altri, e la storia è non-filosofia, perché essa ha solo a che fare con la coordinazione, con il porre i fatti gli uni accanto agli altri».

 

Ne deriva un ben determinato comportamento per il pensiero storico, ne deriva di dovergli mettere alla base quel che appunto è stato detto: volendo in realtà pensare storicamente si deve arrivare con chiarezza con la coscienza veggente, con la scienza dello spirito, a ciò che nell’usuale corso storico senz’altro non si riesce a sperimentare, ciò che è insito nel divenire, senza tuttavia mostrarsi negli eventi, proprio come non si mostra l’anima in un cadavere.

 

Sorge ora la domanda: è davvero possibile osservare con la coscienza immaginativa, con la coscienza ispirativa, ciò che in effetti vive nel divenire storico? Dopo aver già detto tanti paradossi, non intendo ora trattenermi dal far rilevare qualcosa di concreto, come cioè la veggenza, caratterizzata l’altro ieri e anche nei miei libri, come la coscienza veggente, immaginativa, ispirativa, intuitiva, arrivi a una certa concezione del divenire umano rispetto al quale i fatti esterni si comportano soltanto come il cadavere nei confronti dell’anima. Intendo parlare nel modo più concreto, facendo un esempio.

 

Chi cerchi di penetrare in ciò di cui sogna soltanto la coscienza usuale, perviene anzitutto a delimitare il divenire storico e a trovare in determinati punti come dei nodi essenziali della vita storica, come ne troviamo anche nel singolo organismo umano. Intorno ai sette anni il bambino mette i nuovi denti, intorno ai quattordici si diventa maturi sessualmente. Secondo la fisiologia si stabiliscono cesure del genere nella singola vita individuale. Tali cesure hanno per la scienza dello spirito un significato molto maggiore che non per la fisiologia corrente, che appunto non porta a conclusione le sue osservazioni. La scienza dello spirito osserva cesure simili anche nel divenire storico. Se ora prescindiamo dagli avvenimenti esterni e ci limitiamo a osservare quel che avviene spiritualmente, risulta che, limitandosi a un arco di tempo in Europa, vi è in genere nel divenire storico un periodo che va dall’ottavo secolo prima dell’èra cristiana fino al secolo quindicesimo dopo Cristo. Gli eventi racchiusi fra i due punti indicati sono in un certo senso un tutto, come lo è la vita di un ragazzo dal settimo anno, quando cambia i denti, fino alla maturità sessuale. Come quel periodo è un tutto, dopo il quale si ha una svolta che è più importante nell’organismo umano degli avvenimenti intermedi, così si deve dire che vi furono svolte del genere nell’ottavo secolo avanti Cristo e intorno al quindicesimo dell’èra cristiana. Questo periodo appare all’osservazione della scienza dello spirito come un tutto unitario e con un carattere particolare in merito alle caratteristiche speciali relative alla realtà spirituale che è alla base degli eventi storici.

 

Ovviamente posso solo indicare alcuni punti. Volendo caratterizzare queste cose secondo la scienza dello spirito si arriva a ogni possibile particolare; si può arrivare a singoli fatti concreti, come lo si fa percependo in concreto la serie delle piante in botanica o in altri campi del genere. Voglio solo presentare alcuni punti di vista generali.

 

Nel periodo indicato l’essere umano nel suo complesso aveva un intelletto che era molto più istintivo di quanto non avvenga nel nostro tempo, ma per rilevarlo occorre considerarlo in modo interiore, animico, prescindendo dai fatti. Quel che allora si faceva movendo dall’intelletto, dalla coscienza, era in pari tempo un fatto interiore del corpo, era molto più legato al corpo. L’intelletto era molto più istintivo. Guardando le singole affermazioni nei miei libri, si rileva che per la scienza dello spirito l’esperienza animica umana è suddivisa, se posso usare un’espressione scolastica, nella vita dell’anima “senziente”, la parte più cupa e quasi inconscia dell’anima, in quella dell’anima “razionale o affettiva”, operante però ancora in modo che quanto vive in essa non porti ancora alla piena coscienza ma conservi un carattere istintivo, e infine nell’anima “cosciente” che sperimenta l’io in piena autocoscienza, che lo emancipa dalla vita del corpo, con l’intelletto che non è più istintivo, ma che si libera, si pone criticamente di fronte alle cose.

 

Di queste parti dell’anima, se così si possono chiamare, nel periodo dell’umanità di cui ho indicato i confini, negli uomini del periodo greco, negli uomini dell’epoca romana era soprattutto attiva e operava l’anima razionale o affettiva. Ciò che muoveva la vita animica umana a costruzioni sociali, storiche, scientifiche e artistiche, che conduceva a concezioni religiose, tutto ciò operava come appunto operò perché le anime avevano in sé la caratteristica che l’intelletto era ancora istintivo.

 

Quel che così espongo in forma di principi generali può essere seguito fino in concreti particolari. E persino possibile descrivere in modo interiore e spirituale come si presentò la differenza, come in Grecia la vita istintiva dell’intelletto si sviluppasse più verso il lato corporeo, come il Greco considerasse il corpo compenetrato di anima, come il corpo così compenetrato di anima si ponesse nella vita sociale, come poi, a Roma, da tale particolare costituzione dell’anima si formasse l’impulso per la concezione del cittadino romano, e così via. In seguito si sperimenta, vivendola immaginativamente, l’importante cesura che si osserva con chiarezza nel secolo quindicesimo. Le cose avvengono ovviamente in modo da evolversi a poco a poco. Gradualmente nascono i nuovi impulsi, ma la cesura si ha con precisione nel secolo quindicesimo. Si ha allora veramente una rivoluzione della natura umana. La avverte soltanto chi osservi le cose in questo modo; gli altri pensano sempre che esse si svolgano una dopo l’altra, mentre in realtà nel divenire storico vi sono grandi salti, e allora l’intelletto si pone per la natura umana in tutt’altro modo: si emancipa, si struttura di più nel senso dell’autocoscienza.

 

Quando il pensare diviene materialistico e teso verso i sensi, il motivo è che esso non è più in collegamento con il subconscio: si tende allora a relazioni ufficiali, a una strutturazione della vita sociale, a rapporti degli Stati fra loro; ed anche il modo in cui gli altri rapporti culturali si manifestano scaturisce dal caratteristico distacco della vita intellettuale da quella istintiva, che avviene in uno stato di coscienza sognante, non del tutto consapevole, dall’autonomia acquisita dalla ragione rispetto alla vita istintiva.

 

Io presento solo alcuni concetti generali. Le osservazioni della scienza dello spirito risalgono anche a prima del secolo ottavo avanti Cristo. Si arriva così a un altro periodo che inizia nel terzo millennio avanti Cristo; in esso si trova di nuovo qualcosa di specialmente caratteristico che si può anche studiare nei particolari.

 

A poco a poco si trova così dietro agli avvenimenti qualcosa che è possibile osservare soltanto con l’immaginazione, solo con la coscienza ispirata, veggente. Si arriva così al divenire nella storia quando si afferri ciò che nessun evento come tale arriva a dare, che altrimenti nell’osservazione degli avvenimenti viene soltanto sognato come usuale dall’intelletto che appunto osserva gli eventi correnti. Tale divenire vive infatti nella coscienza sognante dell’umanità e viene soltanto rischiarato dalla coscienza immaginativa e ispirativa. Se lo si è capito, gli avvenimenti acquistano un’adeguata luce.

 

Come quando si è di fronte a un cadavere e si deve dire che esso aveva il suo significato quando era compenetrato dall’anima, come in certo modo l’anima getta la sua luce sul cadavere, così avviene che soltanto afferrando l’elemento spirituale con la coscienza veggente si vive nella luce che illumina gli avvenimenti. I singoli fatti vengono chiariti quando li illuminiamo con ciò che così conseguiamo.

 

La storia non riesce quindi a diventare scienza senza la coscienza veggente. Chi crede che la storia possa nascere senza la coscienza veggente assomiglia a chi illumini un oggetto con una luce, facendo poi passare la luce prima su un secondo e poi su un terzo oggetto e affermi quindi che l’illuminazione del secondo oggetto è la conseguenza dell’illuminazione del primo, che quella del terzo oggetto è la conseguenza del secondo. Però non è vero: ogni oggetto ha la sua illuminazione.

 

Così è per gli eventi storici. Chi faccia il tentativo di chiarire i fatti ognuno di per sé, coordinandoli, avvicinandoli gli uni agli altri, come dice giustamente Jacob Burckhardt, assomiglia a quello che fa derivare la luce del secondo oggetto da quella del primo, mentre dovrebbe risalire alla luce comune che cade prima sul primo oggetto, poi sul secondo, infine sul terzo. Ciò che chiarisce gli avvenimenti storici è nel mondo spirituale, e noi dobbiamo illuminarli da quel mondo; altrimenti essi rimangono morti, proprio come gli oggetti non sono chiari se non li illuminiamo con una luce comune.

 

Certo si richiede un radicale mutamento per lo studio della storia, né c’è da meravigliarsene. La storiografia è appunto sorta nel tempo in cui, in campo scientifico, si rifiutava giustamente tutto quanto è soggettivo. Si sono quindi applicati i metodi scientifici alla storiografia, sorta in un periodo inopportuno (naturalmente non è una bella parola), mentre appunto la storia riesce a progredire solo se la scienza viene completata dalla scienza dello spirito.

 

In tal modo non si potrà più descrivere la storia in una prospettiva etica o in altre, come molti fanno, secondo idee astratte. Le idee nulla producono, sono solo del tutto passive. Occorrerà cercare veramente le reali entità e potenze spirituali che sono dietro il divenire storico e che possono essere studiate soltanto con la coscienza immaginativa.

 

È poi singolare che, seguendo questi criteri, in effetti cada davvero luce su quel che si era presagito dal susseguirsi degli eventi, quegli stessi che non erano stati chiariti dal loro semplice susseguirsi. Come a seguito di improvvise illuminazioni, il divenire storico diviene una scienza quando intervenga la scienza dello spirito. Viene invece raccontata in modo non scientifico senza l’intervento della scienza dello spirito.

 

È interessante che Jacob Burckhardt faccia rilevare come, press’a poco nello stesso tempo in cui la scienza dello spirito pone l’inizio del periodo del quale abbiamo parlato oggi, fra i secoli sesto e quinto avanti Cristo, si notino comuni eventi che partono dalla Cina, attraverso l’Asia occidentale fino in Europa, vale a dire un generale movimento religioso, e naturalmente sempre con l’avvertenza che le date non corrispondono con esattezza, come ad esempio anche la maturità sessuale si presenta nell’arco di vari anni. La storia conosce gli eventi e dice che poiché vi è stata una svolta del genere si sono avuto gli eventi. La luce cade su di essi.

 

Anche per quanto avvenne dopo il secolo quindicesimo, Jacob Burckhardt ricorda molto significativamente il movimento religioso legato al nome di Lutero. Di nuovo si ha una scossa che si nota in Europa, e contemporaneamente anche in India. La scienza dello spirito mostra come negli eventi storici si abbia il riflesso di ciò che si vede nella sfera spirituale. La storia diviene una vera scienza movendo dalla enumerazione degli eventi.

 

Occorre dire che anche in questo campo l’aspirazione di molti pensatori si era mossa in questa direzione. Herman Grimm, che cercò di spiritualizzare la storia senza però giungere fino al punto in cui la coscienza immaginativa guarda nel mondo spirituale, tentò con ogni mezzo di scoprire impulsi storici operanti dietro gli avvenimenti usuali. Come tastando, giunse a una strana suddivisione che sempre ricordò nelle sue lezioni. Sostenne di dover suddividere il divenire storico fin qui noto in un primo millennio, e lo fa cominciare più o meno nel punto che io ho indicato per l’epoca che prima ho descritto; poi in un secondo millennio e ancora in un terzo. Egli andava appunto tastando. Riunisce poi i primi due millenni nella stessa epoca che io indico come il periodo di civiltà greco-latino che dura dall’ottavo secolo avanti Cristo fino al secolo quindicesimo. Herman Grimm si rappresenta gli eventi e configura quindi come “terzo millennio” il periodo attuale nel quale viviamo, che durerà ancora molti secoli e che viene riconosciuto come qualcosa di unitario, immaginativamente conoscibile. Direi che in qualche modo cerca di avere un surrogato per quel che si vede nello spirito, e vuole comprendere la storia come il “lavoro di fantasia dei popoli”. Poiché non arriva alla realtà spirituale, a ciò che opera nel divenire storico, interpreta come “lavoro di fantasia” quel che vi è dietro gli eventi. Lo fa cioè diventare illusione, e ricorda così che in effetti i veri impulsi storici possono soltanto essere sognati dall’usuale coscienza umana.

 

Di conseguenza con l’intelletto si può solo afferrare ciò che è morto sulla base di quanto il divenire storico ci offre esteriormente. E quindi interessante che proprio storici che lavorano tanto bene con l’intelletto, che per così dire lo impiegano in mode ancora istintivo, che non come Herbert Spencer lo impiegano inserendovi artatamente rappresentazioni scientifiche, ma che come ad esempio lo storico Gibbon impiegano sì l’intelletto usato anche nella scienza, ma ancora in forma istintiva, è cioè interessante vedere come arrivino (il che per Herman Grimm è uno speciale enigma*) a osservare molto bene e a descrivere i periodi di decadenza dell’evoluzione storica umana nei quali vi è tanto poco di animico. Così ad esempio Gibbon descrive quello che egli chiama decline, decadenza dell’evoluzione di Roma in un tempo in cui vi sono tanti elementi animici in divenire e in crescita, nel tempo dell’inizio del cristianesimo. Dato che indirizza l’intelletto ai fenomeni, egli descrive come una decadenza tutto il divenire dei primi secoli cristiani. La cosa è molto comprensibile, perché l’intelletto, usandolo come va usato per la natura, riesce solo a vedere la decadenza insita nei fenomeni esterni. Gibbon non riesce a vedere che cosa cresce e prospera in un periodo in cui qualcos’altro decade, che cosa cioè penetri nella storia grazie all’impulso cristiano. Come ciò agisca non si manifesta però direttamente negli eventi esterni, ma solo se è illuminato dalla luce che deriva dalla scienza dello spirito.

 

Interessante è anche qualcosa d’altro. È senz’altro possibile fare della storia una scienza solo grazie alla nascente scienza dello spirito, ma naturalmente ciò che con quest’ultima si acquisisce può sempre venir intuito a sprazzi da pensatori illuminati che abbiano capacità di discernimento. Ecco quindi un fenomeno interessante: nelle lezioni storico-sociologiche tenute da Burckhardt all’Università di Basilea negli anni Sessanta del secolo scorso, egli richiama spesso l’attenzione su uno storico, un filosofo della storia della prima metà del secolo diciannovesimo che deve avergli fatto una grande impressione, anche se spesso polemizza contro di lui; lo si ricava da tutto il corso dei pensieri di Burckhardt stesso. È il filosofo Ernst von Lasaulx, rimasto abbastanza sconosciuto. Scrisse un libro notevole al quale Burckhardt fa spesso riferimento nella sue lezioni: Nuovo tentativo di una vecchia filosofia della storia, basata sulla verità dei fatti.

 

Certo Lasaulx, che aveva una certa intuizione per gli impulsi storici che altrimenti gli uomini soltanto sognano, nell’epoca della scienza mise ovviamente in evidenza quella che vorrei chiamare interpretazione dei fatti, e poiché impiegava l’intelletto educato secondo la scienza si interessò soprattutto dei fenomeni decadenti del secolo diciannovesimo. Però in quel secolo vi erano certo anche fenomeni nascenti che possono esser visti soltanto con la coscienza ispirata e immaginativa. Che vi fosse qualcosa del genere lo si intuisce però solo alla fine del suo libro. Quel che comunque egli descrive è enormemente interessante! Descrive la storia europea dal suo inizio fino al secolo diciannovesimo. Formatosi sulla scienza e a causa dell’atteggiamento appunto accennato, egli descrive dappertutto le forme e i fatti decadenti, le forze che in sostanza conducono alla morte. Nel libro vi sono capitoli nei quali vi è come la descrizione delle tendenze di decadimento che era possibile profeticamente indicare alla metà del secolo scorso, delle forze che dovevano condurre all’attuale dilaniarsi delle nazioni europee del presente. Poiché l’intelletto è indirizzato verso i fenomeni della decadenza, si può dire che nulla egli intuisca in modo altrettanto toccante e grandioso quanto ciò che ora si rivela quale risultato della decadenza.

 

Queste sono dirette dimostrazioni del fatto che, quando per così dire ci si limita all’osservazione di alcuni specifici avvenimenti esterni, prescindendo dai veri impulsi storici, è come quando ci si addormenta uscendo dalla coscienza di veglia e non si vedono più gli elementi che pulsano nella storia e che tendono al risveglio, al progresso, a ciò che davvero porta avanti l’umanità. Dalla conoscenza di questi elementi anche la storia risulta sollevata da una semplice causalità naturale. Osservandola sulla base della scienza dello spirito, la storia viene sollevata al rango di una scienza; è quindi lecito dire: quel che Lessing intuì nella sua Educazione del genere umano, quel che egli, mi si scusi l’espressione, espose in modo illusorio, maldestro e anche non giusto, viene posto su una base più sicura. Gli avvenimenti esterni non mostrano invece alcun nesso fra di loro. Ciò in cui vive l’anima umana, in cuivive sognando, diviene una vita continua organica e spirituale, e intendo una vita spirituale, quando il contenuto della storia è visto attraverso la scienza dello spirito.

 

Si arriva allora anche a vedere come lo studioso abituale venga ingannato perché considera il divenire storico come un organismo. Considerandolo tale lo si deve spesso paragonare col divenire della singola vita umana. In gioventù ebbi io stesso un insegnante che paragonava volentieri i singoli susseguentesi periodi storici con le diverse fasi della vita umana: la storia persiana e caldea con la prima giovinezza, la storia greca con una più tarda gioventù, la storia romana con l’inizio della vita adulta. Così spesso il divenire storico viene pensato analogo alla vita umana, ma questa è l’origine di una forte illusione storica. Se infatti arriviamo a considerare nel modo che ho accennato l’evoluzione dell’anima umana nel corso del divenire storico dell’umanità nel suo complesso, non potremo mai arrivare a percepire appunto la realtà spirituale del divenire storico nella quale ci dobbiamo immedesimare, come percepiamo invece l’evoluzione dell’anima umana dalla fanciullezza, attraverso la vita di ragazzi e ragazze, di donne e uomini adulti e così avanti fino alla vecchiaia. In quel modo non si svolge la vita spirituale che sta dietro alle vicende storiche, ma in altro modo, e presentato così abbiamo di nuovo un paradosso che appare tale, ma che è giustificato a fondo nella scienza dello spirito alla quale mi riferisco in queste conferenze.

 

Certo è lecito paragonare con i periodi della vita umana ciò che vive e si osserva nei singoli periodi visti nel loro complesso, ma per quanto strano possa suonare non è lecito paragonare il corso del divenire storico con la trasformazione del poppante in bambino, o del giovane in adulto: il processo è inverso. La vita storica va pensata al rovescio! Se ad esempio si paragona il complessivo atteggiamento spirituale del periodo che va dall’ottavo secolo a. C. fino al quindicesimo d. C. con un tratto della vita individuale umana lo si può fare con i trent’anni della vita umana. Si può dire che sui trent’anni, sia pure con altra costituzione, con altro atteggiamento rispetto alla vita umana, ciò che vive nell’anima è legato al corpo come lo era nel periodo greco-latino fino al secolo quindicesimo. Quel che segue non è poi paragonabile con quanto avviene dopo i trent’anni, ma con quanto li precede. In effetti, rispetto alla vita umana quella storica va a ritroso.

 

In quanto nel nostro tempo l’intelletto si emancipa, in effetti esso acquista un rapporto con la vita del corpo che è paragonabile a quello dell’intelletto con la vita del corpo dei tardi vent’anni nella singola vita umana. Un periodo storico successivo si rapporta a quello precedente in modo da poter dire: come un bambino ancora giovane impara da un altro più anziano che forse avrà elaborato in sé in modo più istintivo ciò che il minore acquisisce in una forma successiva (impariamo infatti sempre da chi a sua volta apprese qualcosa da bambino), così è anche nelle epoche che si susseguono per il passaggio della coscienza da un’epoca a un’altra; il corso della storia è esso stesso un fenomeno di coscienza che comunque si svolge in una vita di sogno. Non abbiamo a che fare nel senso di Lessing con un’educazione del genere umano che si svolge dall’infanzia attraverso gioventù e maturità fino alla vecchiaia, ma al contrario siamo di fronte a un’educazione a rovescio del genere umano, e proprio grazie a questo tipo di educazione interviene nel divenire storico quello che si può chiamare il progresso. Poiché l’anima umana in periodi successivi si avvicina a queste cose con più freschezza che in periodi precedenti, sviluppa un maggior grado di libertà, un maggior grado di incoscienza e di fanciullezza rispetto agli altri uomini; in tal modo entra nell’evoluzione dei mondi tutto quanto si può designare come progresso.

 

Alla fine vorrei ancora richiamare l’attenzione su un fenomeno che potrebbe servire da prova per molto di quanto oggi ho esposto, vale a dire sulla particolare, importante e progressiva relazione che intervenne, quando il cristianesimo passò dalle popolazioni dell’impero romano, che per prime lo avevano accolto, ai giovani popoli germanici. Intervenne allora un fenomeno particolare. Come è spiegabile? Lo è soltanto perché nel complesso dell’evoluzione storica la vita greco-romana, che per prima era stata afferrata dai grandi impulsi del cristianesimo, era in uno stadio successivo di quell’esperienza e di conseguenza lo sviluppò come lo troviamo nella gnosi e nella corrente formulazione dei dogmi. In modo del tutto corrispondente ai fenomeni di coscienza del divenire storico che ho esposti, il cristianesimo assunse altre forme perché affrontava uno stadio iniziale della sua esperienza, passava cioè da uno stadio più maturo a uno più giovane: diviene interiore, emancipa per così dire la coscienza religiosa dall’intelletto istintivo, la religione cristiana diviene più autonoma; in seguito la coscienza religiosa si separa del tutto da quella scientifica.

 

L’intero corso risulta comprensibile se il processo viene afferrato come un fenomeno della coscienza, in quanto la coscienza dei popoli germanici, che si basava su un’altra costituzione animica, ricevette il cristianesimo dai predecessori romani, non da generici predecessori, ma proprio da quelli romani, direi come un bambino riceve le cose da una persona più matura.

 

Certo tutte queste sono soltanto indicazioni generiche, e so altrettanto bene come chiunque altro che le trovi opinabili, quante obiezioni si possano fare. Tuttavia solo chi da un lato si occupi seriamente dello sviluppo della scienza dello spirito, e dall’altro dei problemi enigmatici proposti dalla giovane scienza storica, a poco a poco comprenderà che cosa ho inteso con le mie indicazioni. Nella quarta conferenza di mercoledì prossimo vedremo di trarre qualche conseguenza da questa concezione della storia per la vita pratica, per la vita sociale, per l’azione nella vita sociale, per la comprensione dei fatti che ci toccano direttamente, tanto da suscitare in noi dolore e gioia, e degli eventi che nel nostro tempo tragico toccano in modo speciale la nostra anima.

 

Desidero terminare l’esposizione di oggi accennando a come nature profetiche a ciò predisposte (senza che ai loro tempi esistesse la scienza dello spirito) avessero istintivamente in sé il modo di pensare della scienza dello spirito, a come cogliessero nel giusto considerando la storia dell’umanità. Mi riferisco a Goethe che si occupò solo occasionalmente di problemi storici, ad esempio nella sua storia della dottrina dei colori, e che tuttavia aveva una profonda comprensione per la storia. Osservandola con la sua anima presaga, formulò quel che gli risultava, non ancora come oggi è stato qui esposto, ma si pose in modo giusto di fronte ad essa; poiché l’umanità soltanto sogna il divenire storico con la coscienza abituale, la sperimenta cioè in una regione nella quale nascono anche i sentimenti, i moti dell’anima, le passioni, egli presagì quanto oggi è stato esposto. Sapeva che i concetti prodotti dalla storia, che possono sembrare simili a quelli scientifici, sono in effetti sterili per la vita umana, perché nascono nella stessa regione della vita animica in cui vive la coscienza di veglia. Essa esiste però solo nei riguardi della natura, mentre la storia viene sperimentata dall’uomo nelle regioni del sogno dalle quali derivano le passioni e i moti dell’anima. Di conseguenza, prima che l’uomo si immerga nella coscienza immaginativa e ispirativa, fin tanto che nel divenire storico rimane nella coscienza abituale, la sua anima può solo venir afferrata dalle esperienze storiche che provengono dalla coscienza di sogno. Non possiamo venir afferrati da concetti astratti, da idee che provengono dallo stesso intelletto che si occupa degli eventi naturali. Tutto ciò rimane infruttuoso.

 

Diviene fruttuoso soltanto quel che appunto proviene dalla stessa regione e vi opera, dalla regione in cui viene presa anche la storia. Dato che la storia viene sognata (Goethe non lo deduce ma lo intuisce) quel che proviene dalla storia agisce soltanto nella regione del sogno, dell’entusiasmo, dei moti dell’anima. Goethe dice che il meglio che riesce a darci la storia è l’entusiasmo che essa sollecita.

 

Abbiamo così presentato non una formulazione della scienza storica, ma una comprensione vivente, derivata da un’anima poetica, che può essere elevata a idea dalla scienza dello spirito. Fino a quando nella storia viviamo con la coscienza usuale, in effetti non partecipiamo ad essa. Prendiamo invece parte alla vita della storia in quanto vi inseriamo il nostro entusiasmo e ci poniamo di fronte ai suoi fenomeni così come l’entusiasmo ci pone.

 

Noi impariamo dalla natura, ma possiamo imparare dalla storia solo osservando il divenire storico con la coscienza immaginativa e ispirativa. Nelle conferenze successive estenderemo le nostre considerazioni alla natura e alla vita sociale.