La trasformazione delle conseguenze interiori del peccato originale operata da Cristo

Il figlio dell’uomo


 

Con il peccato originale iniziò il karma dell’umanità.

All’inizio non esisteva ancora un karma individuale, quale si può sperimentare e conoscere oggi.

Esso ebbe inizio solo più tardi, durante l’epoca di Atlantide,

allorché avvenne l’incontro dell’umanità con Arimane,

rispetto al quale ebbe la funzione di baluardo.

Quello che esisteva prima, andrebbe designato propriamente non con il termine ‘karma’,

ma con quello di ‘conseguenze del peccato originale’.

 

Il peccato originale fu infatti una necessità per la futura Gerarchia della libertà

e le sue conseguenze furono altrettanto importanti per il divenire di questa Gerarchia

come, per fare un esempio, lo è l’acqua per il divenire dei pesci.

 

• L’umanità, quale futura Gerarchia della libertà, era destinata,

non solo ad incontrare il male, ma ad assumerlo in sé.

Ciò fu necessario per poter conoscere interiormente sia il bene che il male,

ed essere di conseguenza anche in grado di decidere sul piano interiore.

La vera libertà non si sviluppa infatti mediante la scelta di cose esteriori,

bensì mediante la decisione che deriva dalla conoscenza interiore.

• L’uomo dovette mangiare il frutto dall’albero della conoscenza del bene e del male,

ossia assumere sia l’uno che l’altro, per creare la condizione necessaria al sorgere della propria libertà.

 

La caduta è propriamente la nascita della predisposizione alla libertà,

e le conseguenze della caduta sono le condizioni per le quali la libertà potrà svilupparsi.

 

Tali conseguenze si mostrarono in una duplice direzione:

• da un lato all’interno dell’uomo stesso     • e dall’altro nel suo destino esteriore.

Le necessità esteriori, sorte come conseguenza della caduta,

sono descritte nella Bibbia come fatica, malattia e morte.

 

La Bibbia indica però anche i mutamenti avvenuti nell’interiorità umana in conseguenza della caduta. Nel terzo capitolo della Genesi sono infatti caratterizzati con sufficiente chiarezza i tre mutamenti fondamentali avvenuti nell’essere umano. Lì è detto che, dopo essersi aperti i loro occhi, essi “si accorsero di essere nudi” e “udirono poi la presenza di Dio, che passeggiava per il giardino alla brezza del giorno, …” (Gn 3:7-8).

 

Tre cose sono qui indicate:

• la nascita di una nuova immagine del mondo,

• la nascita di una nuova immagine dell’uomo

• e la nascita di una nuova immagine di Dio.

 

Con l’aprirsi degli occhi dell’uomo, il mondo si trasformò. Esso divenne, a differenza di quanto era stato fino allora, qualcosa di esteriore. Prima esso era una realtà interiore, un’esperienza permeata di interiorità. Ora divenne una realtà oggettiva, che gli stava di fronte, fuori dell’intessere vivente della sua anima. L’immagine già intessuta di forze morali, divenne un’immagine della ‘mera natura’. Questo spogliarsi della natura fu al tempo stesso un occultarsi delle sue sorgenti originarie.

 

Mentre nasceva il mondo dei fatti [Tatsachen],

si oscurava il mondo degli atti [Taten].

In questo mondo di realtà esteriori l’uomo fu condotto a riconoscersi come una parte di esso.

Dovette riconoscere di essere egli stesso una cosa esteriore tra le cose esteriori.

La stessa visione che gli mostrava la natura spogliata, ossia svincolata dalla realtà morale-spirituale,

gli rivelò anche la propria natura.

 

L’uomo si accorse che il suo essere umano poteva essere non solo sperimentato, ma anche scrutato dall’esterno. Il contenuto dell’esperienza interiore del suo essere e l’immagine risultante dalla visione esteriore, erano però fondamentalmente diverse. Quello che egli sperimentava interiormente di sé, era anima, ma quello che si mostrava esteriormente come sua immagine, era un’apparenza, priva dell’elemento morale-spirituale. L’uomo riconobbe di portare in sé un che di impenetrabile, di oscuro rispetto alla luce spirituale. Sorse allora in lui l’impulso elementare a non esporre questa parte oscura alla luce dello spirito, ma piuttosto a nasconderla. Nacque il senso elementare della vergogna, che da allora è presente nel subconscio dell’umanità.

 

Come, in conseguenza della caduta, sorsero una nuova immagine del mondo e una nuova immagine dell’uomo, così si instaurò anche un nuovo rapporto con la guida divina del mondo, che portò in seguito ad un’immagine sempre più pallida della Divinità, fino al suo scomparire, come avviene nell’ateismo. Il mutamento del rapporto con la Divinità, sorto come conseguenza della caduta, consistette sostanzialmente in un allontanamento dell’uomo dalla Divinità. Se prima la Divinità riscaldava e illuminava l’uomo, dopo la caduta questi dovette affidarsi sempre più alla luce e al calore propri. La luce ed il calore divini si ritrassero. Nel giardino dell’Eden si fece “sera” ed “il giorno divenne freddo”.

 

Invece della luce e del calore divino, l’uomo potè percepire solo la ‘voce’ e il ‘passeggiare della Divinità nel giardino dell’Eden’. Ciò significa che solo l’etere del calore e l’etere della luce furono affidati all’arbitrio umano, mentre l’etere del suono o chimico e l’etere della vita restarono connessi alla Divinità. (Cf. la 7a conferenza del ciclo sul Vangelo di Luca di R. Steiner). Di conseguenza la Divinità divenne per l’uomo soltanto pensiero e senso del mondo, mentre prima scorreva in lui anche come luce e calore.

 

In seguito all’allontanamento dall’essere divino dovuto alla caduta, l’uomo imparò a sentire la Divinità in modo diverso da come la sentiva prima: quella che prima era fonte di luce benedicente e calore beatificante fu ora sentita come potenza giudicante il mondo.

I desideri e i sentimenti umani, in quanto resi soggetti all’arbitrio, poterono ora contraddire il pensiero e il senso del mondo. L’uomo imparò così a provare una sensazione nuova di fronte alla Divinità, divenuta suo giudice: quella della paura.

 

Il freddo della paura succedette al calore proprio della vergogna.

L’uomo, innanzi al volto del giudice, fu portato a coprire

• la nudità del proprio essere naturale a causa della vergogna,

• e la nudità della propria anima, i suoi desideri e le sue brame, a causa della paura.

 

Da allora il corpo eterico dell’uomo, nella misura in cui non è stato mutato, è costituito dalle correnti di calore della vergogna e dalle correnti di freddo della paura. (Cf. il ciclo di conferenze di R. Steiner, Lo sviluppo occulto dell’uomo nelle sue quattro parti costitutive, L’Aia, 1913).

 

Mentre per un verso i sentimenti elementari di vergogna e di paura penetrarono nell’entità umana come sue parti costitutive, e per l’altro il pensare e il percepire (cioè l’etere del suono e l’etere della vita) furono sottratti all’arbitrio umano, restando collegati alla loro sorgente divina, sorse nel mondo – appunto come conseguenza della caduta – un fatto spirituale nuovo, di immensa portata per il destino dell’umanità e di tutti gli altri esseri, e cioè il segreto [Geheimnis].

 

Il segreto potè nascere nel mondo e presentarsi come una necessità, solo in quanto fu sottratto all’arbitrio umano un dominio di natura superiore e un altro di natura inferiore sfuggì all’immediato controllo divino. Per il fatto che l’essenza spirituale degli eteri del suono e della vita, ossia i pensieri divini e il senso divino del mondo restarono preclusi all’arbitrio umano, nacque il segreto del bene. Da allora l’uomo dovette, con i mezzi della purificazione, illuminazione e iniziazione, attuare ripetute metamorfosi nel proprio essere, per diventare degno di penetrare nel segreto del bene, nei misteri del mondo spirituale.

Per il fatto che l’etere della luce e l’etere del calore, la cui essenza è nel sentire e nel volere, soggiacquero all’arbitrio, essi si chiusero, a causa della vergogna e della paura, al mondo spirituale. Siccome però vergogna e paura non sono permeabili alla pura luce dello spirito, sorse nel mondo l’altro segreto, quello connesso alla vergogna e alla paura, le quali celano la luce e il calore rubati al cielo.

 

La porta al segreto del male e quella al segreto del bene sono compresenti nell’uomo;

• la prima si nasconde nel suo subconscio dietro il velo della vergogna e della paura,

• l’altra è protetta dalla fatica del pensare, dal dolore purificatorio del sentire e dalla morte dell’arbitrio.

 

Dal tempo del peccato originale, l’uomo è dunque la chiave

• del segreto del mondo spirituale di fronte al mondo del male

• e del segreto del mondo del male di fronte al mondo spirituale.

 

Cristo dovette assumere la natura umana per conoscere il segreto degli strati interni della Terra, il che avvenne con la discesa agli inferi, che rappresentano il subconscio della Terra, e per questo fu poi in grado di innalzarsi fino ai misteri del Padre con l’Ascensione, dopo la discesa agli inferi.

A causa del peccato originale l’uomo ricevette la predisposizione a compiere, sia la discesa agli inferi, che l’ascesa al cielo, il che significa una conoscenza del bene e del male che, al grado attuale dell’evoluzione umana, può dirsi completa.

Il segno che la grande conseguenza del peccato originale, ossia il duplice segreto, fosse abolito, fu dato dallo squarciarsi del velo innanzi al ‘Sancta Sanctorum’ del tempio e dal terremoto al momento della morte in Croce.

 

Il segreto del bene diverrà ora manifesto:

questa è la promessa implicita nell’immagine dello squarcio nel velo del tempio.

Il segreto del male sarà interamente svelato:

questa è la promessa la cui espressione fu lo sconvolgimento del suolo terrestre.

 

Lo svelarsi del segreto del mistero del male mediante il bene, significa però il superamento del male stesso mediante la sua trasformazione in bene. Il Mistero del Golgota, che vanificherà il segreto del mondo, rappresenta dunque la liberazione dalle conseguenze del peccato originale, che si riassumono nella fatalità cosmica del segreto.

 

• Da allora la storia del mondo spirituale

diviene la storia della rivelazione progressiva del segreto del mondo spirituale:

niente e nessuno potrà ostacolare il flusso di questa rivelazione!

• D’altra parte il male sarà da quel momento sempre più palese e pertanto anche superato.

 

Ci saranno ancora sconvolgenti rivelazioni e tutti gli uomini moralmente desti sperimenteranno, già nel presente,

un aspetto significativo di questo smascheramento;

essi potranno però anche accogliere significative verità dalla sorgente di rivelazione del mondo spirituale.

 

Prima che, con il Mistero del Golgota, fosse suggellata la fine del segreto, furono vinte e trasformate le cause interiori della presenza dello stesso, grazie alla Passione del Cristo Gesù. Quello che, in conseguenza del peccato originale, era penetrato nell’interno della natura umana, agì dall’esterno sul Cristo Gesù durante la Passione.

 

• Come dopo il peccato l’uomo si accorse di “essere nudo”, così il Cristo Gesù fu esposto ad ogni affronto e le parole di Pilato: “Ecce homo”, assumono il significato di una sacra sentenza da parte della storia cosmica sulla natura umana, quale è divenuta dopo il peccato. Quanto di vergogna era vissuto nella natura umana, il Cristo Gesù lo sperimentò nel mondo esteriore come disonore e scherno. Quanto di paura era penetrato nella stessa dopo il peccato, si scagliò sul Cristo Gesù dall’esterno come odio.

La Passione del Cristo rappresentò l’assunzione del karma umano conseguente alla caduta, e fu dunque la via al superamento della parvenza illusoria e delle forze elementari della vergogna e della paura. Il Cristo assunse questo karma e lo scontò per l’umanità, quale suo rappresentante. Così le parole “Egli prese su di sé la colpa del mondo” sono letteralmente vere, poiché la Passione di Cristo fu il prezzo di questa colpa.

 

In un senso ancor più profondo, però, queste parole della tradizione cristiana sono vere: il Cristo prese su di sé non solo le conseguenze della colpa dell’uomo, ma anche la colpa stessa. Il sacrificio del Cristo fu qualcosa di ancor più grande che lo scontare le conseguenze della colpa umana, mentre egli stesso era innocente:

il Cristo scontò il karma del peccato originale,

non con la coscienza della propria innocenza,

ma con la coscienza della colpa.

 

Il suo sacrificio si accrebbe per il fatto di aver assunto la colpa dell’umanità anche nella propria coscienza,

sentendola come colpa propria.

Il suo amore arrivò al punto di identificarsi completamente con l’umanità.

 

Egli era rappresentante dell’umanità, non solo come sua immagine ideale, ma anche come sua coscienza morale [Gewissen], ricolma della consapevolezza della colpa umana di fronte al Padre. La coscienza dell’innocenza di Cristo doveva vivere nel suo ambiente, nell’umanità, ma non viveva in lui.

 

Egli giunse alla morte in Croce,

• non con la coscienza dell’ingiustizia subita,

• ma con la coscienza dell’adempimento della giustizia divina.

 

Le parole del Cristo morente sulla Croce, tramandate dal Vangelo di Giovanni: “Tutto è compiuto”, suonano non come un ultimo rimprovero all’ingiustizia umana, ma come un annuncio solenne dell’adempimento della giustizia divina.

Ora è però compito dell’umanità il portare tanto più a coscienza il fatto dell’ingiustizia umana, quanto quello dell’innocenza del Cristo Gesù. Se il contenuto della coscienza morale del Cristo crocefisso era la consapevolezza della colpa del peccato originale, allo stesso modo deve divenire contenuto della coscienza morale di ogni uomo che aspiri ad essere cristiano, la consapevolezza della colpa relativa all’ingiusta condanna e alla crocifissione del Cristo. Non è né sentimentalismo, né esaltazione mistica, ma un fatto di esperienza per ogni conoscere spirituale che si compia in chiara coscienza, il riconoscere che la condanna del Cristo Gesù è stata pronunciata dall’umanità intera, e che pertanto l’umanità intera ne porta la responsabilità.

 

Al processo sul Cristo presero parte tutte le forze della natura umana; sulla scranna del giudice si assisero allora le qualità rappresentative dell’intera umanità e il risultato della loro cooperazione fu … la crocifissione. Questo fatto sarà trattato più ampiamente in una prossima considerazione; qui basta accennarne, per indicare una nota fondamentale del sentimento morale dell’umanità dopo Cristo.

Sostanzialmente si tratta – e nel futuro sarà sempre più importante – di risvegliare la coscienza riguardo al fatto che siamo stati noi a giudicare il Cristo.

 

Come è vero

che il dubbio, l’odio, e la paura in qualsiasi forma vivono in ogni uomo,

altrettanto è vero che in ogni uomo vivono in una qualche forma

Pilato, il Consiglio degli anziani, il bugiardo Pietro, e anche il traditore Giuda.

 

Se nell’uomo vive la forza di Pilato, quella del consiglio degli anziani, della menzogna e del tradimento – perché allora non vive in lui anche la coscienza della colpa di Pilato, del Consiglio, di Pietro e di Giuda? Dovremmo essere innocenti solo perché le forze viventi in noi agirono un tempo attraverso altre personalità? Se d’altra parte si considerano le individualità coinvolte direttamente nella condanna del Dio-uomo, non sarebbe più corretto giudicarle considerando che, ad esempio, Giuda ha giudicato e condannato se stesso, e che Pietro ha subito il martirio in croce, pregando umilmente di essere crocifisso con la testa in giù, sentendosi indegno di esserlo alla maniera di Cristo? Se si riflette su questo e si persiste quindi a voler considerare il problema della colpa per la crocifissione in rapporto soltanto a singole individualità, allora ci si interroghi se noi non abbiamo davvero mai tradito l’impulso del Cristo. Se la risposta è sì, ci siamo giudicati con altrettanta severità di Giuda, o abbiamo sopportato i dolori karmici con la medesima umiltà di Pietro?

 

Con il Mistero del Golgota viene dunque innalzata la grande bilancia morale della coscienza umana nell’era cristiana. Su un piatto di questa bilancia sta la coscienza della consapevolezza del Cristo Gesù davanti al Padre nel nome dell’umanità, sull’altro piatto si deve porre la coscienza della colpa dell’umanità per l’ingiusta condanna del Cristo Gesù.

 

Quando sarà giunta l’ora in cui la Terra avrà concluso il suo corso e l’umanità dovrà percorrere il kamaloka dell’intera esistenza terrestre, allora questa bilancia starà innanzi agli occhi del mondo e verrà pesato il grado morale della coscienza dell’umanità.

Il contenuto del Giudizio universale sarà l’esame di coscienza dell’umanità di fronte all’immagine della condanna del Cristo Gesù. Gli uomini si divideranno allora in due grandi gruppi, a seconda che l’esperienza della loro crocifissione sulla Terra sia stata del tipo del primo ladrone alla destra del Cristo, oppure del secondo alla mia sinistra. Sarà allora decisivo che la voce della coscienza dell’uomo possa accordarsi con la voce del buon ladrone nelle parole: “Per noi è giustizia, poiché riceviamo degna pena dei nostri delitti; ma lui non ha fatto alcun male” (Lc. 23:41).

Queste parole sono ciò che di più elevato l’uomo, dalla totalità del proprio essere, può dire intorno al Mistero del Golgota.

 

L’uomo può certo sapere molto, moltissimo sul significato cosmico del Mistero del Golgota, ma di suo può contribuire a questo mistero solo con quanto è espresso dalle parole del buon ladrone. Con queste parole viene espressa la trasformazione interiore dell’impulso luciferico, entrato nell’uomo con la caduta. Esse sono il risultato del Mistero del Golgota nella coscienza morale dell’umanità. Solo nella misura in cui l’umanità imparerà a identificarsi sempre più con l’impulso morale che vive in queste parole, potrà penetrare nella sua coscienza la forza del Cristo vittoriosa sulle conseguenze della caduta.

 

Se nella Bibbia la coscienza del nesso con il mondo spirituale, venuta meno in seguito alla caduta dell’umanità, è designata come ‘paradiso’, così suonò – e sempre suonerà nel futuro – la risposta del Cristo alle parole pronunciate dalla coscienza umana destatasi sul Golgota: “Oggi sarai con me in paradiso”.

 

Come è vero che il Mistero del Golgota restituisce il paradiso perduto, altrettanto è vero che la realizzazione di questa possibilità dipende, per ogni uomo, dal contributo che egli, in virtù della propria libertà, saprà dare allo stesso Mistero del Golgota. Tale contributo trova espressione nella voce del buon ladrone. Ne risulterà in sostanza la pietra di paragone morale, in base alla quale l’umanità verrà divisa, dapprima in due correnti karmiche post-atlantidee, poi in due culture e infine in due razze. Ciò sarà anche decisivo dopo la conclusione dell’esistenza terrestre, quando, dopo il kamaloka di tutta l’umanità, ossia il ‘Giudizio universale’, avverrà la divisione in due sfere planetarie di esistenza.

 

Allorché, grazie al Mistero del Golgota, fu scontato il karma del peccato originale, già era avvenuta l’identificazione del Cristo con la natura umana decaduta, vale a dire il suo sperimentare la condizione dell’uomo divenuto libero, ma isolato e separato dallo spirito del mondo. Questo avvenne nella notte del Getsemani. In quella notte il Cristo Gesù sperimentò non solo la coscienza dell’uomo, ma anche il suo subconscio fin nel profondo della corporeità.

 

• Se nella tentazione nel deserto

il Cristo Gesù aveva visto e riconosciuto le forze attive nel subconscio della natura umana,

ora le sperimenta nella propria interiorità, come una parte del proprio essere.

Egli sperimenta cioè interiormente l’azione diretta di quella forza, che gli si era presentata nel deserto

nella forma della tentazione di mutare le pietre in pane.

 

Di quella tentazione era infatti rimasto occulto un aspetto, che doveva continuare ad agire

e che si trovava pertanto nel subconscio del Cristo Gesù,

divenendo la causa della lotta interiore svoltasi nella notte del Getsemani.

In quella notte avvenne la nascita del puro amore umano.

 

Se il Cristo portò sulla Terra l’amore divino, l’amore dei mondi spirituali,

Egli dovette anche sperimentare l’amore umano sulla Terra per realizzare la sua divino-umanità.

 

Nel Cristo Gesù doveva compiersi

l’unione del più alto amore dell’essere divino col più alto amore dell’uomo terreno.

A questo fine era necessaria la riunione del Cristo con l’entità del Gesù natanico.

 

• Mentre nella Trasfigurazione sul monte Tabor Cristo irradiò l’amore divino nell’entità umana,

• nella notte del Getsemani la luce dell’amore umano irradiò dall’entità umana, rimasta sola e abbandonata,

nell’entità divina del Cristo.

 

Al mistero del divenire del Dio-uomo è inerente anche il fatto che

• Cristo doveva non solo dare, ma anche ricevere,

• non solo insegnare, ma anche imparare.

• Quello che doveva dare, insegnare, era il divino amore del Figlio;

• quello che doveva ricevere e imparare, era l’amore dell’uomo,

che nacque nella notte del Getsemani dall’entità del Gesù natanico, quale anima gemella di Adamo.

 

Come nella Trasfigurazione fu presa, da parte dell’amore divino, durante il sonno dei tre discepoli, la risoluzione di patire la morte in Croce sul Golgota, così nella notte del Getsemani fu presa da parte dell’essere umano, per amore umano – di nuovo durante il sonno dei tre discepoli -, la risoluzione di bere il calice delle conseguenze del peccato originale per l’intera umanità.

 

Affinché questa decisione fosse realmente umana, doveva rimanere nell’interiorità di Gesù il terreno per la lotta relativa alla tentazione di mutare le pietre in pane. Con il riversarsi su questo terreno di una suprema forza d’amore, avvenne davvero il miracolo della trasformazione di un morto in un vivente: il miracolo della Resurrezione.

 

La scena del Getsemani fu dunque la continuazione della scena della tentazione nel deserto. Ora la lotta fu condotta a termine. Che con la tentazione nel deserto non si fosse ancora conclusa è espresso chiaramente nel Vangelo di Luca. Qui l’Evangelista dice: “E dopo averlo tentato in tutti i modi, il diavolo si allontanò da lui per un certo tempo” (Le 4:13). Questo tempo, in cui la tentazione non doveva aver luogo, durò fino all’ora del Getsemani.