L’entità di Jahvè e il suo significato nel divenire del mondo e dell’umanità / Il mistero della Luna

L’aurora della rivelazione


 

L’idea associata comunemente alla realtà della morte, è quella del cadavere in decomposizione.

Il processo di decomposizione è generalmente assunto quale immagine dell’operare della morte in natura.

 

In realtà non è questa l’immagine della morte.

La decomposizione non è che il processo, mediante il quale

la sostanza di un singolo organismo vivente trapassa all’organismo vivente complessivo della Terra.

Qui, invero, non vi è morte. Ciò che avviene è un processo vitale.

 

Per mezzo della decomposizione, la sostanza del cadavere viene sottratta alla morte,

e accolta nel circolo della natura vivente.

 

L’immagine adeguata della morte sarebbe dunque, non quella di un processo di decomposizione,

ma quella di un cadavere immarcescibile.

Nella decomposizione agisce infatti la vita della terra: solo nella rigidità si manifesta la morte.

 

Quando una parte del divenire del cosmo è sottratto alla corrente del tempo, divenendo una porzione rigida di spazio,

abbiamo allora realmente a che fare con un corpo morto, con un cadavere.

 

La vita è spazio attraversato dalla corrente del tempo;

la morte è l’irrigidirsi del tempo nello spazio.

Quando il tempo diventa spazio, perdendo il proprio dominio sulla forma,

allora muore e diventa un cadavere.

 

Di ciò si ebbe un sentimento nei tempi antichi.

La croce, quale immagine della cooperazione irrigiditasi dello spazio e del tempo,

divenne perciò il simbolo della morte.

 

 

Se intendiamo la croce quale simbolo del tempo irrigiditosi nello spazio,

giungiamo a formarci un concetto veridico del trasporto della Croce.

Il trasporto della Croce è in relazione con un frammento morto, ossia irrigiditosi, del passato,

che si deve appunto ‘portare’, poiché da sé è incapace di movimento.

 

Così, ad esempio,

l’incarnazione dell’uomo in un corpo minerale è un caso di trasporto della Croce.

In quanto abbiamo accolto sostanze minerali nel nostro corpo fisico,

‘portiamo’ costantemente con noi la nostra croce.

Ogni uomo incarnato è dunque un ‘portatore della Croce’, in quanto porta con sé, per tutta la durata della vita,

un corpo minerale morto, estraneo alla vera natura del corpo fisico.

 

L’essere incarnati in un corpo minerale non è però l’unico modo di portare la croce. Essa può essere portata anche in altri ambiti dell’esistenza. Per esempio una dottrina un tempo vivente, irrigiditasi in un dogma, rappresenta una croce portata nella vita spirituale dell’umanità. La croce del dogmatismo religioso e scientifico grava pesantemente sulle anime degli uomini nati sotto l’influenza della civiltà occidentale.

 

Il trasporto della Croce non è un processo solamente umano, ma anche cosmico.

Come la Lavanda dei piedi è un evento cosmico, così lo è il trasporto della Croce.

 

Dove possiamo allora osservarlo nel cosmo? Ci sono fenomeni nella vita del cosmo che costituiscono un trasporto della Croce? Dove, in altre parole, si può trovare nel cosmo un corpo morto, un cadavere, che debba essere ‘portato’ da entità cosmiche viventi?

 

Per millenni i poeti hanno celebrato nei loro carmi la “casta regina della notte”.

La Luna, dispensatrice dell’argentea luce notturna, fu sempre oggetto dell’ammirazione dei poeti.

Ma che cos’è in realtà la Luna quale corpo cosmico?

È un corpo morto, un cadavere ruotante attorno alla Terra,

e che quest’ultima porta con sé nel proprio peregrinare cosmico.

La Luna è un residuo irrigidito del passato terrestre,

un frammento morto di passato, che accompagna la Terra.

 

Se la sostanza condensatasi come Luna, non avesse lasciato la Terra durante l’epoca lemurica, tutta la vita terrestre sarebbe perita. La vita della Terra non sarebbe stata in grado di dominare una materia così irrigidita, quale si sarebbe formata, se la sostanza della Luna fosse rimasta legata alla Terra. In questo modo l’eccessiva tendenza alla morte fu allontanata dalla Terra, grazie all’intervento del mondo spirituale.

 

Uno dei sette Elohim, che irradiava dal Sole gli impulsi formativi del divenire del mondo, abbandonò la dimora solare che gli era propria, per separare dalla Terra il suo cadavere irrigidito, la Luna, e agire quindi nei tempi a venire da quest’ultima.

Grazie a questo sublime sacrificio di Jahvè-Elohim, fu data alla Terra e all’umanità terrestre la possibilità di un’ulteriore evoluzione.

Se infatti Jahvè-Elohim non avesse rinunciato all’esistenza solare e non avesse preso su di sé la croce della Terra, la Luna, gli esseri della Terra sarebbero rimasti schiacciati sotto il peso di quella croce.

 

Nel presente, in cui non vi è elevata entità spirituale che non venga denigrata, deformata, interpretata al rovescio, servendosi della menzogna, fa parte dei più alti doveri degli antroposofi, trovare nuovamente parole di rispetto e di verità, per porre di fronte all’umanità nella sua vera figura la sublime entità, altrimenti disconosciuta, travisata, deformata e denigrata di Jahvè-Elohim, il portatore della Croce nel cosmo. La gratitudine è infatti doverosa non solo verso gli uomini, ma anche nei riguardi delle entità spirituali.

 

Le entità spirituali, invero, non hanno bisogno della nostra gratitudine: siamo noi a doverla manifestare, per amore della nostra dignità umana. Non è infatti degno dell’uomo essere ingrati e accettare in silenzio la menzogna, la denigrazione e il travisamento nei confronti di sublimi entità spirituali, alle quali siamo, come uomini, immensamente debitori. Le Exusiai della Luna, appartenenti alla schiera di Jahvè, potrebbero portare sulla loro fronte il radioso segno del Sole. Portano invece l’argenteo segno della Luna, poiché così è meglio per l’umanità. Non fu una predilezione per la morte a spingere questi esseri, portatori primordiali della vita, a scegliere la Luna, il cadavere irrigidito del cosmo, come dimora in cui vivere e respirare: lo fecero per salvare e custodire la tenue fiamma della vita umana sulla Terra.

 

I poeti hanno fatto della Luna una fonte inesauribile di sentimentalismo per l’umanità. Ma dove sono i poeti capaci di trovare le parole atte ad esprimere la bellezza e la profondità morale di quel sacrificio cosmico, in cui consiste la Luna? Perché non vi sono cuori che, invece di intenerirsi e abbandonarsi alla malinconia, sappiano percepire le fiamme che ardono sulla Luna, le fiamme dell’amore sacrificale di Jahvè-Elohim?

 

Il sacrificio di Jahvè-Elohim è infatti qualcosa di più sublime rispetto a ciò che di esso si può cogliere in un primo tempo con la ragione. Per comprenderlo pienamente, è necessario che cooperi il cuore.

 

Jahvè non è infatti solo il portatore della Croce, di ciò che è morto nel cosmo, ma è qualcosa di più:

egli è colui che argina l’azione del male nel cosmo, tenendo distante dalla Terra l’‘ottava sfera’.

 

Entriamo qui in un ambito pertinente ai misteri dell’occultismo concreto. Anche quel poco che sì potrà dire al riguardo, basterà a farci comprendere più profondamente la natura di Jahvè-Elohim.