Considerazioni sulle massime precedenti / 38-61

O.O. 26 – Massime antroposofiche – 18.05.1924


 

È molto importante che, mediante l’antroposofia, si comprenda come le rappresentazioni che l’uomo si forma nell’osservare la natura esterna, debbano arrestarsi di fronte all’osservazione dell’uomo stesso. Contro questa esigenza pecca il modo di pensare penetrato negli animi umani in seguito allo sviluppo culturale degli ultimi secoli: ci si abitua a pensare le leggi di natura, e con tali leggi si spiegano i fenomeni naturali percepiti dai sensi; quindi si guarda all’organismo umano, e si considera anch’esso come se il suo ordinamento potesse venir compreso applicando ad esso le leggi della natura.

 

Ora, il far questo equivale al contemplare in un quadro, che un pittore ha dipinto, la sostanza dei colori, la forza con cui i colori aderiscono alla tela, il modo in cui questi colori possono venir distesi sulla tela, e altre simili caratteristiche. Ma con tutto questo non si coglie affatto ciò che nel quadro veramente si palesa. Nella manifestazione dataci dal quadro vive un ordine di leggi del tutto diverse da quelle che possono venir ottenute dai punti di vista sopra accennati.

 

Quello che dunque importa è di renderci chiaro conto che anche nell’entità umana si manifesta qualcosa che non è afferrabile dai punti di vista dai quali si ricavano le leggi della natura esterna. Se abbiamo fatta nostra nel giusto modo questa rappresentazione, siamo in grado di comprendere l’uomo quale immagine. Un minerale non è immagine, in questo senso. Esso manifesta soltanto ciò che i sensi possono direttamente percepire.

 

Nell’immagine, in certo modo attraverso quanto noi vediamo con i sensi, la visione penetra in un contenuto che va afferrato con lo spirito. Così è anche nell’osservazione dell’essere umano. Se lo afferriamo nel giusto modo per mezzo delle leggi di natura, nella rappresentazione dataci da queste leggi, noi non ci sentiamo vicini all’uomo reale, ma soltanto a ciò per il cui mezzo si rivela l’uomo reale.

 

Dobbiamo sperimentare nel nostro spirito il fatto che con le leggi naturali noi stiamo di fronte all’uomo, così come ci troveremmo di fronte a un quadro sapendo di esso soltanto: qui c’è dell’azzurro, là del rosso, senza essere in grado, mediante un’attività animica interiore, di riferire l’azzurro e il rosso a qualcosa che si manifesta attraverso questi colori.

 

Si tratta appunto di avere un sentimento diverso quando con le leggi di natura stiamo di fronte ad un minerale da quando ci poniamo di fronte all’uomo. Dinanzi al minerale, per la concezione spirituale, è come se si toccasse direttamente quello che si percepisce; dinanzi all’uomo si ha l’impressione di essergli tanto lontano con le leggi naturali, quanto siamo lontani da un quadro se semplicemente lo tocchiamo, senza contemplarlo con l’occhio dell’anima.

Quando avremo compreso, considerando l’uomo, che egli è immagine di qualcosa, potremo procedere nella giusta disposizione d’anima per scoprire anche che cosa si raffigura in questa immagine.

 

La natura di immagine non si rivela nell’uomo in un modo univoco.

Un organo di senso, nel suo essere, è immagine in misura minima,

e in misura massima una specie di rivelazione di se stesso, come il minerale.

E proprio agli organi dei sensi noi possiamo maggiormente accostarci con le leggi di natura.

 

Consideriamo soltanto la mirabile struttura dell’occhio umano. Possiamo afferrare approssimativamente questa struttura mediante le leggi di natura. Similmente avviene per gli altri organi dei sensi, sebbene la cosa non appaia così evidente come per l’occhio.

 

Ciò dipende dal fatto che gli organi dei sensi mostrano una certa conclusione nella loro struttura.

Essi sono inseriti nell’organismo come conformazioni in sé complete

e come tali trasmettono le percezioni del mondò esterno.

 

Ma non è così per i processi ritmici che si svolgono nell’organismo.

Questi non si presentano come cosa compiuta, finita.

In essi ha luogo un continuo nascere e morire dell’organismo.

• Se gli organi dei sensi fossero come il sistema ritmico,

l’uomo percepirebbe il mondo esteriore come se questo fosse in un continuo divenire.

 

Gli organi dei sensi si presentano come un quadro appeso al muro.

Il sistema ritmico ci sta davanti come il processo che si svolge

allorché consideriamo la tela e il pittore mentre sta dipingendo il quadro.

Il quadro non c’è ancora, ma c’è sempre di più.

 

Qui abbiamo a che fare con il divenire di una cosa.

Ciò che è stato prodotto, a tutta prima, permane.

Nell’osservazione del sistema ritmico umano, al divenire segue immediatamente il deperire.

Nel sistema ritmico si manifesta un’immagine in via di divenire.

 

• L’attività che l’anima dispiega quando, percependo, si apre a qualcosa che le sta di fronte, e che è immagine compiuta,

può venir designata come immaginazione.

• La esperienza che occorre svolgere al fine di afferrare un’immagine in via di divenire,

si può per contro designare come ispirazione.

 

Diversamente ancora sta il fatto quando nell’organismo umano

si considera il sistema del ricambio e del movimento.

Qui è come se stessimo davanti alla tela ancora completamente vuota,

ai vasi dei colori e all’artista non ancora occupato a dipingere.

 

Se si vuol arrivare alla comprensione del sistema del ricambio e delle membra, occorre sviluppare una percezione

che non ha a che fare, con la percezione di ciò che abbracciano i sensi,

più di quanto abbia a che fare la vista dei vasi dei colori, della tela vuota e del pittore

con quello che più tardi ci starà davanti agli occhi come quadro dipinto.

 

E l’attività nella quale l’anima sperimenta spiritualmente l’uomo attraverso il ricambio e i movimenti,

è pari a quella che si avrebbe sperimentando il quadro che verrà dipinto più tardi,

solo guardando il pittore, la tela vuota e i vasi dei colori.

Di fronte al sistema del ricambio e delle membra,

l’anima, per arrivare ad una comprensione, deve elevarsi all’intuizione.

 

È necessario che i soci attivi della Società Antroposofica indichino in questo modo l’essere di ciò che sta alla base dello studio antroposofico, perché non soltanto deve venir riconosciuto il contenuto di conoscenza che si ottiene grazie all’antroposofia, ma anche il modo in cui si giunge a sperimentarlo.

Da ciò che qui è stato esposto si arriverà alla via per comprendere le Massime che seguono.

 

38 — Se si è giunti, nella direzione indicata dalle massime precedenti, a considerare l’uomo nella sua natura d’immagine e nella spiritualità che così si manifesta, si è anche prossimi ad osservare contemporaneamente nella loro realtà le leggi animico-morali entro il mondo spirituale in cui si vede agire l’uomo quale essere spirituale. Ché l’ordine morale del mondo si presenta allora come il calco terreno di un ordine pertinente al mondo spirituale. L’ordine fisico e quello morale del mondo si congiungono così in unità.

39 — Dall’uomo scaturisce la volontà. Essa rimane del tutto estranea alle leggi naturali desunte dal mondo esteriore. L’essenza degli organi dei sensi si può ancora conoscere dalla loro somiglianza con gli oggetti esteriori della natura, ma nell’attività degli organi sensori la volontà non può ancora esplicarsi. L’essenza che si manifesta nel sistema ritmico dell’uomo è già più dissimile da ogni cosa esteriore, e la volontà vi può aver presa fino ad un certo grado. Ma tale sistema è compreso fra il sorgere e il perire. Qui la volontà è ancora legata.

40 — Nel sistema del ricambio e delle membra si manifesta bensì un’essenza attraverso la materia e i suoi processi legati alla materia, ma la materia e i suoi processi non hanno a che fare con lei più di quanto il pittore e i suoi mezzi abbiano a che fare col quadro terminato. Perciò la volontà può aver presa diretta in tale essenza. Se dietro l’organizzazione umana, vivente nelle leggi naturali, si afferra l’entità umana operante nello spirito, in questa si ha un campo in cui si può scorgere l’azione della volontà. Di fronte alla sfera dei sensi, la volontà umana resta una parola priva di qualsiasi contenuto. E chi voglia afferrarla in questa sfera, abbandona, nel conoscere, la vera essenza della volontà e mette qualcos’altro al suo posto.

41 — Nella terza delle Massime del gruppo precedente viene accennato all’essenza della volontà umana. Solo quando abbiamo scorto tale essenza, siamo con la nostra comprensione in una sfera del mondo nella quale agisce il destino (karma). Finché si vedono soltanto le leggi dominanti nella concatenazione delle cose e dei fatti naturali, si resta ben lontani da ciò che agisce nel destino in modo conforme a leggi.

42 — A chi in tal modo abbia compreso l’attività conforme a leggi nel destino, si palesa altresì che questo non può esplicarsi nel corso della singola vita fisica sulla terra. Finché l’uomo dimora nel medesimo corpo fìsico non può far realizzare il contenuto morale della sua volontà se non per quel tanto che lo consente il corpo fisico nel mondo fìsico. Solo quando l’uomo sia penetrato nella sfera dello spirito attraverso la porta della morte, l’essenza spirituale della volontà può acquistare piena realtà. Ivi perverrà all’attuazione spirituale prima il bene con le sue relative conseguenze, poi il male con le sue.

43 — In tale attuazione spirituale si configura l’uomo stesso fra la morte e una nuova nascita; diventa nella sostanza una immagine di ciò che ha fatto nella vita sulla terra. Da questa sua sostanzialità egli forma poi, tornando sulla terra, la sua vita fisica. Lo spirituale che vige nel destino può trovare la sua attuazione nel fisico solo quando la sua relativa causa si sia ritirata nel dominio spirituale prima di quella attuazione. Ché quanto si esplica secondo il destino si forma dallo spirituale, non già nella serie dei fenomeni fisici.

44 — Un passaggio all’osservazione scientifico-spirituale del problema del destino si dovrebbe compiere, su esempi tratti dall’esperienza di singoli uomini, con l’esame dello svolgimento di ciò che è conforme al destino nel suo significato per il corso della vita; per esempio, di come un’esperienza giovanile che non fu certo procurata in piena libertà da una persona, possa in gran parte improntare tutto il resto della sua vita.

45 — Si dovrebbe rappresentare nella sua portata come, nel corso fisico della vita fra nascita e morte, il buono possa essere infelice nell’esistenza esteriore, il malvagio, almeno in apparenza, felice. Esempi in immagini sono per questo esame più efficaci di qualsiasi spiegazione teorica, perché preparano meglio l’osservazione scientifico-spirituale.

46 — Alla luce di casi del destino che si presentano nell’esistenza dell’uomo in modo che non se ne possono trovare le determinazioni in ogni singola vita terrena, si dovrebbe mostrare come, di fronte a tali casi del destino, già un esame puramente razionale della vita indirizzi ad una vita precedente sulla terra. Dal modo dell’esposizione deve naturalmente risultar ben chiaro che con essa non si vuol affermare nulla di impegnativo, bensì dire solo qualcosa che orienti i pensieri verso lo studio scientifico-spirituale del problema del destino.

47 — Quanto è riposto nella configurazione del destino umano non penetra che in minima parte nella coscienza solita, bensì vige per lo più nell’incosciente. Ma appunto scoprendo ciò che è conforme al destino, si mostra come l’incosciente possa venir reso cosciente. Ha cioè torto chi parla dell’incosciente, che è tale temporaneamente, come se dovesse restare per sempre nel dominio dell’ignoto e costituisse così un limite della conoscenza. Con ogni frammento che del suo destino si svela all’uomo, questi innalza ciò che prima era incosciente all’àmbito della coscienza.

48 — Per tale elevazione, ci si accorge come quel che è conforme al destino non si ordisca nella vita fra nascita e morte; si viene anzi condotti, appunto nel problema del destino, all’osservazione della vita fra morte e nuova nascita.

49 — Nel trattare di questa esperienza umana che, nel problema del destino, trascende se stessa, si potrà sviluppare un vero senso per il rapporto fra il sensibile e lo spirituale. Chi vede agire il destino nell’essere dell’uomo è già inserito nello spirituale, perché le concatenazioni del destino non hanno in sé nulla di naturale.

50 —È di particolare importanza indicare come lo studio della vita storica dell’umanità si vivifichi ove si mostri che sono le anime umane stesse che trasportano le conseguenze di un’epoca storica in un’altra, passando di epoca in epoca nelle loro ripetute vite terrene.

51 — Contro una tale considerazione si obietterà facilmente che essa toglie alla storia l’elementarità e la spontaneità; ma a torto. Essa piuttosto approfondisce la visione della storia, perseguendola fin nell’intimo dell’entità umana. La storia diventa così più ricca e concreta, non più povera e astratta. Solo che nell’esposizione bisogna sviluppare cuore e senso per la vivente anima umana, nella quale così si guarda a fondo.

52 — Le epoche della vita fra la morte e una nuova nascita si devono trattare in relazione con la formazione del karma. Il « come » costituirà il contenuto delle massime che seguono.

53 — Lo sviluppo della vita umana fra la morte e una nuova nascita avviene per gradi successivi. Durante pochi giorni subito dopo il passaggio oltre la soglia della morte si abbraccia con lo sguardo, in immagini, la precedente vita sulla terra. Questo panorama indica nello stesso tempo il distacco del portatore di questa vita dall’entità umana animico-spirituale.

54 — In un periodo che dura circa un terzo della vita appena compiuta sulla terra, attraverso esperienze spirituali che l’anima ha, si conosce l’effetto che la vita precedente deve avere, nel senso di un ordine universale eticamente giusto. Durante tali esperienze nasce l’intenzione di conformare la vita prossima a pareggio di quella precedente, in modo consono alle esperienze stesse.

55 — Segue un lungo periodo di esistenza puramente spirituale in cui l’anima umana, con altre anime umane ad essa karmicamente legate e con entità delle gerarchie superiori, configura la prossima vita sulla terra nel senso del karma.

56 — Il periodo di permanenza fra morte e nuova nascita, nel quale si configura il karma dell’uomo, può venir descritto solo in base ai risultati dell’indagine spirituale. Ma è da tener sempre presente che questa descrizione riesce convincente alla ragione. Basta soltanto che quest’ultima osservi spregiudicatamente la natura della realtà sensibile per accorgersi che tale realtà indirizza ad un contenuto spirituale, così come la forma di un cadavere alla vita che vi dimorava.

57 — I risultati della scienza dello spirito mostrano che, fra morte e nascita, l’uomo appartiene ai regni dello spirito così come, fra nascita e morte, egli appartiene ai tre regni della natura: minerale, vegetale e animale.

58 — Il regno minerale è da riconoscere nella forma effimera dell’uomo; il vegetale, quale corpo eterico, è la base del suo divenire e crescere; l’animale, quale corpo astrale, è l’impulso per l’esplicazione del sentimento e della volontà. Il coronamento della vita cosciente del sentimento e della volontà nella vita autocosciente dello spirito, palesa all’osservazione immediata il nesso dell’uomo col mondo dello spirito.

59 — Un’osservazione spassionata del pensare mostra che i pensieri della coscienza solita non hanno un’esistenza propria, che si presentano soltanto come immagini riflesse di qualcosa. L’uomo si sente però vivo nei pensieri. I pensieri non vivono, egli però vive nei pensieri. Questa vita ha origine in entità spirituali che, nel senso delta mia Scienza occulta, si possono designare come quelle della terza gerarchia, come un regno spirituale.

60 — La stessa osservazione spassionata, estesa al sentimento, mostra che i sentimenti sorgono dall’organismo, che però non possono venir prodotti da quest’ultimo, perché la loro vita porta in sé un’essenza indipendente dall’organismo. L’uomo può sentirsi col suo organismo nel mondo naturale. Ma proprio quando fa questo, comprendendo se medesimo, si sentirà col mondo dei suoi sentimenti in un regno spirituale. È quello della seconda gerarchia.

61 — Come entità volitiva, l’uomo non si rivolge al proprio organismo, ma al mondo esterno. Quando vuole andare, non chiede: che cosa sento nei miei piedi?, bensì: che mèta c’è là fuori, a cui voglio arrivare? Mentre vuole, dimentica il suo organismo. Nel suo volere non appartiene alla sua natura. Appartiene qui al regno spirituale della prima gerarchia.