Il carattere dei singoli suoni

O.O. 279 – Euritmia linguaggio visibile – 25.06.1924


 

Sommario: Consonanti: un’imitazione di eventi esteriori; vocali: un’esperienza interiore; la h sta tra l’elemento consonantico e quello vocalico nel suo rapporto con il respiro, che viene sperimentato parzialmente a livello interiore e che va in parte verso l’esterno. Il linguaggio primordiale. L’essere dei singoli suoni.

 

Dopo aver cercato ieri di spiegare in generale il carattere dell’elemento linguistico come tale, di questo particolare linguaggio visibile dell’euritmia, vorrei oggi presentare per prima cosa il carattere dei singoli suoni poiché soltanto allora, quando l’interiore entità dei suoni ci starà dinanzi, potremo comprendere realmente gli elementi dell’euritmia. Vorrei far notare come nella vita dell’umanità, nella sua evoluzione, sia sempre stata presente una coscienza più o meno chiara di tutto ciò; soltanto nella nostra epoca, come dissi ieri, siamo tanto limitati nell’uso del linguaggio. Vi fu sempre una coscienza più o meno chiara del fatto che, in questo passaggio di suoni nella parola, vi sia nelle consonanti una riproduzione di forme o di eventi esterni e, nelle vocali, un’esperienza interiore.

 

Questa coscienza è passata più o meno nella forma delle lettere dell’alfabeto, tanto che nelle forme più antiche, quali ad esempio quelle dell’alfabeto ebraico, in particolare nelle consonanti, si può già vedere una sorta di imitazione di ciò che accade realmente nella forma, nella figura d’aria. Nelle lingue più recenti (e vi annovero naturalmente tutte quelle che iniziano dal latino, mentre il greco ha ancora qualcosa di quel che ora intendo) questo è andato più o meno perduto nella scrittura corrispondente; ma qualcosa ricorda senz’altro che si cercò di imitare nella forma delle lettere quanto era contenuto nella formazione, nella struttura plastica della parola, quando le si dà forma partendo dall’elemento consonantico (che è l’imitazione del mondo esterno) e da ciò che si percepisce, si sperimenta come proveniente dall’interno, originato dall’anima. Possiamo dire che oggi qualcosa di simile è in senso stretto chiaramente presente soltanto in certe parole del sentimento, in suoni o parole che lo esprimono o nelle interiezioni. Vogliamo studiarne un esempio che può forse condurci nelle profondità dell’essere dell’euritmia.

 

Consideriamo la h aspirata: quando la pronunciamo e non l’aspiriamo semplicemente, il suo suono si trova veramente tra l’elemento consonantico e quello vocalico. Ciò accade sempre in tutto ciò che è in rapporto con il respiro. Il respirare fu sempre sentito come qualcosa che l’uomo sperimenta in parte interiormente, in parte però già verso l’esterno.

La h, il semplice suono aspirato, può essere percepita, e lo fu anche dagli uomini primitivi, come imitazione, figura d’aria che si avvicina soffiando come il respiro, l’aria respirata si avvicina soffiando. Diciamo quindi: si può percepire la h aspirata come l’elemento che si avvicina soffiando.

Tutto ciò che viene sperimentato come elemento che si avvicina soffiando e trova espressione in ogni parola in cui vi sia il suono della h aspirata viene appunto sentito così.

 

La vocale u può essere sentita come ciò che, a livello animico-interiore, raffredda, irrigidisce, gela. Questa è l’esperienza interiore della u, che raffredda, irrigidisce, gela, per cui si prova freddo. U: elemento raffreddante, irrigidente.

La sch è l’elemento che soffia via, tutto ciò che si sente come elemento che soffia via, che si allontana soffiando. In certe regioni, quando soffia un vento freddo che fa gelare, intirizzire, si dice husch-husch, husch-husch. In questa interiezione si ha ancora l’esperienza profonda di h u sch: husch-husch. Nel linguaggio originario tutte le parole erano interiezioni.

 

Consideriamo ora un’altra composizione di suoni. Conosciamo la r, il suono r-r-r. Si sperimenta la r in modo giusto sentendola come elemento rotante, come una ruota: r-r-r. La r è quindi elemento rotolante, rotante, tutto ciò che ci fa sperimentare la traccia è rrr. L’elemento rotante, rotolante, rullante dev’essere pensato, visto così:

 

 

Della a ho già parlato ieri. A è lo stupore. La sch l’abbiamo già vista: è l’elemento che soffia via. Sentiamo la parola rasch (rapido). Possiamo notare che, se qualcosa è rapido, rotola via, provoca uno stupore e si allontana, viene soffiato via: rasch. Come abbiamo detto, nelle consonanti vediamo quindi l’imitazione di qualcosa: nella r l’elemento rotolante, rotante; nella a lo stupore interiore; nella sch ciò che fugge, si allontana.

 

Si può ora comprendere come abbia una certa giustificazione parlare di linguaggio primigenio, poiché se gli uomini compenetrassero col giusto sentimento i suoni, parlerebbero tutti allo stesso modo; denominerebbero tutto allo stesso modo, secondo la natura della loro organizzazione.

 

La scienza dello spirito parla di qualcosa di simile: vi fu un tempo sulla terra un linguaggio primigenio creato proprio nel modo appena descritto, e non è semplicemente mito, leggenda, come ci è stato tramandato, ma è qualcosa che si trova veramente alla base di tutte le lingue.

 

 

Osservando determinati fatti della vita, il modo in cui vengono espressi con immensa saggezza in vocaboli paralleli, si rimane davvero sorpresi dalla saggezza che domina l’intero divenire dell’uomo, il divenire del mondo. Di fronte a quanto sto per dire, va sottolineato che non si tratta di uno scherzo, ma deriva da un reale sentimento originario degli uomini.

Per chi rifletta realmente su problemi gnoseologici, certe cose che sono più profondamente inserite nella vita, certi problemi diventano enigmi che un altro trascura semplicemente, trascura in modo superficiale. Può quindi divenire un enigma per qualcuno che esista un parallelismo tra latte materno e lingua materna. Che non si dica latte paterno è comprensibile; ma che non si dica lingua paterna lo è già meno. Qual è il parallelo fra latte materno e lingua materna?

 

Si possono trovare ragioni profonde come risposta a tali enigmi; anche se le cause esteriori vengono talvolta dimostrate in modo splendido, vi sono sempre motivi interiori per l’evoluzione intima dell’umanità. Quando il bambino viene al mondo, il latte materno provvede nel migliore dei modi a plasmare il corpo fisico. Se esaminassimo bene il latte materno, non secondo la chimica morta ma quella vivente, troveremmo il motivo per cui nella prima epoca della vita esso nutra il corpo fisico e, parlando correttamente sul piano medico-naturalistico, lo modelli nel migliore dei modi. Avendone il tempo, potremmo anche farlo, benché non riguardi direttamente l’euritmia. Questo è il primo elemento, il latte materno che configura il corpo fisico. La lingua materna (di cui abbiamo detto ieri che è il corpo eterico) modella dal canto suo il corpo eterico. Qui nasce il parallelo. Prima abbiamo il corpo fisico con il latte materno, poi il corpo eterico con la lingua materna.

In tali cose vi è già una saggezza profonda che troviamo sia nella formazione della parola che risale ad epoche antichissime, sia in talune intuizioni espresse dai proverbi. Non dobbiamo considerare semplice superstizione le massime che troviamo ad esempio nei proverbi popolari: talora contengono tradizioni grandiose e importanti.

 

Dopo aver chiarito tutto ciò, passiamo ora alle caratteristiche dell’essere dei suoni. Se comprendiamo quel che essi rappresentano, come cioè le vocali esprimano l’esperienza interiore, le consonanti la riproduzione di ciò che è esterno, se comprendiamo come ciò accada in ogni singolo caso, veniamo condotti da un lato all’elemento euritmico-artistico, dall’altro a quello euritmico-pedagogico, da un altro ancora all’elemento pedagogico- terapeutico dei singoli suoni. Mi servirò ora di tutto ciò che può avvicinarci ai singoli suoni nella loro entità affinché possiamo accogliere domani, comprendendole, le configurazioni che cercheremo euritmicamente per questi suoni.

Della a abbiamo già detto che è meraviglia, stupore. Nella b (ne ho parlato ieri) vi è sempre un’imitazione di qualcosa che avvolge, che dà protezione dall’esterno; b è l’elemento che abbraccia. Lo si può ancora osservare nel segno grafico della b; negli alfabeti più recenti, moderni, nella B maiuscola è contenuto due volte l’elemento avvolgente: avvolgere una volta, avvolgere un’altra volta. La b è sempre un avvolgere, un dare protezione, in modo approssimativo: la casa in cui si sta. La b è la casa.

 

Ora voglio prendere le lettere dell’alfabeto tedesco; potremmo prenderne anche di più antiche, ma vogliamo ora fare euritmia della parola sulla base delle lettere dell’alfabeto tedesco, dei suoni tedeschi e così vogliamo caratterizzarla secondo ciò che manifestano tali lettere, tali suoni nel loro essere.

Giungiamo poi alla c (non voglio naturalmente fermarmi al segno grafico corrotto a vari livelli di ogni singolo suono: per quanto riguarda l’euritmia non è necessario occuparsi dell’alfabeto scritto). Sentiamo nel suono c: c c, che viene imitato qualcosa in movimento. Quel che si imita con il suono c non si può sentire in riposo: c è un urtare; sentendo interiormente ciò che si trova nella c, si rimarrà colpiti dall’impossibilità di rappresentarsi qualcosa di pesante dicendo: c c. Non si giungerà all’idea che si possa sudare imitando la c. Non è possibile con questo suono. È possibile riprodurre soltanto ciò che non è pesante, che è leggero. La caratteristica dell’essere lieve viene imitata con il suono della c. Possiamo dire semplicemente: nella c viene imitato l’essere lieve.

 

Approfondendo questi aspetti sottili del risonare, del sillabare, si prova quel che avverrebbe se, come talora si vede al circo, si avessero sfere apparentemente di ferro su cui fosse scritto “1000 Kg” (il clown le solleva però rapidamente!) e credendo di avere una sfera di ferro da 1000 Kg che in realtà ne pesa tutt’al più dieci, ci avviciniamo, la solleviamo e pronunciamo: c-c. Lo fa anche la natura, poiché lo starnuto è quasi simile alla c ed è un alleggerimento.

 

Gli antichi occultisti dicevano: la c, nella parola originaria, è il reggente della salute. Quando qualcuno starnuta si dice ancor oggi: salute! Gli si grida: salute! Queste sono sensazioni che si devono collegare ai suoni, altrimenti non se ne comprende la natura.

 

Il suono d (quando giungeremo ad emetterlo in modo naturale?) d, d, d, credo possa venir percepito quando qualcuno domanda dove si trovi una determinata cosa, e sapendolo gliela si indica con un gesto. Volendo esprimere con il suono della d che quella persona si deve stupire per la nostra rapida informazione, che si deve meravigliare, allora si dice: da (là). Se si rinuncia alla meraviglia solo d. Non saremo infatti tanto presuntuosi da pretendere la meraviglia, ci limitiamo a indicare. Con la d si irradiano indicazioni in tutte le direzioni, e lo si può sentire. Possiamo dire quindi: la d è indicare, irradiare in una direzione. L’imitazione dell’indicare, dell’irradiare, il richiamare l’attenzione su qualcosa è insito nella d.

 

La e è un suono che ha sempre interessato in modo straordinario gli uomini. Dissi ieri che la e è il suono che indica veramente: è stato fatto qualcosa a una persona e non ci si è lasciati coinvolgere. Non ci si lascia turbare da qualcosa che accade a qualcuno: e.

 

Possiamo passare al significato del suono t – Tao, t. Forse si sa che verso il Tao, la t, si porta una profonda venerazione, quando si comprende che cosa viva in esso. Tao, t rappresenta l’elemento importante, persino quello creatore, quello che irradia indicando, ma irradia in particolar modo dal cielo sulla terra. È l’irradiare essenziale. Diciamo dunque per la t: irradiare in modo significativo dall’alto verso il basso.

 

Ora però qualcosa che viene sentito come un elemento grande e maestoso in una certa connessione può comparire naturalmente anche nella vita abituale. Prendiamo questi tre suoni. La e, come abbiamo appreso, rappresenterebbe quindi: mi ha fatto qualcosa, ma io mi contrappongo; è questa esperienza. La t, Tao: ha colpito. Se vogliamo esprimere l’esperienza: qualcosa mi ha toccato, io mi contrappongo: e. E un evento che mi ha colpito, ma che si allontana, è l’elemento che soffia via: sch. Otteniamo l’insieme dei suoni: “etsch”. Quando si dice “etsch”? Lo diciamo ad esempio quando una persona vuol dire qualcosa di importante che però è falso e ce ne accorgiamo subito. Quando possiamo allontanare rapidamente una cosa che ci tocca, quando qualcuno vuol intervenire con decisione come un fulmine, ma noi lo allontaniamo, lo respingiamo: “etsch”; qui abbiamo questo insieme di suoni. Ci si può sentire dentro la e, esserne toccati. In questo caso non si può immaginare di dire “itsch” oppure “atsch”, ma si può dire soltanto “etsch” quando l’evento è tale per cui si può allontanare ciò da cui si è toccati.

 

Nel modo in cui si configura la e, si sperimenta con pienezza in senso euritmico quel che viene aggiunto in talune regioni. Dal gesto si forma la e euritmica: “etsch, etsch” (con il gesto corrispondente). Qui si euritmizza già la e dentro. Queste sono sensazioni naturali e comprensibili.

Nella e abbiamo quindi l’esser toccati e il difendersi, il rimanere saldi nel contatto. Naturalmente, quando si descrivono le cose, si è in qualche misura maldestri, ma lo si deve sentire.

 

F: questo suono è forse difficile da sentire nella vita odierna tanto limitata nel linguaggio.

Ciò che era detto della f negli antichi misteri, è assolutamente sorprendente. Negli antichi misteri viveva la frase: «In principio era la Parola e la Parola era presso Dio…», in cui, come spiegai ieri, si sentiva veramente l’elemento creatore della Parola, del Logos (Logos non va infatti tradotto con sapienza, benché taluni studiosi moderni mostrino in tal modo la loro incomprensione per le cose antiche: Logos va tradotto con Verbo, Parola, però considerato nel modo spiegato ieri); quando si parlava della f negli antichi misteri dell’Asia minore, dell’Africa e dell’Asia meridionale, si diceva che, quando qualcuno pronuncia la f butta fuori tutto il respiro: le Divinità crearono l’uomo attraverso il respiro che contiene l’intera sapienza umana nel vento, nell’aria, nel soffio dei venti.

 

Così l’Indù sentiva tutto quello che poteva apprendere, imparando a dominare il respiro con la filosofia yoga e si colmava di saggezza interiore quando emetteva la f Anche negli esercizi yoga indiani più antichi si sentiva in questo modo; si facevano gli esercizi yoga, la cui tecnica consisteva nel sentire interiormente l’organizzazione umana, la pienezza della sapienza. E nel pronunciare la f si sentiva come la sapienza divenisse cosciente per l’uomo. La f può quindi essere vissuta nel modo giusto soltanto sentendo ancora oggi come nei misteri egizi suonasse una certa formula, divenuta poco nota nel mondo, ma presente: se vuoi annunciare che cosa sia Iside, che conosce il passato il presente e il futuro, che non può mai essere completamente svelata, allora devi farlo con il suono f.

 

Colmarsi di Iside nella tecnica del respiro, sperimentare Iside nel processo respiratorio dell’espirazione è contenuto nella f. Cosicché la f non può essere sentita esattamente, ma press’a poco come: ich weiss (io so). Ma vi è dentro di più che: io so. Ich weiss è ancora insufficiente quando si sente la f. Per questo si perse prestissimo la sensazione della f. La si può veramente sentire come: wisse du (sappi) – l’altro a cui si parla; io gli dico f per fargli notare che posso istruirlo – wisse, dass ich weiss (sappi che io so).

 

Mi apparirà quindi del tutto naturale che qualcuno, quando voglia istruire un altro, vada verso di lui ed espiri la f. Si potrebbero studiare parole interessanti in cui la f compaia in un contesto qualsiasi: è necessario ricordare quanto già dissi della sensazione intima della f.

 

Della h ho parlato prima; è l’elemento che si avvicina soffiando.

 

Ed ora la i; è facile da sentire come autoaffermazione, come salda autoaffermazione. In tedesco vi è una parola molto azzeccata ed è l’affermazione: ja (sì) – in cui tuttavia nell’elemento consonantico la i è interpretata diversamente, segue poi lo stupore, la meraviglia. Non si può esprimere in modo migliore l’affermazione che mediante l’autoaffermazione della meraviglia. Abbiamo detto ieri che la meraviglia è realmente l’uomo. Se vi aggiungiamo ancora l’autoaffermazione: ja – abbiamo la netta affermazione. La i è quindi l’autoaffermazione. Vedremo che significato abbia per la rappresentazione euritmica il fatto che la i costituisca sempre un’autoaffermazione difensiva.

 

Un suono sorprendente è la l – vi è accanto la e – il semplice suono della l. Pensiamo a tutto quello che si fa, lasciando risuonare una l. Pensiamo alla nostra lingua quando si fa risuonare una l. Usiamo la lingua in un modo molto artistico facendo risuonare una l: l-l-l, se ne sente l’elemento creativo, formativo. Se non si fosse particolarmente affamati, e si pronunciasse una l molto lunga e chiara, ci si potrebbe quasi saziare. In questo modo si sente la l come qualcosa di reale, come se si mangiassero gnocchi particolarmente gustosi, né troppo morbidi né troppo asciutti, che si sciogliessero lievemente sulla lingua con una sensazione di piacere. Si può avere questa esperienza pronunciando chiaramente la l-l-l. Vi è dentro qualcosa di creativo che dà forma. Lo scultore è facilmente indotto a provare le forme che crea senza far risuonare la l, ma con un movimento della lingua che è particolarmente sensibile, simile ai movimenti che essa fa pronunciando la l. Se qualcuno può sentire il naso con la lingua, dove la l è fortemente presente è di certo in grado di modellare bene un naso.

 

Negli antichi misteri si diceva: la le l’elemento creativo, formativo presente in tutte le cose e gli esseri, la forza plasmatrice che vince la materia.

La ei, il dittongo ei significa qualcosa come uno sfiorare amorevolmente. Nell’atteggiamento verso il bambino è necessario questo suono: ei-ei: lo sfiorare amorevole.

 

Passando alla m, ci accorgiamo che essa aderisce a tutto, assume la forma di tutto. Quel che ora dirò non è un’invenzione, ma è preso veramente da una lunga storia: supponiamo di avere una sostanza di cui premettiamo che trasformi la materia in forma. Vediamo dunque la storia. A questa sostanza chiediamo anzitutto di trasformare la materia in forma; tale è la sua natura. Deve però farlo in modo da sfiorare amorevolmente qualcosa d’altro, come quando si accarezza un bimbo: ei-ei, quando si stringe qualcosa. Deve quindi stringersi a qualcosa, e facendolo deve poi assumere in sé la forma estranea, prendendone l’aspetto e imitandone la forma dopo averla compresa. Ipotizziamo anche di dover esprimere questa trasformazione della materia in forma. Diremo: l. Stringersi: ei. Assumere la forma estranea: m. Otteniamo la parola Leim (colla), del tutto caratteristica nella lingua tedesca, a prescindere da tutti i vocaboli derivati e così via. Che questi vocaboli si possano formare e che questo processo risieda nel mistero dell’operante genio della lingua in divenire, su ciò si basa proprio la vita di questo genio.

 

Accade talvolta che, quando in una lingua vi sia una parola non chiara, questa venga poi rimodellata in una lingua che si sviluppa in un periodo successivo, ma sia comunque assimilata alla sensazione originaria, se tale sensazione originaria è presente nel popolo che la riceve. La comprensione del linguaggio è senz’altro molto più complicata di quanto si pensi abitualmente. Oggi si fa qualcosa di spaventoso con le lingue. Questo va bene per la vita quotidiana basata sulla convenzione e la superficialità, ma sull’anima umana ha un effetto devastante di cui non si conosce la portata. Si prendono ad esempio un libro o una poesia scritti in una lingua e li si vuole trasporre in un’altra. Si consulta il dizionario o la propria memoria per trovare il significato di ogni parola. In questo modo si pensa di averli tradotti. La traduzione è corretta, ma l’essenziale è andato perduto. Questo modo di passare da una lingua all’altra è la cosa più terribile che possa accadere.

 

Consideriamo la cosa dai seguenti punti di vista. Se diciamo che un tempo esisteva una lingua originaria uguale per tutti, da dove provengono le diverse lingue? da dove proviene il fatto che, prendendo come esempio la parola tedesca Kopf e volendola tradurre in italiano, dobbiamo dire testa? Abbiamo dunque la parola tedesca Kopf e quella italiana testa. Quando le cose vengono sentite a fondo, ci si domanda come mai l’italiano senta i diversissimi suoni di testa quando il tedesco sente Kopf? Nella traduzione deve comunque significare la stessa cosa. Se Kopf viene sentito veramente in un certo modo, allora un italiano e persino un cinese dovrebbero dire anch’essi Kopf. Da dove proviene il fatto che esistano lingue diverse?

 

Ora dirò qualcosa che può suscitare ilarità e che tuttavia è vero. La stessa cosa che il tedesco chiama Kopf così la chiamerebbe anche l’italiano se la denominasse in modo appropriato, ma non lo fa perché non entra nella sua visuale. Ciò che denominiamo Kopf in tedesco, che denominiamo in ogni caso così, non appartiene al patrimonio linguistico italiano, altrimenti direbbe Kopf esattamente come il tedesco. Che cosa intende infatti il tedesco dicendo Kopf? Si riferisce alla forma, alla forma rotonda. La forma rotonda viene sentita giustamente sino in fondo nella parola Kopf. Lo comprenderemo appieno quando saremo giunti alla k e agli altri suoni; il tedesco intende quindi la forma rotonda. Quando la parola tedesca Kopf viene eseguita in euritmia, possiamo vedere come l’arrotondamento sia al centro (viene eseguito). Al centro si ha l’arrotondamento. Il tedesco definisce Kopf l’arrotondamento posto sul corpo.

 

Se l’italiano sentisse l’arrotondamento posto sul corpo direbbe anch’egli Kopf non testa. Ma che cosa sente l’italiano? Non sente affatto l’arrotondamento, ma il fatto di dichiarare, di attestare qualcosa, ciò che è presente nella parola “testamento”; egli sente quindi ciò che viene attestato, dichiarato, convalidato; per questo dice testa, intendendo qualcosa di completamente diverso. Sembrano la stessa cosa – testa e Kopf – in verità sono profondamente diverse. In tedesco viene espressa la forma di ciò che sta alla sommità del corpo. Vi è anzi un modo spregiativo ma chiarissimo di indicare la forma rotonda con il termine Kohlkopf (testa di cavolo). Allora si sa già che si allude alla forma rotonda.

 

L’italiano non sente come rotondo ciò che sta alla sommità del corpo, ma sente l’affermare, il dichiarare, il verificare qualcosa. Allora dice testa. È ciò che viene sentito in questa parola.

Questo accade in ogni traduzione. Si traduce senza avere coscienza del fatto che si deve andare incontro al senso che si vuole trovare nell’altra lingua. Pensiamo quanto sia superficiale una traduzione basata solo sul lessico! Si tralascia proprio l’essenziale, non se ne ha coscienza alcuna.

 

Vogliamo aggiungere ancora la m: il suono che conclude in modo tanto grandioso la parola sacra dell’India: aum; m, quello che comprende tutto, che passa quindi nel respiro, che abbraccia tutto e tutto comprende. La m viene ancora sentita profondamente. Quando il mio insegnante della scuola del villaggio voleva esprimere che avevo detto qualcosa in modo giusto diceva: Mhn, lo ha capito, va bene; la hn esprime la soddisfazione, la m significa: è in armonia, va bene. Si conforma, va bene, come la m alla fine della parola Leim (colla).

 

Questi esempi ci hanno mostrato come in ogni suono vi sia veramente una vita intera. Pronunciando dei suoni, si potrebbe sentire che in tal modo, e non con le parole, verrebbe ad espressione qualcosa di più primitivo e più semplice, ma molto più legato alle cose e a se stessi.

Si devono sentire i suoni in maniera semplice per entrare nello spirito dell’euritmia, poiché fare euritmia è in un certo senso dare forma mediante il gesto, ma non gesti fuggevoli, arbitrari, bensì gesti cosmici, colmi di significato che non possono essere diversi, che non scaturiscono dall’arbitrio dell’anima umana.

 

Domani caratterizzerò gli altri suoni che non abbiamo visto oggi e poi cercheremo di trovare progressivamente il passaggio alla caratteristica delle forme che usiamo in euritmia e che nel gesto esprimono veramente in modo molto preciso, secondo la loro natura, quello che i suoni stessi soffiano nell’aria, configurano nell’aria.

 

a: meraviglia, stupore

b: avvolgimento

c: leggerezza

d: indicare, irradiare

e: essere toccati rimanendo saldi