Il lavoro dell’uomo

L’uomo il lavoro e la fraternità – Rocca di Papa (Roma), 29 novembre 1987


 

Mi scuserete se non mi sarà del tutto semplice parlarvi con l’energia che sarebbe necessaria per il tema del nostro incontro di questa sera. Esso non tocca problemi specifici come quelli di cui vi siete occupati, la qualità della produzione, dei cibi e delle sostanze, ma piuttosto il soggetto che produce, l’uomo. L’attenzione è rivolta al significato dell’agire umano, del suo porsi nel mondo. Vorrei proporre come modello e immagine fondamentale dell’azione dell’uomo, il lavoro, e riflettere con voi su questo elemento più cosciente dell’agire umano.

Il lavoro dell’uomo ha numerosi aspetti e voi, in quanto agricoltori, avrete senz’altro l’immagine concreta e fisica di esso. L’uomo deve intervenire nel mondo operando con le proprie membra: attraverso l’agricoltura introduce una trasformazione nei processi della natura.

 

Il LAVORO FISICO è uno dei poli fondamentali dell’agire umano

a cui è tradizione contrapporre il LAVORO INTELLETTUALE

che si compie solamente in virtù di un’attività di pensiero.

Dobbiamo caratterizzare queste due situazioni di lavoro

e il modo in cui esse pongono l’uomo nel contesto della realtà.

 

Ma prima di ciò voglio dire ancora una parola attorno all’aspetto più incosciente dell’agire di ogni uomo,

al di là del fatto che egli lo finalizzi all’utilità o al gioco.

Se vogliamo affrontare il problema della posizione dell’uomo nel mondo e del significato del suo agire,

dobbiamo aver ben chiaro il fatto che l’uomo rappresenti entro di esso un punto di svolta;

egli è il punto di arrivo di tutto un cammino evolutivo, in cui l’evoluzione cosmica giunge alla sua conclusione.

In un certo senso la natura e l’evoluzione cosmica si compiono entro l’uomo.

 

LA NATURA giunge alla sua fine nel pensiero, forza che ha, in un certo modo, un carattere astratto;

in esso tutta la natura può divenire immagine, rappresentazione.

IL PENSIERO si sviluppa perché proprio fisiologicamente entro il sistema nervoso, entro il cervello dell’uomo,

si compie una distruzione, una morte.

 

Attraverso questa distruzione – che si compie fisiologicamente entro il cervello umano –

attraverso il concludersi dell’evoluzione cosmica nell’uomo, la natura finisce entro l’uomo.

Ma se fosse solo così, se tutto si concludesse in questo modo,

se non fossimo altro che specchi morti di una natura e di un’evoluzione cosmica

che ormai sono sul punto di concludersi, avremmo davanti a noi semplicemente il deserto, il vuoto.

 

L’uomo, proprio per questo suo essere il punto di conclusione di un processo,

porta anche il principio di un divenire, che non è solo quello personale, psicologico, biografico,

ma in misura profonda il divenire di tutto ciò che in lui si è concluso.

 

L’UOMO È GERMINALE;

le forze della sua volontà, tutto ciò che riempie il suo essere di volontà, sono il luogo in cui il futuro può nascere.

Da questo punto di vista si può quindi avere

una rappresentazione abbastanza profonda di che cosa sia la volontà umana.

 

LA VOLONTÀ UMANA È LA FORZA DA CUI NASCE UN MONDO,

e ciò è così fortemente vero che si può dire: la nascita del mondo nel volere di singoli uomini

non rappresenta che l’inizio di qualcosa che la loro stessa vita non conclude, ma che va oltre di essa.

Lasceremo l’esistenza senza aver portato fino in fondo tutto quello che abbiamo voluto e possiamo volere.

Possiamo anche lasciare l’esistenza avendo sperimentato, magari amaramente,

che ciò che più abbiamo voluto, meno sembra essersi realizzato.

Che l’umanità si riconosca nel raccogliere il volere di esseri che ci hanno preceduto fisicamente,

che la volontà sia l’espressione in noi di forze di simpatia.

Di amore nei confronti del mondo, forze che non hanno dentro di sé limite ed esaurimento nemmeno nella morte.

Mostra come il nostro volere non possa essere guardato altro

che come il germe di qualche cosa che è infinitamente più ampio della piccola vita di cui ci sembra di disporre.

Nell’esperienza della volontà come forza che ci vorrebbe unire al mondo, nasce il futuro del mondo

e nasce in modo che questa stessa volontà, per il suo carattere germinale, ci consenta l’esperienza della libertà.

 

Se tutto ciò che vogliamo divenisse azione, se tutto ciò che possiamo volere subito si compisse,

l’uomo non avrebbe l’esperienza della libertà.

L’uomo è libero proprio perché sta nella posizione, se si vuole scomoda,

di essere da un lato il luogo in cui il mondo si conclude e dall’altro il luogo in cui esso diviene.

Il mondo diviene passando per l’io umano.

Tutto ciò, quindi, che l’uomo compie con le sue membra, lo compie in ragione della volontà,

della forza attraverso cui muove gli arti per gioco come per lavoro – tutto ciò è il germe di un divenire cosmico.

 

Vorrei che questa prospettiva molto ampia ci stesse di fronte non per enfatizzare le nostre azioni,

non per vederle in maniera grandiosa quando non è il caso,

ma per cogliere in modo corretto la posizione dell’uomo nel mondo.

Se non abbiamo un sentimento chiaro della nostra posizione,

per l’agire non possono che derivare senso di impotenza e di disperazione

e per il pensiero, confusione, mancanza di chiarezza.

 

L’uomo ha una posizione che fa di lui il tramite del divenire del mondo stesso

e questo vale proprio perché egli è in grado di pensare e di agire in un modo che sperimenta come libero.

Cosa succede alla natura che vive in quest’uomo che si sente libero?

Succede che in virtù delle forze del suo organismo, che sono la base del pensare e del volere,

si formino continuamente nuove forze e nuove sostanze.

 

Questo morire e questo rinascere del mondo nell’uomo

non passa solo attraverso l’esperienza che egli fa della propria libertà, non importa se piccola,

ma passa anche attraverso il fatto che nell’organismo umano si compiono in maniera misteriosa

il processo della morte e della rinascita della materia stessa.

 

L’uomo è fisiologicamente un luogo in cui la legge di conservazione dell’energia e della materia non vale;

se l’applicassimo all’uomo non saremmo più in grado di capirne la libertà.

Egli quindi è posto nel mondo con queste peculiarità:

per la propria coscienza, di sperimentarsi come libero,

per il mondo, di essere il luogo in cui forze e materie spariscono e si ricreano.

L’uomo è il punto attraverso cui lo spirituale continuamente trapassa nel mondo fisico e viceversa.

 

Tutto questo vale quasi nostro malgrado, possiamo esserne, entro certi limiti, ignari e pur tuttavia ciò può prodursi, può avvenire. Non abbiamo bisogno di sapere se si produca o no nuova materia nel nostro corpo, almeno nella situazione normale della coscienza: essa si produce comunque.

Ciò che si verifica in noi non necessariamente deve essere da noi conosciuto perché si verifichi.

Quando non ci occupiamo dell’aspetto dell’agire umano che fluisce quasi incoscientemente dall’uomo solo per fatto che egli viva, ma della dimensione cosciente dell’agire che collega fortemente l’uomo all’altro uomo o a una cerchia di uomini, del lavoro, la situazione è tutt’altra.

Vi ho accennato alla possibilità di concepire due grandi aspetti del lavoro: il lavoro nel suo aspetto intellettuale e nel suo aspetto fisico. Questa grande contrapposizione è stata, in alcuni momenti, l’espressione sintetica della situazione umana.

Pensate, per esempio, alla problematica del lavoro intellettuale e del lavoro manuale nella Cina contemporanea, nel pensiero marxista.

 

Si è detto che questa divisione realizza un’ingiusta spaccatura tra gli uomini; ogni uomo ha in sé

• forze di pensiero capaci di svolgere un lavoro intellettuale,

• come forze per agire fisicamente.

• Non è giustificato quindi che l’umanità sia divisa come nei tempi antichi;

oggi l’uomo non può sopportare di essere identificato con una funzione sociale,

in cui si contempli solo una parte delle proprie forze interiori.

 

Dietro il lavoro manuale c’è la volontà dell’uomo, quale si esprime nell’agire attraverso le membra,

dietro il lavoro intellettuale c’è la forza di pensiero,quale si esprime attraverso l’uso del cervello o del sistema nervoso.

Questi due grandi aspetti del lavoro ci ripropongono quindi i due aspetti fondamentali dell’essere umano:

• da un lato la VOLONTÀ, • dall’altro il PENSIERO.

 

Dobbiamo renderci conto di che cosa succeda nell’una e nell’altra condizione di lavoro

per ciò che riguarda la posizione dell’uomo entro il mondo.

Se un uomo compie un lavoro manuale, con il proprio corpo, egli si pone nei confronti del mondo intero

in maniera molto diversa di quando compie un lavoro intellettuale.

Di questo dovete avere una rappresentazione.

 

Quando l’uomo agisce nella natura, opera in questa con le proprie membra,

si può dire che egli nuoti nel mare spirituale del mondo;

egli si muove dentro il mondo spirituale, non si muove dentro quella che a noi pare solo natura fisica.

LA NATURA nei suoi processi e nella sua vita porta continuamente in sé la vita spirituale.

Nella natura lo spirito non è separato dalla materia e in quanto l’uomo vi agisce,

si immerge in questo mare dello spirito, vive entro di esso.

 

Mentre il lavoro di tipo intellettuale,

quello che è svolto a partire dai propri organi nervosi, si regge sul fatto

che l’uomo, come ho ricordato prima, distrugga entro di sé la materia.

• Lo sviluppo delle qualità intellettuali umane avviene in ragione del fatto

che egli distrugga qualche cosa del suo organismo,

qualche cosa della creazione spirituale del mondo che è il suo corpo.

• Può estrarre così da questa stessa distruzione la propria attività spirituale.

 

Sono profondamente diversi i significati dell’uno e dell’altro lavoro; nei confronti di essi l’uomo può trovarsi in un rapporto di misura o di perdita della misura. Può accadere cioè di eccedere sia nel lavoro fisico, sia nel lavoro intellettuale e questo avrà degli effetti ben precisi nei confronti del suo organismo.

 

Più il lavoro fisico è intenso, più questo nuotare, muoversi nell’universo spirituale è profondo:

l’uomo verrà spinto verso il sonno, verso l’unione completa con il mondo spirituale,

nel sonno l’uomo si immerge nello spirito del mondo.

Invece l’eccedere nel lavoro intellettuale porterà come effetto

l’aumento dei processi distruttivi entro l’uomo e quindi un disturbo della sfera del suo sonno.

 

L’eccesso di lavoro intellettuale spingerà l’uomo

a isolarsi nel mondo delle proprie rappresentazioni intellettuali,

lo renderà sempre meno capace di immergersi nel mare dello spirito, di dormire.

L’uomo che abbia lavorato troppo fisicamente viene spinto verso il sonno

e nel sonno trova il modo di rigenerare le proprie forze, in una sorta di compenso.

 

Ciò che si rigenera, in una misura che può essere esuberante,

sono le forze della vita entro di lui, che potremmo chiamare forze del sangue.

Nell’altro caso, l’eccesso di processi distruttivi

logora il sistema nervoso stesso e separa l’uomo dal suo legame con il cosmo.

 

Se eccede, l’uomo si trova

• da un lato con una sorta di esuberanza di forze spirituali che potrebbe controllare con difficoltà, se il suo io è debole,

• dall’altro di fronte a un eccesso di processi distruttivi che può logorare proprio lo strumento della sua coscienza.

 

Ponetevi davanti l’immagine della borghesia di cinquant’anni fa in Europa, e il suo atteggiamento nei confronti del proletariato o delle popolazioni del Terzo mondo. Vedrete che una certa parte della fisionomia umana, del costume di vita che la borghesia ha realizzato, è l’espressione di questo eccesso di forze distruttive, di questa insonnia, potremmo dire, connaturatasi all’uomo.

E dall’altra parte proprio nel proletariato potrete avere l’immagine di un’esuberanza di forze del sangue che, se non condotta da un io cosciente, può portare fino all’esplosione della violenza.

 

Si tratta proprio di questo fatto: dell’avere,

• l’uno, un rapporto profondo con il mondo spirituale attraverso il proprio lavoro fisico,

• e l’altro, una progressiva separazione dal mondo spirituale attraverso il proprio lavoro intellettuale,

con il conseguente spegnimento delle forze del sangue

e l’ingrigire di tutta la vita interiore, con il rattrappirsi delle forze della volontà.

• Potete cogliere per immagini, e solo sotto questo punto di vista,

come configuri diversamente l’uomo il fatto che egli lavori fisicamente

o che lavori solo, o prevalentemente, in modo intellettuale.

 

Che poi nella storia dell’Europa, nella storia di questa civiltà, una borghesia impigrita, incapace di rapporti reali con il mondo spirituale, abbia a volte assunto la direzione politica di masse operaie portatrici di un’esuberanza delle forze del sangue, è stata una delle tragedie del XX secolo. Perché proprio l’assunzione di questa direzione da parte di personalità in realtà inaridite dalla loro vita intellettuale ha innescato, diciamo così, il caos nella vita del sangue, nelle forze della volontà. D’altra parte è propria del XX secolo la tragedia del lavoro.

LA TRAGEDIA DEL LAVORO è la caratteristica fondamentale del XX secolo che si esprime anche nel fatto che là dove c’era un luogo d’internamento è stato scritto, quasi a beffa nei confronti dell’uomo, che Il lavoro rende liberi, là dove si voleva degradarlo. Pur tuttavia bisogna dire che questo lavoro defraudato, degradato – perché messo sulla porta di Auschwitz, perché attraverso di esso non si è potuto stabilire tra i portatori del lavoro di pensiero e i portatori di lavoro fisico nessun vero legame – deve risorgere.

Se non risorgesse il lavoro, non sarebbe pensabile una modificazione della vita sociale, non sarebbe pensabile una trasformazione in senso sano della vita sociale.

 

Per poter pensare a questo è assolutamente indispensabile che gli uomini abbiano coscienza che il loro lavoro non è semplicemente quello che si può esprimere con una formula fisica, con l’ipocrisia della scienza (lavoro = forza x spostamento), né è pura merce, oggetto di scambio, cosa pesabile sul mercato del denaro.

È chiaro che il lavoro ha anche questi aspetti, in quanto frutto dell’agire dell’uomo si pone come forza trasformatrice del mondo e produttrice di beni; ma il proprio senso esso lo trae dall’essere ispirato dal pensiero, dalla conoscenza che attraverso questa via consente l’incarnarsi dello spirito nella realtà umana.

 

Il lavoro è la via attraverso cui lo spirito scende nella società e nella storia.

L’essenza del lavoro non è di produrre beni, l’essere merce e nemmeno di produrre spostamento.

Nella propria essenza il lavoro è e si istituisce come rapporto tra uomini, appartiene alla sfera dei rapporti umani

dove l’uomo si pone dinnanzi all’altro uomo in uno spirito di uguaglianza, in una condizione di identificazione.

Ma qual è la strada per giungere all’auspicabile meta della resurrezione del lavoro,

del superamento della tragedia del lavoro del XX secolo?

La strada è quella di afferrare alle radici, conoscitivamente,

cosa sia l’agire dell’uomo e in particolare quell’agire che è il lavoro.

 

Ho accennato prima in breve a come il lavoro fisico portato all’eccesso possa avere un risultato patologico e molti, sentendo dire che nel lavoro fisico si nuota nello spirito, avranno pensato come in realtà esso spesso abbruttisca l’uomo. Ma questo non è lavoro, è la degradazione del lavoro.

Pur tuttavia quando un uomo taglia della legna o lavora in un campo, poiché mette le proprie forze a contatto con quelle della natura, egli nuota nel mondo spirituale, opera direttamente nello spirito. Questo deve entrare in un certo modo nella coscienza.

Questo operare con la realtà spirituale, che si dà tutte le volte che l’uomo agisce con le proprie membra, richiede necessariamente che l’azione che egli compie sia consona, armonizzabile con le leggi del mondo.

 

È opportuno che l’agire si ponga nella realtà come un agire sensato,

è necessario quindi che entri nel mondo come un agire che scaturisca dai bisogni del mondo stesso

e non solamente dai bisogni del proprio corpo.

 

Anche una persona che passi la propria giornata a non fare nulla agisce nello spirituale, anch’essa semplicemente in quanto muove le membra, in quanto cammina su e giù per una piazza o per un paese, nuota nello spirito; ma da questo rapporto insensato con lo spirito trarrà ben altre conseguenze. Trarrà un minor apporto di forze rigeneratricì, compirà attraverso l’insensatezza del proprio operare qualche cosa che assomiglia a ciò che l’intellettualismo spinto all’eccesso opera nel suo campo. Nuota nello spirito, ma porta nello spirito l’insensatezza, la pigrizia, il vuoto del proprio agire. Egli nuota, sì, ma portando un elemento di disordine che non può che venire respinto dallo spirituale stesso. Questo essere respinto ricade sulla persona sotto la forma delle conseguenze di questo tipo d’azione.

 

IL LAVORO UMANO deve rispondere a queste caratteristiche fondamentali:

• deve essere sensato, non deve nascere dall’insensatezza,

• e deve essere richiesto dal mondo,

deve rispondere alle esigenze del mondo e non solo a esigenze che nascono dal corpo umano.

Allora questo lavoro si porrà entro le leggi dell’universo realizzando con esse una continuità,

generatrice di salute per colui che ha agito e per la società in cui egli sta.

Dobbiamo imparare ad aborrire l’insensatezza dell’azione, nel lavoro.

 

Dobbiamo imparare ad aborrire l’operare nel mondo solo in funzione dei bisogni del corpo,

cosa che oggi invece è quasi regola generale, quasi predica, costrizione collettiva.

La maggior parte della vita degli uomini viene spinta ad essere consumata per creare condizioni di comodità,

per dare soddisfazione ai bisogni del proprio corpo quando è chiarissimo che il senso del lavoro

è di dirigersi verso bisogni che appartengano realmente al mondo, e tra questi, anche i bisogni del corpo degli altri.

 

Ma che succede all’altro aspetto del lavoro, quello intellettuale, spinto agli estremi a cui lo conduce la cultura di oggi?

Come ho detto, il lavoro intellettuale nasce dal morire entro di noi della natura,

è tale che della natura non sa cogliere altro che gli aspetti di morte.

 

Dalla conoscenza intellettuale è nata una scienza

che tocca certamente il vertice dell’eleganza, della sapienza e della potenza

per tutto ciò che attiene alla conoscenza del mondo fisico e del mondo inorganico,

ma essa mente con se stessa e mente con gli uomini

quando pretende di estendere le conoscenze perfette che realizza nel mondo della morte

al mondo dei viventi, siano essi piante, animali e, tanto più, uomini.

 

La scienza oggi, mentendo con se stessa,

si presenta come interprete dell’uomo intero andando quindi al di là

di ciò che, per la sua origine e per i suoi metodi, ne definisce il campo.

 

Essa nasce dal morire entro l’uomo della sostanza nervosa; ciò consente di formare pensieri astratti, in sé morti, ma che offrono adeguate immagini del mondo morto fuori dall’uomo.

Non sono però adeguate immagini di ciò che è vivente. Ecco perché, inevitabilmente, una scienza, che ha dentro di sé questo duplice rapporto con la morte, se lasciata sola a dirigere l’umanità, porta verso un processo di distruzione della natura.

 

Il processo di distruzione della natura è inerente a una modalità e a un metodo conoscitivi.

Nella cosiddetta scuola di Francoforte, una scuola filosofica marxista nella Germania post-bellica, con pensatori come Theodor Adorno, Max Horkheimer, si è fatto il tentativo di capire l’errore di pensiero che aveva portato la scienza a divenire una scienza capitalista. Non si tratta solo di una scienza capitalista

in realtà l’errore di pensiero non sta in un’operazione logica piuttosto che in un’altra,

ma nel pretendere di spiegare con forze di morte ciò che può essere spiegato solo facendo ricorso ad altre forze.

 

L’uomo non è solo capace di un pensiero astratto, morto, imitabile dal computer, perfezionabile dal computer.

L’uomo è portatore di un’altra forza di pensiero di cui deve divenire cosciente,

di cui deve apprendere l’uso. Altrimenti egli sarà usato da altri.

 

Guardiamo per un momento alla situazione generale in cui l’intera umanità si trova. Possiamo tutti constatare, e questa è cosa degli ultimi decenni, che ormai il lavoro umano è diretto, nelle sue operazioni, da un lato dall’intelligenza astratta, che dà mete, direttive, motivi per agire, dall’altro dal puro criterio dell’utilità, dall’interesse; questa è la situazione sociale.

 

IL LAVORO, ancora una volta, VIENE DILANIATO TRA DUE FORZE:

• quelle che lo vorrebbero trasformare in operazioni assolutamente prevedibili

e programmabili, a cui gli uomini si devono adattare,

• e quelle per cui solo il criterio dell’utile conta, e che lo vorrebbero trasformare in operazioni destinate a produrre per produrre, non per l’uomo ma malgrado l’uomo.

 

Questo è un altro modo di uccidere il lavoro; è lo stesso modo se volete, che si perpetua nel secolo,

che l’umanità si trascina dietro come problema spirituale e sociale.

Se l’uomo porta inevitabilmente dentro di sé le forze della morte e della distruzione

– perché ha un cervello ed è lì che nasce il pensiero astratto,

non dalla cattiveria degli scienziati, ma dalla testa di ciascuno di noi –

se egli porta dentro di sé anche le forze della volontà e del sangue che lo rendono capace di creare un nuovo mondo,

come può conciliare queste forze?

 

Il panorama che la società offre è quello di un mondo in cui

L’INTELLIGENZA ASTRATTA HA PRESO IN MANO LA DIREZIONE DEL LAVORO.

Questa intelligenza nata dalla morte del cosmo entro l’uomo, con il passare dei secoli e del tempo va incontro necessariamente al fatto di essere in grado di occuparsi solo di ciò che possiamo chiamare illusione, errore, male.

L’intelligenza astratta è destinata in maniera crescente a lasciarsi prendere dal male.

Questo è il problema del nostro tempo, l’intelligenza che è nata dalla morte e che ha quindi un rapporto con essa – ha dato anche frutti gloriosi, in quanto l’uomo credeva di scoprire il vero volto del mondo – oggi ha una sola via davanti a sé, se null’altro interviene a partire da singoli uomini, quella di lasciarsi avviluppare progressivamente dalle forze del male, diventare attenta e sensibile, acuta e profonda, solo per ciò che attiene all’errore, solo per ciò che attiene all’illusione.

 

È possibile che l’uomo, sviluppando in modo unilaterale la propria intelligenza, diventi sulla Terra un essere cattivo.

Cattivo al punto da tentare di privare la Terra del significato che la presenza dell’uomo su di essa le dà.

La presenza dell’uomo su di essa, come ho ricordato all’inizio,

rappresenta il punto di passaggio del divenire del mondo.

 

In questo divenire, che inizia nella volontà dei singoli,

non è in gioco solo la sfera psicologica, la biografia personale dell’uno o dell’altro,

ma attraverso di esse, il divenire del mondo.

 

Se l’uomo si dedica unilateralmente allo sviluppo dell’intelligenza astratta,

inevitabilmente stacca l’uomo dalla Terra,

scinde questa connessione profonda che ha un significato universale

e diviene portatore del male nel mondo. Di questo purtroppo sono già presenti i segni.

 

Non voglio adesso che ci perdiamo in moralismi e in accuse; ho visto che avete avuto una bellissima meditazione tutte queste mattine. Non è giusto, non lo è davvero, trovare solo parole cattive per il tempo materialistico degli ultimi quattro secoli. Condivido pienamente questo. Non si tratta di parlar male di altri, di disprezzare il lavoro che altri fanno magari con sacrificio e in piena onestà, ma di avere gli occhi aperti nei confronti delle forze, delle facoltà che sono in gioco in coloro che dirigono il lavoro intellettuale o il lavoro manuale e nei confronti di ciascuno di noi, perché le forze sono le stesse, le forze che scaturiscono dal morire in noi della natura, le forze del pensiero, e le forze che scaturiscono dal vivere, dal generarsi in noi del futuro del mondo, le forze del sangue, della volontà.

L’uomo di fronte alla prospettiva che l’intelligenza apra il mondo del male, può anche preferire il dormire, l’immergersi nel passato, il trascorrere questa epoca sognando. Non è questo il nostro compito, come agricoltori biodinamici, non è quello di propugnare un ritorno al passato, è impossibile! Sarebbe semplicemente un modo per dormire nella propria coscienza.

L’incontro con il male è inevitabile e necessario nella vita di ciascuno, ma ciascuno deve avere coscienza che le forze intellettuali di cui dispone lo portano a contatto con il male, perché solo da questa coscienza può scaturire il bisogno, la necessità di andare a cercare le forze che possono contrapporsi ad esso. Queste forze, come ho detto, sono legate a ciò che vive nell’uomo, a ciò che entro l’uomo è impulso della volontà e forza del sangue, non certo nel senso della forza del sangue intesa come atavismo.

 

Solo se troviamo un rapporto con queste forze di amore dentro di noi e nel nostro agire,

possiamo trovare una risposta al destino che l’intelligenza dell’uomo inevitabilmente ha.

L’intelligenza dell’uomo deve venire scaldata, ravvivata dalle forze dell’entusiasmo, dalle forze dell’amore.

Allora diventa possibile qualche cosa che costituisce un vero e proprio risanamento,

un vero e proprio risorgere del lavoro.

 

Che cosa può fare risorgere il lavoro? Abbiamo visto che il lavoro fisico mette già l’uomo entro il mondo spirituale. Chi lavora fisicamente nuota continuamente nello spirito, ma egli ha bisogno di un elemento che ponga dentro questo nuotare la sensatezza, il senso delle necessità reali del mondo; allora il lavoro prende giusta misura. Altrimenti produrremo delle macchine che possono correre a 270 Km/h, su due ruote magari, e non ci importerà niente se quell’essere che là corre si stacca in questo modo dall’esistenza, e se anzi per quella via avviene una singolarissima e temibile iniziazione.

Cosa pensate che succeda in un circuito dove le persone corrono a 250 Km/h? Cosa ne è in quel momento della coscienza della persona che guida? Dov’è il suo io? Dove sono suo padre, sua madre, i suoi figli, le sue sorelle, il suo passato? Non ci sono! Egli è portato dalla velocità fisica fino ai limiti, fino a quella soglia fra la vita e la morte che inevitabilmente preme nella coscienza degli uomini. Ma in che maniera è portato? Nella maniera più folle, più impensata. Lo testimonia il numero ormai inenarrabile di vittime di questo tipo di sacrificio, di offerta alle divinità del mondo moderno.

Entro la sfera del lavoro fisico deve scendere la sensatezza, la consapevolezza che esso debba rispondere alla necessità e al bisogno e non solo ai bisogni del corpo. La società in cui l’insensatezza guidi il lavoro è già una società che prepara a se stessa il proprio scardinamento, la propria barbarie. Il lavoro fisico ci chiede di essere risanato attraverso questo aspetto: insegniamo ai bambini la sensatezza.

 

Abbiamo visto che il lavoro intellettuale consuma, esso si sviluppa, ma a prezzo della sostanza stessa dell’uomo. Questo processo, se unilaterale, porta inevitabilmente alla distruzione del mondo fuori e dentro l’uomo.

Si andrà sempre più affermando una medicina che, per tenere in vita il nostro organismo, sempre meno vitale, dovrà connetterlo a nuove forze che nulla hanno a che fare con le forze naturali proprie dell’uomo; una medicina che ci legherà con fili sempre più stretti a questa o a quell’industria chimica, a questo o a quel donatore di organi, a questa o a quella sostanza, in una rete che ci invischierà progressivamente.

L’uomo assisterà a un accelerato distruggersi del proprio organismo e a un suo venire rivivificato per via meccanica, da fuori, per una via che, anche se ha dentro di sé qualche cosa di veramente grande e stupefacente, non può costituire la risposta ai bisogni fondamentali dell’uomo e mostra in qualche modo la deformità dei tempi.

Cosa dobbiamo dare al lavoro intellettuale perché esso sfugga alla propria condanna?

Perché esso si rigeneri come lavoro risorto?

 

La risposta è appunto nel risveglio delle forze del sangue dentro l’uomo

a opera dell’entusiasmo che la verità può suscitare, dell’amore che la coscienza spirituale del mondo può dare;

esse si desteranno come forze riparatrici, risanatrici di quello che l’intellettualità inevitabilmente distrugge.

Solo le forze dell’amore e dell’entusiasmo possono risanare il processo distruttivo.

Nei confronti di tutto il lavoro intellettuale l’uomo ha bisogno dell’entusiasmo, dell’amore.

 

L’ENTUSIASMO e l’AMORE scaturiscono solo dalla piena coscienza della realtà spirituale, propria e altrui,

e della realtà spirituale del mondo.

Altrimenti, inevitabilmente, diventeremo nemici gli uni degli altri:

la vita che l’altro ha, e che io non ho, diverrà qualcosa che voglio per me; questo ci porrà gli uni contro gli altri.

 

Oggi l’uomo è davanti a due grandi correnti:

• quella di un’iniziazione meccanica che lo strappa alla sua connessione con il mondo,

per precipitarlo in balia di una volontà cieca, assurda, caotica,

• e quella di un’iniziazione intellettuale che lo consumerà sempre di più

mettendolo nello stesso tempo a contatto con il male, rendendolo succube di esso.

 

Il lavoro dell’uomo quindi deve risorgere e le forze perché esso risorga

stanno nel fatto che gli uomini non lavorino solo per produrre beni.

Uno degli aspetti della tragedia del lavoro è che moltissimi uomini lavorino

non amando quello che fanno, lavorino come dentro una dannazione, una schiavitù.

Appare chiaro che la tragedia del lavoro è ciò che spacca l’uomo in sé, divide l’uomo dall’uomo.

 

IL LAVORO È LA FORZA CENTRALE DELL’UOMO

• sia perché esso scaturisce dal giusto incontro tra il pensiero e la volontà,

tra le forze di morte e le forze di vita, tra il sangue e il cervello,

• sia perché esso riguarda il rapporto dell’uomo con l’altro uomo, più che il rapporto con la natura o con lo spirito.

LA SFERA DEL LAVORO è la sfera dei rapporti umani,

più ancora, si dovrebbe dire, della sfera della sessualità.

 

L’equivoco di credere che la sfera dei rapporti sessuali sia quella essenzialmente umana

nasce dall’imperio delle passate condizioni dell’uomo sotto cui stiamo tutti.

In passato attraverso le forze della sessualità si esprimeva l’autorità del gruppo,

del popolo, della razza. Ma se oggi tutto questo viene riesumato, dove ci porta?

Ci porta, inevitabilmente, in preda al nazismo, al fascismo, allo stalinismo, o alla lotta di tutti contro tutti.

La sfera propriamente umana, quella in cui stiamo gli uni di fronte agli altri nell’interezza del nostro essere,

né maschile né femminile, ma pari, come portatori di un io, è quella centrale della vita sociale, il lavoro umano.

 

Se si pensa a un’agricoltura biodinamica è necessario contemporaneamente pensare a creare qualche cosa che renda gli uomini capaci di lavorare per amore del lavoro, per amore di quello che fanno, non imprecando, non sentendosi condannati. Questo è necessario, altrimenti il lavoro non risorgerà e se questo non avverrà, non risorgerà la centralità dell’uomo; centralità che è fondamentale nella vita sociale e nella fisiologia stessa, nell’essere stesso del corpo dell’uomo. Questi problemi scaturiscono dal modo in cui siamo fatti, abbiamo in noi la morte e la vita, dal nesso che abbiamo con l’universo.

Per dire queste cose relativamente semplici non c’è bisogno di far appello a sofisticate formule scientifiche, né di arzigogolare con l’intelletto; sono cose che appaiono chiare al cuore dell’uomo.

I tempi chiedono che il cuore dell’uomo riscaldi la vita del pensiero e che gli uomini trovino finalmente, a partire da se stessi, forze di pensiero dispensatrici di vita e che impongano alla vita del proprio sangue la sensatezza, anche quando questa vita del sangue tocca la sfera sessuale.

Con ciò credo di aver concluso quello che volevo dire.

 

Immagino di avervi portato un po’ fuori dalle tematiche tecniche, operative che avete considerato in questo convegno. Ciò che avete studiato in questi giorni, e in particolare la biodinamica, è scienza che non scaturisce da un pensare morto. L’importanza della biodinamica non sta solo nel produrre frutti migliori, consumabili con più vantaggio per la propria salute, ma nell’incarnare un pensare vivo, nel far vivere un pensare che comprende la natura, che si adegua alle sue leggi divine e che dall’incontro con esse trae forza. L’importante della biodinamica è che voi agendo sulla Terra, operando nei confronti delle piante, a partire da questi pensieri, agiate secondo quella sensatezza di cui si è detto.

 

Agite sulla base di una forza di amore nei confronti della Terra,

agite nella speranza che il senso della Terra rimanga unito al senso dell’uomo.

Non badate alla piccolezza dei risultati, non badate al confronto con le grandi industrie, con le grandi aziende,

con un produrre che tratta le vostre esperienze come piccole e insignificanti.

 

Badate alla qualità essenziale di ciò che fate, alla posizione in cui vi mettete quando operate in questo senso,

e da ciò scaturiranno dei frutti perché se tutto questo è vero,

l’universo non può che venire incontro, anche a quel poco che viene fatto.

Non può non venire incontro.

Vi ringrazio dell’attenzione e vi auguro di concludere bene questo vostro convegno.