La vera arte come impulso per la civiltà

O.O. 276 – La missione universale dell’arte – 01.06.1923


 

Sommario: La vera arte come impulso per la civiltà. Il naturalismo. L’architettura. L’origine dell’arte dell’abbigliamento. Forze terrene e cosmiche. Asgard, la città degli dèi, e Midgard, la patria degli uomini. Comprensione artistica delle forme del capo umano e loro metamorfosi cosmica. Il primo capitolo dell’antroposofia.

 

Sarà uno dei risultati della scienza dello spirito antroposofica più giustamente compresi e più giustamente inseriti nella civiltà del nostro tempo che essa sia feconda in tutte le arti. Proprio nel nostro tempo va sottolineato che la tendenza umana per le arti è molto diminuita. Si può forse anche dire che nel nostro movimento antroposofico non vi è sempre una piena comprensione per cercare di farvi fluire il più possibile elementi artistici. Naturalmente ciò è legato alla ricordata antipatia dell’umanità di oggi per le arti.

 

Si può dire che in modo molto forte Goethe sentiva tutta la vita spirituale e l’arte in essa come un’unità, e che dopo di lui sempre di più si è visto nell’arte qualcosa che in effetti non è necessario nella vita, ma che per così dire si inserisce nella vita, si direbbe quasi come una specie di lusso. Nessuna meraviglia che date queste premesse l’arte abbia assunto per molti aspetti la figura di un lusso.

 

Invece in tempi più antichi, grazie ai residui dell’antica chiaroveggenza e nel modo che ho spesso indicato, si aveva ancora un rapporto vivente col mondo spirituale, tale da cercare nell’arte qualcosa senza cui la civiltà non poteva esistere. Diciamo che nella prospettiva odierna si può a volte avere forse antipatia per la rigidità delle forme artistiche orientali o africane; non è però ora il momento di vedere come ci si comporta nei confronti delle forme artistiche, ma piuttosto osservare come l’arte si inserisca in generale nella civiltà attraverso l’atteggiamento degli uomini. In proposito diremo oggi qualcosa quale base per le considerazioni che esporremo ora e nelle successive conferenze. Dobbiamo cercare una certa connessione fra il carattere generale della vita spirituale di oggi e l’atteggiamento artistico che ora caratterizzerò con poche parole.

 

Se si tende, come oggi si fa, a considerare l’uomo soltanto come il massimo prodotto della natura, come il più alto essere naturale, come l’essere che nel corso dell’evoluzione è arrivato a un certo punto del suo sviluppo rispetto agli altri esseri, si falsa tutta la sua posizione rispetto al mondo, perché in verità l’uomo non può avere quella relazione soddisfatta verso il mondo esterno abbandonandosi nella sua anima agli impulsi elementari che dovrebbe avere se fosse vero che egli è soltanto il punto finale della creazione naturale. Se la serie animale si fosse evoluta come oggi la scienza accademica stima, in effetti l’uomo non potrebbe essere altro che appunto il massimo prodotto della natura e sarebbe senz’altro soddisfatto del suo posto nell’universo, nel cosmo; non dovrebbe avere particolari aspirazioni a creare qualcosa al di là della natura. Se ad esempio nell’arte si vuole creare qualcosa, come fecero i Greci nell’uomo idealizzato, in un certo senso occorre essere insoddisfatti di quanto offre la natura. Se infatti si fosse soddisfatti, nulla si aggiungerebbe alla natura che ne vada al di là. Se si fosse del tutto soddisfatti musicalmente del canto dell’usignolo e dell’allodola, non si comporrebbero sonate e sinfonie, perché si riterrebbero come qualcosa di non vero, si sentirebbero come menzogne. Il vero, la natura si dovrebbero esaurire nel canto dell’usignolo e dell’allodola. In effetti l’attuale concezione del mondo richiede che ci si accontenti dell’imitazione della natura, se proprio si vuol creare qualcosa, perché nel momento in cui si creasse qualcosa al di là della natura si dovrebbe sentirlo come menzognero, se non si presuppone un altro mondo oltre quello naturale. Lo si dovrebbe senz’altro ammettere.

 

Certo gli uomini del presente non traggono le conseguenze artistiche della scienza naturalistica. Che cosa risulterebbe infatti traendo le conseguenze artistiche del naturalismo? Al massimo si porrebbe l’esigenza di dover imitare ciò che esiste in natura. Ma se a un Greco o a un appartenente a più antiche civiltà, diciamo a un Greco prima di Eschilo, fosse stato detto di imitare soltanto la natura, se voleva rappresentare qualcosa, avrebbe risposto: ma perché mai? perché far parlare sulla scena uomini come essi parlano nella vita? Per questo basta andare per la strada. A che scopo rappresentare tali cose sulla scena? E del tutto inutile. Per la strada si ascolta molto meglio quel che la gente dice nella vita quotidiana. Proprio non capirebbe di dover semplicemente imitare la natura. Se infatti non si è parte di una vita spirituale, non si ha impulso alcuno per qualsivoglia rappresentazione che vada al di là della natura. Da dove lo si dovrebbe prendere, se non si è partecipi di una vita spirituale? Lo si deve semplicemente prendere da ciò che esiste, vale a dire dalla natura. Tutti i tempi che per l’arte furono in origine creativi derivarono dall’anima umana in un ben determinato rapporto col mondo spirituale, e proprio da quel rapporto scaturì l’arte. In realtà mai l’arte potrà derivare da altro che dalla relazione degli uomini col mondo spirituale. Un’epoca che voglia essere solo naturalistica, per essere interiormente vera dovrebbe essere del tutto non artistica, vale a dire povera. E il nostro tempo ha davvero la più variata disposizione alla grettezza.

 

Prendiamo ad esempio le singole arti. Non si potrà mai creare un’architettura artistica, se è lecito usare questo pleonasmo, sulla base del puro naturalismo, del naturalismo pedante, perché oggi l’architettura porta spesso lontanissimo dall’arte, anche se così viene chiamata. Se infatti non si ha l’esigenza di riunirsi in qualche parte per svolgervi attività spirituali, non si costruirebbero case nelle quali svolgere impulsi spirituali. Si eseguiranno cioè solo costruzioni utilitarie. E che cosa si dirà di esse? Si dirà che le si costruisce per difendersi, per proteggere gli abitanti affinché non debbano accamparsi all’aperto, per dare un riparo alle famiglie e ai singoli.

 

Sempre più si darà importanza al pensiero della protezione per i corpi, parlando dell’architettura in una prospettiva naturalistica. Se forse in generale non lo si ammetterà sempre, perché la gente si vergogna di ammetterlo, pure nei casi singoli lo si ammetterà. Oggi vi è un gran numero di persone che prende in mala parte se una casa, destinata ad abitazione, sacrifica all’arte, al principio del bello, anche solo qualcosa che viene considerato pratico. Si sente persino dire che diventa troppo caro costruire artisticamente. Non si pensava sempre così, soprattutto in tempi nei quali gli uomini avevano nell’anima un rapporto col mondo spirituale. In quei tempi, riguardo all’uomo e al suo rapporto col mondo, si sentiva: io sono qui nel mondo, ma come vi sono con la mia figura umana, che è abitata dall’anima e dallo spirito, porto qualcosa in me che non esiste nel mondo naturale che mi circonda. Quando lo spirito e l’anima abbandonano il corpo, risulta come il mondo fisico esterno si comporta nei confronti della figura fìsica corporea: la distrugge e la riduce a un cadavere. Solo allora operano le leggi di natura di fronte al cadavere. Fino a quando non si è morti e si vive sulla terra, si sottraggono all’azione del mondo fisico le sostanze e le forze che restano poi nel cadavere, grazie a ciò che si è portato dal mondo spirituale con l’anima e lo spirito umani.

 

Dico spesso che il mangiare non è tanto semplice come in genere ci si immagina. Noi mangiamo, ma il cibo che entra nel nostro organismo è un prodotto naturale, sostanza, forza naturale, e ci è perciò del tutto estraneo. Non lo possiamo avere nel nostro organismo come è, lo trasformiamo, lo rendiamo del tutto diverso. Le forze e le leggi, grazie alle quali trasformiamo completamente il cibo, non sono leggi terrestri, ma leggi che abbiamo portato da un altro mondo in quello terrestre. Così si pensava in merito a questo fenomeno, così si pensava in merito a molte altre cose, quando si aveva un rapporto col mondo spirituale. Oggi si pensa: sono certo leggi naturali quelle attive nell’arrosto che viene in tavola; sono attive in esso quando lo abbiamo in bocca, quando è nello stomaco e nell’intestino, quando passa nel sangue; sono sempre leggi di natura. Che all’arrosto vengano incontro leggi animico-spirituali che noi abbiamo portato da un altro mondo in questo per fare cose del tutto diverse, non è certo nella coscienza di una civiltà solo naturalistica, per quanto sembri paradossale; dirlo in questa forma grottesca mette naturalmente in imbarazzo la gente orientata secondo il materialismo. In realtà si vive comunque in modo da avere questo atteggiamento. Esso si traspone poi anche nell’atteggiamento artistico, perché in definitiva a che scopo si costruiscono case? Perché si sia ben protetti per mangiare l’arrosto! Certo questo è solo un caso singolo, ma tutto quel che si pensa tende proprio in questa direzione.

 

Di contro, nei tempi in cui gli uomini avevano una viva coscienza del rapporto col mondo spirituale, per le più importanti costruzioni valeva il principio della difesa dell’anima umana sulla terra nei confronti di quanto qui la circondava. Certo suona paradossale dirlo con le parole di oggi. In tempi più antichi non si parlava come si fa oggi, non si era astratti nello stesso senso. Si sentivano piuttosto le cose in modo inconscio, e i sentimenti legati a quelle sensazioni inconsce erano spirituali. Oggi li rivestiamo con parole precise, e quindi esse esprimono con esattezza quel che in tempi più antichi si sperimentava nell’anima. Allora si sarebbe detto: quando l’uomo ha attraversato la vita terrena, deve deporre il suo corpo fisico. Dopo averlo deposto, la sua parte animico-spirituale deve trovare la via dalla terra al mondo spirituale. Era una sensazione reale che allora gli uomini avevano: come si trova l’anima quando essa non è più inserita col corpo nell’ambiente terrestre? È nel regno della morte e deve trovare il cammino dalla terra al mondo spirituale.

 

Oggi naturalmente gli uomini non si occupano più di queste cose, ma vi furono tempi in cui era una preoccupazione essenziale e principale sapere come l’anima trovasse il cammino per ritornare nel mondo spirituale. Ci si diceva infatti che nel mondo esterno vi sono pietre, piante e animali. I minerali, i vegetali e gli animali che l’uomo assume vengono elaborati dal corpo fisico che ha le forze spirituali per superare i minerali, quando ad esempio si assumono sali. Ha anche le forze spirituali-animiche per superare le sostanze vegetali quando le assaporiamo. Ha anche le forze spirituali-animiche per trasformare le sostanze animali in umane, quando abbia assunto sostanze animali. Il corpo fisico è mediatore fra il vero e proprio elemento umano, disceso dal mondo spirituale e tutto quanto gli è estraneo della terra. Col corpo fisico si può vivere sulla terra e si può stare con i minerali, le piante e gli animali. Quando però il corpo fisico sia stato deposto, l’anima è come nuda, come può essere soltanto nel mondo spirituale. Allora l’anima, avendo deposto il corpo fisico, dovrà dirsi: come supererò l’elemento impuro degli animali per sollevarmi dalla regione terrestre? come attraverserò ciò che attira, elabora e condensa la luce delle piante? come potrò uscire dall’elemento vegetale, dato che devo andare nelle ampiezze della luce, mentre sono abituata a vivere sulla terra nella luce condensata delle piante? come supero i minerali contro i quali comunque urto, se non li potrò sciogliere con le linfe dal mio corpo?

 

Queste erano in tempi antichi le preoccupazioni religiose e culturali dell’evoluzione dell’umanità. Così gli uomini pensarono che cosa fare per le anime, e soprattutto per quelle che loro avevano care, al fine di trovare le linee, le superfici e le forme attraverso le quali potessero arrivare al mondo spirituale. Svilupparono così l’architettura tombale, le tombe stesse, le volte delle tombe che in sostanza nelle loro forme dovevano rappresentare quel che doveva esservi per le anime affinché esse, liberate del corpo fisico, non urtassero contro animali, piante e minerali, ma trovassero la via verso il mondo spirituale lungo le linee architettoniche. Per questo vediamo come nelle civiltà più antiche tutto ciò si sia sviluppato in modo caratteristico dal culto dei morti. Per comprendere come si siano configurate le più antiche forme architettoniche, dobbiamo dappertutto tener conto di come l’anima, liberata dal corpo, ritrovi il cammino verso il mondo spirituale. Non può trovarlo attraverso i minerali, le piante e gli animali. Si credeva invece che lo potesse attraverso le forme architettoniche, poiché l’anima era in un certo rapporto con il corpo abbandonato. In questa sensazione vi è uno degli impulsi di base per la nascita delle antiche forme architettoniche. Nacquero dalle costruzioni tombali, in quanto esse erano forme artistiche e non solo forme utili. L’artisticità dell’architettura è strettamente legata al culto dei morti, oppure anche alla costruzione di templi, come in Grecia quelli ad Athena o ad Apollo. Come infatti non si stimava che l’anima potesse svilupparsi se lo faceva al cospetto della natura esterna che la circondava con i suoi minerali, piante e animali, così si ascriveva all’elemento divino-spirituale di Apollo, di Zeus e di Athena che essa non potesse svilupparsi circondata dalla sola natura, se cioè non fossero state create dalla spiritualità umana le forme grazie alle quali l’anima stessa si potesse evolvere nel cosmo spirituale. Va studiato in quale rapporto fosse l’anima rispetto al cosmo per comprendere le misure, le complicate forme architettoniche dell’antico Oriente. In pari tempo quelle forme sono una prova vivente che gli uomini, dalla cui fantasia erano nate quelle forme, devono essersi detti: l’uomo con la sua interiorità non è del mondo che lo circonda sulla terra, è di un altro mondo. Di conseguenza gli occorrono forme che gli siano proprie, dato che è di un altro mondo.

 

Partendo dal semplice principio naturalistico, non si comprenderà alcuna vera forma artistica storica. Ci si potrà così chiedere che cosa vi sia nelle forme artistiche. Cercherò di disegnare schematicamente il corpo umano e poi anche la sua anima.

 

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L’anima umana vuole espandersi in ogni direzione, e diventano forme architettoniche quelle in cui essa vuole espandersi prescindendo dal corpo, in cui il suo essere vuole diffondersi nel cosmo.

Anima, quando vuoi abbandonare il tuo corpo fisico per acquisire un rapporto con il cosmo, come vuoi apparire? Questa era la domanda. Le forme architettoniche erano la vera risposta a quella domanda.

 

Si può ben sentire come nell’evoluzione dell’umanità fu attivo quel sentimento. Nell’epoca delle astrazioni tutto ciò acquista un altro significato. Non vogliamo però ritornare ai tempi antichi, ma solo comprenderli, e oggi arriviamo in luoghi nei quali si sono ancora conservati parecchi antichi usi; vogliamo comprendere perché ad esempio quando entriamo in una chiesa vediamo tutto attorno delle tombe. Ogni singolo non poteva avere una cappella funeraria, e la chiesa diventava monumento per tutti. La chiesa era così la risposta alla domanda che l’anima si poneva: come potrei anzitutto evolvermi al fine di liberarmi nel giusto modo dal corpo che solo mi lega al mondo fisico, alla terra? Nella forma delle chiese vi è in un certo senso il desiderio dell’anima per la sua forma dopo abbandonato il corpo.

 

Elementi di civiltà, provenienti ancora da più antichi tempi, possono venir compresi soltanto se messi in relazione con le sensazioni, i sentimenti e le intuizioni che si avevano del mondo spirituale. Occorre davvero avere il sentimento che avevano quelli che in origine costruivano la chiesa con il cimitero attorno. Occorre sentire che in loro esisteva il sentimento: care anime che vi allontanate da noi, quali forme volete che costruiamo per voi e che siano ancora attorno al vostro corpo, quando siete ancora vicine al vostro corpo, quali forme volete assumere dopo la morte? La risposta a tutte le domande delle anime era la forma della chiesa, l’architettura della chiesa. Siamo così indirizzati alla fine della vita terrena arrivando alla base artistica dell’architettura. Certo tutto si trasforma e ciò che è derivato dal culto dei morti può servire come massima istruzione per la vita, come anche è avvenuto, come si è cercato col Goetheanum. Le cose vanno comunque comprese, si deve comprendere come l’architettura si sviluppi dal principio dell’abbandono del corpo fisico da parte dell’anima, dal principio della crescita dell’anima al di sopra del corpo, come in realtà avviene nella vita terrena, quando l’essere umano attraversa la porta della morte.

 

Se ora guardiamo verso l’altro lato della vita, verso la nascita, verso la discesa dell’essere umano nel mondo fisico, sarà opportuno che io dica qualcosa per cui forse a molti degli ascoltatori (forse anche no, e allora aggiungo “grazie a Dio”) verrà interiormente da sorridere un poco. E comunque una verità. Quando un’anima arriva sulla terra per incontrare il suo corpo, se così posso esprimermi, essa discende dai mondi spirituali. In essi anzitutto non vi sono forme spaziali. L’anima conosce le forme spaziali solo quando abbandona il suo corpo, in quanto la spazialità abbia ancora un effetto. Quando l’anima discende per occupare il suo corpo, proviene da un mondo nel quale non sono conosciute forme spaziali, in cui sono note del nostro mondo fisico intensità e qualità di colore, ma non linee spaziali, forme spaziali. Nel mondo che negli ultimi tempi ho spesso descritto e che l’essere umano sperimenta fra la morte e una nuova nascita, egli vive in un mondo di luci, colori e suoni pervasi di anima e di spirito, in un mondo di qualità, di intensità, ma non di quantità, di dimensioni. Quando dunque discende, si immerge nel suo corpo fisico e sente appunto di immergervisi; descrivo ora le sensazioni che avevano civiltà primitive, quasi dimenticate dalla storia. Col corpo fisico si acquisiva in pari tempo anche un rapporto col mondo circostante: “ora cresco nello spazio”. Il corpo fisico è del tutto predisposto per lo spazio, ma mi è estraneo. Non era così nel mondo spirituale- animico. Qui vengo subito inserito nelle tre dimensioni.

 

Le tre dimensioni non hanno senso alcuno prima che si discenda dal mondo spirituale-animico in quello fisico. Nel mondo spirituale hanno invece un loro giusto significato i colori, l’armonia dei colori, l’armonia e la melodia dei suoni. Nei tempi antichi, in cui appunto si sentivano queste cose, si aveva una profonda necessità di non portare in sé ciò che in realtà era estraneo. L’uomo sentiva al massimo la propria testa come qualcosa datogli dal mondo spirituale. Ho infatti già spesso detto che diviene testa quel che in vite precedenti era stato il rimanente del corpo. Quest’ultimo diverrà testa in successive vite terrene. In tempi antichi si sentiva il rimanente del corpo adatto alla forza di gravità, alle forze che circondano la terra. Come ho detto lo si sentiva come inserito a forza nello spazio.

 

Quel che entra nel corpo fisico dal mondo circostante non lo si sentiva adeguato a ciò che si porta dal mondo spirituale. Si sentiva di dover fare qualcosa per armonizzarli.

L’essere umano porta dai mondi spirituali in quello fisico il colore dei suoi vestiti. Se l’architettura ci conduce alla fine mortale della vita umana, così l’arte dell’abbigliamento, nel senso dei tempi antichi, ci porta alla nascita con la freschezza dei colori; nell’arte dell’abbigliamento si aveva piacere e gioia. Negli abbigliamenti antichi vi era quel che gli uomini avevano portato dalla vita preterrena, dal mondo spirituale, come preferenze e armonie di colori. Nessuna meraviglia quindi che nel tempo in cui venne eliminato lo sguardo della vita preterrena le arti dell’abbigliamento divenissero dilettantismo. Dall’aspetto degli abbigliamenti di oggi proprio non si riesce più a vedere che cosa il singolo avesse sperimentato nell’esistenza preterrena. Studiando davvero le evolute civiltà primitive col piacere che avevano per i colori del loro abbigliamento, per i colori spesso caratteristici del loro abbigliamento, si vedrebbe come nell’arte del vestirsi avessero sviluppato in effetti una grande arte, attraverso la quale l’uomo voleva portare l’esistenza preterrena in quella terrena, come attraverso l’architettura intendessero presentare la successiva esistenza, un’esistenza nella quale ci si voleva staccare dallo spazio che ancora si aveva, per liberarsene, e che si esprimeva nelle forme architettoniche.

 

Ancora oggi, osservando i caratteristici costumi regionali è possibile rispondere alla domanda: come si ritrovò un certo numero di anime per esprimere nel proprio abbigliamento l’affinità che aveva nella vita preterrena, come si ritrova poi in una comunità di popolo? Gli uomini desiderano creare il loro abbigliamento in base al ricordo che avevano del loro aspetto in cielo. Di conseguenza occorre spesso risalire a tempi più antichi per trovare abbigliamenti che abbiano un senso.

 

D’altra parte possiamo anche vedere come al tempo in cui tutto l’elemento umano era afferrato dall’arte, provenendo da particolari condizioni o entrandovi, si diventava pittori o artisti diversi, e acquisiva un profondo significato guardare in Raffaello ad esempio una Maddalena o una Maria. Erano vestite in modo del tutto diverso. Si vedrà comunque che Raffaello manteneva l’abbigliamento delle Maddalene per tutte le sue Maddalene, e quello delle Marie per tutte le Marie, perché aveva ancora un senso vivo, o almeno una tradizione viva che manifestava nell’abbigliamento l’elemento spirituale-animico che dal cielo si portava sulla terra. Così l’abbigliamento ha un senso. L’uomo di oggi afferma che ha un senso, perché riscalda. Certo questo è il senso materiale, ma in tal modo non nascono forme artistiche. Esse nascono sempre grazie a una connessione con l’elemento spirituale. Occorre ritrovare quella connessione, volendo davvero arrivare all’arte.

 

Poiché l’antroposofia intende afferrare direttamente la spiritualità può in pari tempo agire con profitto sull’arte, perché le cose che occorrono per svelare i grandi segreti del mondo e della vita, movendo dall’indagine antroposofica, provengono in definitiva dall’arte. Bisogna vederlo nel modo giusto. Ciò che non era testa nelle vite precedenti si trasforma nelle sue forze e diventa testa nelle vite terrene successive, ed è ovvio che poi si riempia di materia fisica terrestre. Ho già spesso chiarito che naturalmente non si può fare la sciocca obiezione che poiché il corpo fisico è del tutto distrutto non può derivarne una testa. Certo non sono di solito più intelligenti le obiezioni fatte all’antroposofia, ma questa è molto meschina. Comunque non si tratta di una costruzione fisica, ma di un complesso di forze che si muove nel mondo spirituale.

 

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Il complesso di forze che oggi esiste in tutto il nostro organismo fisico, che tiene insieme l’organismo delle gambe e tutto il resto, forze verticali e orizzontali, si arrotonda e diventa complesso di forze per la nostra testa nella vita successiva. Collaborano tutte le gerarchie superiori alla trasformazione, alla metamorfosi di piedi, gambe e così via nella testa umana Vi collaborano tutti gli spiriti del cielo. Nessuna meraviglia che la testa assuma la forma grazie alla quale essa appare l’immagine del vasto spazio che si curva sopra di noi, nessuna meraviglia che la forma successiva appaia come l’immagine dell’atmosfera che circonda la terra, l’immagine delle forze atmosferiche. Si direbbe che nella parte superiore della testa si abbia la precisa immagine del cielo; nella sua parte mediana si ha l’adattamento della testa al torace, a tutto ciò che circonda la terra. Nel torace abbiamo bisogno dell’aria e della luce che circondano la terra e così via. Dove però il nostro organismo non è un complesso definito con la curvatura della testa, ma solo un complesso di sostanze, il torace ha solo una relazione con la forma del naso, con tutta la parte centrale della testa.

 

Se poi scendiamo alla bocca, nella tripartizione umana, essa è in relazione con gli arti, con l’organismo della digestione, della nutrizione e con l’organismo del movimento. Vediamo dunque come ciò che ha attraversato il cielo per diventare testa dalla precedente condizione corporea, senza considerare la testa, si adegui in alto alla curvatura maestosa del cielo, come nella parte mediana si adegui a quel che l’uomo è attraverso ciò che circonda la terra, e come si adegui a quel che è in quanto uomo terreno nella formazione della bocca per la gravità e per le sostanze terrestri.

 

Per usare le antiche espressioni della mitologia europea, direi che nasce così la testa: in alto con Asgard, il castello degli dèi, con Midgard, la parte centrale che in effetti è la vera patria degli uomini sulla terra, con Jotunheim, che è parte della terra, la patria dei giganti, degli spiriti della terra.

Tutto ciò non è chiaro, vedendolo solo in concetti astratti, e lo diventa considerando artisticamente la testa umana nella sua relazione con la propria origine spirituale, se in un certo senso si vedono in essa il cielo, la terra e l’inferno, dove naturalmente l’inferno non è il posto del diavolo, ma solo lo Jotunheim, la dimora dei giganti. Abbiamo così senz’altro nella testa umana tutto l’uomo.

 

Si potrebbe dire che si considera nel giusto modo la testa umana vedendo nella volta che essa ha in alto il più puro ricordo della precedente incarnazione, vedendo nella parte centrale, nella zona degli occhi, delle orecchie e del naso, il ricordo turbato dall’atmosfera terrestre, vedendo nella bocca la forma umana precedente costretta dalla terra, la forma umana già esiliata sulla terra. Nella fronte l’uomo porta in certo senso con sé ciò che karmicamente gli è stato trasmesso dalla sua precedente vita terrena. Nelle caratteristiche del suo mento è già costretto nell’attuale vita terrena, manifesta già la mitezza o la caparbietà della vita attuale. Non avrebbe il mento se la precedente organizzazione, prescindendo dalla testa, non si fosse trasformata nella testa attuale. Proprio nella formazione della bocca e del mento la somma degli attuali impulsi terrestri è tanto forte che gli elementi passati si imprimono, si tendono in quelli presenti. Di conseguenza nessuno che senta artisticamente dirà che un uomo si nota per la sua fronte molto sporgente. Non lo si dirà sentendo artisticamente. Si considereranno soprattutto la curvatura e le superfici della fronte, si guarderà lo sporgere o il rientrare delle curvature. Per il mento si dirà che sporge caparbio e appuntito in avanti o che è mite e rientrato. Si comincia così a comprendere la forma umana derivata da tutto l’universo e non solo da quello attuale (poco comunque vi si trova); lo si comprende in base a un universo temporale e anche al di fuori del tempo.

 

Si trova allora come si venga semplicemente spinti all’arte da considerazioni antroposofiche, come davvero non sia possibile unire la grettezza non artistica con una vera e vivente comprensione dell’antroposofia. Direi che è quindi penoso, per le nature non artistiche, mettersi in sintonia col complesso dell’antroposofia. Magari vedono volentieri in astratto il completamento in questa vita di precedenti incarnazioni, ma davvero non gradiscono occuparsi delle forme che si manifestano alla visione spirituale creativamente e direttamente nell’arte come figure trasformate. Occorre acquisire allo scopo anche un senso quando ci si occupa della reale e vivente antroposofia.

 

Vorrei dire che questo è il primo argomento che volevo illustrare al fine di mostrare come in ogni possibile settore si mostri l’elemento non spirituale nel nostro tempo. Tra l’altro si mostra nelle posizioni non spirituali assunte verso l’arte. Se l’umanità intende salvarsi dalla non spiritualità, uno degli elementi per salvarsi sarà anche l’occuparsi dell’arte. L’antroposofia può condurre a una nuova e vera vita dell’arte.