L’atteggiamento dell’anima umana prima dell’inizio dell’epoca di Michele – Massime 85 – 87

Commento di Lucio Russo


 

Cominciamo a leggere questa lettera, intitolata: L’atteggiamento dell’anima umana prima dell’inizio dell’epoca di Michele

(31 agosto 1924).

 

 

“Oggi devono essere aggiunte alcune considerazioni che si riallacciano alle idee esposte nella lettera dal titolo:

All’inizio dell’epoca di Michele.

L’attuale epoca di Michele è sorta nell’evoluzione dell’umanità dopo il prevalere della formazione intellettuale del pensiero,

da un lato, e dell’osservazione umana rivolta al mondo esteriore dei sensi, al mondo fisico, dall’altro lato” (p.60).

 

 

L’attuale epoca di Michele è cominciata (nel 1879)

dopo la separazione del pensare dal volere (dal percepire).

 

Che pensare e volere non siano stati sempre disgiunti lo s’ignora,

perché ci si occupa (in malo modo) dell’evoluzione del corpo,

ma non di quella dell’anima (giacché si crede, da materialisti, che la prima spieghi la seconda).

 

Il passaggio dall’anima razionale-affettiva, caratterizzata dal “sentire nel pensare”,

all’anima cosciente, caratterizzata dal “volere nel pensare”,

costituisce invece una mutazione evolutiva che, a dispetto della sua apparente sottigliezza,

ha prodotto degli effetti tutt’altro che sottili, quali, ad esempio, la nascita della modernità e della scienza.

 

Non dimentichiamo che

• il “sentire nel pensare” caratterizza la logica,

• mentre il “volere nel pensare” caratterizza la scienza.

 

Il nuovo impulso di Michele, diretto all’anima cosciente, vorrebbe dunque che questa

portasse avanti la propria evoluzione, passando dalla fase scientifico-naturale a quella scientifico-spirituale.

 

 

La formazione del pensiero, per sua propria essenza, non è un’evoluzione verso il materialismo” (p. 60).

 

 

Mi avete sentito spesso dire che la materia non è materialista, perché per creare il materialismo occorre lo spirito.

Il materialismo non è dunque creato dalla materia, ma dallo spirito della materia, e quindi dallo spirito della morte.

L’umanità moderna, essendo penetrata nel regno arimanico della morte,

deve ora fare i conti con una entità che vorrebbe approfittare della sua intrusione per asservirla, non certo per servirla.

 

Penso sappiate, ad esempio, che esistono oggi dei ricercatori convinti che, per mezzo della risonanza magnetica o di altre tecniche più o meno consimili, è possibile fotografare i sentimenti (1).

Bene, immaginiamo allora di vedere la foto di un gatto. Perché possiamo asserire ch’è la foto di un gatto? E’ ovvio: perché ri-conosciamo, nell’animale della foto, quello che conosciamo nella realtà.

E conosciamo nella realtà i sentimenti, così da poterli ri-conoscere nelle foto? E’ da escludere.

E che cos’è allora che si fotografa? E’ semplice: l’effetto corporeo (visibile) prodotto dal sentimento animico (invisibile); niente di più, cioè, di quanto siamo tutti in grado di osservare quando qualcuno arrossisce dalla vergogna o impallidisce dalla paura.

Al soggetto sottopostosi a un’indagine del genere, un vero ricercatore dovrebbe perciò dire: “Nello stesso istante in cui sperimentavi nell’anima il sentimento X, ho fotografato nel corpo l’evento Y. Non so quale relazione ci sia tra questi due fatti”.

 

Abbiamo detto e ripetuto che con l’avvento dell’anima cosciente si ha la nascita della scienza

(“Sostenere che la Scienza è nata prima di Galilei – osserva Zichichi – lo si può se non si conosce la sua straordinaria opera o se, conoscendola, non la si è capita a fondo”) (2).

Ma la nascita di quale scienza? Di quella che, indagando la realtà inorganica, prende a modello del suo modo di procedere la matematica.

 

Ricordate queste famose parole di Galilei? “… questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente in un labirinto” (3).

Sta di fatto, però, che è un “aggirarsi vanamente in un labirinto”, tanto l’affrontare senza tali mezzi la realtà inorganica, quanto l’affrontare con tali mezzi le realtà della vita, dell’anima e dello spirito.

 

Ricordiamoci che possiamo studiare scientificamente un fenomeno soltanto dopo averlo oggettivato:

cioè soltanto dopo averlo distinto e allontanato da noi (obiectu (m): “cosa gettata contro, posta innanzi”).

Non ce ne rendiamo conto, però, perché, come fa notare Steiner ne La filosofia della libertà (4),

prestiamo attenzione all’oggetto osservato e non al soggetto che l’osserva e lo pensa (vale a dire, a noi stessi).

 

E che cosa fa allora Arimane?

Approfitta, per così dire, di questa nostra disattenzione (incoscienza)

per rovesciare il rapporto tra il soggetto (spirituale) e l’oggetto (materiale),

inducendoci così a spiegare, non l’oggetto per mezzo del soggetto, bensì il soggetto per mezzo dell’oggetto.

 

Oggi, ad esempio, disponiamo di una mirabile conoscenza del cervello. Tuttavia, sia il modo in cui vengono combinati tra loro i dati della ricerca, sia le conclusioni che se ne traggono, sono tutt’altro che mirabili.

Che cosa succede infatti? Succede che il soggetto (l’Io) studia l’oggetto (il cervello), ma viene poi indotto (da Arimane) a spiegare se stesso per mezzo del secondo, come se non fosse l’Io a conoscere se stesso quale Io (ego) mediante il cervello, ma fosse il cervello a conoscere se stesso quale Io (materiale o corporeo).

Un altro esempio, altrettanto eloquente (e sinistro), lo forniscono i sostenitori della cosiddetta “Ipotesi Forte dell’Intelligenza Artificiale” (I.F.I.A.) (5), dal momento che cercano di spiegare, non il funzionamento del computer per mezzo di quello della mente (che lo ha creato), ma il funzionamento della mente per mezzo di quello del computer.

 

 

Il mondo delle idee, che in epoche anteriori era vicino all’uomo come per ispirazione,

nell’epoca precedente quella di Michele divenne possesso dell’anima umana.

Questa non ricevette più le idee “dall’alto”, dal contenuto spirituale del cosmo,

ma le estrasse attivamente dalla spiritualità propria dell’uomo” (p. 60).

 

 

Il mondo delle idee è divenuto “possesso dell’anima umana”

(“Al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno” – Lc 12,32)

nel momento stesso in cui il Verbo, fattosi “carne”, è morto e risorto:

in virtù dunque di un fatto, e non di una dottrina o di un insegnamento (6).

 

Che cosa è dunque, essenzialmente, il Cristianesimo?

La viva coscienza di tale fatto e del suo significato per l’uomo, per la Terra e per il mondo divino-spirituale.

La viva consapevolezza, cioè, che quanto era un tempo nell’”alto dei cieli” è disceso nel profondo dell’anima umana.

“Raddrizzate la via del Signore”, dice il Battista, volendo appunto significare che ci è data non solo una “buona” novella,

ma anche una “via” novella, poiché il trascendente (l’”Io sono” macrocosmico) è ora nel (sacro) cuore dell’immanente

(microcosmico). (“Se Cristo non è risorto, – scrive Paolo –

è vana dunque la nostra predicazione, e vana è pure la vostra fede” – 1 Cor 15,14):

 

Non dobbiamo tuttavia dimenticare che,

• della spiritualità che vive nella nostra più intima essenza,

siamo riusciti finora a portare a coscienza e a far nostra

soltanto quella parte che ci consente di conoscere (galileianamente) la realtà inorganica.

 

Già da tempo, però, avremmo dovuto portare a coscienza e far nostra

anche quella parte che ci consentirebbe di conoscere (goethianamente) la realtà organica.

(“Goethe – afferma Steiner – è il Copernico e il Keplero del mondo organico” (7);

e Florenskij, il “Leonardo da Vinci russo”, scrive: “Bisogna imparare da Goethe la conoscenza della natura”) (8).

 

 

Soltanto con questo l’uomo divenne maturo per riflettere sulla propria entità spirituale.

Prima di allora egli non penetrava fino a questa profondità del suo essere.

In certo modo egli vedeva in sé la goccia che si è scissa dal mare della spiritualità cosmica durante la vita terrena

per poi, trascorsa questa, riunirsi nuovamente a quella”(p. 60).

 

 

Si può sostenere che l’uomo è una “goccia che si è scissa dal mare della spiritualità cosmica durante la vita terrena per poi, trascorsa questa, riunirsi nuovamente a quella”, ma si deve poi decidere se, nel “riunirsi nuovamente a quella”, tale “goccia” (l’Io individuale) sussista oppure si dissolva nel “mare della spiritualità cosmica”.

Sapete, ad esempio, che Tommaso d’Aquino sosteneva la sussistenza dell’Io dopo la morte (la cosiddetta “immortalità dell’anima”), preparando così l’avvento dell’anima cosciente, mentre Averroè sosteneva la dissolvenza dell’Io dopo la morte, rimanendo così fermo all’anima razionale-affettiva, e per ciò stesso a quanto era stato vero “prima di allora”: prima, cioè, che, per effetto (postumo) dell’incarnazione del Logos, il mondo delle idee divenisse (in veste rappresentativa) “possesso dell’anima umana” (osserva Steiner: “Tutta la scienza moderna è figlia del cristianesimo, è la continuazione diretta dell’impulso cristico”) (9).

 

 

La formazione del pensiero svolgentesi nell’uomo costituisce un progresso nell’autoconoscenza umana (…)

Insieme ai pensieri ispirati dell’antichità, l’uomo riceveva anche i contenuti spirituali dell’universo.

Col cessare di questa ispirazione, da quando l’uomo forma i pensieri per attività propria,

egli è rinviato alla percezione dei sensi per dare un contenuto ai suoi pensieri.

Inizialmente, quindi, l’uomo dovette riempire di contenuto materiale la propria conquistata spiritualità.

Egli cadde nel modo di vedere materialistico appunto nell’epoca che portò il suo essere spirituale

ad un gradino più alto dei precedenti” (pp. 60-61).

 

 

Immaginate che le idee, in quanto “forme”, siano delle coppe (“recipienti d’amore” le chiama Steiner).

Ebbene, mentre un tempo l’uomo riceveva (in modo ispirato) queste coppe colme di sostanza spirituale, con l’avvento dell’anima cosciente si è ritrovato ad avere nella testa, quale suo prodotto (intellettuale), delle coppe vuote, nelle quali ha preso allora a riversare sostanza materiale.

 

Una sera, rispondendo a una domanda, ho detto che la bellezza, per i greci, era una Dea (Afrodite): ossia appunto un’entità o un’idea ricolma di essere o di sostanza spirituale.

E che cosa è diventata invece per noi? E’ presto detto: un’idea astratta, alla quale non sappiamo far altro che dare una sostanza corporea.

Pensate, ad esempio, all’idea dell’amore, e provate a infarcirla di contenuto o sostanza materiale, ossia del solo contenuto di cui di norma disponiamo. Che cosa diventa? E’ facile: corpo e sesso.

Non facciamoci pertanto illusioni: il pensiero ordinario (rappresentativo, vincolato ai sensi) l’amore non può pensarlo e sentirlo che come corpo e sesso.

Ci si conferma dunque, come sempre, che l’unica cosa da fare è impegnarsi a portare il pensiero e la coscienza al di là dei loro limiti ordinari.

 

 

È facile disconoscere tutto questo, considerare unicamente la caduta nel materialismo, e quindi affliggersene.

Ma mentre l’osservazione di quest’epoca doveva limitarsi al mondo fisico esteriore,

venne sviluppandosi nell’interno dell’anima, quale esperienza, una spiritualità umana purificata, esistente in se stessa.

Ora, nell’epoca di Michele, tale spiritualità non deve più rimanere un’esperienza incosciente,

deve diventare cosciente della propria natura.

Questo significa l’avvento dell’entità di Michele nell’anima umana” (p. 61).

 

 

Le Archài attuali – come abbiamo ricordato – hanno attraversato la loro esperienza “umana” con corpi di calore (sull’antico-Saturno), gli Arcangeli attuali con corpi di aria o di luce (sull’antico-Sole), gli Angeli attuali con corpi liquidi (sull’antica-Luna): solo noi, dunque, siamo scesi tanto in basso da arrivare a fare la stessa esperienza con corpi solidi o materiali (sulla Terra).

Tuttavia, proprio per il fatto di essere scesi più in basso degli altri, ci è data la possibilità di salire, un giorno, ancora più in alto (“Non sapete – dice Paolo – che noi giudicheremo persino gli angeli?” – 1Cor 6,3).

 

“Mentre l’osservazione di quest’epoca – dice Steiner – doveva limitarsi al mondo fisico esteriore”, a quanto vi è perciò di più basso (gerarchicamente), “venne sviluppandosi nell’interiorità dell’anima, quale esperienza, una spiritualità umana purificata, esistente in se stessa”.

Che cosa vuol dire “purificata” ed “esistente in se stessa”?

Vuol dire scevra di elementi soggettivi o personali e in grado di reggersi su di sé.

 

Ripensate alle parole di Galilei: l’universo “è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola”.

Perché la matematica? Vuoi perché la matematica, in quanto impersonale, “non è – come si usa dire – un’opinione”, vuoi perché il pensiero, per convincersi, che so, che due più due fa quattro, basta a se stesso, e non ha bisogno di ricorrere al sostegno o alle grucce di una qualsivoglia autorità esterna.

Si potrebbe anche dire, volendo, che il pensiero matematico è un pensiero “de-luciferizzato”, ma non ancora “cristificato”, e che, proprio in ragione di questa sua neutralità (morale), si presta a essere messo al servizio, sia, inconsapevolmente, di Arimane, sia, consapevolmente, di Michele.

Per questo Steiner afferma che “nell’epoca di Michele, tale spiritualità non deve più rimanere un’esperienza incosciente”, ma “deve diventare cosciente della propria natura”.

 

A tutt’oggi, è rimasta però incosciente (“E la luce risplende fra le tenebre; ma le tenebre non l’hanno riconosciuta” Gv 1,5), prestando così il fianco alla volontà in-umana o dis-umana di Arimane.

Per porre fine a questo giogo, è dunque necessario che la scienza prenda coscienza di sé; disponiamo infatti di una scienza, ma non ancora di una scienza autocosciente (“Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” – Lc 23,24), e quindi in grado di riconoscersi quale spirito (santo), e sottrarsi così alle grinfie di Arimane.

Ove questo ci sia chiaro, ci sarà anche chiaro, allora, che la “spiritualità umana purificata” (lo spirito scientifico) che ha animato inconsapevolmente Galilei, Copernico e Keplero (nella prima fase di sviluppo dell’anima cosciente: quella dell’ego) è la stessa che anima consapevolmente la scienza dello spirito (nella seconda fase di sviluppo dell’anima cosciente: quella del “Sé spirituale”).

 

Sbagliano di grosso, perciò, quanti (e non sono pochi) ricercano nel passato le “fonti” dell’insegnamento di Steiner, dal momento che come non c’è mai stata, prima della modernità, una scienza naturale (galileiana), così non c’è mai stata, e a maggior ragione, una scienza dello spirito (antroposofica).

Sentite che cosa dice a questo proposito Steiner, riferendosi al teologo Friedrich August Mahling, che aveva parlato, in una sua conferenza, dell’antroposofia:

• “Vediamo qui un uomo benevolo che considera il nostro movimento come sincretistico, soprattutto perché non conosce e non sa che si tratta assolutamente di un movimento nuovo, fondato su qualcosa che nel mondo è nuovo: sulla concezione scientifica moderna che ne è il fondamento” (10).

 

 

Per un certo tempo l’uomo ha riempito la propria spiritualità con la materialità della natura;

ora deve riempirla di nuovo con la spiritualità che gli è propria primordialmente come contenuto cosmico.

La formazione del pensiero si smarrì per qualche tempo seguendo la materia del cosmo; deve ritrovarsi nello spirito cosmico.

Nel freddo e astratto mondo del pensiero può penetrare la realtà spirituale satura di essere.

Questo significa l’inizio dell’epoca di Michele” (p. 61).

 

 

Riflettiamo bene su questa affermazione:

“Nel freddo e astratto mondo del pensiero può penetrare la realtà spirituale satura di essere”.

Qual è questo “freddo e astratto mondo del pensiero” (che respinge Lucifero e attira di contro Arimane)?

E’ il pensiero logico-matematico che, per emanciparsi dall’essere di Lucifero, si fa appunto fredda astrazione (un guscio vuoto di materia e di spirito o un “concetto-nome”).

 

Tale pensiero, per tornare all’essere, può prendere, come abbiamo detto, due opposte strade:

• quella, per così dire, in “discesa”, che conduce all’essere arimanico della morte

(alla rappresentazione sensibile, al “concetto-nome” e all’ego),

• e quella, per così dire, in “ascesa” che conduce all’essere michaelita della vita

(all’immaginazione, al “concetto-reale” e all’Io).

 

• Se l’essere di Lucifero vorrebbe infatti trattenerci, in un modo o nell’altro, al di qua del non-essere,

• l’essere di Arimane vorrebbe invece condurci al di là del non-essere,

ma soltanto per ibernarci e seppellirci nella materia.

 

 

Solo nel distacco dall’entità del pensiero universale

poteva svilupparsi la coscienza della libertà nelle profondità dell’anima umana.

Ciò che un tempo discendeva dall’alto, doveva venir ritrovato nel profondo” (p. 61).

 

 

“Ciò che un tempo discendeva dall’alto”, vale a dire dalla trascendenza,

“deve venir ritrovato nel profondo”, vale a dire nell’immanenza.

 

Fate attenzione, però, perché l’immanenza, nel profondo della quale può essere ritrovato ciò che un tempo discendeva dall’alto, non è più l’immanenza che si opponeva alla trascendenza, bensì una realtà rinnovata e redenta che ha soltanto bisogno di essere riconosciuta e amata (“Ma a quanti lo accolsero, a quelli che credono nel suo nome [“Io sono”], diede il potere di diventare figli di Dio” – Gv 1,12).

Di questa “terza”, nuova e unitaria realtà, potremmo parlare (lo abbiamo peraltro già fatto, citando anche Scaligero [massima 47]) come di una “trascendenza immanente” o di una “immanenza trascendente”.

 

Il pensiero, ad esempio, sul piano rappresentativo è già immanente,

mentre su quello immaginativo, ispirato e intuitivo è ancora trascendente.

Fatto si è che ciò che oggi è immanente (conscio) un tempo fu trascendente,

così come ciò che oggi è trascendente (inconscio) sarà un giorno immanente.

 

 

Per questo lo sviluppo della coscienza della libertà fu collegato inizialmente

ad una conoscenza della natura, diretta soltanto al mondo esterno” (p. 61).

 

 

Parlando del mondo animale, si parla in genere di “istinti”. Ma che cos’è propriamente un istinto?

E’ presto detto: un “pensare nel volere”, e per ciò stesso una forza che veicola una forma o un pensiero.

 

Tutti gli animali, ad esempio, si cibano e si riproducono, ma lo fanno (come ben sanno gli etologi) in forme diverse, in forme che sono “modelli di comportamento” o “leggi”, e quindi idee.

Ebbene, come gli animali non fanno che seguire il “pensare nel volere” della loro specie, così gli uomini, prima dell’avvento dell’anima cosciente e dell’ego, non hanno fatto che seguire il “pensare nel volere” (e nel sentire) delle Gerarchie.

Perché potessero sviluppare la “coscienza della libertà”, si è reso perciò necessario che passassero dal “pensare nel volere” e dal “pensare nel sentire” al “pensare nel pensare” della terza Gerarchia, e che, per potersi emancipare anche da questa, tale pensare si riflettesse nell’organo cerebrale.

 

Pensate ancora alla matematica. Il fatto che due più due faccia quattro non ci lascia appunto indifferenti? O conoscete forse qualcuno (dotato di senno) che per il solo fatto che due più due faccia quattro si ecciti o si deprima?

 

• Privato dei succhi del sentire e del volere, il pensare è divenuto un guscio:

vale a dire, una pura forma, vuota di forza e di realtà.

• Per colmare tale vuoto (horror vacui), il pensiero si è rivolto allora a ciò che viene percepito sensibilmente;

si è applicato cioè alla natura, mettendo così al mondo la scienza naturale.

Lo spirito non vive dunque nel creato sensibile

(nell’opera compiuta dell’Entità divino-spirituale originaria, dirà Steiner), ma nel pensare che lo conosce.

 

Questo però lo s’ignora, e si continua perciò a credere (com’è costume dell’anima razionale-affettiva)

che lo spirito sia ”oggetto” del pensiero (un pensato),

e non (come dovrebbe essere costume dell’anima cosciente), suo “soggetto” (un pensante).

 

Ricordiamo dunque, di nuovo, il prologo del Vangelo di Giovanni:

“E la luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno riconosciuta”.

 

 

Mentre l’uomo, nell’intimo suo, educava inconsciamente il suo spirito alla purezza delle idee,

i suoi sensi erano rivolti verso l’esterno solo alle cose materiali,  che in nessun modo si intromettevano

a disturbare ciò che si illuminava nell’anima, dapprima come delicato germe” (pp. 61-62).

 

 

Abbiamo appena detto che le idee sono diventate delle forme vuote di contenuto extrasensibile (dei “concetti-nome”), e per ciò stesso un qualcosa che non annulla né limita la nostra libertà.

Sta di fatto che la scienza naturale, nonostante i meriti che le vanno riconosciuti, tra i quali gli indubbi vantaggi (materiali) che ha arrecato e ancora arreca all’umanità, non è un fine, ma un mezzo: un mezzo per elaborare, sviluppare e mettere a punto un pensare che sia poi capace, proprio in virtù di tale tirocinio, di volgersi a se stesso e alla realtà del mondo divino-spirituale.

 

 

Ma nell’osservazione dell’elemento materiale esterno può tornare ad entrare, in nuova forma,

l’esperienza della spiritualità, e con essa l’osservazione spirituale.

Il patrimonio di conoscenze naturali acquistato sotto il segno del materialismo

può venir afferrato dalla vita animica interiore in modo conforme allo spirito.

Michele, che parlò ”dall’alto”, può venir udito “dall’intima interiorità”, dove prenderà la sua nuova dimora” (p. 62).

 

 

Sappiamo che la scienza poggia a tal punto sulla percezione della realtà sensibile e sulla sua misurazione, da arrivare a fondare, per dirla con Guénon (11), il “regno della quantità” (si racconta che Enrico Fermi avesse la mania di misurare tutto con calibro e bilancia, perfino i suoi regali di nozze) (12).

E il “regno della qualità” (dell’essere)? Non potrebbe forse “tornare a entrare, in nuova forma” in quello della quantità? Certo che lo potrebbe, ma non in virtù dello stesso tipo di pensiero che ha fondato il “regno della quantità” (dell’avere).

 

Ascoltate quanto dice a questo proposito Hegel: • “Non a torto si equiparò questo pensare [intellettuale] al calcolare, e viceversa il calcolare a questo pensare. Nell’aritmetica si prendono i numeri come un che vuoto di concetto, come quello che, all’infuori della sua uguaglianza e ineguaglianza, vale a dire all’infuori del suo rapporto affatto estrinseco, non ha alcun significato, come quello che né è in se stesso pensiero, né di cui nemmeno la relazione è pensiero” (13).

 

L’”esperienza della spiritualità” (del “concetto-reale”)

può tornare dunque “ad entrare, in nuova forma”, nel “regno della quantità”: “in nuova forma”,

perché la spiritualità, che discendeva un tempo dall’”alto” (dal trascendente), quale subcosciente ispirazione,

può essere adesso ritrovata nell’”intima interiorità” (nell’immanente).

 

 

Parlando immaginativamente, possiamo dire: l’elemento solare che per lunghe epoche

l’uomo ricevette in sé soltanto dal cosmo, risplenderà nell’interiorità dell’anima.

L’uomo imparerà a parlare di un “sole interiore” (…) 

Imparerà a sentire come verità che nel suo intimo vi è un’entità

che lo pone in una luce che risplende sì sull’esistenza terrena, ma che non viene accesa in essa” (p. 62).

 

 

Il “sole interiore” e invisibile è il Sole del Cristo, mentre quello esteriore e visibile è il Sole di Lucifero.

Affermano infatti i Rosacroce: Christus verus Lucifer (ergo, Lucifer falsus Christus).

 

Non è facile distinguerli perché tanto l’uno che l’altro sono portatori di luce. Si tratta tuttavia di una distinzione di estrema importanza. Stiamo infatti parlando non di ciò che si vede, ma di ciò che ci consente di vedere: in breve, non del veduto (del pensato), ma del vedere (del pensare).

Il “sole interiore” (il “sacro cuore” dell’Io) è la fonte e della luce-pensiero e del calore-volontà.

 

• In noi, però, c’è una parte (quella cefalica) che ne accoglie la luce e ne respinge il calore,

• e un’altra (quella metabolica) che ne accoglie il calore e ne respinge la luce.

• Nel primo di questi due poli, sperimentiamo perciò una luce fredda (quella “asettica” della ratio)

• e, nel secondo, una tenebra calda (quella “settica” dell’eros, cioè delle brame o degli istinti).

 

Dice Scaligero che “la misura dell’essere dell’uomo è la capacità di amare: la capacità di donarsi” (14).

E’ solo grazie al Cristo, però, che possiamo conoscere l’amore, poiché solo in Lui la luce è tutt’uno col calore

e il calore è tutt’uno con la luce (“Cristo Sole, luce divina, illumina le nostre menti, riscalda i nostri cuori”).

 

 

All’inizio dell’epoca di Michele può ancora sembrare come se tutto questo sia ben lontano dall’umanità;

ma “nello spirito” è vicino; deve soltanto venir “veduto”.

Da questo fatto, che cioè le idee dell’uomo non restino soltanto “pensanti”,

ma che nel pensare diventino “veggenti”, dipendono conseguenze incommensurabili.

 

 

La nuova epoca di Michele comincia nel 1879, e nel 1899 termina l’”era oscura” (il Kali Yuga):

con l’inizio del ventesimo secolo, si apre dunque una nuova era.

E’ difficile crederlo, se si pensa a tutti gli inenarrabili orrori verificatisi nel corso del Novecento.

Bisogna però considerare che quanto di oscuro alberga in noi diviene, in un’era non più oscura, ancor più pericoloso e minaccioso, poiché si fa più acuto e stridente il contrasto tra l’astrattezza e l’arretratezza del nostro pensiero e la realtà delle forze spirituali che vorrebbero risalire dalla tenebra (dell’incoscienza) alla luce (della coscienza).

 

Ascoltate quanto dice Steiner: • “Nei moti istintivi, inconsci della natura umana rumoreggia un elemento nuovo. Nel pensare cosciente le antiche idee non vogliono seguire i moti istintivi. Ma anche i moti istintivi migliori diventano barbarici e bestiali se non vengono illuminati da pensieri adeguati” (15).

 

Dobbiamo dunque affrontare la nuova era con nuove idee e, soprattutto, con un nuovo modo di pensare.

Crediamo, ad esempio, che i pensieri siano una nostra “invenzione”, e che sia perciò giusto inorgoglirsi o andare fieri della loro intelligenza, brillantezza od originalità (nel Barbiere di Siviglia, al Conte di Almaviva che canta “Oh che testa originale! Bravo, bravo in verità”, Figaro risponde: “Oh che testa universale! Bella, bella in verità”).

Non la pensiamo più così, però, allorché realizziamo che i pensieri non s’inventano (nella testa), ma si scoprono (nella realtà); anzi questo ci rende umili e ci fa capire che per scoprire i pensieri che sono nella realtà (in-re) dobbiamo tacitare, vincendo il nostro narcisismo o egoismo, tutti quelli che ci ronzano per la testa.

 

Sappiamo, del resto, che la realtà e la verità possono rivelarsi soltanto alle anime pure

(“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” – Mt 5,8).

“Veggente” (e santo) è solo dunque quel pensiero che accoglie la realtà, così come l’accolgono ad esempio

gli occhi o le orecchie, che mai appunto s’illudono di essere i creatori di quanto vedono od odono.

 

Abbiamo detto che i pensieri in-re sono l’essenza delle cose o dei fenomeni.

Immaginate, dunque, come tutto sarebbe diverso se ci riuscisse di coglierli con la stessa immediatezza,

con la stessa obiettività e con la stessa innocenza con le quali gli occhi colgono i colori o le orecchie i suoni.

Solo un’appropriata disciplina dell’anima, e il favore del mondo spirituale, possono però condurci a tale meta.

 

Occorre comunque sagacia, perché può accadere che, proprio nel momento in cui il pensiero prende a svilupparsi, si abbia l’impressione di regredire, dal momento che le nostre “opinioni” perdono smalto, e noi stessi perdiamo il gusto di esibirle, di vantarle o di tentare d’imporle.

Ma ciò accade proprio perché qualcosa di vecchio (l’ego) va tramontando e qualcosa di nuovo (l’Io) va sorgendo.

 

Dice Steiner che “all’inizio dell’epoca di Michele può ancora sembrare come se tutto questo sia ben lontano dall’umanità; ma “nello spirito” è vicino”.

 

Dopo la fine dell’”era oscura”, lo spirito vivente ci è in effetti vicino:

ma ci è vicino come una potenzialità che chiede di essere liberamente e amorevolmente e-ducata o attuata

(dice Silesio: “Seppure Cristo nasca mille volte a Betlemme ma non in te, tu resti perduto per l’eternità”) (16).

 

Massime 85, 86, 87 (31 agosto 1924)

 

 

85 – “Nella coscienza desta del giorno l’uomo sperimenta nell’epoca attuale in primo luogo se stesso.

Questa esperienza gli nasconde che nella sua esperienza di veglia è presente la terza gerarchia”.

 

 

Credo di avervi già ricordato questo passo de La filosofia della libertà:

“Non è che il soggetto pensi per il fatto di essere soggetto;

bensì esso appare a se stesso come soggetto perché ha la facoltà di pensare” (17).

 

Come si vede, quel che capita quando si pensa un oggetto, di essere cioè tanto presi dall’oggetto da lasciare inosservato il pensare che lo pensa, capita anche quando si pensa se stessi.

 

“Nella coscienza desta del giorno – dice infatti Steiner –

l’uomo sperimenta nell’epoca attuale in primo luogo se stesso”: per l’appunto il soggetto (l’ego),

e non il pensare che lo pensa.

• Nella stessa misura, dunque, in cui ignoriamo il pensare che ci consente di qualificarci come “soggetti”,

ignoriamo che nella nostra “esperienza di veglia è presente la terza gerarchia”.

 

Ricordo, peraltro, che fu proprio riflettendo e meditando su queste cose che scrissi quel vecchio articolo su La logica hegeliana e le gerarchie spirituali (18).

Ero infatti certo che, nell’esperienza pensante, si dà prima il concetto, poi l’attività giudicante, e poi ancora, quale frutto di quest’attività, l’immagine: quell’immagine che, riflessa dall’organo cerebrale, si dà infine come rappresentazione.

Ed ero anche certo che il concetto si dà in virtù di una incosciente attività intuitiva (non della “coscienza intuitiva”), che l’attività giudicante (che mette in rapporto tra loro i concetti) si dà in virtù di una subcosciente attività ispirata (non della “coscienza ispirata”), che l’immagine si dà in virtù di una precosciente attività immaginativa (non della “coscienza immaginativa”), e che la rappresentazione si dà in virtù della coscienza intellettuale, vincolata ai sensi e al cervello.

 

“Parlando del pensare – afferma Steiner – è del tutto errato dire che sarebbero interessati processi nervosi di vibrazione o altri del genere. Alla visione immaginativa si svela che il pensiero [intuitivo-incosciente], che vive anche nel sogno, afferra anzitutto la parte aeriforme [ispirata-subcosciente]. In seguito, mentre l’elemento aeriforme passa determinati processi, i pensieri si trasferiscono alla parte liquida [immaginativa-precosciente], e da lì al solido elemento salino [rappresentativo-cosciente] [19].

 

Non ero altrettanto certo, invece (poiché so bene che bisogna guardarsi, in specie a questi livelli, dalle deduzioni logiche e dagli schematismi), che i concetti fossero da mettere in relazione con le Archài, l’attività giudicante con gli Arcangeli e le immagini con gli Angeli.

Avrei oggi buone ragioni per farlo, ma preferisco essere ancora prudente (dopo aver scritto queste cose, in un libro di Steiner appena pubblicato, leggo:

• “Gli Angeli, gli Arcangeli e le Archai si trovano fra l’uomo e le impressioni dei sensi,

sono effettivamente di qua dal mondo sensibile (…)

Mentre le Exusiai, le Dynameis, le Kyriotetes [gli Spiriti della forma, gli Spiriti del movimento, gli Spiriti della saggezza]

si trovano effettivamente solo al di là; sono celate dalla coltre dei sensi)” (20).

 

 

86 –  “Nella coscienza di sogno l’uomo sperimenta in modo caotico il proprio essere

congiunto disarmonicamente con la spiritualità del cosmo.

Se alla coscienza di sogno, come altro suo polo, si contrappone quella immaginativa,

l’uomo si accorge che nella sua esperienza è presente la seconda gerarchia”.

 

 

Abbiamo detto che la “coscienza di sogno” è legata al sentire,

e che il sentire è stato la prima vittima del divorzio tra il pensare e il volere.

Non dobbiamo perciò meravigliarci che Steiner dica che, allo stato di sogno,

“l’uomo sperimenta in modo caotico il proprio essere congiunto disarmonicamente con la spiritualità del cosmo”.

Dice “disarmonicamente”, perché è l’accordo tra il pensare e il volere che viene sperimentato di contro come “armonia”.

 

Teniamo comunque presente che

• parlare della terza Gerarchia significa parlare di ciò ch’è vivente nella testa (non quindi delle rappresentazioni),

• mentre parlare della seconda Gerarchia

significa parlare di ciò ch’è vivente nella sfera mediana o ritmica del nostro organismo,

e quindi di entità con le quali è possibile entrare in rapporto (cosciente) soltanto se si viene, per così dire,

“presentati” dagli Angeli, dagli Arcangeli e dalle Archài: cioè a dire, dai loro “Messaggeri”.

 

 

87 – “Nella coscienza di sonno senza sogni l’uomo, senza esserne cosciente,

sperimenta il proprio essere congiunto con la spiritualità del cosmo.

Se alla coscienza di sonno, come altro suo polo, si contrappone quella ispirata,

l’uomo si accorge che nella sua esperienza è presente la prima gerarchia”.

 

 

Giorni fa ho comprato un libro intitolato: Neuroetica (21). Ne ho letto una ventina di pagine, poi, durante la notte, ho sognato che sputavo dei fogli di giornale che avevo masticato, perché intrisi di piombo, e quindi di veleno. La mattina dopo ho riposto il libro, e non l’ho letto più.

Me la sono presa naturalmente con me stesso, per aver ceduto, acquistandolo, a una banale curiosità.

 

Che cosa ha a che fare l’etica con la neurologia? Niente.

La prima riguarda infatti il volere, mentre la seconda riguarda non il pensare, bensì il riflesso del pensare.

Per questo uso dire: il nervo sa (a-posteriori) quello che il sangue fa (a-priori) (22).

 

E che cos’è allora, da questo punto di vista, la “neuroetica”?

E’ l’etica – sia detto senza offesa – dei nevrastenici.

Non c’è del resto una conferenza di Steiner intitolata appunto: Nervosità, fenomeno del nostro tempo (23)?

 

Perché vi sto dicendo questo? Ve lo sto dicendo perché serve a dimostrare, ove ce ne fosse ancora bisogno, che la volontà, per l’intelletto, è una vera e propria “incognita”. Si tratta infatti di una forza inconscia che, proprio perché inconscia, sembra o si crede che non esista (tant’è, come mi sembra di avervi già detto, che Cesare Musatti auspicava che venisse cancellata dai testi di psicologia).

Tale incoscienza comporta ovviamente delle gravi conseguenze, in specie sul piano educativo. Si è infatti convinti di dover educare soprattutto la testa (l’intelletto), badando poco o nulla al fatto che il restante organismo (il carattere, e in specie la volontà) finisce così col regredire, se non addirittura con l’imbestialirsi.

(Chi volesse farsi un’idea di quanto la scuola di oggi dia ai bimbi e ai giovani “pietre”, e non “pane”, legga e mediti, di Herbert Hahn, Pedagogia e religione [24].)

 

Fatto si è che la testa (il pensiero riflesso) non è in grado di nutrire il restante organismo (il sentire e il volere), tanto che la si potrebbe paragonare a una bocca che mastichi o rumini senza mai deglutire. Chi avesse una bocca del genere, pur masticando o ruminando di tutto, non finirebbe col morire di fame?

E proprio di fame sta morendo l’anima, dal momento che l’intelletto o, per essere più precisi, l’intellettualismo (che ha ridotto perfino la morte a “fatto cerebrale”) non sa far altro che imbottire la testa di nozioni e informazioni.

Ricordate il celebre L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse (25), un best-seller degli anni ‘70? Magari si fosse allora realizzato che il vero uomo “a una dimensione” è l’uomo dei nervi o l’uomo cerebrale (il famoso “cervellazzo” di Tommaso Garzoni)!

 

Due parole ancora sulla prima Gerarchia.

Vale anche qui il principio che vi si può accedere solo passando per la seconda.

 

Pensate, per fare un solo esempio, all’immagine dell’Immacolata: la Vergine ha sotto i piedi la falce lunare e il serpente, e sul capo dodici stelle. Si tratta quindi di un’immagine che può rappresentare la seconda Gerarchia, dal momento che la sfera lunare può rappresentare la terza, le dodici stelle la prima, e il serpente Lucifero.

Avendo un mondo sopra di sé e un altro sotto di sé, la Vergine, come abbiamo detto, è dunque “mediatrice”.

In verità, è assai più di questo, giacché il Suo manto celeste si estende o prolunga, in basso, fino a raggiungere, custodire e proteggere l’essere umano (come si può vedere, ad esempio, nel polittico della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, nel Museo civico di Sansepolcro).

 

Resta lecito comunque affermare che la Sua sfera d’elezione (quella della Sophia) è la sfera degli Spiriti della saggezza: per questo, infatti, viene anche detta “Regina degli angeli” o “Regina dei logoi”: ossia, “Regina delle idee o dei concetti”.

 

Note:

  1. cfr. Noterella 7 agosto 2009;
  2. A.Zichichi: Galilei divin uomo – il Saggiatore – Milano 2001, p. 48;
  3. ibid., p.68;
  4. cfr. R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966;
  5. cfr. Intelligenza umana e intelligenza artificiale, 8 marzo 2003;
  6. cfr. R.Steiner: Il Cristianesimo come fatto mistico e i misteri antichi – Antroposofica, Milano 1988;
  7. R.Steiner: Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe – Antroposofica, Milano 2008, p. 90;
  8. P.Florenskij: Non dimenticatemi – Mondadori, Milano 2000, p. 75;
  9. R.Steiner: Il quinto Vangelo – Antroposofica, Milano 1989, pp. 14-15;
  10. R.Steiner: Il legame fra i vivi e i morti – Antroposofica, Milano 2010, p. 136;
  11. cfr. R.Guénon: Il regno della quantità e i segni dei tempi – Studi Tradizionali, Torino 1969;
  12. cfr. Concetto e numero, 20 febbraio 2002;
  13. G.W.F. Hegel: Scienza della logica – Laterza, Roma-Bari 1974, vol. I, pp. 34-35;
  14. M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982, p. 19;
  15. R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica, Milano 1999, p. 221;
  16. A.Silesio: Il viandante cherubico – Bocca, Milano 1942, p.18;
  17. R.Steiner: La filosofia della libertà, p. 51;
  18. cfr. La logica hegeliana e le gerarchie spirituali, 7 dicembre 2003;
  19. R.Steiner: Cultura e antroposofia – Antroposofica, Milano 1996, p. 127;
  20. R.Steiner: Azione e impulsi delle potenze spirituali sulla scena del mondo – Antroposofica, Milano 2010, p. 55;
  21. cfr. L.Boella: Neuroetica – Raffaello Cortina, Milano 2008;
  22. cfr. Noterella 11 gennaio 2008;
  23. cfr. R.Steiner: Nervosità, fenomeno del nostro tempo – Antroposofica, Milano 1976;
  24. cfr. H.Hahn: Pedagogia e religione – Antroposofica, Milano 2000;
  25. cfr. H.Marcuse: L’uomo a una dimensione – Einaudi, Torino 1999.