Lo studio dei sintomi dell’epoca moderna

O.O. 185 – Lo studio dei sintomi storici – 19.10.1918


 

Sommario: Lo studio dei sintomi dell’epoca moderna

Inghilterra e Francia. Luigi XIV e la rivoluzione. Libertà, uguaglianza, fraternità. Napoleone. I massoni e il terzo periodo di civiltà. Due correnti nella storia moderna. Il socialismo e le sue teorie. Internazionalismo. La tendenza a occuparsi di problemi insolubili.

 

Ieri ho cercato di dare a grandi tratti un quadro dei sintomi storici relativi alla moderna evoluzione umana, ed ho terminato presentando la strana figura di Giacomo I, re d’Inghilterra, apparso come un enigma al principio del secolo XVII, circa a metà cammino fra l’inizio del quinto periodo postatlantico e l’importante e decisivo secolo XIX. Dal complesso dei sintomi esaminati non abbiamo estratto tutto quanto essi potevano palesare, cosa che faremo in seguito, ma ci siamo limitati ad un primo esame generale. Più tardi lo si potrà anche fare, ma non vorrei per ora accennare a certi segreti legati alla personalità di Giacomo I. Oggi non è questo il mio compito, ma devo comunque far rilevare il modo caratteristico e sintomatico col quale Giacomo I si presenta nella storia moderna: un uomo che è possibile descrivere dai più contrastanti punti di vista, come ieri ho accennato, un uomo del quale si può dire il più gran bene o il più gran male a seconda di come lo si colora. Nell’ambiente storico di Giacomo I, nel quale si sviluppano le condizioni indicate ieri per l’evoluzione del concetto di stato, quale è sorto dagli impulsi nazionali e tendente alla formazione del parlamentarismo liberale, si può comunque dire che Giacomo I appare come una pianta sradicata, come un essere senza i giusti rapporti con l’ambiente medesimo. Se si guarda poi più profondamente ad uno degli aspetti del quinto periodo postatlantico, in relazione alla nascita dell’anima cosciente, si potrà meglio comprendere, sotto un certo rapporto, la figura di Giacomo I e si vedrà che in lui appare manifesta la radicale contraddizione che così spesso si presenta in molte personalità nell’epoca dell’anima cosciente. In quest’ epoca la personalità perde quel valore che una volta aveva sulla base degli istinti, proprio perché non era ancora stata educata ad essere autocosciente. In epoche precedenti gli uomini vivevano, si potrebbe dire, con forza elementare, con forza — non mi si fraintenda se lo dico — animale, però umanizzata e spiritualizzata. Il singolo viveva in modo istintivo, non ancora del tutto separato da una specie di anima di gruppo. Ora invece deve emanciparsi, deve poggiare su se stesso e, appunto per questo, sorge per l’uomo una notevolissima contraddizione. Da un lato cioè viene eliminato quanto prima serviva per la vita individuale esteriore, e gli istinti tendono quindi ad atrofizzarsi, dall’altro, nel più profondo dell’anima, si forma a poco a poco il centro dell’individualità, e l’anima deve conquistarsi una nuova forza, piena di contenuto.

 

Si rileva subito da quanto è stato detto ieri che in ciò esiste una contraddizione: mentre prima, durante i periodi nei quali l’individuo non era ancora del tutto autocosciente, l’anima era produttiva ed immetteva forze produttive nella evoluzione umana, ora il fenomeno cessa, e l’anima diviene sterile. Essa si pone però ugualmente al centro dell’uomo, perché l’elemento personale sta proprio nel fatto che l’anima, poggiando su se medesima, si pone al centro della personalità umana. Non sono quindi più possibili personalità dominanti, caratteristiche dell’antichità, come lo potevano essere Augusto, Giulio Cesare o Pericle, fra le tante che si potrebbero elencare. Proprio la forza elementare dell’individuo perde di valore, mentre affiora una caratteristica livellatrice, che si chiamerà più tardi atteggiamento democratico e che tende a rendere uguali tutti gli uomini. La contraddizione insita nel fenomeno è che l’individuo vuole affermarsi proprio in questa aspirazione all’uguaglianza.

 

Conformemente al suo karma ognuno si trova in un posto determinato, e Giacomo I si trovò nella posizione di sovrano. All’epoca dei re persiani o dei « kan » mongoli, ancora all’epoca nella quale il papa incoronava Stefano I d’Ungheria: una personalità era appropriata per quel posto, poteva ancora stimarsi adatta per quella posizione. Giacomo I invece, nella sua posizione di regnante e nelle sue manifestazioni, era come un uomo al quale assolutamente non si adatta l’abito che indossa. Da bambino era stato educato nella Chiesa calvinista, ed era poi passato a quella anglicana, ma in sostanza l’una e l’altra gli erano indifferenti, erano soltanto un abito non adatto per lui. Fu chiamato a regnare in un’epoca nella quale si iniziava il liberalismo parlamentare, che anzi per qualche tempo era già stato praticato. Egli era molto abile ed intelligente nel parlare col suo prossimo, ma in sostanza nessuno capiva che cosa egli desiderasse, perché gli altri volevano cose diverse da quelle volute da lui. Discendeva da una famiglia originariamente cattolica, quella degli Stuart, ma appena fu sul trono d’Inghilterra, proprio i cattolici si avvidero che nulla potevano attendersi da lui. Ne derivò lo strano ed eccezionale progetto, siamo nel 1605, secondo il quale un gran numero di persone cresciute nel cattolicesimo si riunirono per mettere la maggior quantità possibile di polvere esplosiva sotto il palazzo del parlamento a Londra, allo scopo di far saltare in aria al momento opportuno tutti i deputati. Mi riferisco alla nota congiura delle polveri. Il progetto non fu attuato perché un cattolico, al corrente della congiura, parlò della cosa; altrimenti Giacomo I avrebbe avuto un giorno il destino di saltare in aria con tutto il suo parlamento. Egli non poteva inserirsi in nulla perché era una personalità, e una personalità ha la caratteristica di restare isolata, di poggiare soltanto su se medesima. Né bisogna dimenticare che nell’epoca dell’individualismo ognuno vuol essere una personalità, il che costituisce proprio la contraddizione fondamentale dell’evo moderno. In quest’epoca non è che si respinga l’idea monarchica o papale; in fondo nessuno fa obiezioni al fatto che ci sia un re o un papa; soltanto, se proprio deve essercene uno, ognuno desidera essere lui stesso papa o re: si attuerebbero così contemporaneamente papato, monarchia e democrazia. Ci si avvede di queste cose appunto considerando la singolare personalità di Giacomo I, un sintomo del suo tempo, un prodotto caratteristico dello stesso, naturalmente con tutte le contraddizioni di una personalità dell’epoca moderna. Ha quindi torto chi lo caratterizza nel primo modo descritto, e del pari torto chi lo caratterizza nel secondo, ma non sono nel vero neppure i suoi stessi libri, perché anche quanto egli medesimo scrisse non ci conduce in nessun modo diretto nell’intimo della sua anima. Se non lo si considera da un punto di vista esoterico, Giacomo I si trova quindi all’inizio del secolo XVII come un grosso enigma, e proprio in una posizione che, da un certo punto di vista, appalesa chiaramente l’affiorare degli impulsi dell’evo moderno.

 

Ricordiamo ancora una volta quanto è stato detto ieri circa la concatenazione degli avvenimenti nell’Europa occidentale e la differenziazione intervenuta fra l’anima inglese e quella francese. Tale differenza si manifesta già all’inizio del secolo XV e riceve un notevole impulso nel 1428 con l’apparizione di Giovanna d’Arco. Il fenomeno si sviluppa quindi nel senso che in Inghilterra l’emancipazione dell’individuo avviene attraverso l’aspirazione a spingere l’uomo nel mondo, mentre in Francia, sempre sulla base dell’idea nazionale, lo stesso fenomeno avviene mediante l’aspirazione ad afferrare il più possibile l’intimo dell’uomo per farlo poggiare su se medesimo. All’inizio del secolo XVII Giacomo I appare come l’espressione di tutte le contraddizioni che possono manifestarsi in un individuo. Nello studio dei sintomi non bisogna mai condurre a fondo l’indagine pedantescamente, ma lasciare invece un angolo inesplorato per poter meglio progredire. Non descriverò quindi Giacomo I in modo che se ne possa avere un’immagine in sé compiuta, ma piuttosto in modo che essa lasci da pensare, o anche da indovinare.

 

Nel corso della storia è apparsa sempre più una radicale differenza fra l’anima inglese e quella francese. Dalla confusione della guerra dei trent’anni e sempre nel quadro nazionale, l’anima francese elabora quanto potrebbe venir chiamato il rafforzamento del concetto di stato. Si può osservare tale rafforzamento con l’esempio molto singolare di Luigi XIV, studiando cioè la nascita, il rigoglio e la decadenza dello stato nazionale francese, nonché il formarsi nel suo seno dei germi che poi si svilupperanno fino a portare all’emancipazione dell’individuo con la rivoluzione. Come è noto, la rivoluzione francese mise in evidenza tre giustificatissimi impulsi della vita umana: l’elemento fraterno, l’elemento della libertà e quello dell’uguaglianza. Ma già un’altra volta ebbi occasione di far osservare che il sorgere di questa triade: fraternità, libertà e uguaglianza, entro la rivoluzione francese, è in contraddizione con la vera e propria evoluzione della umanità. Non è possibile mettere in relazione quest’ultima con i tre principi di fraternità, libertà e uguaglianza, senza parlare anche, in un modo o nell’altro, delle tre parti costitutive dell’entità umana. In relazione alla convivenza fisica fra gli uomini, proprio nell’epoca dell’anima cosciente, l’umanità deve arrivare a comportarsi fraternamente. Sarebbe una indicibile disgrazia ed una precisa involuzione se, alla fine del quinto periodo postatlantico, quello dell’anima cosciente, la fraternità non si fosse diffusa fra gli uomini, sino ad un alto grado. Ma essa può venir rettamente afferrata soltanto se si pensa di applicarla alla convivenza fisica degli uomini, alla vita corporea. Se però si ascende all’elemento animico, soltanto allora si potrà parlare di libertà. Si giungerà sempre ad errori se si crederà di poter realizzare la libertà nella convivenza fisica esteriore, perché la libertà si realizza soltanto nei rapporti da anima ad anima. Non bisogna immaginare che l’uomo sia un’unità caotica, e parlare quindi contemporaneamente di fraternità, libertà e uguaglianza; ma occorre invece sapere che l‘uomo consiste di corpo, anima e spirito, che gli uomini arriveranno alla libertà soltanto se vorranno essere liberi nell’anima, e che essi possono essere uguali solo in relazione allo spirito, che ci afferra spiritualmente ed è uguale per ogni uomo. Si tende allo spirito perché la quinta epoca di civiltà, quella dell’anima cosciente, aspira al sé spirituale. In relazione allo spirito cioè, tutti gli uomini sono uguali, il che viene pure espresso dal detto popolare: « Nella morte siamo tutti uguali ». Si perviene soltanto a confusioni se non si suddivide fraternità, libertà e uguaglianza fra le tre parti differenziate della natura umana, e le si vuol tutte rimescolare assieme e dire semplicemente che gli uomini devono vivere sulla terra liberi, fraterni e uguali.

 

Considerata dal punto di vista dei sintomi che presenta, la rivoluzione francese appare straordinariamente interessante. Essa rappresenta tutto quanto deve essere sviluppato a poco a poco, e con ogni mezzo appropriato all’evoluzione spirituale dell’umanità, durante l’epoca dell’anima cosciente, dal 1413, per 2160 anni, e cioè sino al 3573; la rivoluzione riassunse quei tre principii in forma di slogan, e li adattò all’uomo in modo confuso ed indifferenziato. Conquistare la fraternità per i corpi, la libertà per le anime e l’uguaglianza per gli spiriti è il compito dell’attuale periodo di civiltà. Questi concetti, essenziali per il quinto periodo di civiltà post-atlantica, affiorano nel corso della rivoluzione francese come uno slogan, in modo tumultuoso e frammischiati fra di loro. In quelle tre parole si presenta incompresa l’anima del quinto periodo di civiltà: essa non può prender forma in nessun corpo sociale esteriore, ma è soltanto capace di provocare una confusione dopo l’altra. Essa non si realizza in nessun organismo sociale, ma è presente, come una continua esigenza, estremamente importante. Si potrebbe dire che l’interiorità del quinto periodo di civiltà resta incompresa e non riesce ad esteriorizzarsi. Ma proprio in questo appare qualche cosa di sintomaticamente notevole.

 

Ciò che dovrà manifestarsi nel corso di tutto il quinto periodo di civiltà, nella sua tumultuosa apparizione iniziale, si allontana di molto dalla posizione di equilibrio in cui la umanità deve evolversi, si allontana dalle forze che sono innate nell’uomo per il fatto che esse sono in rapporto con le sue gerarchie primordiali. Il piatto della bilancia pende tutto da una parte; in seguito alla rivoluzione francese, la bilancia pende assai fortemente da una parte in senso luciferico-arimanico, e specialmente in senso luciferico; e questo provoca un contraccolpo. Parlo ora in forma d’immagine, e le parole non vanno quindi prese alla lettera, ma è certo che gli impulsi apparsi con la rivoluzione francese rappresentano l’anima del quinto periodo di civiltà, senza però l’organismo sociale corrispondente, senza la sua corporeità. Di conseguenza tutto sembra astratto, soltanto animico, e tende a realizzarsi in una corporeità, anche se questo potrà avvenire soltanto nel corso di millenni, o almeno di diversi secoli. Dato che il piatto della bilancia era disceso troppo da una parte, si rese necessario un movimento contrario e si passa quindi all’altro estremo. Nella rivoluzione francese tutto è tumultuoso e contraddice il ritmo dell’evoluzione umana. Quando la bilancia passa dall’altra parte, si presenta qualche cosa che corrisponde di nuovo interamente a ritmi umani, alle esigenze impersonali della personalità, ma non nel senso di un equilibrio mediano, bensì con carattere fortemente arimanico-luciferico. Con Napoleone si realizza un organismo sociale corrispondente al ritmo della personalità umana, basato sul prevalere dell’altra parte della bilancia: sette anni di preparazione al suo dominio, come già ebbi occasione di dire un’altra volta, quattordici anni di splendore, di ascesa, con relativi sommovimenti in Europa, e poi ancora sette anni di declino, dei quali ultimi soltanto nel primo riuscì in qualche modo a turbare ancora l’Europa. Il tutto però sempre rigidamente nel ritmo dei sette anni: prima una volta sette, poi due volte sette, ed infine ancora una volta sette; in tutto quattro volte sette anni:

 

1×7 + 2×7 + 1×7

 

Mi sono veramente sforzato — e ne ho pure accennato in qualche occasione — di ricercare l’anima di Napoleone, è noto che ricerche del genere sono possibili nei modi più vari con i mezzi dell’indagine spirituale. Per esempio è stata ricercata l’anima di Novalis in precedenti incarnazioni. Mi sono del pari onestamente occupato di seguire l’anima di Napoleone, nel cammino successivo alla sua morte: non riesco a trovarla e neppure credo di riuscirci mai, perché essa forse non c’è. Proprio questo può essere l’enigma della vita di Napoleone che scorre come un orologio, persino col ritmo dei sette anni, e che potrà forse essere meglio compresa se la si considera come l’esatto contrapposto della vita di Giacomo I, oppure anche come il contrapposto delle astrazioni della rivoluzione francese: la rivoluzione tutta anima senza un corpo, e Napoleone tutto corpo senz’anima, ma un corpo che è come il risultato di tutte le contraddizioni dell’epoca. Nella combinazione fra rivoluzione e Napoleone si nasconde uno dei maggiori enigmi fra i diversi sintomi dell’evoluzione moderna. E’ come se un’anima si fosse voluta incarnare nel mondo e apparisse agitandosi, però senza corpo, nei rivoluzionari del secolo XVIII, ma senza riuscire a trovare un corpo; e poi soltanto dall’esterno le si fosse avvicinato un corpo che, da parte sua, non poteva trovare un’anima: Napoleone. Cose del genere nascondono importanti impulsi del divenire storico e non soltanto allusioni o caratterizzazioni che vogliano essere profonde; in ogni modo le cose vanno considerate secondo i loro sintomi. Parlando ad un pubblico antroposofico, mi esprimo ora nelle forme della scienza dello spirito, ma naturalmente quanto vado dicendo può venir esposto dappertutto, solo avendo l’avvertenza di scegliere un po’ diversamente le parole.

 

Continuando le nostre considerazioni sui sintomi storici dell’evo moderno, passiamo ad osservare il continuo e relativamente calmo e graduale sviluppo della nazione inglese. Sino alla fine del secolo XIX la nazione inglese si evolve in modo regolare e calmo, coniando proprio l’ideale del liberalismo. La nazione francese invece, si evolve in modo più tumultuoso, al punto che, osservando gli avvenimenti della storia francese nel secolo scorso, non si sa mai bene come un fatto successivo possa riallacciarsi ad uno precedente; tutto sembra non motivato. La mancanza di un’apparente motivazione sembra proprio la caratteristica fondamentale dello sviluppo storico francese nel secolo XIX. Non è una critica, ma una caratteristica che risulta prescindendo da ogni simpatia o antipatia. Non si arriverà però mai alla radice del complesso di sintomi della storia moderna, se non si osserverà bene come in ogni avvenimento esteriore — o anche animicamente interiore, come ieri ho accennato, ma pur sempre esteriore — come in ogni avvenimento dunque si ritrovi la azione di qualcosa d’altro. Il fenomeno può essere così caratterizzato: nell’epoca immediatamente precedente il quinto periodo di civiltà postatlantica, in un certo senso, già s’intuisce l’approssimarsi della nuova età dell’anima cosciente. Come in un presentimento avvertono ciò certe nature. Esse lo presentono proprio col suo carattere e cioè: si avvicina un’epoca in cui la personalità si deve emancipare, un’epoca che però, sotto un certo aspetto, all’inizio sarà improduttiva, non potrà produrre nulla da sé, un’epoca che, proprio per quanto riguarda la produzione spirituale che ha da immettersi nella vita sociale e storica, dovrà vivere degli apporti delle epoche precedenti.

 

Questo è il profondo impulso che portò alle crociate, di poco precedenti l’epoca dell’anima cosciente. Perché gli uomini tendevano in quel tempo verso l’oriente, verso il Santo Sepolcro? Perché, nell’epoca dell’anima cosciente, essi non possono, né potranno in avvenire, tendere verso una nuova missione, verso una nuova particolare idea originale. Essi vogliono perciò trovare i residui delle antiche cose, addirittura nella loro vera forma e nella loro vera sostanza: vanno quindi a Gerusalemme per ritrovare l’antico e reimmetterlo nell’evoluzione in modo diverso da come aveva fatto Roma. Si avverte come con le crociate cominci l’epoca dell’anima cosciente con la sua iniziale improduttività. Con le crociate nasce pure l’ordine dei templari, del quale ho parlato ieri, e che venne distrutto da Filippo il Bello. I templari portarono in Europa i segreti del vero essere dell’oriente e li immisero nella cultura europea. Come ho già avuto occasione di dire partendo da un altro punto di vista, il re di Francia, Filippo, potè certo far giustiziare i cavalieri templari, potè anche confiscare i loro averi, ma gli impulsi portati da loro erano già fluiti attraverso molti canali nella vita europea ed agirono anche in seguito attraverso le logge occulte, che a loro volta influirono sul mondo exoterico; si può dire che in sostanza esse andarono costituendo l’opposizione a Roma. Da un lato vi era cioè Roma, dapprima sola e poi sostenuta dal gesuitismo; dall’altro tutte le correnti, profondamente unite all’elemento cristiano, e radicalmente estranee a Roma, anzi in opposizione a Roma, e, da allora in poi, sentite, da Roma, come una opposizione. Si pone ora la domanda circa la natura della profonda origine di questi fatti, cioè come avvenisse che, di fronte all’impulso universale proveniente da Roma e agente per suggestione, come ieri ho accennato, si accogliessero insegnamenti orientali gnostici, con le concezioni, i simboli e i culti relativi per introdurli poi nella vita europea. Consideriamo un momento tutto il fenomeno per arrivare all’impulso originario.

 

L’anima cosciente doveva svilupparsi, ma di fronte ad essa Roma voleva conservare — e lo fa ancor oggi — il suo mondo di suggestione, quella cultura che è adatta ad evitare il passaggio alla condizione dell’anima cosciente ed è invece appropriata per trattenere gli uomini allo stato di coscienza dell’anima razionale o affettiva. Questa è la sostanza della lotta che Roma conduce contro il procedere del mondo: persistere in ciò che è allo stadio dell’anima razionale-affettiva; invece l’umanità nella sua evoluzione vuole conquistarsi l’anima cosciente.

 

D’altro lato, evolvendosi nel senso dell’anima cosciente, la umanità viene a trovarsi in una situazione spiacevole, in una situazione che la maggior parte degli uomini ha sentito come scomoda, in questi primi secoli dell’epoca dell’anima cosciente. Infatti in quest’epoca l’uomo deve poggiare su se stesso, deve emanciparsi come personalità, deve liberarsi dai vecchi sostegni, non può più farsi suggerire le cose cui prestar fede, deve prendere parte attiva all’elaborazione di quello cui deve credere; tutto ciò fu sentito come un pericolo per l’umanità, specialmente all’inizio dell’epoca dell’anima cosciente istintivamente si sentiva che l’uomo andava perdendo il suo vecchio centro di gravità e che doveva cercarne uno nuovo. D’altro canto ci si chiedeva anche: se non si fa proprio nulla, quali sono allora le possibilità del divenire? Una possibilità consiste nel lasciar semplicemente veleggiare l’uomo nel mare aperto della ricerca, verso l’anima cosciente, libero di sentire che cosa vi sia negli impulsi del progresso. L’altra possibilità è che, mentre l’uomo così veleggia, Roma riesca a frenare l’anelito verso l’anima cosciente ed a trattenere ancora gli uomini, legati ai principi dell’anima razionale: essa acquisterebbe allora una grande importanza e potrebbe esercitare un’enorme influenza; in questo caso si arriverebbe a non far pervenire l’uomo all’anima cosciente e al sé spirituale, e a fargli perdere la possibilità di un suo ulteriore futuro sviluppo. Sarebbe uno dei modi mediante i quali potrebbe andar perduta l’evoluzione avvenire.

 

La terza possibilità è ancor più radicale: affinché l’uomo non si trovi neppure nell’alternativa fra l’aspirazione verso l’anima cosciente e quanto viene suggerito da Roma, si cerca di uccidere del tutto ogni suo anelito, lo si toglie anche dalla incertezza dell’alternativa accennata e si scalza ogni suo anelito in modo ancor più radicale di quanto non faccia Roma. Così si agisce quando si spogliano gli impulsi del progresso della loro stessa forza progressiva e si lasciano agire vecchie forze: questi impulsi erano stati portati dall’oriente, senza dubbio originariamente con altra intenzione, dai templari iniziati esotericamente. Ma dopo che a questo impulso venne spezzata la cima, con la distruzione dell’ordine dei templari da parte di Filippo il Bello re di Francia, qualcosa di questa civiltà, portata dall’Asia, rimase mutilato nella storia, non in singole persone, ma nel divenire storico. Come ho detto la sapienza portata dai templari era stata immessa attraverso numerosi canali, ma le era stata semplicemente tolta gran parte del suo vero e proprio contenuto spirituale, che era in sostanza il contenuto del terzo periodo di civiltà postatlantica, mentre il cattolicesimo porta il contenuto del quarto periodo. Ciò da cui lo spirito era stato spremuto fuori come il sugo da un limone e che così si tramandò come massoneria exoterica, come logge scozzesi o di York o simili, ciò che afferrò come falso esoterismo particolarmente i popoli di lingua inglese, tutto ciò è come un limone spremuto che, appunto perché già spremuto, contiene soltanto segreti del terzo periodo di civiltà postatlantica, l’egizio-caldaico, ed ora vien usato per immettere impulsi nella vita dell’anima cosciente. Nacque così qualcosa di simile all’evoluzione che dovrebbe aver luogo, ma nel senso peggiore. Ricordiamo infatti qualcosa che ho già detto in altre occasioni, ricordiamo il corso dell’evoluzione nei sette periodi di civiltà (vedi disegno). All’inizio si ha la catastrofe atlantica: poi i diversi periodi di civiltà, dal primo al settimo. L’evoluzione avviene in modo che il quarto periodo resta isolato e, per così dire, costituisce il centro; quanto invece era caratteristico nel terzo periodo riappare nel quinto, ma ad un grado più elevato, quanto era caratteristico nel secondo riappare nel sesto ma ad un gradino superiore, quanto era nel primo periodo, in quello paleo-indiano, riappare nel settimo.

 

 

Tali trapassi e corrispondenze avvengono realmente. Una volta ho anche accennato che esistono uomini coscienti di queste corrispondenze, come Keplero che, nel quinto periodo di civiltà, cercando di chiarire a suo modo l’armonia del cosmo mediante le sue tre note leggi, disse di ripresentare le antiche anfore bronzee egiziane; in lui riaffiorava la coscienza che nell’uomo della quinta epoca rinasce il contenuto del terzo periodo di civiltà postatlantica. In un certo senso, riprendendo l’esoterismo e i culti dell’epoca egizio-caldaica, si produce qualche cosa di simile a quanto vuole realizzarsi nel mondo; ma si può utilizzare, quanto così si ripresenta, in modo che non soltanto si venga a togliere l’indipendenza all’anima cosciente per mezzo della suggestione, ma venga anche smorzata e paralizzata la vera forza propulsiva dell’anima cosciente. Questa corrente è riuscita nel suo intento da diversi punti di vista; è riuscita ad addormentare l’anima cosciente che deve invece manifestarsi.

 

Parlando in immagini, si può dire che Roma usi l’incenso per addormentare a metà gli uomini, per farli sognare; la corrente alla quale ora alludo addormenta invece la gente, cioè la loro anima cosciente, proprio del tutto, e così questo fenomeno s’introduce anche storicamente nell’evoluzione dell’umanità moderna. Da un lato abbiamo quindi le conseguenze del tumultuoso apparire dei concetti di fraternità, libertà e uguaglianza, e dall’altro la tendenza ad impedire che gli uomini nel quinto periodo di civiltà vedano chiaramente come debbano essere afferrati i tre impulsi citati; perché infatti l’umanità vi riuscirà solamente se l’anima cosciente potrà venir usata per una giusta autoconoscenza, se gli uomini si risveglieranno nell’anima cosciente. Destandosi, essi si sentiranno nel corpo, nell’anima e nello spirito, realizzando cioè appunto quanto altri vuole evitare. Nella storia moderna abbiamo quindi due correnti: da un lato, pur seguendo l’impulso verso l’anima cosciente, si vuole realizzare fraternità, libertà e uguaglianza, ma in modo caotico; dall’altro lato, le più diverse sètte tendono ad impedire il risveglio dell’anima cosciente, affinché singole individualità possano usufruire di tale risveglio per sé medesime. Nella storia dell’epoca moderna queste due correnti s’intersecano di continuo.

 

Alla svolta fra il secolo XVIII e il XIX, subentra e si prepara qualche cosa di nuovo. Sin verso la metà del secolo XIX si ha una forte tendenza all’emancipazione dell’individuo – perché quando sono attive tante diverse correnti, come ho prima indicato, i fenomeni non sono mai semplici e progressivi, ma avvengono con continui flussi e riflussi. Vediamo così che dagli impulsi nazionali e dagli altri prima descritti, da tutti gli impulsi presenti nell’Europa occidentale, si sviluppa la tendenza all’emancipazione della personalità, muovendo da una base nazionale per arrivare all’umanità in generale. Questa evoluzione non può avvenire ordinatamente, perché è sempre presente la corrente avversa, rappresentata da quegli ordini che, specialmente in Inghilterra, ammorbano tutta la vita pubblica, molto più di quanto non si pensi. La evoluzione normale non può quindi aver luogo. Vediamo così affermarsi personalità notevoli, come un Richard Cobden e un John Bright che, da un lato, erano realmente afferrati dall’impulso verso l’emancipazione della personalità, verso il superamento del fattore nazionale per mezzo della personalità sopra tutta la terra; essi si spinsero così avanti da arrivare a sfiorare qualcosa che avrebbe potuto esser della massima importanza politica se una buona volta lo si fosse immesso nell’evoluzione storica moderna! Ma in modo differenziato a seconda dei diversi paesi… poiché essi naturalmente caratterizzarono soltanto per il loro paese questo principio del non intervento come principio fondamentale di un liberalismo. Sarebbe stato un principio importantissimo, ma non era neppure enunciato che fu subito soffocato dalla corrente avversa, quella proveniente dagli impulsi del terzo periodo di civiltà postatlantica. Sino alla metà del secolo XIX si afferma così in occidente ciò che vien comunemente chiamato « liberalismo », o atteggiamento liberale o progressista, o come meglio lo si voglia definire; quello, in ogni caso, che si formò con la massima precisione nel secolo XVIII come teoria politica, per affermarsi poi come corrente politica liberale nel corso del secolo XIX, ed infine per scomparire lentamente e morire nell’ultimo terzo dello stesso secolo.

 

L’atteggiamento liberale ancora esistente dappertutto intorno al 1860-70 andò poi man mano sparendo dalla realtà della vita, e comparve qualcos’altro. Arriviamo così ad altri importanti sintomi della storia moderna. Che cosa accadde infatti allora? Che per un certo tempo l’influsso dell’anima cosciente fece salire un’ondata, quella del liberalismo (vedi disegno).

 

 

Ma ciò che appare prima da un lato ha poi un andamento opposto dall’altro: e si ha così il contraccolpo al liberalismo. Cerchiamo di figurarci bene questa seconda parte del fenomeno (vedi freccia verso il basso). Il liberalismo si formò perché i suoi uomini rappresentativi si affermarono interiormente e combatterono contro i tentacoli del mondo, perché essi si liberarono da tutto il resto per dedicarsi agli ideali umanitari. La corrente opposta era però sempre presente nell’evoluzione dell’umanità moderna e a poco a poco attirò a sé le cosiddette idee liberali ancora così evanescenti. Già intorno alla metà del secolo XIX, nel cielo politico, le idee liberali erano senza speranze, e chi in seguito continuò a prospettarle dava più o meno l’impressione di essere politicamente un invalido. I partiti liberali del periodo successivo furono soltanto dei sopravvissuti, perché dalla metà del secolo XIX apparve sempre più evidente il risultato desiderato da quegli ordini e società segrete occidentali: cioè l’assopimento dell’anima cosciente come tale. L’animico e lo spirituale cessano allora di essere attivi, e agisce soltanto ciò che è presente nel mondo fisico-sensibile esteriore. E questo apparve nella storia moderna, dalla metà del secolo XIX in poi, come socialismo, cosciente di se stesso, in tutte le possibili forme.

 

Il socialismo, come allora apparve, può esser vivificato soltanto spiritualmente, ma non mai da uno pseudo-spirito, dalla maschera dello spirito o dal solo intelletto capace di afferrare unicamente le cose morte! Contro una tale scienza priva di vita lottò Lassalle agli inizi, ma in seguito Marx e Engels hanno appunto perfezionato questa scienza morta. Il socialismo nacque come teoria, e tende a divenire pratica, anche se in pratica esso nulla riuscì a concludere di buono, perché sempre rimase al livello della teoria; esso costituisce perciò uno dei sintomi più importanti dell’evoluzione storica nella umanità moderna. Occorre sempre tener presenti alcune cose caratteristiche ad esso legate.

 

Il socialismo moderno è caratterizzato da tre convinzioni fondamentali. Prima di tutto esso si basa sul materialismo storico, in secondo luogo sulla teoria economica del plusvalore, ed infine sulla teoria della lotta di classe. Ecco in sostanza le tre convinzioni fondamentali di milioni di uomini sparsi su tutta la terra: teoria della lotta di classe, principio economico sulla formazione del plusvalore, teoria del materialismo storico. Per poter meglio afferrare il valore dei sintomi cui qui mi riferisco come base per il nostro lavoro successivo, cerchiamo prima di tutto di chiarire che cosa sia il materialismo storico.

 

Il materialismo storico crede che tutto quanto avviene nel corso dell’evoluzione dell’umanità sia soltanto la conseguenza di impulsi esteriori e puramente materiali. Dato che gli uomini devono mangiare e bere, e di conseguenza procurarsi tutto quanto loro occorre a questo scopo, ne deriva che essi devono avere tra di loro dei continui scambi, e produrre quanto la natura non elargisce spontaneamente. Ed è questo che dà luogo in generale ad un’evoluzione umana. Se in una epoca qualunque nasce un Lessing, – e scelgo ora un qualsiasi nome noto – quali sono le ragioni che lo fanno apparire proprio come egli apparve nel secolo XVIII? perché sorge un Lessing? Il materialismo storico asserisce che dal secolo XVI in poi, e specialmente nel secolo XVIII, con l’introduzione dei telai, dei filatoi meccanici, eccetera, inizia e si produce una netta separazione fra la borghesia e il proletariato in via di formazione. Quest’ultimo quasi ancora non esisteva, ma era comunque latente nel sostrato del corpo sociale. In confronto alle precedenti corporazioni, nella vita economica dell’epoca moderna, la borghesia si era rafforzata. Ne consegue che, per il modo di vita della borghesia, per il fatto di avere gli operai sotto di sé e di non più riconoscere in modo giusto le corporazioni, per il modo di produzione e di distribuzione dei beni, adottato dalla borghesia, per tutte queste ragioni si generalizza un determinato modo di pensare che null’altro è se non una sovrastruttura ideologica, conseguenza del modo di produrre e di distribuire i beni, proprio della borghesia medesima. Tutto questo condiziona anche il modo di pensare. Chi è rimasto contadino, circondato dalla natura, chi vive assieme alla natura e non è un borghese, penserà in modo diverso, ma si tratterà sempre di un’ideologia, perché la base di tutto sarà sempre il modo di produzione e distribuzione dei beni. Per il fatto di vivere stipati in città, i borghesi pensano in modo diverso dai contadini; essi si allontanano dalla terra, non vedono più la natura, e per loro, di conseguenza, ogni rapporto diviene astratto. Diventano intellettuali, capaci di pensare a Dio soltanto in modo generale ed astratto, ma tutto ciò è la conseguenza del fatto che essi sono produttori di beni.

 

Io espongo la teoria in modo estremo, ma in certo senso è proprio così. Per il fatto che dal secolo XVI in poi si sono prodotti e distribuiti i beni in una certa maniera, si è formato un modo di pensare caratteristico, quale appare specialmente in Lessing. Egli è il rappresentante della borghesia, dietro la quale si sviluppa a fatica il proletariato. Allo stesso modo si possono spiegare, secondo il materialismo storico, Herder, Goethe, eccetera; tutto ciò è considerato sovrastruttura, mentre è realtà soltanto quanto proviene dalla concezione elementare materialistica, dalla produzione, lavorazione e distribuzione dei beni.

 

Questa è la concezione del materialismo storico. Se si vuole spiegare così anche il cristianesimo, occorrerà chiarire le modificazioni intervenute nei rapporti commerciali fra oriente e occidente all’inizio dell’èra volgare; occorrerà chiarire come si andassero allora trasformando i rapporti fra padroni e schiavi, e lo sfruttamento di questi ultimi; ed infine come, sopra tutto questo gioco economico, si sia sviluppata una sovrastruttura ideologica: questo sarebbe il cristianesimo. Gli uomini hanno cioè cominciato a pensare diversamente, perché avevano la necessità di produrre e procurarsi il cibo in modo diverso da prima. E dato che la trasformazione economica all’inizio dell’era cristiana fu del tutto radicale, avvenne pure una trasformazione altrettanto radicale nella sovrastruttura ideologica, che prese appunto il nome di cristianesimo. Questa è la prima parte delle convinzioni che si fecero strada in milioni di cuori umani, a partire dalla metà del secolo XIX.

 

Chi è rimasto legato al modo di pensare della borghesia non ha alcuna idea di quanto profondamente questa concezione sia penetrata nelle masse. Certo i professori che parlano delle idee nella storia e delle più svariate sfumature storiche hanno il loro pubblico, ma già ora tra i professori alcuni si sentono attratti verso il marxismo; tutti costoro però non trovano ascoltatori fra le masse. Oggi siamo peraltro nell’epoca dell’anima cosciente, e l’impulso dell’anima cosciente continua ad agire: la gente si sveglierebbe, se le fosse permesso. Certo, da un lato, si cerca di addormentarla, ma, dall’altro, molti, in mezzo al loro sonno, riescono a svegliarsi e, la loro attenzione non essendo polarizzata che sul mondo materiale, si costruiscono allora una storia materialistica. Ne derivano sintomi caratteristici.

 

Schiller, uno degli spiriti più nobili e più liberali, fu onorato e molto ammirato esteriormente; nel 1859, nel centenario della sua nascita, gli vennero pure elevati numerosi monumenti. Heinrich Deinhardt, vissuto a Vienna all’epoca della mia gioventù, in un suo magnifico scritto, fece il possibile per iniziare gli uomini al mondo ideale di Schiller, quale risulta dalle sue Lettere sull’educazione estetica dell’umanità. L’intera edizione di Heinrich Deinhardt andò però al macero; l’autore ebbe una volta un incidente stradale, credo venisse investito da un vagone ferroviario, cadde, si ruppe una gamba, ma non potè essere curato, non potè guarire, malgrado si trattasse di una lieve rottura, perché era troppo denutrito; non potè quindi sopravvivere. Si tratta soltanto di un sintomo del modo in cui il secolo XIX trattò chi voleva rendere Schiller veramente comprensibile, ed immettere le sue grandi idee nella coscienza dell’epoca. Certo si può dire che in tutti i campi esistono pure altri bei tentativi, è vero, e ne parleremo ancora, ma nella maggior parte dei casi essi sfociano in vicoli ciechi.

 

Questo è dunque il primo elemento delle convinzioni socialistiche; il secondo è la teoria del plusvalore. Essa sostiene che dal sistema moderno di produzione deriva la conseguenza che chi viene impiegato per produrre o trasformare dei beni, deve usare la sua forza vitale come forza di lavoro e metterla sul mercato come qualsiasi altra merce. Si formano così due classi di uomini: gli imprenditori e i lavoratori; i primi sono capitalisti e dispongono quindi dei mezzi di produzione, sono proprietari della fabbrica, degli utensili e di tutto quanto è necessario per la produzione. Questa è una delle categorie di persone, i datoti di lavoro, che dispongono dei mezzi di produzione. Vengono quindi gli operai che non hanno i mezzi di produzione e possono mettere sul mercato soltanto la loro forza di lavoro. Per la contrapposizione esistente fra il datore di lavoro e l’operaio, per il fatto che il datore di lavoro, proprietario dei mezzi di produzione, si trova di fronte l’operaio nullatenente che può mettere sul mercato soltanto la sua forza di lavoro, come conseguenza di questa situazione, è possibile ridurre al minimo la rimunerazione della merce lavoro, si noti bene della « merce lavoro ». La differenza, o plusvalore, resta al proprietario dei mezzi di produzione, all’imprenditore. La produzione, fatta per il mercato, per l’umanità, per il consumo, viene cioè ripartita in modo che l’operaio riceva soltanto una rimunerazione minima, mentre il rimanente va all’imprenditore sotto forma di plusvalore. Questa è la teoria marxistica, convincimento di milioni di uomini, ed è semplicemente la conseguenza di una ben determinata struttura economica che, nell’epoca moderna, è stata assunta dalla vita sociale. Ciò porta, alla fine, all’esistenza di sfruttatoti e di sfruttati. Cominciando dalla metà del secolo XIX, all’inizio in piccoli gruppi, poi in sètte, ed ora in milioni e milioni di uomini, in un continuo crescendo, queste concezioni hanno conquistato i cuori convincendoli che la convivenza sociale è basata soltanto sulla pura struttura economica. Sviluppando queste opinioni, è facile arrivare alla convinzione che la proprietà privata dei mezzi di produzione è la rovina per l’evoluzione di tutta l’umanità, che i mezzi di produzione devono essere di proprietà comune e che tutti i lavoratori devono poterli amministrare. L’espropriazione dei mezzi di produzione è quindi diventato l’ideale della classe lavoratrice.

 

In primo luogo è importante non fermarsi alle concezioni arrugginite e non corrispondenti alla realtà che mostrano di avere molti appartenenti alla borghesia che hanno continuato a dormire senza accorgersi dell’evoluzione moderna. Infatti molti rappresentanti arrugginiti della borghesia, rimasti in letargo durante gli avvenimenti degli ultimi decenni, hanno ancor oggi l’idea che ci siano in giro pochi socialisti e comunisti che vogliono spartire tutti i beni e renderli di proprietà comune. Costoro resterebbero cioè meravigliati nell’udire che è diffusa invece fra milioni e milioni di uomini una concezione minuziosamente elaborata ed acuta circa le cose da realizzare: e cioè la teoria del plusvalore, i cui inconvenienti possono essere eliminati soltanto mediante la socializzazione dei mezzi di produzione. Oggi qualsiasi agitatore socialista, o anche un qualsiasi modesto gregario, può farsi beffe di un rappresentante della borghesia che gli racconti delle aspirazioni di comunisti e socialisti, perché egli sa infatti che tutto dipende dalla socializzazione e dall’amministrazione collettiva dei mezzi di produzione. Oggi l’operaio vede i danni provocati dalla proprietà individuale dei mezzi di produzione, per il fatto stesso che chi non li possiede deve sottostare a chi li detiene. In sostanza cioè la lotta sociale dell’epoca moderna è una lotta per i mezzi di produzione; e lotta deve essere perché il terzo convincimento socialistico è che tutto quanto avviene è il risultato di una lotta. La borghesia si è affermata superando la nobiltà, e il proletariato si affermerà quando riuscirà a conquistare l’amministrazione dei mezzi di produzione, quando riuscirà a mettere da parte la borghesia, proprio come questa fece con la nobiltà. Si tratta sempre di lotta di classi; l’evoluzione dell’umanità consiste appunto, secondo socialismo e comunismo, nel superamento di una classe da parte di altre.

 

La lenta diffusione del movimento socialistico in tutto il mondo civile si basa proprio su questa triplice concezione: primo, che impulsi puramente materiali fanno progredire la umanità di epoca in epoca, mentre tutto il resto non è che sovrastruttura ideologica; secondo, che la vera rovina è il plusvalore, il quale può essere superato soltanto mediante l’amministrazione collettiva dei mezzi di produzione; terzo, che la socializzazione dei mezzi di produzione può esser raggiunta unicamente soppiantando la borghesia, come questa aveva fatto con la nobiltà. Un importante sintomo storico di questi ultimi anni è anche il fatto che i superstiti della nobiltà e della borghesia abbiano continuato tranquillamente a riposare sugli allori, prendendo al massimo per degli slogans la divisione dei beni o il comunismo, slogans di cui si parla a volte nelle note dei libri di storia, e spesso neppure in quelli. In altre parole non si vide che cosa stesse accadendo. Soltanto negli ultimi quattro anni, a fatica e sotto la sferza degli avvenimenti, alcune persone cominciarono a rendersi conto di che cosa nel frattempo si era sviluppato. E se non fosse intervenuta la guerra mondiale, chi sa come la gente avrebbe continuato a dormire senza preoccuparsi del fatto che ogni anno nuove migliaia di persone venivano conquistate dalle teorie socialistiche ora descritte! Forse nessuno si sarebbe accorto di camminare su di un vulcano. Certo è scomodo ammettere che si sta camminando su un vulcano; si cerca quindi di nasconderselo, ma non per questo si impediscono le eruzioni del vulcano e il seppellimento di chi danza su di esso.

 

Ecco così individuato un altro sintomo della storia più recente: questa convinzione socialistica, è ormai un fatto che agisce, e non soltanto una teoria. Non attribuisco valore alcuno alla solidità delle teorie di Lassalle o di Marx, ma molto invece all’esistenza di milioni di uomini che si prefiggono di realizzare quanto essi stimano essere un ideale, derivandolo dai tre punti ricordati. Si tratta di qualcosa diametralmente opposto alle aspirazioni nazionali che avevo indicato come base di ogni sviluppo nella storia moderna. Ma dal fattore nazionale si sono sviluppate cose d’ogni genere! Il programma del proletariato, pubblicato nel 1848 da Karl Marx e che contiene in sostanza i punti che ho prima indicato, termina con le note parole: « Proletari di tutti i paesi, unitevi! ». E in tutto il globo quasi nessuna riunione di socialisti viene chiusa senza un « viva » al socialismo internazionale, rivoluzionario e repubblicano; si tratta proprio di un principio internazionale. Accanto all’internazionale romana con le sue idee universali, appare così l’internazionale socialista. È un fatto, come lo è il gran numero di uomini in essa riuniti; ed è importante tenerlo presente.

 

Per poter dare domani una prima conclusione a questo studio dei sintomi dell’epoca moderna dobbiamo tener ben presente la strada che ci permetterà di seguire i sintomi stessi, in modo che essi ci mostrino dove poter far breccia per guardare entro la realtà. Accanto a tutto ciò altri uomini crearono problemi addirittura insolubili – occorre invece sviluppare il senso di come le cose si svolgono e si concretano. Abbiamo visto per esempio che nel secolo XIX si è tranquillamente sviluppata in Inghilterra la tendenza liberale e parlamentare, mentre in Francia tutto è stato più tumultuoso ed ingiustificato. Più si procede verso oriente, più si vede che il fattore nazionale vi viene introdotto, importato, come ieri ho accennato; per questo fatto sorgono però dei problemi storici insolubili, ed anche questo è un altro sintomo. Certo chi non riflette può stimare che ogni problema sia risolvibile. Guardando alla realtà e non soltanto alle astrazioni intellettualistiche, – perché per queste ultime tutto è risolvibile uno dei problemi insolubili venne creato in Europa nel 1870-71: il cosiddetto problema alsaziano. Certo gli uomini intelligenti lo possono risolvere: basta che uno dei due stati conquisti la regione vincendo l’avversario; cosa appunto che riguardo all’Alsazia si è a lungo cercato di fare da una parte e dall’altra. Oppure, se si rinunzia alla forza, si fa un plebiscito fra la popolazione, e la maggioranza decide. Queste sono soluzioni, sostengono gli intelligenti. Chi però non si limita ad osservare il breve periodo, ma al contrario considera che il tempo è un fattore reale della storia e che di conseguenza non è possibile accelerare i ritmi di maturazione di un fenomeno che potrà svilupparsi soltanto a poco a poco, in breve chi sta nella realtà sa che si tratta di un problema insolubile. Si esamini quanto è stato pensato, scritto o detto su questo argomento intorno al 1870 e subito dopo da chi voleva comprendere l’evoluzione europea. Già allora qualcuno poteva vedere come attraverso quegli avvenimenti si preparassero strane condizioni per il futuro europeo, come stesse per nascere in occidente l’impulso che avrebbe risvegliato tutto l’oriente. Allora già qualcuno sapeva che il problema slavo sarebbe stato posto nel mondo per il fatto che in occidente si voleva risolvere un problema in modo diverso da come lo si voleva risolvere nell’Europa centrale. Ora voglio soltanto accennare al problema e far presente che si tratta di un sintomo chiarissimo, analogo a quello della guerra dei trent’anni, della quale abbiamo parlato ieri, per far rilevare che nella storia un fatto successivo non è di necessità la conseguenza di uno precedente. Proprio la guerra dei trent’anni mostra che i problemi che l’avevano determinata erano rimasti esattamente gli stessi alla fine della guerra, mentre non esisteva al principio quanto essa aveva creato, vale a dire che non si può parlare di causa ed effetto. Questo è dunque un sintomo caratteristico, come quello relativo al problema dell’Alsazia. Per molti problemi dell’epoca moderna si potrebbe dire la stessa cosa: avvengono dei fatti che portano a qualche cosa d’insolubile, a sempre nuovi conflitti, conducono in vicoli ciechi della vita; è importante tenerlo presente. Avvengono cioè fatti che conducono a strade senza uscita, perché non tutti al mondo possono avere la stessa opinione, semplicemente a causa della diversa ubicazione in Europa dei singoli interessati. Tutto ciò porta in vicoli ciechi, ed è proprio un aspetto caratteristico dei sintomi storici moderni che gli uomini si creino situazioni tali da portare a problemi insolubili.

 

Abbiamo così esaminato tutta una serie di fatti caratteristici della moderna evoluzione dell’umanità: l’improduttività, il baluginare di idee collettive che nulla presentano di produttivo, come per esempio quella dei diversi impulsi nazionali e così via; e in mezzo a tutto ciò il continuo assalto dell’anima cosciente. Ora vediamo l’altra caratteristica, quella di cacciarsi sempre in strade senza uscita, perché infatti una gran parte delle cose che oggi vengono trattate o intraprese dagli uomini conducono in vicoli ciechi. Un’altra caratteristica è inoltre la tendenza ad attutirsi la coscienza per ciò che proprio come coscienza deve esser sviluppato. Nulla è infatti più caratteristico che l’attutimento della coscienza presso i cosiddetti ceti istruiti della popolazione sulle vere condizioni del cosiddetto proletariato. Tutti dormono di fronte alla reale situazione del proletariato, di cui si osserva tutt’al più la sola esteriorità. Le donne di casa si lamentano delle domestiche, perché non vogliono più fare una cosa o l’altra, ma non si preoccupano minimamente del fatto che oggi non soltanto gli operai in fabbrica, ma anche le domestiche sono già imbevute di teorie marxistiche. Si parla in generale delle più varie idee umanitarie, ma è soltanto retorica pura se non ci si occupa e preoccupa veramente del singolo. Per far questo è però necessario sapere quali siano le cose più importanti nell’evoluzione dell’umanità, per potersi poi dedicare realmente ai problemi.

 

Mi sono ora occupato del socialismo come sintomo, non per esporre una qualsiasi teoria sociale, ma per mettere in luce un altro sintomo dell’evoluzione della storia moderna.

Domani continueremo le nostre considerazioni per completarle e per arrivare alla realtà su singoli fatti della storia.