Pasqua, la festa dell’esortazione – II

O.O. 198 – Pasqua, la festa dell’esortazione – 03.04.1920


 

Ho parlato ieri di alcune caratteristiche del primo Cristianesimo e di come questo abbia ricevuto una sua configurazione attraverso Paolo. La ricorrenza dei giorni pasquali offre l’occasione a queste considerazioni.

Proprio perchè abbiamo visto che molti uomini “affetti” dal materialismo festeggiano oggi la Pasqua senza averne il diritto, si sarà presentato alla nostra anima il fatto che tale modo di considerare la Pasqua potrebbe anche già costituire una considerazione sui nostri tempi, se riusciamo ad essere coscienti della necessità di introdurre nell’Europa, la quale si sta oggi dirigendo a grandi passi verso la decadenza e, più genericamente, nell’attuale mondo civilizzato, una specie di epoca pasquale.

 

Ricordare il modo in cui il Cristianesimo si è introdotto nel mondo è già una considerazione pasquale giustificata, poiché proprio oggi è necessario capire che gli uomini si sono sempre più allontanati da una concezione essenziale del Cristianesimo e che ciò è stato in fondo la causa di tutto il resto, di cui abbiamo spesso discorso e che è in profonda relazione con i fenomeni di decadenza del nostro tempo.

Questi ci vengono incontro soprattutto quando ascoltiamo quanto dicono alcuni uomini, talvolta pieni di buone intenzioni.

 

Ieri avete potuto leggere uno strano articolo sul quotidiano “Balser Nachrichten” (Notiziario di Basilea) che può rattristare alquanto. Esso riferisce una lettera proveniente dalla Germania nord-occidentale. Colui che l’ha scritta, e al quale pare sia data ragione, fa notare che si fanno valere oggi dappertutto impulsi che predispongono semplicemente la distruzione del vecchio senza sostituirlo con il nuovo, e che tutti gli uomini, di destra o di sinistra, si abbandonano alle illusioni e lo fanno in realtà sempre volentieri. L’autore dell’articolo dice: “È proprio necessario che il bolscevismo sopraggiunga in Europa e che lo si attenda tranquillamente; costituirà certamente l’evoluzione giusta e quando gli uomini l’avranno conosciuto potrà nascere da questo senz’altro la cosa giusta”. L’autore aggiunge però alcune righe, alle quali bisognerebbe prestare attenzione e che il comune lettore normalmente si lascia sfuggire. Egli aggiunge: “Oggi bisogna rivolgersi a qualcosa di diverso dalle illusioni che si ritrovano sia a destra che a sinistra. Non bisognerebbe però prestare ascolto a quanto riferiscono alcuni sognatori, ma piuttosto a quelli che sono gli impulsi generali”.

 

Oggi persone piene di buone intenzioni sono in realtà persone difficili, poiché mentre si rendono conto che in fondo oggi le cose precipitano sempre più esse invitano, pur con grande pessimismo, a non prestare ascolto a coloro che tentano di uscire da questa preoccupante situazione. Quelle persone null’altro sono che i rappresentanti di una massa molto grande di uomini i quali, dopo un periodo di grande caos, si accontentano semplicemente del fatto che sia sopravvenuta un po’ di calma; essi infatti non si rendono conto che il sopraggiungere della calma non è assolutamente significativo e che gli eventi continueranno a precipitare fino a che un numero sufficientemente grande di persone non arriverà a capire che sull’infelice Europa deve passare un’ondata di rinnovamento spirituale. Altrimenti la situazione non potrà migliorare. Non è possibile proseguire in qualche modo sulle orme del passato, e tantomeno è possibile proseguire mediante compromessi, poiché i compromessi corrompono anche gli elementi nuovi che vogliono emergere.

Ci si può preparare con il sentimento alla disposizione d’animo che è necessaria in questo caso, volgendo lo sguardo indietro e vedendo il modo deciso con cui fu immesso nell’evoluzione della terra all’epoca della grande trasformazione un elemento assolutamente nuovo tramite personalità come Paolo, un elemento che continua a brillare pur essendo momentaneamente coperto da molta cenere.

 

Quello fu il momento che separò il vecchio, cioè il vecchio di cui ho parlato ieri, che consisteva per gli uomini nel vedere ovunque nella natura l’elemento divino-spirituale dal nuovo, anche se il trapasso non fu percettibile poiché si compì gradualmente. La possibilità di vedere l’elemento divino-spirituale, entrando nel modo di vedere degli uomini, si propagò anche nella visione dell’ordinamento sociale degli uomini, nella configurazione della vita collettiva, nella quale alcune personalità si distinsero come regnanti, come guide sacerdotali.

Non vogliamo ora considerare il modo in cui veniva regolata questa configurazione sociale dalla cultura dei misteri; essa veniva contemplata e regolata di conseguenza, come una cosa data, senza l’intervento dell’uomo, come cosa elargita in un certo senso, dallo spirito della natura.

Chi in virtù delle istituzioni di fatti particolari era il capo, veniva riconosciuto come tale, poiché si riteneva che attraverso di lui si esprimesse lo spirituale, con maggiore o minore intensità. Allo stesso modo in cui si coglieva l’elemento divino-spirituale nel sasso, nella montagna, nell’acqua e nell’albero, così lo si coglieva pure negli uomini.

 

Ho già detto in questa sede che nell’antichità era naturale considerare colui che regnava come un Dio, ossia come colui nel quale si manifestava veramente la divinità. Se gli uomini di oggi fossero anche solo un po’ più modesti e non introducessero il loro modo di vedere in quanto viene loro trasmesso dall’antichità, questo potrebbe venir compreso molto più facilmente. Oggi non si ha certamente un concetto reale del fatto che l’uomo è una divinità”. Nell’antichità invece si collegava a questa affermazione un concetto reale. Così come non ci si limitava all’osservazione della corrente di un ruscello, ma vi si scorgeva la divinità che colà si muoveva, così si scorgeva l’esplicarsi immediato dell’azione divina anche nella vita sociale degli uomini. La visione immediata del divino-spirituale andò poi via via scomparendo.

 

Riflettiamo ora su come l’uomo poteva ritrovare se stesso in un’immagine del genere; egli vi si poteva ritrovare poiché sapeva di essere posto nel mondo divino-spirituale, sapeva che il divino-spirituale vive là dove si trovano le cose sensibili e dove si trovano gli uomini, qui sulla terra. Questo l’uomo lo sapeva; sapeva di aver avuto origine dal divino-spirituale. “Sono nato da Dio, siamo tutti nati da Dio” era per lui un pensiero assolutamente naturale, poiché egli lo vedeva, era la conclusione delle sue osservazioni sensibili.

 

 

Al tempo in cui il mistero del Golgota doveva annunciare in modo nuovo il divino-spirituale, gli uomini non potevano più giungere ad una simile conclusione immediata, o vi potevano giungere sempre più difficilmente. Nei tempi antichi l’uomo poteva dire a se stesso: “Tutto ciò che vedo nel mondo mi mostra che le cose e gli esseri provengono dagli dei e che la loro esistenza non si esaurisce nella vita terrena”.

L’uomo aveva coscienza del carattere immortale del suo essere, poiché comprendeva la sua origine divina. La comprensione di un’esistenza spirituale anteriore alla nascita impregna veramente le antiche credenze pagane. Le caratteristiche attribuite oggi dalla scienza comune al paganesimo non sono in realtà altro che chiacchiere.

 

L’elemento essenziale dell’antico paganesimo, prima che esso giungesse alla decadenza, era costituito dal sapere che gli uomini possedevano di essere stati, prima di nascere, esseri animico-spirituali; la loro esistenza non si esauriva con la vita terrena.

Noi uomini possiamo essere certi della nostra immortalità, poiché veniamo da Dio ed egli ci accoglierà senz’altro di nuovo presso di sé. Tale era in definitiva il sapere che si aveva nell’antichità ed esso derivava dalla saggezza originaria.

Si può dire che esso venne concesso ad ogni popolo in una forma determinata, poiché era collegato ad una visione degli spiriti elementari, ad una visione del divino spirituale nelle cose sensibili che dipendeva nell’antichità dal sangue.

 

A seconda che l’uomo appartenesse ad una linea di sangue piuttosto che ad un’altra, ossia ad una stirpe o ad un’altra, a questo popolo o a quello, gli veniva data una forma particolare della saggezza originaria diffusa tra i popoli dei tempi antichi.

Il popolo giudeo costituì l’unica eccezione: se una particolare forma della saggezza originaria si unì al sangue di questo popolo, esso tuttavia si considerò il “popolo eletto”, il popolo che aveva una propria religione, una propria conoscenza tale da costituire la vera conoscenza dell’uomo-Dio.

• Mentre attorno ad esso i popoli pagani adoravano principalmente la divinità del proprio popolo,

• il popolo giudeo credeva di possedere il dio di tutta la terra.

Questa fu però una situazione di transizione.

 

Il modo in cui Paolo presentò la sua interpretazione del Cristianesimo era completamente avulso da tutto ciò che, attraverso il sangue, determinava il sapere umano, da ciò che nell’antichità aveva dovuto determinare il sapere umano.

Paolo fu infatti il primo a far valere il fatto che non più il sangue, non l’appartenenza ad un popolo ed alla sua comunità ed in genere non tutto ciò che aveva determinato il sapere in epoca precristiana, ma l’uomo stesso dovesse stabilire il suo rapporto con la conoscenza attraverso l’iniziativa interiore, tra coloro che Paolo chiamò cristiani, che dovesse sorgere una comunità fondata sull’adesione animico-spirituale, nella quale non si entrasse cioè per motivi di sangue ma della quale si facesse parte, in un certo senso, per scelta propria.

Fu necessario a Paolo fondare in questo modo particolare la comunità spirituale sulla terra, poiché si stava avvicinando il tempo in cui l’uomo avrebbe dovuto arrendersi al materialismo per ciò che riguardava la conoscenza terrena esteriore. L’uomo doveva arrivare alla coscienza del suo essere animico-spirituale, per la conoscenza terrena esteriore, non dall’osservazione sensibile dell’uomo terreno, ma per altre vie.

 

Nell’antichità bastava guardare l’uomo terreno negli occhi; attraverso tutto quanto egli portava in sé si manifestava ad un tempo l’aspetto animico-spirituale dell’uomo. Ora questo cessò. Si cercò di arrivare alla conoscenza dell’animico-spirituale per altre vie. Si doveva imparare, in altre parole, a capire il problema della morte.

Bisognava imparare a comprendere che quanto è possibile vedere dell’uomo qui sulla terra può dissolversi e disgregarsi in infinite parti, ma che vi è nell’uomo un essere che non è visibile nell’uomo sensibile e che appartiene al mondo spirituale.

 

Quanto univa gli uomini nella comunità cristiana non poteva più dunque dipendere dal sangue, poiché contro tale dipendenza sarebbe sempre sorta l’obiezione: se dunque gli uomini devono riconoscere la loro immortalità da ciò che viene determinato dal sangue, essa non può essere garantita. Può essere che agli antichi il sangue sia apparso tale da far trasparire l’essere animico-spirituale dell’uomo; ora però il sangue appare come elemento che dà vita a ciò che finisce con la morte.

• È necessario richiamare l’attenzione sull’animico-spirituale nella sua purezza se non si vuole rinunciare del tutto alla comprensione del problema della morte in senso non materialistico.

Paolo ebbe un impulso tanto forte a parlare alla gente dell’essere animico-spirituale soltanto perchè, attraverso l’evento di Damasco gli si era schiusa la realtà dell’essere soprasensibile.

 

Nell’antichità la conoscenza del soprasensibile, dell’animico-spirituale era legata al sangue:

il sangue, imponendo all’uomo la sua volontà, gli recava nel mondo sensibile la manifestazione dell’animico-spirituale.

Questo venne meno e divenne necessario che gli uomini si volgessero a qualcosa che non fosse connesso al sangue.

 

A ciò era collegato un grande pericolo, poiché agli albori di quell’epoca gli uomini per conoscere l’animico-spirituale tendevano ancora a riflettersi in qualche modo su se stessi. Nei tempi antichi era stata possibile la riflessione su se stessi perchè il sangue era il portatore della conoscenza soprasensibile. Ci si era abituati a vedere in se stessi il veicolo della conoscenza soprasensibile.

L’evento del Golgota rese possibile che ciò non fosse più necessario. Ma il corso generale dell’evoluzione proseguì ancora per un po’ di tempo in quella direzione e gli uomini che avevano questa abitudine, un tempo giustificata, nei confronti del loro sangue, la mantennero senza però avere più in sé il sangue santificato dal dio e vollero anche riconoscere il divino-spirituale attraverso ciò che, come il sangue, poggiava su se stesso.

 

Il pericolo che ne derivò consisteva in quanto segue ed è oggi importante che ciò venga chiarito.

Il sangue si riceve per discendenza, dalla nascita e a 25, 30, 35 anni si porta in sé il sangue avuto in eredità. Si riceve il sangue poiché si viene inseriti nel mondo dalle forze del cosmo. Se nel sangue vive la garanzia dell’essere animico-spirituale dell’uomo, allora si può fare affidamento su di esso.

Il sangue aveva però perduto a poco a poco la qualità di essere il veicolo del divino-spirituale, e gli uomini continuavano a voler trovare, come prima, in se stessi, la via al divino-spirituale soltanto per il fatto di essere nati; ma divenne loro sempre più diffide trovare la via al mondo spirituale per il solo fatto di essere nati.

Se infatti il sangue non porta nella nostra esistenza sensibile la certezza del soprasensibile, il nostro organismo non porterà son sé alcun rapporto con il soprasensibile. Accadde così che gli uomini volevano cercare il soprasensibile facendo affidamento in primo luogo soltanto su se stessi, ossia su tutto quanto essi portavano con sé nella vita terrena attraverso la nascita.

 

Nel Cristianesimo è invece insita l’esortazione a non fare affidamento su quanto si porta con sé nella vita terrena attraverso la nascita, ma a compiere durante l’esistenza terrena una trasformazione, a lasciare che l’anima si sviluppi, a resuscitare in Cristo, ad accogliere attraverso l’educazione, attraverso la vita terrena stessa ciò che non si è avuto dalla nascita.

Questo non poteva venir compreso tanto rapidamente. Perciò rimase fino al XV secolo un’eco dell’antica saggezza derivante dal sangue e rimase da allora l’abitudine di vedere il divino-spirituale in virtù della discendenza; alla fine però, nel XIX secolo, seguendo tale abitudine l’uomo non vide più il divino-spirituale ma ormai soltanto l’aspetto materiale.

 

Dal momento che l’uomo voleva ancora vedere il divino-spirituale soltanto attraverso il suo organismo, che non si era ancora modificato, egli giunse a non vederlo più e si ebbe nel XIX secolo la grande catastrofe, che consistette nell’abbandono degli uomini da parte degli dei, nel fatto che gli uomini cessarono di essere cristiani; soltanto allora, infatti, emerse definitivamente quanto prima era rimasto coperto dalla tradizione.

Fino agli inizi del protestantesimo si ebbe una tradizione cristiana. Ciò che gli apostoli, i loro seguaci e i padri della chiesa si raccontavano, mantenendo viva la tradizione, si ricollegava alla rivelazione del Golgota. La sopravvivenza di questa tradizione andò però via via spegnendosi; ma gli uomini non giunsero a farsi un’idea dell’evento del Golgota con le proprie forze. Si arrivò così al XV, XVI, XVII, XVIII, e XIX secolo e gli uomini perdettero il rapporto con la tradizione. Considerarono soltanto le Sacre Scritture. Con il Protestantesimo, si tenne conto soltanto delle Sacre Scritture: la tradizione era stata abbandonata.

 

Nel XIX secolo venne però meno anche la possibilità di comprendere in modo giusto le Scritture ed in fondo la maggior parte di coloro che oggi si professano cristiani, certamente non lo sono più. Soltanto nel XIX secolo, allorquando sorse l’esigenza di ritrovare la via all’evento del Golgota, si ebbe l’ultimo bagliore dell’elemento anticristiano, esistente naturalmente anche prima al di là dell’apparenza, ma rimasto per un certo periodo mascherato dalla tradizione e dalle scritture, fino agli inizi del Protestantesimo. Questo fenomeno cominciò a manifestarsi nel corso del XIX secolo ed ebbe la sua massima espressione agli inizi del XX secolo. Le Scritture e la tradizione non avevano più significato alcuno per la maggior parte degli uomini. Essi non avevano però ancora acceso la luce che li avrebbe portati di nuovo alla comprensione dell’evento del Golgota. Soltanto per questo fu possibile ancora nel XIX e XX secolo che fenomeni tra i meno cristiani coinvolgessero l’umanità.

 

I due sintomi meno cristiani si ebbero nel XIX secolo.

• Il primo di questi, che vediamo apparire lentamente nel XIX secolo conquistando sempre più l’animo degli uomini, è il sorgere del nazionalismo; si leva l’ombra del principio del sangue. In nome del nazionalismo si soffoca completamente il concetto cristiano dell’aspetto umano in senso universale, poiché non era ancora stata trovata una nuova via al senso cristiano di un’umanità universale.

L’elemento anticristiano si manifesta in un primo tempo nella forma del nazionalismo.

Nella coscienza della propria nazionalità rivive l’antico elemento luciferico del sangue. Vediamo nei nazionalismi del XIX secolo, la ribellione contro il Cristianesimo, che culminano alla fine nelle parole di Woodrow Wilson sul diritto di autodeterminazione dei popoli, mentre oggi l’unica realtà possibile sarebbe il superamento dei nazionalismi, la loro estinzione, e gli uomini dovrebbero venire conquistati da un sentimento per l’umanità in generale.

 

• Il secondo sintomo si manifesta nel fatto che gli uomini non vogliono arrivare alla conoscenza della realtà risvegliando in se stessi l’aspetto animico, ma semplicemente partendo dal riflesso materiale dell’anima.

È svanita la possibilità di vedere l’animico, ma l’uomo, in quanto essere che appartiene alla natura, è immagine del divino-spirituale, immagine che non può suscitare conoscenze spirituali, bensì conoscenze intellettuali.

Questo è il mistero di cui ho parlato più volte: gli uomini devono conoscere lo spirituale elevandosi verso di esso, ma in realtà lo strumento attraverso il quale si arriva oggi alla conoscenza intellettuale è il cervello.

Materialistico dovrebbe essere il modo di pensare sull’intellettualismo, poiché tutto quanto viene oggi pensato dalla scienza, dalla teologia, dalla coscienza cristiana che ci circonda è materialismo, cioè viene pensato dal cervello umano.

Da un lato stanno religioni ridotte a parole, dall’altro sta il bolscevismo, tanto distruttivo per l’umanità poiché costituisce soltanto un’adesione data dal cervello, dal cervello in senso materiale. Vi ho spesso illustrato che il cervello materiale costituisce in realtà un processo di decadenza.

 

• Possiamo sfuggire al materialismo

soltanto perchè nel nostro cervello sono continuamente in corso processi di distruzione e di morte.

 

Se applichiamo all’ordinamento sociale ciò che viene pensato nel leninismo o nel trotzkismo, ne deriva necessariamente un processo distruttivo, poiché i pensieri rivolti in questo modo all’ordinamento sociale derivano da ciò su cui è basata la distruzione, ossia dall’elemento arimanico.

Questi due fenomeni si sono presentati di fronte all’insieme degli elementi cristiani del XIX-XX secolo:

• il nazionalismo, ossia la conformazione luciferica dell’anticristianesimo,

• e ciò che culmina nel leninismo e nel trotskismo, ossia la configurazione arimanica dell’anticristianesimo.

Il nazionalismo e il leninismo sono le vanghe con cui si deve scavare la fossa al Cristianesimo. Ovunque si coltivino il nazionalismo ed il trotskismo, seppure in forma attenuata, si scava la fossa al Cristianesimo e regna un’atmosfera che appare, a chi la comprende, come un’atmosfera da Sabato Santo.

 

Colui che ha portato il Cristianesimo riposa nel sepolcro e gli uomini posano una pietra su di esso. Gli uomini hanno posto due pietre sul rappresentante del Cristianesimo: il nazionalismo ed il socialismo esteriore!

È ora necessario che l’uomo faccia sopraggiungere il tempo della domenica di Pasqua, il tempo in cui la pietra, o le pietre verranno levate dal sepolcro.

Il Cristianesimo non risorgerà però dalla tomba finché gli uomini non avranno superato il nazionalismo ed il falso socialismo, finché non avranno trovato in se stessi la via alla comprensione del mistero del Golgota.

 

Se gli uomini dalla disposizione dello spirito attuale si volgessero oggi alla fede in Cristo, dovrebbe apparire loro l’angelo (e sarebbe giustificato) e dire loro le stesse parole con cui rispose quando gli fu posta la domanda, al tempo del mistero: “Colui che cercate non è più sulla terra”. Allora egli non era più sulla terra perchè gli uomini, prima di poter arrivare ad una propria conoscenza del mistero del Golgota, dovevano orientarsi con la tradizione e le Sacre scritture. Oggi si presenta questa necessità poiché né le Scritture né la tradizione dicono più quanto è necessario sapere.

Questa conoscenza può venire all’uomo ormai soltanto dalla conoscenza umana originaria. Ed è necessario che giunga il tempo in cui l’angelo risponderà: “Colui che cercate è qui sulla terra”; ma egli non vi sarà finché non saranno scomparsi gli attuali impulsi anticristiani.

 

Paolo volle radunare gli uomini in una comunità con questa coscienza: l’immortalità è assicurata all’uomo attraverso la morte, “moriamo in Cristo”. Finché non si comprenderà che soltanto la conoscenza spirituale può veramente portare ad intendere le parole di Paolo, non si potranno neppure conseguire miglioramenti in campo sociale, ma si avrà soltanto una continua decadenza.

 

Alla luce del Cristianesimo bisogna anche comprendere

• che l’uomo deve venir educato alla conoscenza spirituale,

• mentre nell’antichità egli la possedeva sin dalla nascita.

 

Osservando le cose in questo modo ci si presenta ancora una volta la situazione attuale in tutta la sua gravità ed in particolar modo la necessità di lavorare affinché la nostra cultura venga spiritualizzata. Deve forse spezzarsi del tutto il ponte verso il mondo spirituale, in cui l’uomo deve pur entrare passando attraverso la soglia della morte, e nel quale egli deve trascorrere il tempo tra la morte ed una nuova nascita?

Riflettete che questo ponte verso il mondo spirituale viene spezzato dal nazionalismo e dal falso socialismo. Tenete conto del fatto che queste cose sono intimamente collegate alle necessità fondamentali del nostro tempo. Chi non riesce ad accostarsi a questi problemi e vuole rimanere nello stato di coscienza per cui nell’uomo si manifesta soltanto un processo materiale, parteciperà con tutte le sue forze all’avvento della decadenza. Oggi è infatti giunto il momento decisivo. Occorre decidere, ma lo può soltanto la libera volontà degli uomini.

Una volontà libera si può però conseguire solo sulla base di una vera conoscenza spirituale.

 

Al tempo in cui ebbe luogo il mistero del Golgota, si ebbe a Roma un periodo di incredibile tolleranza nei confronti di tutte le confessioni religiose. Ci si risolvette persino, a poco a poco, ad una certa tolleranza verso la religione ebraica, fatto che per lungo tempo non si era verificato. In Roma vi era molta tolleranza nell’epoca in cui il mistero del Golgota si introdusse gradualmente nell’evoluzione dell’umanità; si sviluppò sempre più intolleranza soltanto verso i cristiani, così come è divenuta oggi, di riflesso, intollerante ogni nazionalità nei confronti delle altre.

Le varie nazionalità imitano in realtà l’intolleranza dei romani verso il sorgere di una vera conoscenza spirituale, poiché tutto si ribella in un certo senso contro di essa. Oggi si stipulano alleanze veramente “graziose” tra il gesuitismo e gli elementi più radicali, benché esse non affiorino ancora alla superficie. Nel rifiuto della conoscenza spirituale i comunisti più radicali ed i gesuiti sono in definitiva completamente d’accordo. Anche questo ricorda l’intolleranza del mondo romano verso il Cristianesimo e sia allora che oggi questi fenomeni hanno la stessa origine. Sia allora che oggi essi sono in relazione con il fatto che in fondo gli uomini odiano lo spirito, lo odiano veramente.

 

Questo odio incosciente per lo spirito si riscontra fortemente sia nel nazionalismo sia nel falso socialismo. Basti farsi un’idea di cosa significhi oggi l’odio per lo spirito, di cosa significhi il nazionalismo! Nell’antichità il nazionalismo aveva un senso, poiché la conoscenza spirituale era collegata al sangue. Il fatto che gli uomini siano nazionalisti nel senso odierno della parola è completamente privo di senso, poiché la relazione di sangue non ha più alcun significato reale. Il significato che si attribuisce nel nazionalismo alla relazione di sangue è prodotto da un fantasticare, non è altro che un’illusione. Per questo gli uomini che si attaccano a simili cose non hanno alcun diritto di continuare a parlare della Pasqua, parlare della Pasqua è una menzogna, e la verità deve consistere nel fatto che l’angelo possa nuovamente, o soltanto ora, dire: “Colui che cercate è qui sulla terra”. Ma egli riconoscerà soltanto quanto è universalmente valido per tutti gli uomini.

 

Abbiamo oggi una situazione analoga a quella che si ebbe presso i romani, i quali erano intolleranti al massimo grado verso i cristiani. Cosa facevano infatti tutti gli altri, ad eccezione dei cristiani? Gli altri onoravano a parole, come un Dio, l’imperatore di Roma, gli facevano perfino voto di sacrifici. I cristiani non lo potevano fare, essi potevano riconoscere come loro re soltanto il Cristo Gesù di tutti gli uomini. Ritroviamo qui uno dei punti che hanno avuto uno sviluppo lineare fino ad oggi. Qui sta il punto, basta soltanto formularlo in questo modo: Che cosa ha in comune il singolo uomo, ad esempio in Inghilterra, con la formula di cui viene rivestito in Inghilterra ogni provvedimento “Nel nome di Sua Maestà la regina”? Se si volesse sostituire questa formula con la verità, ciò non sarebbe possibile. Che relazione esiste oggi tra ciò che può interessare un vero francese ed il nazionalismo di Clemenceau? Che menzogna il nazionalismo di Clemenceau! Cristiano sarebbe ammettere oggi a se stessi simili cose, ma oggi ammissioni del genere non vengono tollerate.

 

Vedete, arriviamo ora al punto in cui, nel profondo dell’anima umana prolifera la menzogna, e questa menzogna foggia le altre pietre – quella del nazionalismo e quella del falso socialismo – in un’unica pietra, che viene rovesciata sulla fossa e con la quale essa viene coperta. Rimarrà coperta fino a che gli uomini non giungeranno nuovamente alla verità, cioè alla conoscenza spirituale e, attraverso di essa, alla comprensione del Cristianesimo universalmente umano.

Prima di allora non vi sarà alcuna Pasqua, non sarà possibile sostituire in onestà il colore nero del lutto con il rosso pasquale; prima di allora questa sostituzione sarebbe una menzogna da parte dell’uomo. È necessario che si ricerchi lo spirituale e soltanto questa ricerca darà un senso all’attuale esistenza di uomini.

Proprio colui che comprende il corso dell’evoluzione dell’umanità fino a nostri tempi deve dare il giusto senso alle parole “Il mio regno non appartiene a questo mondo”.

 

Una speranza per il futuro si potrà riacquistare

soltanto aspirando a qualcosa che non appartiene a questo mondo.

 

Ma ciò si scontra in realtà fortemente con la comodità umana! È certo più comodo foggiarsi come ideali le vecchie abitudini e procurarsi così un’intima voluttà dell’anima, certamente più comodo che il dire a se stessi:

• “È necessario considerare la grande responsabilità verso il futuro degli uomini, a cui si attribuirà il giusto valore soltanto se si accoglierà, tra gli impulsi umani, quello dell’aspirazione alla conoscenza spirituale”.

La Pasqua dovrà dunque in base a quanto l’uomo dovrebbe oggi conoscere restare la festa dell’esortazione, invece di essere la festa della gioia.

 

Coloro cui sta veramente e sinceramente a cuore l’umanità

non dovrebbero pronunciare queste parole pasquali: “Cristo è risorto”,

ma dovrebbero piuttosto dire: “Cristo deve e dovrà risorgere”.