Volontà operante nel mondo dei sensi. Saggezza operante nel mondo del nascere e del perire.

O.O. 134 – Il mondo dei sensi e il mondo dello spirito – 28.12.1911


 

Sommario: Devozione alla vita universale. Volontà operante nel mondo dei sensi. Saggezza operante nel mondo del nascere e del perire. Il bene come principio creatore, il male come principio apportatore di morte.

 

Ieri siamo arrivati all’esame di quello stato animico che abbiamo designato come devozione, e che a tutta prima ci è apparso come il più alto degli stati d’animo che devono venir raggiunti se il pensare, se ciò che nel senso ordinario si chiama conoscenza, ha da penetrare nella realtà, se ha da mettersi in un qualsiasi rapporto con ciò che è veramente reale. In altre parole: un pensare che si è elevato agli stati animici in cui abbiamo fatto nostri anzitutto la meraviglia, poi quello che si può chiamare un riverente dedicarsi al mondo del reale, ed infine quello che chiamiamo « sapersi in saggia armonia coi fenomeni », un tale pensare non potrebbe giungere al reale se, dopo tutto ciò, non potesse elevarsi alla regione che si può chiamare lo stato animico della devozione.

 

Ebbene, questa devozione si può raggiungere soltanto se in maniera molto energica cerchiamo di metterci sempre di nuovo davanti agli occhi l’insufficienza del mero pensare, e se inoltre ci sforziamo di rendere in noi sempre più vivo ed energico il sentimento che continuamente ci dice: «Non devi affatto attenderti dal tuo pensiero che esso possa darti la conoscenza del vero; puoi soltanto attenderti che esso ti educhi ».

È straordinariamente importante sviluppare in noi il sentimento che il nostro pensiero ci educa. Se infatti mettiamo veramente in pratica questa massima fondamentale, supereremo molte cose in modo tutto diverso da come ordinariamente si crede di doverle superare.

Suppongo che non molti di voi abbiano studiato a fondo il filosofo Kant. Né ciò è necessario. Qui vogliamo dire soltanto che nel primo e più importante scritto kantiano, cioè nella sua Critica della ragion pura troverete sempre la dimostrazione da un lato pro, e dall’altro contro la stessa tesi. Prendiamo una proposizione: « Il mondo ha avuto, una volta, principio nel tempo ». Forse, sull’altra facciata dello stesso foglio, troverete scritta da Kant la proposizione: « Il mondo è sempre esistito dall’eternità ». Poi, per queste due proposizioni, delle quali è facile vedere che esprimono il preciso opposto l’una dell’altra, egli adduce valide dimostrazioni così per l’una come per l’altra.

Vale a dire, egli dimostra nello stesso modo che il mondo ha avuto un principio, e poi che il mondo non ha avuto un principio. Kant chiama queste: «antinomie», e vuol dimostrare così la limitazione della facoltà umana di conoscenza; vuol mostrare come l’uomo debba arrivare necessariamente a siffatte dimostrazioni tra loro contrastanti.

Certo, finché si ha l’opinione che mediante il pensiero, mediante l’elaborazione di concetti, ovvero mediante un lavoro di pensiero sulle esperienze, si possa arrivare alla verità, vale a dire all’accordo con una qualsiasi realtà obiettiva, finché ci si abbandona a quest’opinione, è effettivamente un affare molto serio se ci viene affermato che si può dimostrare una cosa, ma che si può dimostrare anche il suo contrario. In tal caso, come è infatti possibile giungere alla realtà per mezzo delle dimostrazioni?

Se invece ci siamo educati a riconoscere che appunto là dove si tratta di cose decisive il pensiero non risolve nulla circa al reale, se ci siamo energicamente educati a usare il pensiero solo come un mezzo per diventare più saggi, come un mezzo per prendere nelle nostre proprie mani la nostra educazione alla saggezza, allora non ci disturba più che una volta si possa dimostrare una cosa e un’altra volta un’altra, poiché allora si scorge ben presto che, appunto pel fatto che riguardo all’elaborazione dei concetti la realtà non ci può disturbare, appunto perciò noi possiamo liberissimamente lavorare nell’àmbito dei concetti e delle idee, ed educarci. Se continuamente noi dovessimo venir corretti dalla realtà, non avremmo nell’elaborazione dei concetti un mezzo di libera autoeducazione. Consideriamo bene il fatto che nell’elaborazione dei nostri concetti noi abbiamo un libero mezzo di autoeducazione, solo perché nella libera elaborazione dei concetti non veniamo mai disturbati dalla realtà.

 

Che cosa vuol dire: «non veniamo disturbati?». Che cosa sarebbe veramente questo « essere disturbati dalla realtà nella libera elaborazione dei concetti ? ».

Potremo presentarcelo un poco davanti all’anima se, a tutta prima come mera ipotesi (più tardi vedremo che non occorre ciò rimanga un’ipotesi), se, da prima solo ipoteticamente, contrapponiamo al nostro pensare umano il pensare divino. Allora si può dire: ▸ « Del pensare divino non possiamo a tutta prima formarci il concetto che anch’esso non abbia nulla a che fare col reale; del pensare divino (prendiamolo dunque per ora del tutto ipoteticamente) possiamo soltanto formarci il concetto ch’esso penetri davvero nella realtà».

 

Ebbene, da ciò consegue niente meno che questo:

• se l’uomo fa un errore nel suo pensiero,

è semplicemente un errore, un errore di logica, nulla di peggio.

• E se più tardi l’uomo si accorge d’aver commesso un errore, può correggerlo,

e con ciò ha fatto qualcosa per la sua autoconoscenza, si è reso più saggio.

Ma prendiamo il pensare divino:

• se il pensare divino pensa giustamente, qualcosa si crea,

• se pensa erroneamente, qualcosa viene distrutto, annientato.

 

Se dunque noi avessimo un pensare divino, per ogni idea falsa da noi concepita susciteremmo tosto un processo di distruzione, anzitutto nel nostro corpo astrale, quindi nel nostro corpo eterico e, partendo da questo, anche nel nostro corpo fisico; la conseguenza d’un concetto falso (se avessimo un pensare divino operante, se il nostro pensiero avesse a che fare con la realtà) sarebbe che noi, per così dire, susciteremmo nella nostra interiorità, in qualche parte del nostro corpo, come un piccolo processo di prosciugamento, di ossificazione.

Davvero in tal caso dovremmo commettere ben pochi errori, altrimenti assai presto l’uomo ne avrebbe fatti abbastanza da disseccare il suo corpo in modo che esso si dissolverebbe completamente; ben presto lo avrebbe rovinato, se avesse tramutato in realtà gli errori del suo pensiero. Effettivamente noi ci conserviamo nella realtà solo per il fatto che il pensiero non s’intromette nella realtà, che siamo preservati dall’intromissione del nostro pensiero nella realtà.

E così possiamo fare errori sopra errori nel nostro pensare: se più tardi li correggiamo, ci saremo educati da noi stessi, saremo divenuti più saggi, senz’avere però prodotto effetti disastrosi coi nostri errori.

 

Se ci compenetriamo sempre più della forza morale di un simile pensiero, allora giungiamo a quella devozione che finalmente ci porta a non più adoperare il pensiero, nei momenti decisivi della vita, per apprendere qualcosa intorno alle cose esteriori.

Ciò suona strano, e pare a tutta prima impossibile da effettuarsi. Eppure, se non lo possiamo effettuare in senso assoluto, lo possiamo però effettuare per certi riguardi. Noi uomini, così come siamo fatti, non possiamo disabituarci completamente dal giudicare intorno alle cose; noi dobbiamo giudicare, e ne vedremo il perché nel seguito di queste conferenze; vale a dire che, per vivere, per la pratica della vita, dobbiamo far qualcosa che propriamente non penetra fin nel profondo della realtà. Dobbiamo dunque giudicare; ma attraverso a una saggia autoeducazione noi dovremmo, di fronte ad ogni giudizio, creare in noi una certa prudenza nel tener per vero ciò che giudichiamo. Dovremmo incessantemente guardarci per così dire dietro le spalle, renderci conto che, dovunque applichiamo il nostro acume, noi andiamo a tastoni nell’incerto, e possiamo sbagliare.

 

Quest’affermazione colpisce duramente coloro che sono sempre sicuri di sé nella vita, che credono di non poter andare avanti se si trovano costretti a dubitare della giustezza del giudizio che essi applicano ad ogni evento, ad ogni fatto. Osserviamo un po’ la vita di molti uomini, e vedremo se, quando avviene qualcosa, il più importante per loro non sia il dire: ▸«A me pare così, a me pare cosà»; oppure, quando vedono qualcosa: «Questo mi piace, quest’altro non mi piace», e così via. Queste sono cose da cui, se non vogliamo essere tra questi « sicurissimi » della vita, se vogliamo davvero con la nostra vita animica avviarci verso la realtà, dobbiamo disabituarci.

 

Si tratta dunque di sviluppare uno stato d’animo che possiamo caratterizzare all’incirca con le parole: ▸« Io devo vivere, dunque devo giudicare; perciò mi servirò del mio giudizio in quanto la pratica della vita lo rende necessario, ma non in quanto voglio riconoscere il vero. In quanto voglio riconoscere il vero, mi guarderò sempre accuratamente dietro le spalle, e accoglierò sempre con una certa riserva qualsiasi giudizio io faccia ».

 

Ma come possiamo, in genere, arrivare a delle idee sulla realtà, se non dobbiamo giudicare? Sotto un certo riguardo l’abbiamo accennato già ieri: dobbiamo lasciar parlare le cose, sempre più dobbiamo contenerci passivamente di fronte alle cose e lasciare che esse rivelino i loro segreti. Molti errori si eviterebbero se gli uomini non giudicassero, ma lasciassero le cose rivelare i loro segreti.

In modo meraviglioso si può imparare da Goethe questo «lasciar parlare le cose»; appunto là dove vuole investigare la realtà, Goethe si proibisce di giudicare e vuole che le cose rivelino da sé i loro segreti.

 

Supponiamo un uomo che giudichi, e un altro che lasci dire alle cose i loro segreti. Possiamo renderci evidente il fatto mediante un esempio concreto. Chi giudica vede per esempio un lupo e lo descrive; poi trova che ci sono anche altri animali che hanno lo stesso aspetto di quel lupo, e in questo modo arriva al concetto generale del lupo. Quest’uomo può così arrivare al giudizio seguente: «In verità esistono solo singoli lupi; io formo nel mio spirito il concetto generale del lupo; il lupo come tale non esiste; solo singoli lupi esistono nel mondo».

Facilmente un uomo siffatto formerà il giudizio che si abbia da fare soltanto con esseri singoli, mentre ciò che si ha nel concetto universale, nell’idea, cioè l’immagine universale del lupo, non è nulla di reale. Un uomo che si formasse siffatte rappresentazioni metterebbe in moto esclusivamente la propria facoltà di giudicare.

Un altro, invece, che lasciasse parlare la realtà, come penserebbe circa quel quid invisibile del lupo che si trova in ogni lupo e che caratterizza al tempo stesso tutti i lupi? Egli direbbe a un dipresso : ▸ « Io paragono l’agnello con un lupo, o un certo numero di agnelli con un lupo; ora non voglio punto giudicare, ma voglio solamente lasciar parlare i fatti ». Supponiamo che la cosa si svolgesse in modo proprio evidente davanti a quest’uomo: «Il lupo mangia gli agnelli; dunque ciò che prima pascolava nei prati come agnello, è ora nel lupo e si è diffuso nel lupo ».

 

Lo strano è che appunto questo modo di guardare le cose ci mostra quanto sia reale la natura del lupo, perché il processo che si potrebbe seguire esteriormente potrebbe condurci al giudizio: «Se segreghiamo il lupo e non gli diamo da mangiare che agnelli, a poco a poco, in seguito al ricambio della materia, il lupo non avrà in sé null’altro che materia di agnelli ». Ma effettivamente esso non diventa mai un agnello, resta sempre un lupo. Questo ci mostra all’evidenza, se giudichiamo giustamente, che è un concetto irreale l’identificare la materia col lupo. Se ci lasciamo istruire dal mondo esteriore dei fatti, esso ci palesa che oltre a ciò che vediamo nel lupo come materia, al di là della materia, quel lupo è ancora qualcosa di veramente reale; dunque quello che non vediamo è qualcosa di supremamente reale, perché appunto quel quid, che non si esaurisce nel materiale, fa sì che il lupo, anche se si nutre di soli agnelli, non diventi un agnello ma resti un lupo. Soltanto il mero sensibile è passato dagli agnelli nel lupo.

 

È difficile capacitarci completamente di quale differenza passi tra il giudicare e il lasciarci istruire dalla realtà; ma se lo si è compreso, e quindi si adopera il giudizio soltanto per gli scopi della vita pratica, lasciandoci istruire dalle cose per accostarci alla realtà, allora si arriva à poco a poco allo stato d’animo che ci dice che cosa sia la devozione.

• La devozione è appunto quella disposizione dell’anima che non vuole investigare la verità per virtù propria, ma che attende ogni verità dalla rivelazione fluente dalle cose, che è capace di attendere, finché non sia matura ad accogliere questa o quella rivelazione.

• Il giudizio vuol giungere alla verità a qualsiasi gradino; la devozione non lavora per penetrare con violenza in questa o quella verità, ma lavora su se stessa, all’autoeducazione, e attende con calma finché, a un determinato grado di maturità, la verità penetri in noi attraverso le rivelazioni che vengono dalle cose stesse, compenetrandoci interamente.

Lavorare con pazienza alla saggia autoeducazione che ci vuol portare sempre più avanti, è lo stato d’animo della devozione.

 

 

Dobbiamo ora presentarci davanti all’anima i frutti di questa devozione.

Che cosa raggiungiamo per il fatto che col nostro pensare siamo progrediti dalla meraviglia, attraverso la venerazione, attraverso il sentirci in saggia armonia con la realtà, fino allo stato d’animo della devozione? Raggiungiamo alla fine che, se contempliamo il mondo vegetale nel suo verdeggiare e nella sua variopinta fioritura, se contempliamo l’azzurro del firmamento e l’aureo splendore delle stelle senza voler giudicarne da noi, ma lasciandoci rivelare ciò che le cose sono, se siamo riusciti a stabilire in noi questa devozione, allora le cose diventano per noi diverse da quello che erano prima nel mondo dei sensi, allora ci si rivela nel mondo dei sensi qualcosa per cui non c’è altro nome che una parola tratta dalla nostra vita animica stessa.

 

Tutte le cose si rivelano, e vorrei segnare con una linea di livello (a-b) appunto il mondo dei sensi quale si presenta davanti a noi (v. disegno). Supponiamo di stare dinanzi al mondo dei sensi, di guardare il mondo dei sensi che si stende come un velo davanti a noi. Ciò che quindi deve essere caratterizzato nella linea a-b siano i suoni del mondo sensibile che agiscono sul nostro orecchio, i colori e le forme che agiscono sul nostro occhio, gli odori e i sapori che agiscono sugli altri nostri organi, siano la durezza, la morbidezza e così via, sia tutto ciò caratterizzato in quella linea. Essa sia il mondo dei sensi. Nella vita ordinaria, così come siamo nel mondo dei sensi, applichiamo la nostra facoltà di giudizio.

 

Da che cosa hanno origine le scienze esteriori? Dal fatto che esse si accostano al mondo dei sensi e con diversi metodi investigano, per così dire, quali leggi dominino negli oggetti del mondo dei sensi, e altre cose simili. Da tutto lo spirito delle considerazioni fatte sinora, abbiamo veduto che, con questo mezzo, non si penetra nel mondo della realtà, perché il raziocinio non è una guida; che solo con l’educazione del pensiero attraverso la meraviglia, la venerazione e così via possiamo accostarci al mondo della realtà; allora tutto ciò che è mondo dei sensi si trasforma, allora il mondo dei sensi diventa qualcosa di totalmente nuovo. Ed è importante che arriviamo a questo « nuovo », se in genere vogliamo conoscere l’essere del mondo dei sensi.

 

Supponiamo che un uomo, il quale abbia sviluppato fino a un grado piuttosto alto il sentimento, la disposizione animica della devozione, si avvicini per esempio al fresco e intenso verde d’un prato.

Il prato, poiché nessun singolo colore vegetale spicca sul verde, gli si mostra da prima di un fresco verde generale. Un uomo che abbia veramente sviluppato in sé fino a un grado piuttosto alto la disposizione animica della devozione, nel contemplare quel prato non potrà far a meno di sentire qualcosa che desta nella sua anima il senso di un certo equilibrio; sarà un equilibrio vivificato, come il sommesso armonico scorrere eguale dell’acqua, ed egli non potrà far a meno di suscitarsi davanti all’anima quest’immagine. Così, quest’uomo non potrà far a meno di sentire nella sua anima, per ogni sapore, per ogni odore, come un’attivazione interiore.

 

Non c’è colore, non c’è suono che non dicano qualcosa; tutto parla, e parla in modo che l’uomo sente la necessità di rispondere a quel discorso con una mobilità interiore; non con un giudizio, ma con una mobilità interiore. Insomma, l’uomo si accorge che tutto il mondo dei sensi gli si rivela come qualcosa che egli non può designare altrimenti che come VOLONTÀ. Tutto, in quanto moviamo incontro al mondo dei sensi, è VOLONTÀ fluente, operante.

• Vi prego di afferrare molto bene l’idea che chi, in grado piuttosto alto, ha acquisito la devozione, scopre dovunque nel mondo dei sensi VOLONTÀ OPERANTE.

 

Perciò è un affare serio, per un uomo che abbia sviluppato in sé, anche in minimo grado, questa devozione, vedersi venir incontro per la strada qualsiasi impertinente colore di moda, perché egli non può far a meno di sperimentare interiormente come tale colore sia attivo di fronte a tutto ciò che è fuori nel mondo; egli è sempre collegato col mondo intero per mezzo di una volontà che sente in ogni cosa. E si accosta al reale appunto perché è collegato con la VOLONTÀ, con tutto ciò che è il MONDO DEI SENSI.

In tal maniera ciò che è il mondo dei sensi diventa come un mare di volontà differenziata nel modo più vario. Ne consegue che quel che altrimenti sentiamo soltanto come esteso intorno a noi, acquista una specie di spessore. Noi guardiamo, per così dire, dietro la superficie delle cose, udiamo ciò che sta dietro le cose, udiamo dovunque volontà fluente.

 

Per chi ha letto una volta Schopenhauer, osservo che Schopenhauer ha intuito questa volontà dominante, ma in modo unilaterale, solo nel mondo dei suoni; perciò egli descrive la musica in genere come effetto di volontà differenziata. Ma in verità,

per l’uomo devoto, tutto nel mondo dei sensi è volontà operante.

Quando poi l’uomo ha imparato a sentire dovunque nel mondo dei sensi la volontà operante, può procedere anche più oltre; allora può, per così dire, penetrare attraverso il mondo dei sensi ai misteri che stanno dietro il mondo dei sensi e che altrimenti gli sono a tutta prima inaccessibili.

 

Per comprendere quello che deve venire ora, dobbiamo anzitutto porre la domanda: ▸ « Per mezzo di che veniamo a sapere qualcosa del mondo sensibile ? ». Ebbene, la risposta è semplice: per mezzo dei nostri sensi. Per mezzo dell’orecchio sappiamo che esiste il mondo dei suoni; per mezzo dell’occhio sappiamo che esiste il mondo delle forme e dei colori e così via.

Attraverso i nostri organi sensori noi sappiamo del mondo sensibile.

• L’uomo che a tutta prima è di fronte al mondo dei sensi nel modo ordinario, lo lascia agire su di sé, e giudica.

• L’uomo devoto lascia il mondo dei sensi agire a tutta prima sui sensi; ma poi sente come dalle cose gli fluisca incontro volontà operante, come in certo modo egli nuoti insieme con le cose in un mare comune di volontà operante.

 

Quando di fronte alle cose l’uomo sente questa volontà operante, allora la sua evoluzione lo spinge, per così dire, quasi da sé a un gradino successivo; e poiché, prima di giungere alla devozione, egli ha passato tutti i gradi precedenti che abbiamo indicati: il sentirsi in armonia con la sapienza universale, la venerazione, la meraviglia; poiché tutte queste condizioni agiscono insieme nella condizione della devozione raggiunta per ultimo, egli acquista ora la possibilità di unirsi in certo modo con le cose anche col suo corpo eterico, col corpo eterico che sta dietro al corpo fisico.

 

Nella volontà operante l’uomo si unisce anzitutto con le cose mercé i suoi organi sensori, vale a dire col corpo fisico. Quando noi vediamo, udiamo, fiutiamo le cose, questo avviene in modo che, se siamo uomini devoti, noi sentiamo la volontà operante in noi fluire attraverso il nostro occhio e il nostro orecchio, sentiamo noi stessi in corrispondenza con le cose. Ma dietro all’occhio fisico sta il corpo eterico dell’occhio, e dietro l’orecchio fisico il corpo eterico dell’orecchio.

 

Noi siamo tutti compenetrati dal nostro corpo eterico.

E come il corpo fisico, per mezzo della volontà operante, si unisce con gli oggetti del mondo dei sensi, così anche il corpo eterico può unirsi con essi.

Ma quando il corpo eterico si unisce con le cose, l’uomo riceve un nuovo modo di visione, un modo del tutto nuovo. Il mondo ci appare allora trasformato in misura assai maggiore di quanto appaia trasformato quando dall’apparenza sensibile procediamo alla volontà operante. Allorché, per così dire, ci uniamo con le cose per mezzo del nostro corpo eterico, le cose del mondo, quali sono, fanno su di noi un’impressione tale che noi, nelle nostre rappresentazioni, nei nostri concetti, non possiamo lasciarle così come sono; esse si mutano per noi mentre entriamo in relazione con loro.

 

Prendiamo un uomo che sia passato attraverso lo stato d’animo della devozione.

Egli contempla, diciamo, una foglia verde e viva, e rivolge ora lo sguardo della sua anima su quella foglia; ebbene, egli non può lasciare com’è quella verde e viva foglia; ma, nel momento in cui la guarda, sente che la foglia cresce al di là di se stessa; sente che quella verde e viva foglia ha in sé la possibilità di diventare qualcosa del tutto diverso. Guardando una foglia verde, si sa che se a poco a poco cresce verso l’alto, da essa si forma poi il petalo colorato. L’intera pianta è veramente una foglia trasformata. Possiamo porci il processo davanti all’anima già studiando le indagini di Goethe sulla natura. Insomma, chi contempla in questo modo una foglia, vede che la foglia non è ancora finita, che essa vuole andare al di là di se stessa; vede più di ciò che la foglia verde gli mostra. Egli viene toccato dalla foglia verde in modo da sentire in se stesso come una vita germogliante. Così concresce con la foglia verde, e sente la vita germogliante.

Supponiamo invece che egli contempli una secca scorza d’albero; egli non potrà concrescere con essa altrimenti che sentendosi assalire da un senso di morte. Vedrà nella secca scorza d’albero meno di ciò che essa rappresenta in realtà. Chi guarda la scorza solo secondo l’apparenza sensibile, potrà ammirarla, potrà provarne piacere, ma ad ogni modo non vede, di fronte alla secca scorza d’albero, quel che essa ha di raggrinzante, quel che s’infigge per così dire nell’anima, così da riempirla di pensieri di morte.

• Non c’è nulla al mondo di fronte a cui, in un siffatto unirsi del corpo eterico con le cose, non nasca ovunque il senso del crescere, del divenire, del germogliare, oppure il senso del deperire, del decomporsi. Così si giunge a guardare entro le cose.

 

• Supponiamo per esempio un simile uomo devoto che continui poi ad educarsi, e che rivolga in qualche modo la sua attenzione alla laringe umana; allora, essa gli apparirà in modo singolare, come un organo che si trova del tutto al principio del suo divenire, che ha un grande avvenire davanti a sé; lo si sperimenta immediatamente per ciò che la laringe stessa esprime come propria verità. Essa è come un seme; non come un frutto o come qualcosa che sta per disseccarsi, bensì come un seme.

E una volta (lo si apprende subito da ciò che la laringe stessa esprime) dovrà venire un momento per l’evoluzione umana in cui la laringe sarà totalmente trasformata, in cui sarà tale che, mentre attualmente l’uomo è in grado di generare da sé soltanto la parola, allora genererà l’uomo intero. La laringe è il futuro organo di generazione, di nascita.

 

• Come l’uomo attualmente, per mezzo della laringe, produce la parola, così la laringe è il germe, l’organo-seme che in avvenire si svilupperà in modo da produrre l’uomo intero quando sarà spiritualizzato. Ciò viene espresso immediatamente dalla laringe, se noi ci lasciamo dire da essa che cosa essa sia. Altri organi del corpo umano ci mostrano di aver superato da lungo tempo il loro culmine; noi vediamo che in avvenire non si troveranno più nell’organismo umano.

Ad una siffatta contemplazione si impone immediatamente la visione di un divenire nel futuro e di un perire nel futuro.

 

Vita germogliante e distruzione-morte, sono i due fatti che s’incontrano e s’intrecciano in ogni cosa, allorché noi giungiamo a questo unirsi del nostro corpo eterico col mondo della realtà. Quando l’uomo progredisce un poco, ciò significa per lui una prova molto grave, perché ogni essere gli si annuncia in maniera che sempre, di fronte a certi aspetti di quell’essere, egli ha il sentimento del germogliare, del divenire, e di fronte ad altri aspetti dello stesso essere ha il sentimento del deperire, del morire. Ogni cosa che noi vediamo dietro il mondo dei sensi si annuncia attraverso queste due forze fondamentali. Quello che così si contempla, si chiama in occultismo « il mondo del nascere e del perire ». Di fronte al mondo dei sensi si penetra dunque con lo sguardo nel mondo del nascere e del perire, e ciò che vi sta dietro è la saggezza operante.

 

Dietro alla volontà operante, la saggezza operante!

Ho detto espressamente saggezza operante, per la semplice ragione

che la saggezza che l’uomo introduce ordinariamente nei suoi concetti non è saggezza operante,

ma saggezza pensata.

 

• La saggezza che l’uomo si appropria quando penetra con lo sguardo dietro la volontà operante è collegata con le cose; e nel mondo delle cose, là dove regna saggezza, regna la saggezza operante che estrinseca veramente i suoi effetti, che esiste realmente. Là dove, per così dire, essa si distacca dalla realtà, là comincia il morire; dove invece essa fluisce, là comincia il divenire, là è il nascere, il crescere, la vita germogliante.

Vedete, il mondo che stiamo ora contemplando e che possiamo per così dire caratterizzare come secondo mondo, possiamo delimitarlo e dire: noi guardiamo anzitutto al mondo dei sensi: A, e poi al mondo della saggezza operante che sta dietro al mondo dei sensi: B (v. disegno a pag. 21).

 

Da questo è tolta la sostanza del nostro stesso corpo eterico; vale a dire che

• scorgiamo nel nostro corpo eterico la saggezza operante che vediamo là fuori.

• E nel nostro corpo fisico non scorgiamo soltanto ciò ch’è l’apparenza dei sensi, ma anche la volontà operante poiché dovunque, nel nostro mondo sensibile, noi vediamo volontà operante.

 

Certo è singolare il fatto che, se siamo uomini devoti, se ci avviciniamo ad un’altra persona e la guardiamo, il colorito del suo volto, sia esso rossiccio, giallastro o verdognolo, non ci appare soltanto rossiccio, giallastro o verdognolo, ma anche tale che noi quasi ci uniamo col colore delle sue guance, ci immedesimiamo con la realtà, e sentiamo in noi la volontà operante; vale a dire che, attraverso il colorito di una persona, sentiamo balzarci incontro tutto ciò che in lei vive e trama.

 

Gli uomini che sono disposti in modo da badare specialmente al colorito rosso, diranno che una persona dalle guance rosse è l’unica che sia sana. Ci poniamo cioè di fronte all’uomo stesso in modo da vedere in lui questa volontà operante, e possiamo allora dire che il nostro corpo fisico, indicato schematicamente con un circolo (v. disegno a pag. 21) è tolto dal mondo A; dal mondo della volontà operante è tolto il corpo fisico! Invece il nostro corpo eterico, indicato col secondo circolo, è tolto dal mondo della saggezza operante, dal mondo B. Qui abbiamo dunque caratterizzato la connessione tra il mondo della saggezza operante, che si estende fuori, e il nostro proprio corpo eterico, e tra il mondo della volontà operante, che si estende fuori, e il nostro proprio corpo fisico.

 

Ebbene, per la vita ordinaria è stata sottratta all’uomo la forza di sapere che effettivamente esiste una connessione tra l’uno e l’altro. Vedete che come ho disegnate le cose, esiste una connessione immediata tra il mondo esteriore dei sensi e il nostro corpo fisico, e tra il mondo della saggezza operante e il nostro corpo eterico. Ci sono delle connessioni, ma sono sottratte all’uomo, ed egli non può avere su di esse alcun influsso. Come mai non può avere su di esse alcun influsso? Vi è infatti un momento in cui i nostri pensieri e tutta la nostra vita, la vita del raziocinio che sviluppiamo nell’anima, non sono così innocui per la nostra propria realtà, come nella vita quotidiana.

Nella vita quotidiana, nella vita di veglia, spiriti buoni hanno provveduto affinché i nostri pensieri non agissero troppo dannosamente sulla nostra propria realtà; ci hanno sottratto il potere che i nostri pensieri potrebbero esercitare sul nostro corpo fìsico e sul nostro corpo eterico; senza di ciò le cose andrebbero assai male nel mondo.

 

• Se i pensieri, lo accentuo ancora una volta, significassero veramente nel mondo dell’uomo ciò che propriamente significano quali pensieri divini nella verità, l’uomo con ogni suo errore produrrebbe un piccolo processo di necrosi nel suo interno e presto sarebbe disseccato. E quali effetti non produrrebbe poi una bugia! Se con ogni bugia l’uomo dovesse abbruciare la corrispondente parte del cervello, come dovrebbe accadere se potesse intromettersi nel mondo della verità, vedrebbe allora quanto poco resisterebbe il suo cervello! Spiriti buoni hanno per così dire sottratto alla nostra anima il potere sopra il corpo eterico e il corpo fisico. Ma ciò non può essere sempre.

• Se cioè noi continuassimo a non esercitare dalla nostra anima alcun influsso sui nostri corpi fisico ed eterico, ben presto le forze esistenti nei nostri corpi fisico ed eterico sarebbero esaurite, e la durata della nostra vita sarebbe assai breve perché, come vedremo nel corso ulteriore di queste conferenze, appunto nella nostra anima stanno le forze che devono di nuovo penetrare nei nostri corpi fisico ed eterico, le forze di cui abbisogniamo nel nostro corpo eterico.

 

Perciò, in dati tempi, correnti di forza devono fluire dalla nostra anima nel corpo eterico e nel corpo fisico. Ciò avviene appunto durante la notte, quando dormiamo. Allora dall’universo, per la via dell’io e del corpo astrale, fluiscono le forze che ci occorrono per eliminare la stanchezza. Allora vige effettivamente quella vivente connessione tra il mondo della volontà e il mondo della saggezza e il nostro corpo fisico ed eterico, poiché là, dentro quei mondi, si dileguano durante il sonno il corpo astrale e l’io, e là dentro formano dei centri di attrazione per le sostanze che ora devono penetrare dal mondo della saggezza nel corpo eterico e dal mondo della volontà operante nel corpo fisico. Ciò deve accadere durante la notte.

 

Se durante questo processo l’uomo fosse veramente cosciente, si vedrebbe come si svolge questa penetrazione! Se l’uomo in generale fosse cosciente, coi suoi errori, i suoi vizi e con tutto il male ch’egli compie nel mondo, si produrrebbe un singolare apparato di presa per le forze che devono penetrare dall’universo. Orribili distruzioni dovrebbero avvenire nel corpo eterico e nel corpo fisico a cagione di ciò che l’uomo col suo io e col suo corpo astrale introdurrebbe nel suo corpo fisico e nel suo corpo eterico, dal mondo della saggezza operante e dal mondo della volontà operante.

 

Perciò, anche qui, spiriti buoni hanno provveduto affinché noi non potessimo essere coscientemente presenti quando, nella notte, la giusta forza deve penetrare nel nostro corpo fisico ed eterico. Per questo stato hanno cioè smorzato la coscienza dell’uomo durante il sonno per impedirgli di guastare, mediante i suoi pensieri che in tal caso sarebbero operanti, ciò che altrimenti senz’alcun dubbio egli guasterebbe.

È appunto questo che, nel salire ai mondi superiori, nel percorrere il sentiero della conoscenza, ci procura i massimi dolori, se noi lavoriamo a fondo. Troverete descritto nel mio libro L’iniziazione come, per così dire, la vita notturna, la vita del sonno, venga in certo modo presa in aiuto per salire dal mondo della realtà esteriore nei mondi superiori.

• Quando l’uomo, dal mondo dell’immaginazione, comincia a illuminare la sua coscienza di sonno e la compenetra di conoscenza, di esperienze, deve effettivamente cercare di eliminare se stesso, per togliere dalla sua coscienza, nel giusto modo, tutte le fonti di distruzione per il suo corpo fisico e per il suo corpo eterico.

Appunto ciò provoca la necessità di conoscerci veramente in modo ben preciso quando vogliamo salire nei mondi spirituali.

 

Chi si conosce proprio bene, cessa per lo più di amarsi;

l’amore per noi stessi viene meno, quando cominciamo a conoscerci.

 

È l’amore di sé, che sempre esiste nell’uomo non ancora giunto all’autoconoscenza, (è sempre un’illusione se qualcuno crede di non amare se stesso; egli si ama più di ogni altra cosa al mondo), questo amore di sé l’uomo deve averlo superato per poter mettere da parte se stesso. Effettivamente in quest’ascesa noi dobbiamo metterci in grado di dirci: «Quale sei devi metterti da parte».

 

In proposito si è già fatto molto divenendo uomini devoti.

Ma non ci si deve assolutamente amare.

 

Occorre sempre avere la possibilità di sentire:

• «Devi metterti da parte perché, se non riesci a mettere da parte ciò che di solito puoi amare in te stesso: gli errori, le piccinerie, i pregiudizi, le simpatie e antipatie che hai in te, se non puoi mettere da parte tutto ciò, la tua ascesa procederà in modo che, a cagione dei tuoi errori, pregiudizi, piccinerie e così via, certe forze si frammischieranno in ciò che deve penetrare in te affinché tu possa raggiungere la chiaroveggenza. Esse fluiranno allora nel tuo corpo fisico e nel tuo corpo eterico, e in tal caso vi saranno tanti errori e altrettanti processi di distruzione ».

 

• Finché nel sonno non abbiamo coscienza, finché non possiamo salire nel mondo della chiaroveggenza, spiriti buoni ci proteggono affinché le correnti che fluiscono dal mondo della volontà operante e dal mondo della saggezza operante possano penetrare nel nostro corpo fisico e nel nostro corpo eterico.

• Quando invece noi innalziamo la nostra coscienza nel mondo della chiaroveggenza, nessuno spirito ci protegge più (perché la protezione che essi ci dànno consiste appunto nel fatto di toglierci la nostra coscienza), e allora noi stessi dobbiamo eliminare tutto ciò che è pregiudizio, simpatia, antipatia e così via.

 

• Dobbiamo mettere da parte tutto ciò, perché se abbiamo in noi ancora qualche egoismo o desiderio personale, se siamo in condizione di formulare questo o quel giudizio partendo da sentimenti personali, tutte queste cose sono ragioni per le quali noi danneggiamo la nostra salute, cioè il nostro corpo fìsico e il nostro corpo eterico, quando ci sviluppiamo per ascendere nei mondi superiori.

È importantissimo che noi riconosciamo nettamente tutto ciò.

 

Perciò possiamo accogliere in noi la persuasione di quanto sia importante che nella vita ordinaria, durante il giorno, venga tolta la possibilità all’uomo di esercitare qualche influsso sul suo corpo fisico e sul suo corpo eterico, per il fatto che i nostri pensieri, quali noi li concepiamo quando ci troviamo entro il nostro corpo fisico e il nostro corpo eterico, non hanno nulla a che fare con la realtà, sono inefficienti, e per conseguenza non possono nemmeno essere decisivi nei riguardi della realtà.

Di notte sì, possono essere decisivi.

Ogni pensiero errato distruggerebbe il corpo fisico e il corpo eterico.

 

Tutto ciò che ora è stato descritto ci apparirebbe davanti agli occhi: il mondo dei sensi ci apparirebbe come un mare di volontà operante, e dietro ad esso ci apparirebbe, come operante attraverso quella volontà e sferzando quella volontà sia verso l’alto sia verso il basso, la saggezza che edifica il mondo; ci apparirebbe in modo da suscitare continuamente, col suo batter d’onda, i processi del sorgere e del perire, del nascere e del morire.

• Questo è il mondo del vero nel quale così penetriamo con lo sguardo:

il mondo della volontà operante e il mondo della saggezza operante.

 

• Quest’ultimo è però il mondo del sorgere e del perire, delle continue nascite e delle continue morti. Questo appunto è il mondo che è nostro e che è estremamente importante conoscere poiché, se una volta lo si conosce, si comincia effettivamente a trovare un mezzo importante per portare la nostra devozione a gradi sempre più alti; perché ci sentiamo intrecciati in continue nascite e in continue morti, e perché veniamo a sapere che, con ogni cosa che facciamo, noi ci collochiamo in certo modo entro questo processo del nascere e del morire. Ciò che è buono diventa allora per l’uomo qualcosa di cui egli non soltanto dice che è buono e lo riempie di simpatia.

 

No, ora comincia a sapere che il buono, cioè il bene, nell’universo è qualcosa di creativo,

e significa dovunque il mondo del divenire.

E del male l’uomo sente dovunque che è come un’emanazione di distruzione.

• Questo è un importante trapasso ad una nuova concezione del mondo, nella quale non si potrà più sentire il male altrimenti che come l’angelo della morte che percorre il mondo, e in cui il bene non si potrà sentire altrimenti che come il creatore di continue nascite universali, in grande e in piccolo.

 

L’uomo che comprende quello che così può essere detto, trarrà dalla scienza dello spirito il presentimento di come egli possa, per mezzo di questa concezione spirituale, approfondire la sua concezione del mondo; egli giungerà infatti a sentire immediatamente che il mondo del bene e il mondo del male non sono soltanto quelli che ci si presentano nella maya esteriore, dove col nostro giudizio noi veniamo soltanto a collocarci di fronte al bene e al male, non trovando null’altro se non che l’uno ci è simpatico e l’altro antipatico. No, il mondo del bene è il mondo delle forze creative, e il male è l’angelo sterminatore che percorre il mondo con la sua falce. Facendo il male, noi aiutiamo l’angelo sterminatore, prendiamo in mano noi stessi la sua falce, e partecipiamo ai processi di morte e di distruzione.

 

Le idee che noi accogliamo su base spirituale

hanno un’azione vivificante su tutta la nostra concezione del mondo.

Questo è il forte elemento che l’umanità deve accogliere, a partire dall’epoca presente

per la futura evoluzione della civiltà, perché gli uomini ne avranno bisogno.

 

Finora per gli uomini hanno provveduto spiriti buoni;

ora invece è venuto il tempo della nostra quinta epoca di civiltà postatlantica

in cui i destini dell’uomo, il bene e il male, devono più o meno esser posti di nuovo nelle sue proprie mani.

Per questo è necessario che gli uomini sappiano che cosa significa il bene come principio creatore,

e che cosa significa il male come principio apportatore di morte.