Risposte a domande dopo la conferenza

O.O. 332a – Cultura, politica, economia – 26.10.1919


 

Signor Bosshardt: Nella conferenza del Dr. Steiner mi è sembrata carente la trattazione del diritto penale nell’ordine sociale. Non l’ha illustrata a sufficienza. A mio parere tuttavia essa è la quintessenza del diritto e oggi che si parla tanto di diritto ci si può occupare anche del sistema penitenziario della democrazia. Gradirei una risposta del Dr. Steiner in merito a quello che deve succedere dopo che la sentenza penale è stata pronunciata, e soprattutto su com’è la pena al giorno d’oggi e come dovrebbe essere. Che cosa c’è di giusto nel sistema penitenziario odierno? E come dovrebbe essere la pena?

 

Rudolf Steiner: Cari ascoltatori! Ci sono anche altre domande fatte per iscritto.

 

La prima è questa:

Com’è possibile regolamentare la vita economica per mezzo di un diritto stabilito autonomamente?

 

Cari ascoltatori, bisogna tener conto di quanto è diverso l’organismo triarticolato qui proposto da quello che si trova nello stato platonico come articolazione degli uomini di un organismo sociale in tre classi – lavoratori, guerrieri e magistrati.

Fra i fraintendimenti di vario genere mi è capitato anche di sentir dire: «Sì, questa triarticolazione in un organismo culturale, giuridico o statale ed economico non è che un riproporre il principio platonico della classe dei governanti-filosofi come organismo culturale, di quella dei guerrieri-custodi come organismo statale e giuridico, e di quella dei lavoratori-artigiani come organismo economico».

Non è affatto così, bensì l’esatto contrario. La triarticolazione dell’organismo sociale comporta la separazione delle amministrazioni dei rispettivi settori della vita umana, non la divisione degli uomini in classi. Qualcosa di distinto dall’uomo, e cioè l’amministrazione delle istituzioni, si articola in tre elementi che devono interagire proprio per mezzo dell’uomo vivente. L’uomo in carne e ossa è ben inserito in tutti e tre questi ambiti.

 

Vedete, a poco a poco è sorta nell’umanità la coscienza che sia disumano dare origine a differenze di classe o di ceto. Nella realtà queste potranno essere superate solo se si articolerà l’organismo sociale nella sua realtà oggettiva, cioè separata dall’uomo.

Così dobbiamo per esempio immaginarci quanto segue – parlerò ancora di argomenti analoghi nella quinta conferenza: chi si fa un’opinione della vita culturale veramente libera, sarà in grado di vedere come essa non sia affatto così astratta come la vita culturale odierna. Vedete, voi oggi conoscete o perlomeno potreste conoscere ogni sorta di concezione filosofica, religiosa ecc. Pensate solo a come tali concezioni del mondo siano diventate astratte, avulse dalla vita.

 

Vi basti pensare come oggi sia possibile a chiunque – commerciante, statista, industriale, agricoltore – avere le proprie opinioni etiche, estetiche, scientifiche, religiose, e accanto ad esse occuparsi dell’amministrazione del proprio ufficio, della propria fattoria e via dicendo. In un certo senso sono due vite che viaggiano in parallelo, senza incontrarsi mai.

Questo proviene dal fatto che in fondo ancor oggi nell’ambito della vita culturale abbiamo il proseguimento dell’antica vita culturale greca, sorta da condizioni sociali completamente diverse dalle nostre. La maggior parte delle persone non se ne accorge, ma nella nostra mentalità sociale abbiamo davvero il prolungamento della vita culturale greca, basata sull’idea che solo chi non lavora, ma si occupa di politica e al massimo tiene d’occhio l’agricoltura e cose simili, conduce un’esistenza veramente dignitosa. Chi lavora non fa parte degli uomini che vanno presi sul serio.

 

Il Greco ce l’aveva nel sangue questo modo di considerare l’umanità, e in base a questo organizzava tutta la sua vita culturale. La vita culturale greca è unicamente immaginabile in base al fatto che c’era uno strato superiore che stava al di sopra di un vasto strato inferiore di persone che non potevano prender parte alla cultura, che non avevano dentro di sé la cultura greca come tale.

Questo modo di vedere la cultura ci è rimasto nell’animo fino ad oggi. Ed è per questo che – vedete, non è necessario guardare a queste cose con animosità, è possibile rendersene conto oggettivamente – le classi dirigenti, dominanti, si sono spesso occupate in maniera molto astratta di fraternità, di amore per il prossimo e via dicendo.

 

Prendiamo un esempio drastico. Nella metà del diciannovesimo secolo, mentre la gente rifletteva dal punto di vista della propria concezione religiosa, etica, sull’amore per il prossimo, sulla fraternità, in quel periodo è stata fatta per esempio in Inghilterra un’indagine statistica sui danni del lavoro in miniera. È emerso che in effetti nei pozzi delle miniere venivano calati ragazzini di nove, undici, tredici anni. Quei poveri bambini venivano fatti scendere in miniera prima dell’alba e fatti uscire solo dopo il tramonto, così che non vedevano la luce del sole per tutto il giorno, per tutta la settimana, se non la domenica.

Già, al calore del carbone che veniva estratto in quel modo, nel tepore delle loro stanze, le classi colte discorrevano di fraternità e amore per il prossimo, immerse nella loro visione del mondo del tutto avulsa dalla vita. Hanno elaborato i loro ideali etici, in base ai quali è un individuo morale solo colui che ama i propri simili come se stesso senza distinzione di classe e così via.

 

Ma, cari ascoltatori, una vita culturale di questo tipo – e in fin dei conti tutta la nostra vita culturale è fatta così – è avulsa dalla realtà! È una vita spirituale soltanto interiore, priva della forza propulsiva per plasmare la vita reale.

Pensate all’abisso che esiste fra quella che il commerciante vive come la sua formazione estetica, morale o religiosa, e quello che annota nel suo libro di cassa. Può anche aver scritto “con Dio” sulla prima pagina, ma il tutto ha poco a che fare con il Dio che venera nel suo cuore.

Vedete, lì avete l’abisso profondo fra la vita culturale astratta e la realtà esteriore concreta. Di questi tempi ci si è abituati a questo abisso come se fosse una cosa del tutto normale.

 

Ci sono filosofi, etici, che parlano di filantropia, bontà, amore per il prossimo e quant’altro. Ma prendete uno di questi testi filosofici e interrogatelo per esempio su come organizzare una banca. Non vi troverete nessuna indicazione in proposito. Una vita culturale veramente emancipata, in grado di reggersi sulle proprie gambe, saprà collegare l’attività intellettuale, la cultura, alla prassi quotidiana.

 

Chi verrà alla mia conferenza di dopodomani non crederà che io voglia anche solo minimamente conferire un tratto materialistico alla vita culturale, ma vedrà che è esattamente il contrario. Proprio se non si vuole questo, ma si vuole porre la cultura sulle sue basi spirituali, non è possibile considerare la vita culturale come qualcosa di estraneo a quella materiale, ma si attiverà lo spirito così che possa intervenire nella realtà più immediata.

 

Oggi gli uomini si stupiscono se si parla loro in modo concreto. Oggi per esempio un industriale mi ha chiesto: «Lei allora vuole che per esempio chi esercita una professione pratica ed è esperto nel suo campo, qualunque esso sia, a trentacinque o a quarant’anni possa essere chiamato ad insegnare per un certo periodo in una scuola superiore o inferiore, nel caso in cui l’amministrazione culturale lo ritenga idoneo a questo compito. Allora gli tocca però lasciare l’esperienza pratica, e quindi la vita culturale risulta separata da quella economica.»

Ma chi è attivo in campo economico applica proprio ciò che ha fatto suo in una vita culturale autonoma. È una continua osmosi far un campo e l’altro. E lui:

«Sì, però un individuo dev’essere messo in un posto ben preciso in base alle sue capacità. Vede, nella mia azienda, nella mia fabbrica, ho un dipendente che ha delle caratteristiche tali per cui mi chiede sempre di attrezzargli un laboratorio chimico in cui possa fare degli esperimenti per conto suo. Gli esseri umani sono diversi fra loro!»

 

Certo che lo sono, e lo sono perché crescono nelle condizioni dei tempi moderni. In realtà non è possibile essere davvero inseriti nella vita culturale se non si è in grado di cavarsela anche in quella pratica. Solo se si è capaci di introdurre la cultura in ogni settore della vita pratica si sa il fatto proprio anche nella vita intellettuale.

È così che articolando in tre parti ciò che è separato dall’uomo, il tutto viene poi riunificato dall’uomo stesso. Una volta che nello stato democratico nasce il diritto, gli uomini attivi nella vita economica traspongono in essa anche il diritto, creano istituzioni che concordano col diritto. Sono gli uomini vivi e reali a portare il diritto nella vita economica, non dei provvedimenti astratti o misure analoghe. Di questo si tratta, di rimettere le istituzioni sociali sulla base dell’uomo vivente. È così che desidero rispondere a questa domanda.

 

Vedete, anche nei singoli campi risulterà che il sapere può davvero essere reso fecondo per la vita. Guardate le università di oggi. In molte di esse viene insegnata anche la pedagogia. Bene, i filosofi insegnano la pedagogia, di cui in genere capiscono poco, come materia complementare.

In un organismo sociale sano, un qualsiasi insegnante capace, in grado di gestire la lezione a livello pratico, dovrà insegnare pedagogia per due o tre anni, dopo di che tornerà alla sua occupazione pratica. E così sarà per tutti gli ambiti della vita. La triarticolazione di ciò che è separato dall’uomo consentirà all’uomo di portare in ognuno dei tre ambiti ciò che si esprime autonomamente negli altri due.

 

Cari ascoltatori, così ci riallacciamo alla seconda domanda, che chiede:

Da chi vengono giudicate le questioni di tribunale commerciale? Non certo solo da consiglieri dell’area culturale, a cui mancano le conoscenze specifiche, e neanche da esperti?

 

Sostanzialmente quanto ho appena detto risponde già in gran parte a questa domanda. Quello che conta è che grazie alla nostra organizzazione della vita culturale una persona non riceve una formazione in vista di farne un tirocinante o un commerciante come si deve. Nell’organismo sociale triarticolato con la sua vita culturale autonoma non viene insegnato così, ma l’uomo fa sua una certa pratica di vita e si pone anche in grado di organizzarla grazie al modo in cui la vita culturale crea le proprie condizioni di esistenza.

Vedete, non è necessario avere una capacità di giudizio oggettivo in ogni ambito. Non è possibile, e non è a questo che si deve mirare. Ma l’amministrazione culturale dovrà far sì che un tribunale commerciale sia presieduto dalla persona giusta, dal momento che dell’amministrazione culturale faranno parte anche uomini che si intendono di leggi commerciali.

 

Il sapere non verrà centralizzato in settori specializzati come succede al giorno d’oggi, ma il modo in cui gli uomini si rapportano fra loro nelle corporazioni dell’organizzazione culturale permetterà di costituire un tribunale di questo genere in maniera adeguata, oggettiva, non in base a qualche bisogno economico.

Come si fa ad individuare correttamente i bisogni di un individuo o a dare la giusta valutazione di un oggetto da lui prodotto, dal momento che i bisogni dell’uomo sono così diversi?

 

Proprio a causa della loro diversità è necessario creare delle istituzioni reali in cui ci siano delle persone che studiano questi bisogni, che vengono a conoscerli. Queste cose non sono campate per aria, possono essere collocate su un terreno del tutto reale. Vi posso citare un piccolo esempio.

Esiste una società, la si vede pure sui manifesti, è la Società Antroposofica. Oltre a quello che alcuni le attribuiscono, si è occupata anche di faccende decisamente pratiche, del tutto in linea, seppure in piccolo, con quanto vi ho esposto a proposito della questione sociale.

 

Così all’interno della Società Antroposofica c’era un uomo che sapeva fare il pane. Avendo a disposizione una corporazione di antroposofi, che naturalmente sono anche consumatori di pane, è stato in un certo senso possibile creare un’associazione fra l’uomo in qualità di produttore di pane e questi consumatori. Voglio dire, quell’uomo ha potuto adeguare la sua produzione ai bisogni dei consumatori, dandosi da fare per conoscere i loro bisogni per poter organizzare la produzione in base ad essi. Questo non viene fatto dal mercato, che organizza il tutto in maniera caotica o casuale, ma potrà avverarsi solo se gli uomini mettono in piedi delle istituzioni che studino veramente i bisogni e insieme ai rappresentanti delle associazioni regolino la produzione in base ad essi.

 

Oggi i teorici socialisti vorrebbero accertare questi bisogni in base alle statistiche, ma questo non è possibile! La vita non si lascia plasmare secondo le statistiche, ma solo dal diretto senso di osservazione degli uomini. All’interno dell’organismo economico, le condizioni sociali devono fare in modo che determinate cariche o uffici vengano occupati da individui che sanno far circolare le conoscenze, le informazioni relative ai bisogni.

 

Proprio perché i bisogni sono diversi, si tratta di non incappare in una tirannia dei bisogni, quale nascerebbe di sicuro se ci si basasse sull’odierno programma socialdemocratico, ma di studiare i bisogni effettivi e concreti per capire come soddisfarli. Dalla prassi emergerà pure che ci sono determinati bisogni che non possono essere soddisfatti.

 

Non vanno prese decisioni in proposito a partire da un dogma – per esempio perché qualcuno ritiene che un certo bisogno non sia un “autentico” bisogno umano. Ma se un certo numero di persone sente il bisogno di certi beni per la cui produzione si dovrebbero sfruttare degli esseri umani – cosa che può appurare una vita economica viva, davvero indipendente –, non sarà possibile produrre quei beni di cui certi individui sentono il bisogno. Si tratterà di intuire se è possibile tener conto dei bisogni senza trascurare o danneggiare le forze umane.

 

Come si immagina il Dr. Steiner la realizzazione pratica della triarticolazione? È possibile intervenire nel consiglio federale o, dopo che queste idee saranno state diffuse a sufficienza, dovrà aver luogo un referendum? O bisognerà aspettare che l’ordinamento attuale venga rovesciato dalla rivoluzione e dalla guerra civile?

 

Cari ascoltatori, in primo luogo va preso sul serio il fatto che qui si tratta di un nuovo metodo, un metodo almeno relativamente nuovo rispetto a quelli adottati di solito. Non si tratta, come avviene nei vecchi parlamenti, di perseguire degli obiettivi, ma di comprendere a partire dalla realtà stessa, dalle tendenze della vita moderna, cosa vogliono davvero gli esseri umani nel loro subconscio, anche se non hanno le idee chiare in proposito.

 

Nella misura in cui si riesce a rendere comprensibile ciò di cui si tratta, ci sarà un certo numero di persone che capirà che cosa deve accadere, che cosa va fatto. E quando ci sarà un numero sufficiente di persone che si rendono conto di che cosa deve succedere, allora si troverà anche il modo di farlo.

Nel mio libro I punti essenziali della questione sociale ho descritto proprio come in ogni momento e in ogni situazione della vita si possa iniziare con questa triarticolazione, se solo si vuole, se solo se ne comprende davvero il senso. Il fatto che non si abbia intenzione di raggiungere mediante una rivoluzione ciò che vive nella triarticolazione si basa semplicemente su un’osservazione storica.

 

Va detto a proposito che in occidente si sono verificate grandi trasformazioni sul piano culturale – si pensi solo al cristianesimo –, e anche sul piano politico. Ma già a livello politico le trasformazioni lasciano certi residui. Oggi gli uomini pensano a rivoluzioni economiche. Parleremo ancora di questo nella quinta conferenza e nelle prossime.

Ma le rivoluzioni di questo tipo saranno tutte destinate a finire come quella dell’Europa orientale – demolire senza costruire nulla –, come quella ungherese, e in particolare come quella tedesca del novembre 1918 che si è completamente arenata per l’evidente motivo che oggi quello che conta non è tanto produrre dei cambiamenti radicali, quanto avere delle idee in grado di creare delle situazioni normali e stabili.

 

Quando un numero sufficiente di persone si dichiara apertamente fautore di questa cosa, allora si troveranno anche i modi per attuarla.

L’idea della triarticolazione dell’organismo sociale infatti non è solo un traguardo, ma è essa stessa una via da percorrere.

L’importante è non mettersi sullo stesso terreno su cui si mettono tante persone. Per esempio in certi ambienti in cui ho illustrato la triarticolazione mi è capitato di incontrare persone che avevano letto il mio libro I punti essenziali della questione sociale e trovavano plausibili le affermazioni in esso contenute.

Ma poi certi esponenti dell’ala radicale della sinistra hanno dichiarato: «Certo, questa triarticolazione è una gran bella cosa, ma prima ci dev’essere la rivoluzione, la dittatura del proletariato, dopo di che penseremo alla triarticolazione.» E con le migliori intenzioni è stato aggiunto: «Per il momento però siamo suoi acerrimi nemici.» In altre parole si argomentava così: dato che si è d’accordo, si lotta contro di essa all’ultimo sangue! È così che mi è stato risposto da più parti. Sì, cari ascoltatori, queste cose si basano su un pensiero sbagliato, sull’idea di poter realizzare qualcosa prima di aver fatto sì che sia entrato nelle teste.

 

C’è un piccolo episodio che mi sembra particolarmente significativo. Ho parlato una volta di queste cose in una località del sud della Germania. Fra gli interventi c’è stato anche quello di un comunista. Era un tipo in fondo simpatico, ma nel corso del suo discorso ha detto queste cose al suo pubblico – nel suo conscio si sentiva molto modesto, nel subconscio lo era molto di meno. Costui ha detto: «Vedete, io sono un calzolaio. So di essere un calzolaio e di non poter diventare un ufficiale di stato civile nella futura società. L’ufficiale di stato civile lo può fare chi ha ricevuto una formazione adeguata per questa professione.» Ma poco prima il tipo aveva esposto fin nei minimi particolari i suoi progetti sull’ordinamento sociale, e da questo si vedeva che sentiva la vocazione a far da ministro nello stato del futuro – l’ufficiale di stato civile no, ma il ministro sì!

 

Potrei dimostravi con altri esempi non meno simpatici che è questa la mentalità dominante. Ma quello che emerge è l’importanza che prima prenda piede l’effettiva comprensione del contenuto della triarticolazione, e di seguito si troveranno anche i modi per attuarla. E sarebbe da sperare che questa comprensione abbia luogo prima che sia troppo tardi.

Se gli uomini d’oggi si sforzassero di capire almeno un po’ quello che ci vuole, il tutto sarebbe possibile. Allora non si chiederebbe se si deve presentare un esposto al consiglio federale mediante un referendum e cose simili, ma sarebbe chiara una cosa: non appena ci sono abbastanza persone che la capiscono, la cosa si realizza.

Questo è sostanzialmente il segreto di una società che aspira alla democrazia: che una cosa si attua quando trova una vera comprensione interiore, quando è chiara alla mente. È questo che conta.

 

Ed ora tocca alla domanda:

Il principio del diritto penale non è un residuo del passato?

 

Questa domanda è in stretta relazione con quella che è stata posta sull’esecuzione della pena, in riferimento alla gestione del diritto penale.

 

E ancora:

L’idea della pena è legittima rispetto a quella pedagogica del miglioramento, della reintegrazione sociale?

 

Vedete, cari ascoltatori, il concetto di pena, di punizione, è uno dei più spinosi, e proprio a questa domanda nel corso della storia sono state date tutte le risposte possibili e immaginabili.

Il convincimento che va sviluppato, o che quantomeno è possibile procurarsi, se ci si pone su un terreno come quello da cui nascono idee come quella della triarticolazione, è: un terreno simile comporta anche l’insorgere di determinate conseguenze che su un altro non si verificherebbero. Ogni singola cosa che avviene all’interno di un ordinamento sociale è in fin dei conti una conseguenza di quell’ordinamento sociale stesso.

Come ogni pezzo di pane è con il suo prezzo una conseguenza dell’intero ordinamento sociale, così anche il modo, gli incentivi alla pena hanno il loro fondamento all’interno dell’intera struttura dell’organismo sociale. E proprio la necessità delle pene mostra che nell’intero organismo sociale c’è qualcosa che non va.

 

Vedete, non dico quando si “sostiene” l’organismo sociale triarticolato in quanto tale, ma quando si sviluppa una visione pratica del mondo da impulsi simili a quello da cui scaturisce l’idea dell’organismo sociale triarticolato, allora si sa che si consegue qualcosa di diverso anche per quanto riguarda la pena e la sua esecuzione. E quando queste cose saranno effettive a livello sociale, realtà del tipo di quelle fatte valere nella conferenza odierna, ci sarà sempre meno bisogno di pene e di punizioni.

Il diritto penale, che accompagna come la loro ombra situazioni antisociali, potrà essere ridotto al minimo in situazioni di socialità. Perciò le domande che emergono oggi a proposito del diritto penale, se si tratti di un rimasuglio del passato e via dicendo, verranno poste su un terreno del tutto diverso qualora si verifichi realmente una trasformazione di questa portata.

 

Quando l’uomo è malato fa certe cose, quando è sano ne fa altre. Lo stesso avviene anche qui: la necessità di punire indica la presenza di determinati sintomi di malattia all’interno dell’organismo sociale nel suo insieme. Se si aspira a risanare l’organismo sociale, i concetti relativi alla pena, al diritto penale e all’esecuzione della pena possono essere messi su un terreno completamente diverso.

Direi quindi che è nella discussione sulla trasformazione sociale nel suo insieme che va cercata la risposta alla domanda: che ne è del singolo individuo, del diritto penale o dell’esecuzione della pena?

 

• Ogni uomo è dotato della capacità di giudizio necessaria a stabilire quante ore lavorative richiede un determinato ramo di produzione?

 

Cari ascoltatori, essere in grado di giudicare per decidere insieme ad altri su tali questioni, è qualcosa di diverso che affidarsi all’arbitrio di un singolo individuo. Se leggete il mio libro I punti essenziali della questione sociale – e tornerò ancora sul diritto del lavoro nelle prossime conferenze –, vedrete che nell’organismo sociale triarticolato la regolamentazione del tipo di lavoro, del tempo da dedicare al lavoro, deve diventare di competenza del diritto pubblico, che quindi ciò che viene chiesto qui dovrà essere regolamentato sul terreno giuridico democratico.

 

Si tratta perciò del fatto che una simile questione verrà regolamentata da ogni uomo insieme a tutti gli altri uomini che fanno parte dell’organismo sociale. In questo l’uomo è capace di giudicare, per il fatto di saper effettuare una regolamentazione su una simile questione. Non è quindi legittimo chiedere se ogni uomo è in grado di giudicare quante ore lavorative richiede un determinato settore di produzione. Questo non risiede di sicuro nell’arbitrio del singolo individuo. Possibile è invece ottenere una sentenza pubblica tramite una regolamentazione democratica e una maggioranza democratica su questioni giuridiche del tipo che vi ho descritto oggi.

 

• Ma prima di dedicarci alla realizzazione in grande all’interno di questo Stato, non dobbiamo chiarire l’elemento animico nell’uomo?

 

Molto di quanto chiede questa domanda sarà oggetto della prossima conferenza. Ma vedete, l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale è un’idea pratica, ragion per cui vede anche tutte le cose da un’ottica realistica.

Al giorno d’oggi ci sono molte persone che dicono: «Bene, abbiamo una questione sociale, che dunque va risolta, quindi si deve trovare un programma che ci dia modo di risolvere la questione sociale. Oggi abbiamo delle condizioni sociali spiacevoli, ma se troviamo una soluzione alla questione sociale, allora domani ci troveremo delle condizioni sociali piacevoli.»

 

Ma le cose non stanno così. In quell’evoluzione dell’umanità che ho descritto oggi, la questione sociale è emersa da determinate condizioni psichiche e fisiche e dalle loro conseguenze sulla vita sociale. La questione sociale ora c’è e non la si può risolvere sul piano teorico, non si possono dare delle leggi per risolverla. C’è e continuerà ad esserci sempre, ogni giorno si ripresenterà di nuovo.

Per questo devono anche esserci sempre delle istituzioni che consentano di risolverla ogni giorno di nuovo. Non si tratta allora di dividere la faccenda in due parti uguali: prima prepariamo gli animi, e poi spunteranno le condizioni auspicabili dal punto di vista sociale. No, si tratta invece di accettare la questione sociale, di cercare di realizzare nella realtà qualcosa come il terreno giuridico autonomo o il terreno culturale indipendente, di modo che la questione sociale possa essere risolta continuamente, ogni giorno di nuovo.

 

Vedete, nel mio libro I punti essenziali della questione sociale mi sono opposto al fatto che quanto ho detto a proposito della triarticolazione sulla somiglianza fra l’organismo umano fisico e l’organismo sociale venga considerato un ozioso gioco di analogie. In realtà non avevo nessuna intenzione di fare un gioco di analogie fra l’organismo naturale e quello sociale equivalente a quelli di un Meray o di uno Schäffle.

Ma quello che ho esposto nel mio libro Enigmi dell’anima, cioè che un’attenta osservazione della natura giunge a considerare l’organismo umano come un’interazione fra tre sistemi indipendenti l’uno dall’altro, richiede un pensiero e un modo di vedere le cose che possono essere applicati proficuamente anche all’organismo sociale, non per via di trasposizione, ma per mezzo di un’osservazione senza pregiudizi come quella rivolta all’organismo naturale. È qualcosa che si può imparare studiando sia l’uno sia l’altro.

 

Gli uomini desiderano vedere l’organismo sociale come qualcosa in cui ci sono delle istituzioni che mantengono tutto nelle condizioni ideali, in cui tutto viene fatto nel modo migliore. Non ci si chiede mai se questo sia anche possibile. La gente vorrebbe fondare una vita economica in cui ci siano delle istituzioni che impediscano l’insorgere di qualsiasi danno. Non si tiene conto del fatto che nella vita si ha a che fare appunto con la vita e non con delle astrazioni.

Vedete, nell’essere umano, nell’organismo naturale, c’è per esempio il fatto che noi inspiriamo l’ossigeno, che poi viene trasformato in anidride carbonica. Nell’organismo umano l’ossigeno svolge un determinato ruolo tramite determinati organi che lo trasformano, cioè, non lo trasformano, ma lo combinano con altre sostanze di modo che possano svolgersi determinate funzioni dell’organismo. Sì, devono esserci degli organi particolari che fanno una certa cosa, e se ci fossero solo loro, nell’organismo si produrrebbero dei danni.

La possibilità dei danni ci dev’essere, si tratta di impedirne la formazione. Questa è la natura di tutto ciò che è vivente.

 

Quelli che dicono: abbiamo un organismo economico; se lo organizziamo in modo che funzioni bene, non abbiamo bisogno di affiancargli nessun organismo giuridico o culturale – parlano esattamente come quelli che dicono: sarebbe molto meglio, rispetto a quello che hanno fatto il Creatore o le forze della natura, se bastasse mangiare una volta sola in vita e poi l’organismo umano fosse attrezzato in modo che niente andasse distrutto e non si dovesse continuamente mangiare.

Quando si tratta di esseri viventi, si tratta di processi cha vanno su e giù. Una vita economica sana, proprio in virtù della sua robustezza fa sì che si presentino dei danni. E nello stesso tempo questi danni vanno eliminati sul nascere, in statu nascendi. Questo non può essere fatto per mezzo dell’organismo economico stesso, ma mediante l’organismo giuridico e quello culturale che lo affiancano, e la cui funzione consiste proprio nell’eliminare sul nascere i danni che l’organismo economico deve creare proprio per il fatto che è sano.

Questo è il carattere dell’elemento vitale, che le varie funzioni sono in vivace interazione fra loro. Un simile modo di considerare le cose è certamente più scomodo, ma si attiene alla realtà, non vuole riformare l’organismo economico in modo tale che esso si autoelimini, si autodistrugga.

 

È facile dire: questi e quei danni sono sorti dalla produzione moderna, quindi va eliminata e sostituita con un’altra. Non si tratta di rivendicare qualcosa, bensì di studiare le leggi di vita di un organismo vivente che già esiste. E una di queste leggi consiste nel provocare da un lato certe cose che da sole potrebbero far morire l’organismo. Perciò altri elementi dell’organismo agiscono in senso opposto, e già in statu nascendi, allo stadio embrionale, viene effettuata la correzione.

 

Le tre funzioni principali dell’organismo devono correggersi a vicenda. Così l’idea è concepita in maniera aderente alla realtà. Chi oggi vuole occuparsi della questione sociale, deve abituarsi a pensare in maniera conforme alla realtà. Se si affermasse su vasta scala un pensiero distorto, simile ad una caricatura, che non ha nulla a che fare con la realtà e che fa programmi partendo dalle passioni e dalle emozioni umane, ci muoveremmo a vele spiegate verso condizioni terribili. Un pensiero aderente alla realtà invece darà origine a realtà. Questa è la prima cosa da fare: acquisire un pensiero aderente alla realtà.