Capitalismo e idee sociali (capitale, lavoro umano)

O.O. 23 – I punti essenziali della questione sociale – III


 

1. Oggi non si può giudicare che tipo d’azione sia richiesto in campo sociale dall’eloquenza dei fatti, se non si ha la volontà di fondare questo giudizio sulla comprensione delle forze fondamentali dell’organismo sociale. Il tentativo di acquisire una simile comprensione sta alla base di quanto è stato esposto fin qui. Misure che si appoggino solo ad un giudizio acquisito in una troppo stretta cerchia di osservazione non possono oggi servire ad effettuare alcunché di proficuo. I fatti generati dal movimento sociale sono segno di evidenti perturbazioni nelle basi dell’organismo sociale stesso; perturbazioni che non sono davvero solo di superficie. Di fronte ad esse è necessario giungere ad una comprensione che pure si addentri fino alle fondamenta.

 

2. Se si parla oggi di capitale e di capitalismo, si accenna alle cose nelle quali l’umanità proletaria cerca le ragioni della sua oppressione. Si potrà però giungere a un giudizio proficuo sul modo in cui opera il capitale promovendo o inceppando il movimento dell’organismo sociale, solo se si intende come producono e consumano il capitale le individuali attitudini umane, la costituzione dei diritti, e le forze della vita economica. Parlando di lavoro umano si accenna a ciò che, assieme al fondamento naturale dell’economia e al capitale, crea valori economici, ed al cui contatto l’operaio acquista la coscienza della sua posizione sociale. Un giudizio su come il lavoro umano vada inserito nell’organismo sociale per non perturbare nel lavoratore il sentimento della sua dignità di essere umano si arriva a concretizzare solo se si voglia considerare il rapporto che da un lato il lavoro umano ha con l’esplicazione delle attitudini individuali e, dall’altro, con la consapevolezza del diritto.

 

3. Si domanda oggi, con, ragione, che cosa sia da farsi “innanzitutto” per soddisfare le esigenze che sorgono dal movimento sociale. Neppure ciò che va fatto “innanzitutto” si potrà compiere in maniera proficua se non si sa quale relazione abbia con le basi del sano organismo sociale ciò che si vuol fare. E quando si sappia questo, allora, nel posto stesso in cui uno si trova o sa collocarsi, vedrà quali sono i compiti che gli vengono assegnati dai fatti. Al raggiungimento di una comprensione quale qui s’intende, si oppone, scombussolando il giudizio spassionato, ciò che nel corso di molto tempo è passato dal volere umano negli ordinamenti sociali. Ci si è tanto familiarizzati con tali ordinamenti che da questi abbiamo ricavato le nostre opinioni su ciò che ne va conservato o cambiato. Ci si lascia regolare nel pensiero da ciò che invece dovrebbe essere dominato dal pensiero. Oggi è però necessario riconoscere come non possiamo formarci un giudizio che sia all’altezza dei fatti, se non col ritornare ai pensieri originari che stanno alla base di tutti gli ordinamenti sociali.

 

4. Quando non ci sono le giuste sorgenti, dalle quali perennemente fluiscono nell’organismo sociale le forze insite in quei pensieri originari, gli ordinamenti sociali prendono forme che non promuovono la vita, ma la ostacolano. I pensieri originari continuano a vivere più o meno inconsciamente negli impulsi umani, anche quando i pensieri pienamente coscienti cadono nell’errore e creano, o hanno già creato, fattori avversi alla vita. E sono appunto pensieri originari che si esplicano caoticamente di fronte a un mondo di fatti che ostacolano la vita, quelli che, palesemente o velatamente, si manifestano nelle convulsioni rivoluzionarie dell’organismo sociale. Tali convulsioni cesseranno solo quando l’organismo sociale sarà costituito in modo da avere continuamente in sé la tendenza a osservare dove si formi una deviazione dalle istituzioni predisposte dai pensieri originari, e dove esista allo stesso tempo la possibilità di agire contro questa deviazione, prima che questa abbia raggiunto una forza funesta.

 

5. Ai nostri giorni, in una vasta sfera della vita umana, si sono accentuate le deviazioni dalle condizioni volute dai pensieri originari. E l’esistenza nelle anime umane degli impulsi prodotti da questi pensieri sta come una critica eloquente, da parte dei fatti, di ciò che si è formato nell’organismo sociale dei secoli passati. Occorre perciò la buona volontà di tornare risolutamente ai pensieri originari e di non disconoscere quanto sia dannoso, proprio oggi, bandire dalla vita questi pensieri originari come generalità “non pratiche”. Nella vita e nelle esigenze del proletariato i fatti stessi muovono la critica a ciò che i nuovi tempi hanno fatto dell’organismo sociale. È compito del nostro tempo reagire contro tale critica unilaterale partendo dai pensieri originari per trovare le direzioni in cui i fatti vanno consapevolmente avviati. Poiché è passato il tempo in cui poteva bastare all’umanità ciò che una direzione istintiva ha potuto produrre sin qui.

 

6. Una delle questioni fondamentali che da tale critica emerge è questa: in che modo può cessare l’oppressione che l’umanità proletaria ha sofferto per opera del capitalismo privato? Il proprietario, o l’amministratore del capitale, si trova in condizione di porre il lavoro fisico di altri uomini a servizio di ciò che intende produrre. Ora, nel rapporto sociale risultante dalla cooperazione del capitale e del lavoro umano vanno distinti tre fattori: 1°) l’attività dell’imprenditore, che deve fondarsi sulle facoltà individuali di una persona o di un gruppo di persone; 2°) il rapporto fra il datore di lavoro e l’operaio, che dev’essere un rapporto di diritto; e 3°) la produzione di cose che nel giro della vita economica assumono valore di merce. L’attività dell’imprenditore può intervenire sanamente nell’organismo sociale solo se nella vita di questo organismo operano forze che portino le facoltà individuali umane ad esplicarsi nel migliore modo possibile. Il che può avvenire solo se c’è nell’organismo sociale un campo che conceda a chi abbia delle attitudini la libera iniziativa di farne uso, e dia ad altri la possibilità di giudicare del valore di tali attitudini mediante libera comprensione. Si vede quindi che la partecipazione sociale dell’individuo per mezzo del capitale appartiene a quella parte dell’organismo sociale in cui è la vita spirituale a legiferare e ad amministrare.

 

Se su questa partecipazione influisce lo Stato politico, allora, necessariamente, di fronte alle attitudini individuali e alle loro attività, deve regnare, almeno in parte, l’incomprensione. Poiché lo Stato politico deve avere per base, e mettere in atto, ciò che si trova in tutti gli uomini come esigenza comune di vita. Lo Stato politico, nella sua sfera, deve permettere a tutti di far valere il proprio giudizio. Per quello che deve da compiere, la comprensione o l’incomprensione delle attitudini individuali non entra in gioco. Perciò, quanto si effettua nello Stato politico non può nemmeno avere un’influenza sull’esplicazione delle capacità umane individuali. Ed anche la prospettiva di un vantaggio economico dovrebbe essere altrettanto poco determinante per l’esplicazione delle attitudini individuali resa possibile dal capitale. A tale vantaggio economico taluni giudici del capitalismo attribuiscono un’importanza esagerata, ritenendo che solo lo stimolo del lucro possa mettere in azione le attitudini individuali. E, come “uomini pratici”, citano l’“imperfetta” natura umana, che pretendono di conoscere. È vero che in quell’ordinamento sociale che ha prodotto le presenti condizioni la considerazione del vantaggio economico ha assunto una profonda importanza, ma questo fatto è per non piccola parte appunto la causa delle presenti condizioni. E queste richiedono ora urgentemente che si sviluppi un altro stimolo all’attività delle attitudini individuali. Questo stimolo dovrà trovarsi nella comprensione sociale proveniente da una sana vita spirituale. L’educazione, la scuola, attingendo all’energia della libera vita spirituale, forniranno l’uomo degli impulsi che lo porteranno a realizzare, in virtù della sua intima capacità di comprendere, ciò a cui lo spingono le sue attitudini individuali.

 

7. Questa opinione non deve necessariamente essere frutto di esaltazione. L’esaltazione ha certo causato mali incommensurabili nel campo della volontà sociale come in altri. Ma, come si può desumere da ciò che è stato detto fin qui, la concezione qui esposta non poggia sulla falsa credenza che “lo spirito” faccia miracoli se coloro che credono di possederlo ne parlano il più possibile, ma deriva direttamente dall’osservazione di come si svolge la libera cooperazione degli uomini nel campo spirituale. Questa cooperazione acquista per sua propria natura un’impronta sociale purché possa svilupparsi davvero in modo del tutto libero.

 

8. Proprio l’inceppamento della vita spirituale ha finora impedito che questa sana impronta si determinasse. Fra le classi dirigenti le forze spirituali si sono organizzate in modo da relegare in modo antisociale le produzioni di queste forze in certi ambienti dell’umanità. Ciò che si è prodotto in questi ambienti si poteva portare nel mondo proletario solo in modo artificiale. Cosi l’umanità proletaria non potè attingere da questa vita spirituale alcuna forza a sostegno dell’attività interiore, perché non partecipò realmente alla vita di questo patrimonio spirituale. Istituzioni per l’istruzione popolare”, per l’“educazione del popolo al godimento artistico” e simili, non sono, in verità, mezzi per far partecipare il popolo ai beni della cultura, finché questa conserva il carattere che ha assunto nei tempi odierni. Infatti il “popolo” non penetra nella vita di questo bene spirituale con l’intima partecipazione del suo essere umano. Gli viene solo data la possibilità di guardarvi in qualche modo ma come da un punto di vista che ne sta al di fuori. E ciò che vale per la vita spirituale ha pure, in senso più stretto, la sua importanza per quelle ramificazioni dell’attività spirituale, che fluiscono nella vita economica sulla base del capitale. Nel sano organismo sociale l’operaio proletario non deve stare alla sua macchina in contatto soltanto coi suoi congegni, mentre solo il capitalista conosce il destino riservato alle merci prodotte nel giro della vita economica; in quanto lavora alla produzione della merce, l’operaio deve poter sviluppare con piena partecipazione i concetti relativi al modo in cui partecipa alla vita sociale. Conversazioni, da calcolarsi inerenti all’esercizio di un’azienda al pari del lavoro stesso, devono essere regolarmente istituite dall’imprenditore dell’azienda allo scopo di sviluppare una sfera di rappresentazioni, comune tanto a chi da’ il lavoro quanto a chi lo esegue. Una sana azione in tal senso farà comprendere all’operaio come un’adeguata attività del capitalista sia utile all’organismo sociale e con ciò anche all’operaio che ne è parte. Da tale pubblicità della sua gestione finalizzata alla libera comprensione da parte dei suoi operai, l’imprenditore sarà indotto a procedere in modo irreprensibile.

 

9. Solo chi non abbia alcun senso dell’effetto sociale che ha il partecipare in intima concordia a un lavoro comune, riterrà insignificante ciò che ho detto. Ma chi abbia un tale senso, riconoscerà come la produttività economica sia promossa quando la direzione della vita economica basata sul capitale ha le sue radici nel campo della libera vita spirituale. Solo se si soddisferà questa premessa l’interesse al capitale ed al suo aumento, dovuto semplicemente all’amore del profitto, potrà dar luogo all’interesse oggettivo della produzione di merci e del venire a capo di prestazioni.

 

10. Oggi i pensatori socialisti aspirano all’amministrazione sociale dei mezzi di produzione. Ciò che di questa loro aspirazione è giusto può essere conseguito solo se tale amministrazione sia curata da parte del libero campo spirituale. Con ciò sarà resa impossibile la coercizione economica che parte dal capitalista, quando egli svolge la sua attività mossa dalle forze della vita economica. Né avverrà la paralisi delle attitudini individuali, che non può che risultare come necessaria conseguenza, se queste attitudini sono governate dallo Stato politico.

 

11. Nel sano organismo sociale, il provento di un lavoro, al quale concorrono il capitale e le attitudini individuali, deve – come ogni prestazione spirituale – risultare da un lato, dalla libera iniziativa di chi opera e, dall’altro, dalla libera comprensione di altri uomini che richiedono la prestazione. Alla libera iniziativa di chi opera deve essere lasciata in questo campo la misura di ciò che egli vuole riguardare come provento delle sue prestazioni, secondo la preparazione che gli occorre per eseguirle, le spese che deve fare per renderle possibili, e così via. Egli potrà trovare soddisfazione alle sue richieste soltanto se vi sia negli altri un adeguato apprezzamento della sua opera.

 

12. Per mezzo di provvedimenti sociali che seguano le direttive qui indicate, si crea il terreno per un accordo realmente libero fra dirigenti ed esecutori del lavoro. E questo accordo non si riferirà ad uno scambio di merce (denaro) contro energia di lavoro, ma alla determinazione della parte spettante a ciascuno dei due contraenti che concorrono in comune alla produzione della merce.

 

13. Quanto è prodotto per l’organismo sociale in base al capitale, si fonda, per sua natura, sul modo con cui si esercitano in tale organismo le attitudini individuali dell’uomo. Lo sviluppo di queste attitudini non può ricevere l’impulso adeguato se non dalla libera vita spirituale. Anche in un organismo sociale, che sottometta questo sviluppo all’amministrazione dello Stato politico, o alle forze della vita economica, l’effettiva produttività di tutto quello che rende necessario l’impiego del capitale poggerà su quel tanto di libere forze individuali che riuscirà a farsi valere nonostante le istituzioni paralizzanti. Solo che in tali condizioni l’evoluzione sarà malsana. Non è la libera esplicazione delle attitudini individuali operanti sulla base del capitale, quella che ha prodotto le condizioni per cui la forza umana di lavoro dev’essere merce, ma è la sottomissione di tali forze alla vita dello Stato politico e al giro della vita economica. Il riconoscimento spassionato di questo fatto è oggi la premessa per tutto ciò che deve avvenire nel campo dell’organizzazione sociale; perché il nuovo tempo ha dato origine alla superstizione che le norme adatte al risanamento dell’organismo sociale debbano provenire dallo Stato politico o dalla vita economica. Ma se si continuerà a procedere sulla via di questa superstizione, si creeranno istituzioni che non porteranno l’umanità allo scopo verso cui tende, bensì a un aumento illimitato di quell’oppressione che si vorrebbe veder cessata.

 

14. Si è imparato a pensare che il capitalismo ha prodotto nell’organismo sociale un processo patologico. Sperimentando questo stato patologico si vede che è necessario combatterlo. Ma occorre vedere di più. Occorre accorgersi che la malattia ha la sua origine nella sparizione delle forze del capitale dal giro della vita economica. Solo chi non si lasci illudere dal modo di pensare che vede un “teorico idealismo” nell’idea che l’attività capitalistica sia governata dalla libera vita spirituale, potrà operare nel senso che le energie evolutive dell’umanità cominciano oggi a reclamare energicamente. Presentemente si è certo ben poco preparati a mettere in diretta connessione la vita spirituale con l’idea sociale che deve avviare il capitalismo per una strada sana. Si prendono le mosse da ciò che appartiene alla sfera economica. Si vede come nel nuovo tempo la produzione delle merci abbia condotto alle grandi industrie, e queste, alla forma presente del capitalismo. A questa forma economica dovrebbe sostituirsi quella socialista, che lavora per i bisogni degli stessi produttori. Ma siccome, naturalmente, si vuol conservare l’uso dei mezzi moderni di produzione, si reclama la riunione delle aziende in una sola grande società. In tal modo – così si pensa – ognuno produce per incarico della comunità, la quale non potrebbe essere sfruttatrice perché sfrutterebbe se stessa. E poiché ci si vuole e ci si deve ricollegare a ciò che già esiste, si mira allo Stato moderno che si vuol trasformare in una società che tutto abbracci.

 

15. Non ci si accorge che da una tale società ci si ripromettono effetti che si possono tanto meno ottenere quanto più larga è la società. Se in questa non si organizza la partecipazione delle attitudini individuali dell’uomo nel modo esposto più sopra, la socializzazione del lavoro non può condurre al risanamento dell’organismo sociale.

 

16. Che ci sia oggi poca disposizione a giudicare spassionatamente in merito all’intervento della vita spirituale nell’organismo sociale, dipende dell’abitudine che si è presa di rappresentarsi lo spirituale lontanissimo dal materiale e dal pratico. Non saranno in pochi a trovare grottesca l’idea qui esposta secondo la quale nell’attività capitalistica della vita economica debba manifestarsi l’azione di una parte della vita spirituale. Può darsi che nel qualificare come grottesca quest’idea si trovino d’accordo i rappresentanti delle classi finora dirigenti e i pensatori socialisti. Per giudicare dell’importanza, per il risanamento dell’organismo sociale, di quanto costoro trovano grottesco, occorre osservare certe correnti di pensiero contemporanee derivanti da impulsi dell’attività interiore, onesti nel loro genere, ma che là, dove trovano accesso, ostacolano il formarsi di un modo di pensare realmente sociale.

 

17. Queste correnti di pensiero tendono più o meno inconsciamente ad allontanarsi da ciò che da’ all’esperienza interiore la giusta forza di propulsione. Tendono ad una concezione, a una vita del pensiero, a una conoscenza scientifica, e ad una vita animica, che formano una specie di isola nel complesso della vita umana. In tal modo non sono in grado di costruire un ponte tra questa specie di isola spirituale e le cose che aggiogano gli uomini alla vita quotidiana. Si può vedere come oggi molti sentano una speciale “nobiltà interiore” nel salire nel mondo delle nuvole, a fantasticare, sia pure scolasticamente, su ogni genere di problemi etico-religiosi, nel cercare la maniera in cui l’uomo può acquistare le virtù, e il giusto comportamento amorevole verso i suoi simili, nonché il modo per ricevere la grazia di una “vita interiore”. Ma poi si vede anche la loro impotenza a trovare il passaggio da ciò che la gente chiama buono, amorevole, benevolo, giusto e morale, a ciò che circonda quotidianamente l’uomo nella realtà esteriore, vale a dire l’azione del capitale, i salari, il consumo, la produzione e la circolazione delle merci, il credito e le operazioni di banca e di borsa. Si può osservare come due grandi correnti parallele siano poste l’una accanto all’altra anche nelle consuetudini del pensiero umano. Una delle due è quella che vuol rimanere, in certo modo, nelle altezze divine dello spirito, senza gettare un ponte fra ciò che è un impulso spirituale e ciò che è un fatto della vita ordinaria. L’altra corrente vive spensieratamente nelle cose d’ogni giorno. La vita però è un’unità; e può prosperare solo se le energie che la muovono discendono da tutta la vita etico-religiosa in quella più profana e più comune; cioè in quella che a qualcuno sembra appunto meno nobile. Se si trascura di gettare un ponte fra questi due campi della vita, si ricade, rispetto alla vita religiosa e morale e al pensiero sociale, nella pura e semplice fantasticheria, estranea alla vera realtà quotidiana; e allora questa realtà quotidiana in certo modo si vendica. Allora l’uomo, per un certo impulso “spirituale”, aspira verso ogni possibile ideale, verso tutto ciò ch’egli chiama “buono”; mentre agli istinti, che a quegli “ideali” sono di fronte come base degli ordinari bisogni della vita quotidiana, e la cui soddisfazione deve affluire dall’economia, l’uomo si abbandona senza “lo spirito”. Non conosce alcuna via pratica reale che dal concetto di spiritualità conduca a ciò che si svolge nella vita quotidiana. Perciò questa vita quotidiana prende una piega che non può aver nulla a che fare con gli impulsi morali che si vogliono conservare nelle altezze più nobili dell’attività interiore e dello spirito. Allora però la vita quotidiana si vendica, e diviene tale che la vita etico-religiosa, appunto perché vuole estraniarsi dalla realtà quotidiana, da ciò che è pratica diretta, si trasforma inavvertitamente in una menzogna interiore.

 

18. E, nondimeno, quanti sono oggi coloro che, per una certa nobiltà etico-religiosa, dimostrano la migliore volontà di una giusta comunanza di vita coi loro simili, ai quali vorrebbero fare il maggior bene possibile! Trascurano però di acquisire quei sentimenti che renderebbero questo veramente possibile, dato che non sanno appropriarsi di un pensare sociale capace di esplicarsi nelle abitudini pratiche della vita.

 

19. Dalla cerchia di tali persone provengono gli esaltati che in questo momento storico in cui le questioni sociali sono divenute così assillanti, ritenendosi “pratici” della vita, si oppongono, ostacolandola, alla pratica vera. Da costoro si possono sentire discorsi come questo: “Occorre che gli uomini si sottraggano al materialismo, alla vita materiale esteriore che ci ha spinti alla catastrofe della guerra mondiale e alla rovina; e che si rivolgano invece verso una concezione spirituale della vita”. Chi vuole indicare in questo modo le vie verso la spiritualità, non si stanca di citare le personalità che in passato sono state venerate per la loro maniera spirituale di pensare. E a chi prova ad indicare ciò che proprio oggi lo spirito dovrebbe fornire alla vera vita pratica, e che sarebbe necessario come il pane quotidiano, può avere come risposta che in primo luogo occorre riportare gli uomini al riconoscimento dello spirito. Invece ciò che più conta oggi è che dalla forza della vita spirituale si trovino le giuste direttive per il risanamento dell’organismo sociale. A tale scopo non basta che gli uomini, in una corrente laterale della vita, si occupino dello spirito. È quindi necessario che l’esistenza quotidiana stessa sia conforme allo spirito. La tendenza a ricercare simili correnti laterali per la “vita spirituale” condusse le classi sinora dirigenti a trovare gusto a condizioni sociali, che sfociarono poi negli avvenimenti d’oggi.

 

20. Nella vita sociale del presente sono strettamente uniti l’uso del capitale nella produzione delle merci e il possesso dei mezzi di produzione, quindi anche il possesso del capitale. Eppure questi due rapporti dell’uomo col capitale sono completamente differenti circa la loro azione nell’organismo sociale. L’uso del capitale, regolato dalle attitudini individuali in modo conforme ad uno scopo, apporta all’organismo sociale dei beni, all’esistenza dei quali hanno interesse tutti gli uomini facenti parte di tale organismo. In qualsiasi posizione uno si trovi nella vita, ha tutto l’interesse a che nulla non si disperda delle attitudini individuali sorgenti dall’umano, e per il cui tramite si producono beni utili per la vita. Lo sviluppo di quelle attitudini può però effettuarsi solo se chi le ha le può attivare per propria libera iniziativa. Quanto da queste sorgenti non può liberamente fluire è sottratto, almeno fino ad un certo grado, al benessere degli uomini. Ora, il mezzo per attivare queste attitudini individuali in vasti campi della vita sociale, è il capitale. In un organismo sociale tutti devono avere vero interesse a che il possesso complessivo del capitale sia amministrato in modo tale che l’individuo capace in quel dato ambito, o che gruppi di persone specializzate in qualche altro, possano disporre di quel capitale in un modo che scaturisca solo dalla loro iniziativa originale. Ognuno, dal lavoratore della mente al lavoratore manuale, se vuol servire senza pregiudizi il proprio interesse, dovrebbe dirsi: vorrei che un numero sufficiente di persone, o di gruppi di persone capaci, possa non solo disporre liberissimamente del capitale, ma anche, di iniziativa propria per pervenire al capitale; perché soltanto tali persone possono giudicare su come, mediante il capitale, le loro attitudini individuali producano corrispondenti vantaggi all’organismo sociale.

 

21. Nei limiti imposti a questo libro non è necessario esporre come nel corso dell’evoluzione umana sia risultata nell’organismo sociale la proprietà privata in rapporto all’attività delle facoltà individuali, a partire da altre forme di possesso. Fino ad oggi tale proprietà si è sviluppata nell’organismo sociale sotto l’influenza della divisione del lavoro. E qui voglio appunto parlare delle condizioni presenti e del loro necessario sviluppo ulteriore.

 

22. Comunque si sia formata la proprietà privata attraverso sviluppi di potenza, conquiste e simili, essa è pur sempre il risultato di un’azione sociale legata ad attitudini umane individuali. Eppure i pensatori socialisti ritengono che l’oppressione derivante dalla proprietà privata si possa eliminare soltanto mediante la sua trasformazione in proprietà collettiva. La questione è posta così: come può essere impedita nel suo sorgere la proprietà privata dei mezzi di produzione affinché cessi l’oppressione che questa esercita sui non abbienti? Chi pone la questione in questi termini non tiene conto del fatto che l’organismo sociale è in continuo divenire, in continuo crescere. Di fronte a questo divenire non si può domandare come si possa regolarlo per il meglio affinché per questo mezzo permanga poi nella condizione che si è riconosciuta giusta. Così si potrebbe pensare soltanto rispetto a qualcosa che, da un dato punto di partenza in poi, operasse sostanzialmente in modo invariabile; ma non rispetto all’organismo sociale che, vivendo, trasforma continuamente ciò che in esso si produce. Se ad esso si vuol dare una presunta forma ideale, in cui debba poi permanere, si distruggono le sue stesse condizioni di vita.

 

23. Una condizione vitale per l’organismo sociale è che, a chi può rendersi utile con le sue attitudini individuali alla collettività, non si tolga la possibilità di rendere tali servigi per propria libera iniziativa. Dove a ciò sia necessaria la libera disponibilità dei mezzi di produzione, il porre ostacolo alla libera iniziativa nuocerebbe agli interessi sociali generali. Ciò che comunemente si sostiene al riguardo, e cioè che l’imprenditore abbia bisogno, come stimolo all’azione, della prospettiva del guadagno inerente al possesso dei mezzi di produzione, non può valere qui come valida obiezione, perché il modo di pensare da cui proviene l’idea del progresso delle condizioni sociali esposta in questo libro, prevede nella liberazione della vita spirituale dalla comunità politica ed economica la possibilità che quel genere di stimolo possa cessare. La vita spirituale, così liberata, svilupperà necessariamente da sé la comprensione sociale, dalla quale deriveranno stimoli di tutt’altra natura di quello consistente nella mera speranza di un vantaggio economico. Non dovrebbe comunque interessare tanto conoscere per quali impulsi sia cara all’uomo la proprietà privata dei mezzi di produzione, quanto se alle condizioni di vita dell’organismo sociale corrisponda meglio la libera disponibilità di tali mezzi, o quella regolata dalla comunità. E a questo riguardo si deve sempre tener presente che per l’odierno organismo sociale non dovrebbero valere considerazioni di condizioni vitali che si crede di osservare nelle società umane primitive, bensì solo quelle che corrispondono all’attuale livello evolutivo dell’umanità.

 

24. Appunto a questo livello, la feconda attività delle attitudini individuali mediante capitale non può avvenire nella sfera economica senza la libera disposizione del capitale. Dove si vuol produrre in modo fecondo si deve poter avere questa libera disponibilità, non perché essa rechi vantaggio a singoli individui, o a gruppi di persone, ma perché può servire nel miglior modo alla collettività, quando sia convenientemente sostenuta dalla comprensione sociale.

 

25. Così come l’uomo è in certo modo legato alla destrezza delle proprie membra, allo stesso modo lo è anche a ciò che produce da sé, o in comune con altri; per cui ostacolare la libera disponibilità dei mezzi di produzione equivale a paralizzarlo nel libero uso della destrezza delle sue membra.

 

26. Ora, la proprietà privata non è altro che il mezzo per usare tale libera disponibilità. Per l’organismo sociale non va preso in considerazione null’altro della proprietà privata, se non che il proprietario ha il diritto di disporre del suo per la sua libera iniziativa. Come si vede, nella vita sociale ci sono due cose, reciprocamente collegate che per l’organismo sociale sono d’importanza del tutto diversa: la libera disposizione del fondo capitalistico per la produzione sociale, e il rapporto di diritto che si stabilisce fra chi ne dispone e gli altri, per il fatto che, da tale diritto di disporne liberamente, conferito all’uno, gli altri sono esclusi dalla libera partecipazione al capitale.

 

27. Non l’originaria libertà di disporre di capitole è la causa degli inconvenienti sociali, ma solo la persistenza del diritto a quella libera disponibilità quando cessano le condizioni che in modo conforme allo scopo legano a tale libera disponibilità le attitudini umane individuali. Chi veda nell’organismo sociale qualcosa che è in continuo divenire e crescere non può fraintendere quanto si accenna qui. Domanderà piuttosto come si può fare affinché quanto da un lato serve alla vita sia regolato in modo che, dall’altro, non le sia nocivo. Ciò che vive non può essere regolato fruttuosamente senza che, sviluppandosi, porti anche dei danni. Se si vuol collaborare al diveniente come a quanto deve fare l’uomo per l’organismo sociale, il compito non può consistere addirittura nell’impedire il sorgere di un ordinamento necessario per evitare gli inconvenienti. Perché in tal modo si minerebbe la stessa possibilità di vita dell’organismo sociale. Può trattarsi soltanto di intervenire nel momento giusto, quando ciò che si conformava a quel fine si trasforma e diventa nocivo.

 

28. La possibilità che le attitudini individuali dispongano liberamente del capitale deve sussistere, ma il diritto di proprietà che vi si collega deve potersi trasformare nel momento in cui si converte in un mezzo di ingiustificato svolgimento di potenza.

 

Oggi abbiamo un provvedimento che tiene conto dell’esigenza sociale qui indicato, ma che è realizzato solo in parte, e solo per la cosiddetta proprietà spirituale. Questa, qualche tempo dopo la morte dell’autore passa nel libero dominio pubblico, ed a base di questo provvedimento sta davvero una concezione conforme alla vera natura della convivenza umana. Per quanto strettamente legata alla capacità individuale di un singolo individuo sia la produzione di un bene puramente spirituale, pure questo è, al tempo stesso, un risultato della vita sociale, e a questa deve nel giusto momento passare. La cosa non sta però diversamente riguardo alla proprietà di altri generi. Ciò che aiuta l’individuo a produrre a vantaggio del tutto, risulta soltanto dalla cooperazione di questo tutto. Quindi il diritto di disporre di una proprietà non può essere amministrato in disgiunzione dagli interessi della comunità. Non è dunque da cercare il mezzo di distruggere la proprietà del capitale, ma il mezzo di amministrare questa proprietà nel modo che meglio risponda al vantaggio della collettività.

 

29. Questo giusto mezzo può trovarsi nella triarticolazione dell’organismo sociale. Gli uomini riuniti nell’organismo sociale operano come collettività mediante lo Stato di diritto. L’attività delle attitudini individuali appartiene all’organizzazione spirituale.

 

30. Siccome nell’organismo sociale, per un modo di vedere che si fondi sulla realtà e non si lasci sopraffare da opinioni soggettive, teorie, desideri, ecc., tutto proclama la necessità della triarticolazione di questo organismo, così in modo particolare la richiede la questione del rapporto delle attitudini umane individuali col fondamento capitalistico della vita economica e la proprietà di tale base capitalistica. Finché le attitudini individuali sono collegate col capitale in modo che l’adoperarlo sia un servizio reso alla totalità dell’organismo sociale, lo Stato di diritto non dovrà ostacolare l’origine e l’amministrazione della proprietà privata del capitale. Di fronte alla proprietà privata lo Stato di diritto rimarrà Stato di diritto senza impossessarsene mai, ma provvedendo a che, nel giusto momento, il diritto di disporne passi a una persona, o a un gruppo di persone, che a loro volta possano sviluppare con la proprietà un rapporto determinato da attitudini individuali. Così da due punti di partenza del tutto diversi potrà esser reso un buon servigio all’organismo sociale. Dal substrato democratico dello Stato di diritto, concernente ciò che interessa in ugual modo tutti gli uomini, potrà essere vigilato a che nel corso del tempo il diritto di proprietà non divenga un diritto ingiusto. Per il fatto che lo Stato di diritto non usa esso stesso la proprietà, ma ne cura il trapasso alle attitudini individuali, queste potranno svolgere la loro feconda energia a favore di tutto l’organismo sociale. Con questa organizzazione il diritto di proprietà e la disponibilità della proprietà potranno restare affidate all’elemento personale finché ciò sembri corrispondente allo scopo. Si può immaginare che i rappresentanti dello Stato di diritto daranno, in tempi diversi, leggi del tutto differenti sul trapasso della proprietà da una persona o gruppo di persone ad altre. Nel momento attuale in cui si è largamente sviluppata una grande sfiducia verso ogni proprietà privata, si pensa a un radicale trapasso di questa a proprietà comune. Se si andasse molto avanti su questa via, si riconoscerebbe che così facendo si arresta la possibilità di vita dell’organismo sociale. Ammaestrati dall’esperienza, si batterebbe più tardi un’altra via. Ma sarebbe meglio, senza dubbio, prendere fin d’ora le direttive che, nel senso qui esposto, risanerebbero l’organismo sociale. Finché una persona, da sé, o in unione con altre, continua l’attività produttiva che l’ha portata a disporre di un fondo di capitale, le dovrà rimanere il diritto di disporre di quella quantità di capitale che risulterà come profitto del capitale di base, quando tale profitto sia impiegato ad allargare l’azienda di produzione. Dal momento in cui la persona in questione cessa di amministrare la produzione, quel capitale dovrà passare nelle mani di un’altra, o di un altro gruppo, per l’esercizio di una produzione dello stesso o di un altro genere che serva all’organismo sociale. Anche il capitale che viene guadagnato nell’esercizio di un’azienda e che non è usato per la sua espansione, dovrebbe prendere fin dalla sua origine la stessa via. Come proprietà individuale della persona che dirige un’azienda va considerata solo la somma che questo dirigente preleva in base alle richieste che, nell’assumere l’azienda, ha creduto di fare per le sue attitudini individuali, e che appaiono giustificate dal fatto che egli ricevette dalla fiducia di altri il capitale per la valorizzazione delle proprie capacità. Se grazie all’opera di questo dirigente il capitale ha ottenuto un aumento, allora, alla somma da lui originariamente percepita, si aggiungerà, come sua proprietà privata, quel tanto che corrisponde, a mo’ d’interesse, all’aumento del capitale. Il capitale con cui è stato iniziato un esercizio di produzione, passerà, secondo la volontà dei proprietari originari, a un nuovo amministratore, con tutti gli obblighi prima assunti, oppure tornerà a loro, se il primo amministratore non può, o non vuole continuare ad occuparsi dell’esercizio.

 

31. In tale ordinamento si ha a che fare con trapassi di diritto. Escogitare le disposizioni legislative per regolare questi trapassi compete allo Stato di diritto.

Lo Stato di diritto dovrà vigilarne anche l’esecuzione e regolarne l’amministrazione. Si può ben pensare che, nei particolari, le disposizioni che regolano tale trapasso di diritto possano essere ritenute giuste dalla coscienza giuridica, ora in un modo, ora in un altro. Un modo di pensare come quello qui esposto, cioè corrispondente alla realtà, non potrà mai fare altro che indicare la via in cui il riordinamento si potrà svolgere. Quando si segua con piena coscienza questa direttiva, si troverà sempre, nei singoli casi concreti, ciò che è necessario al caso. Ma dallo spirito della cosa si dovrà trarre ciò che è giusto nella pratica della vita, a seconda delle condizioni particolari.

Quanto più un modo di pensare corrisponde alla realtà, tanto meno pretenderà di fissare, per ogni singolo caso, legge e regolamento secondo esigenze preconcette. D’altra parte, proprio dallo spirito di un tale modo di pensare, necessariamente, e in modo deciso, risulterà l’una o l’altra soluzione. Da ciò risulterà che lo Stato giuridico stesso, dovendo curare i trapassi dei diritti, non dovrà mai impadronirsi esso stesso della facoltà di disporre di capitali. Dovrà solo curare che i trapassi avvengano in favore di persone, o di gruppi di persone, che con le loro attitudini individuali li giustifichino. Su tale premessa si dovrà stabilire, sia pure in modo del tutto generico, il dispositivo che chi, per le ragioni dette, debba procedere ad una cessione di capitale, possa decidere con libertà di scelta del suo successore nell’utilizzazione di questo. Potrà scegliere una persona, o un gruppo di persone, o anche cedere il diritto di disponibilità a una corporazione dell’organismo spirituale, dato che chi ha reso un buon servizio all’organismo sociale con l’amministrazione di un capitale sarà pure in grado, per le sue attitudini individuali, di giudicare con sociale intendimento dell’uso ulteriore di questo capitale. E sarà più giovevole all’organismo sociale fondarsi su questo giudizio, anziché rinunciarvi, lasciando il provvedimento relativo in mano a persone non direttamente connesse con la cosa.

 

32. Una norma del genere sarà presa in considerazione per capitali da un certo livello in su, che siano stati accumulati da una persona o da un gruppo di persone, con mezzi di produzione (ai quali appartengono anche i fondi e i terreni), e che non diventino proprietà personale in base a compensi originariamente richiesti per prestazioni da parte delle attitudini individuali.

 

33. Gli acquisti fatti in quest’ultimo modo e tutti i risparmi provenienti da prestazioni del proprio lavoro restano, fino alla morte della persona che li ha accumulati, o per un certo tempo dopo, di proprietà personale sua o dei suoi successori. Per quel tempo si dovrà esigere da colui, al quale tali risparmi sono affidati per l’acquisto di mezzi di produzione, un interesse da stabilirsi dallo Stato giuridico e risultante dalla coscienza dei diritti. In un organismo sociale posto sulle basi qui indicate, può farsi una netta separazione tra i proventi derivanti da un lavoro fatto con mezzi di produzione e il patrimonio acquistato sulla base del lavoro personale fisico e spirituale. Questa separazione corrisponde alla coscienza dei diritti e agli interessi della collettività sociale. Ciò che uno risparmia e come risparmio mette a disposizione di un’azienda di produzione, serve agli interessi generali; rendendo possibile (ciò che altrimenti non accadrebbe) alle attitudini umane individuali di dirigere la produzione. L’aumento di capitale mediante i mezzi di produzione – dedotto l’interesse corrispondente – essendo dovuto all’azione di tutto l’organismo sociale, è giusto che ritorni all’organismo sociale, nel modo più sopra indicato. Lo Stato politico avrà soltanto da stabilire che il trapasso dei capitali in questione sia fatto nel modo accennato, ma non spetterà allo Stato decidere a disposizione di qual genere di produzione (materiale o spirituale) dovrà mettersi un capitale passato da uno ad un altro, o formatosi col risparmio. Ciò condurrebbe a una tirannia dello Stato sulla produzione spirituale e materiale, che è invece diretta nel modo migliore per l’organismo sociale dalle attitudini individuali umane. Solo chi non voglia scegliere da sé la persona a cui trasmettere il capitale da lui ammassato avrà la libera facoltà di cedere ad una corporazione dell’organizzazione spirituale il diritto di disporne.

 

34. Anche un patrimonio accumulato col risparmio, insieme alla somma degli interessi, passa per designazione testamentaria del proprietario, alla sua morte o qualche tempo dopo, a una persona, o gruppo di persone, che sia capace di produrre materialmente o spiritualmente. Ma soltanto a tali persone, non mai a persone improduttive, per le quali quella ricchezza costituirebbe una rendita pura e semplice. Anche in questo caso, se una persona, o un gruppo di persone, non può designarsi direttamente, il diritto di disporre della somma in questione passerà ad una corporazione dell’organismo spirituale. Solo se qualcuno non dia da sé alcuna deliberazione, interverrà lo Stato politico per far sì che la deliberazione sia presa dall’organizzazione spirituale.

 

35. In un ordinamento sociale regolato così si tiene conto tanto della libera iniziativa dei singoli individui, quanto degli interessi della collettività sociale; anzi, a questi ultimi sarà pienamente corrisposto proprio col mettere al loro servizio la libera iniziativa individuale. In questo ordinamento, chi deve affidare alla direzione altrui il proprio lavoro, potrà essere sicuro che il lavoro fatto in comune con chi lo dirige sarà, nel miglior modo possibile, utile all’organismo sociale, quindi anche al lavoratore stesso. L’ordinamento sociale qui inteso stabilirà un rapporto corrispondente al sano sentimento umano tra i diritti di deliberazione circa il capitale incorporato nei mezzi di produzione, regolati dalla coscienza di ciò che è giusto, e sia l’energia umana lavorativa, da un lato, sia i prezzi dei prodotti ottenuti da ambedue, dall’altro. Forse qualcuno troverà delle imperfezioni nelle cose qui esposte. E si trovino pure! Per una concezione corrispondente alla realtà, quel che importa non è dare una volta per sempre un “programma perfetto”, ma la direzione nella quale praticamente si deve lavorare. Le indicazioni particolari qui esposte non vogliono se non spiegare, a mo’ di esempio, la direzione indicata. Gli esempi possono essere migliorati; purché ciò si faccia nel senso indicato, si potrà raggiungere utilmente lo scopo.

 

36. Per mezzo di queste disposizioni potranno essere messi d’accordo i giustificati impulsi personali o familiari con le esigenze della collettività umana. Certo si potrà sostenere come, già durante la vita, sia assai grande la tentazione di trasmettere la proprietà ad uno o a più discendenti, facendoli passare come persone apparentemente produttive, mentre di fronte ad altre, sarebbero inette e meglio sostituibili. Questa tentazione potrebbe essere però limitata di molto in un’organizzazione regolata da disposizioni come quelle sopra accennate: basterebbe che lo Stato politico richiedesse in ogni caso che la proprietà trasmessa da un membro di una famiglia a un altro, dopo un dato tempo dalla morte del primo, passasse ad una corporazione dell’organizzazione spirituale. Oppure, anche in altro modo il diritto potrà impedire l’elusione dell’applicazione della norma. Lo Stato politico provvederà solo a che il trapasso della proprietà avvenga; la persona prescelta a possedere l’eredità dovrebbe invece essere designata dall’organizzazione spirituale. Con queste premesse si imparerà ad intendere come i discendenti debbano essere preparati per la vita sociale mediante educazione ed istruzione, e come non si debba danneggiare la società col trasmettere capitali a persone improduttive. Chiunque abbia un vero intendimento sociale non ha interesse a che il suo rapporto con un fondo di capitale si trasmetta a persone, o gruppi di persone, le cui attitudini individuali non giustifichino quel rapporto.

 

37. Nessuno che abbia senso per ciò che nella pratica è realmente attuabile riterrà mera utopia quanto è qui proposto, dato che si accenna proprio a disposizioni che possono completamente scaturire direttamente dalle condizioni attuali, in qualunque situazione della vita. Solo si dovrà rinunziare, pian piano, nell’ambito dello Stato politico, ad amministrare la vita spirituale, ad ingerirsi di economia, ed a non fare resistenza quando accada realmente ciò che dovrebbe accadere, cioè che sorgano privati istituti di istruzione, e che la vita economica si basi sulle proprie fondamenta. Non occorre abolire dall’oggi al domani le scuole di Stato e le istituzioni economiche di Stato, ma da un inizio forse limitato si vedrà sorgere la possibilità che gradualmente si effettui la DEMOLIZIONE della cultura di Stato e dell’economia di Stato. Prima di tutto però è necessario che quelle persone, le quali riescono a convincersi della giustezza delle idee sociali qui esposte, o di altre congeneri, si occupino della loro diffusione.

 

Se queste idee saranno comprese si creerà la fiducia in una possibile salutare trasformazione delle condizioni presenti in altre, che non presentino gli stessi inconvenienti. Questa fiducia è l’unica cosa da cui potrà scaturire un’evoluzione veramente sana. Infatti per acquistare una tale fiducia, occorre poter vedere come nel mondo le nuove disposizioni possano riconnettersi a quanto praticamente già esiste. L’essenziale delle idee qui esposte è appunto il fatto che esse vogliono promuovere un avvenire migliore non attraverso distruzione dell’attuale stato di cose, ancor più vasta di quella già avvenuta, ma vogliono che la loro attuazione si effettui attraverso il costruire su ciò che già esiste e, mentre si costruisce, compiere via via la DEMOLIZIONE di ciò che è malsano. Da un rinnovamento che non si sforzi di stabilire la fiducia in tal senso, non risulterà ciò che si deve incondizionatamente conseguire, cioè un’ulteriore evoluzione in cui il valore delle capacità acquisite e dei beni finora conquistati per opera umana non sia gettato al vento, ma tutelato. Anche il pensatore più radicale può avere fiducia in un rinnovamento sociale che tuteli i valori acquisiti, se vede proporsi delle idee capaci di iniziare un’evoluzione veramente sana. Anch’egli dovrà riconoscere che, qualunque classe pervenga al potere, non potrà togliere di mezzo i mali esistenti se i suoi impulsi non sono sostenuti da idee che rendano vitale e sano l’organismo sociale. Disperare perché non si può credere che in un numero sufficientemente grande di persone, anche nella confusione presente, si possa trovare comprensione per queste idee, quando si spenda l’energia necessaria per diffonderle, vorrebbe dire disperare della capacità della natura umana di ricevere impulsi per ciò che è sano e rispondente al fine. La questione, se si debba o no disperare di ciò, non dovrebbe nemmeno porsi, ma solo quest’altra: “Cosa occorre fare per diffondere il più energicamente possibile la conoscenza di idee capaci di suscitare fiducia?”.

 

38. Una diffusione efficace delle idee qui esposte sarà contrastata, inizialmente, dal fatto che le attuali abitudini di pensiero non vi si accordano per due fondamentali pregiudizi. O si obietta, in una forma qualsiasi, che non si può comprendere come sia possibile lo smembramento della vita sociale unitaria, dato che le tre parti di essa sono in realtà ovunque collegate; oppure si ritiene che anche nello Stato unitario possa conseguirsi la necessaria indipendenza di ciascuna delle tre parti, e che, veramente, in ciò che qui si propone, si da un’elucubrazione di idee che non tocca la realtà. Il primo pregiudizio dipende dal prendere le mosse da un modo di pensare irreale: si crede che gli uomini possano conseguire l’unità di vita in una comunità solo quando quest’unità le sia imposta mediante regolamento. La realtà della vita esige invece l’opposto. L’unità deve nascere come un risultato. Le attività concorrenti da diverse direzioni devono da ultimo formare l’unità. L’evoluzione degli ultimi tempi è andata però nel senso inverso di quest’idea realistica. Perciò quel che viveva negli uomini si opponeva all’“ordine” portato nella vita da fuori ed ha condotto alla situazione sociale presente. Il secondo pregiudizio deriva dall’incapacità di scorgere la radicale differenza d’azione dei tre organismi della vita sociale: non si vede che l’uomo ha, con ciascuno di questi tre organismi, uno speciale rapporto che può stabilirsi secondo la sua particolare natura solo se nella vita reale esista un terreno a sé, su cui questo rapporto possa svilupparsi, separatamente dalle altre due parti, per cooperare con esse. Una concezione antica, detta fisiocratica, riteneva che: o gli uomini stabiliscono regole di governo per la vita economica contrastanti col libero sviluppo autonomo di essa, e allora queste regole sono dannose; oppure le leggi seguono lo stesso indirizzo che la vita economica segue spontaneamente quando è abbandonata liberamente a se stessa, e allora esse sono superflue. Come opinione scolastica questa concezione è superata, ma come consuetudine di pensiero rumoreggia disastrosamente ancora dappertutto nelle teste umane. Si crede che, quando un ramo della vita segue le sue proprie leggi, da esso dovrebbe risultare addirittura tutto ciò che è necessario alla vita. Se, per esempio, la vita economica sia regolata in un modo che appaia agli uomini soddisfacente, si pensa che su tale riordinato ambito economico dovrebbero sorgere corrette anche la vita giuridica e quella spirituale. Ma ciò non è possibile. E può apparire possibile soltanto a un pensiero estraneo alla realtà. [Che le cose siano proprio così lo dimostra, ad es., il fatto che in questi tempi di crisi conclamata da oltre mezzo secolo “la Comunità europea concede un indennizzo per la distruzione degli agrumi in eccesso” (cfr. G. Falcone, “Cose di Cosa Nostra”, Ed. Rizzoli, Milano 1992, p. 144, nella mia presentazione di questo 3° cap. de “I punti essenziali”). Se per la logica economica ciò è giustificabile, in quanto rendendo rara una merce la si rende più cara, ciò non dovrebbe essere giustificato per il diritto. La logica economica non dovrebbe coincidere con quella giuridica, dato che quest’ultima dovrebbe implicare il concetto di uguaglianza fra gli uomini. Se i bambini muoiono di fame, se i genitori si suicidano, e se i politicanti dell’economia di Stato in combutta coi legislatori fanno in modo di incentivare la distruzione degli agrumi (questo è solo un esempio), significa che il concetto di uguaglianza fra cittadini che non appartengono a questa comunella e quelli che vi appartengono non è uguale, dato che evidentemente questi ultimi si sentono superiori, cioè diversi e non uguali – ndc] Nel giro della vita economica non esiste nulla che abbia in sé l’impulso a regolare ciò che emana dalla coscienza della giustizia circa i rapporti tra uomo e uomo. Se si vogliono regolare questi rapporti per mezzo di impulsi economici, si aggiogherà l’uomo, col suo lavoro e con la sua disponibilità dei mezzi di lavoro, alla vita economica. L’uomo diverrà una ruota di questa vita economica operante come un meccanismo. La vita economica tende costantemente a muoversi in una direzione, in cui occorre che un’altra azione intervenga da un’altra parte. Non si può dire che le norme giuridiche siano buone quando seguono la direzione data dalla vita economica, e che siano dannose quando le sono contrarie; ma bisognerebbe dire: quando la direzione in cui scorre la vita economica sia costantemente influenzata dai diritti che riguardano solo l’uomo come tale, questi potrà trovare nella vita economica un’esistenza veramente degna di chiamarsi umana. E solo quando le attitudini individuali, del tutto separate dalla vita economica, cresceranno sul loro terreno e apporteranno all’economia energie nuove, energie che da essa da sola non potrebbe mai produrre, anche l’economia potrà svilupparsi in modo utile agli uomini.

 

39. È strano! Nel campo della vita puramente esteriore si scorge facilmente il vantaggio della divisione del lavoro: nessuno pensa che un sarto debba allevare da sé la mucca che gli dà il latte. Invece, per la struttura generale della vita umana si crede che l’ordinamento unitario sia il solo da cui possano nascere buoni frutti.

 

40. È ben comprensibile che ad una direttiva di idee sociali corrispondente alla vita reale debbano da ogni parte sollevarsi obiezioni, perché appunto la vita reale genera contraddizioni. Chi pensa conformemente a questa vita reale dovrebbe voler attuare provvedimenti le cui contraddizioni possano nella vita essere compensate da altri provvedimenti. Non dovrebbe credere che un’istituzione, a suo avviso “idealmente buona”, possa attuarsi pur restando immune da contraddizioni. È un’assai giustificata esigenza del socialismo contemporaneo che le istituzioni attuali finalizzate a produrre per il profitto del singolo siano sostituite da altre finalizzate a produrre per il consumo collettivo. Ma appunto chi riconosca pienamente quest’esigenza non dovrebbe concludere col socialismo odierno che, pertanto, i mezzi di produzione debbano passare dalla proprietà privata alla proprietà comune. Dovrebbe invece pronunciarsi per una conclusione completamente diversa, che cioè tutto quanto si produce privatamente grazie ad attitudini individuali, sia messo a disposizione della collettività per le dovute vie. L’odierno impulso economico tende a creare entrate mediante la quantità della produzione: mediante associazioni e prendendo le mosse dal necessario consumo, l’avvenire dovrà cercare di arrivare al miglior modo di produrre, e trovare la via diretta dal produttore al consumatore. Le norme giuridiche provvederanno a che un’azienda produttiva sia legata a una persona, o a un gruppo di persone, solo finché ciò sia giustificato dalle loro capacità.

In luogo della proprietà comune dei mezzi di produzione, subentrerà nell’organismo sociale la circolazione di detti mezzi, che li porterà sempre di nuovo nelle mani di coloro le cui attitudini individuali possano renderli utili alla collettività nel miglior modo possibile. In tal modo sarà temporaneamente stabilito quel collegamento tra persone e mezzi di produzione, che finora fu esercitato dalla proprietà privata, perché il direttore di un’azienda e i suoi dipendenti dovranno ai mezzi di produzione se le loro capacità procureranno loro un reddito corrispondente alle loro esigenze. Costoro non mancheranno di rendere quanto più possibile perfetta la produzione, perché il suo aumento darà loro un vantaggio, anche se non l’intero profitto; secondo quanto esposto, il profitto andrà alla comunità solo nella misura risultante dopo la deduzione dell’interesse spettante al produttore come compenso dell’aumento di produzione. Secondo lo stesso concetto, quando la produzione diminuisca, anche il profitto del produttore dovrà ovviamente diminuire, così come aumenta con l’aumento della produzione. Il provento dipenderà sempre dalla prestazione spirituale del dirigente, però non da entrate risultanti da condizioni poste nel lavoro spirituale dell’imprenditore, bensì nella cooperazione delle forze della vita sociale.

 

41. Si potrà vedere che, con l’attuazione di tali idee sociali, le istituzioni odierne prenderanno un significato del tutto nuovo. La proprietà cessa di essere ciò che è stata finora; e non per essere ricondotta a una forma già superata, come sarebbe la proprietà comune, ma per procedere verso forme completamente nuove. Gli oggetti della proprietà vanno portati nella corrente della vita sociale. Il singolo individuo non potrà amministrarli per proprio interesse privato a danno della collettività; ma neppure questa potrà amministrarli burocraticamente a danno del singolo. L’individuo che abbia le dovute attitudini potrà accedere agli oggetti della proprietà e usarli a vantaggio della società.

 

42. Un senso per l’interesse comune può essere sviluppato attuando impulsi capaci di porre la produzione su una base sana e preservando l’organismo sociale da pericoli di crisi. Un’amministrazione che si occupi solo della vita economica può anche condurre a compensi necessari alla vita economica stessa. Se, per esempio, un’azienda non è in grado di pagare interessi a chi vi impiega i suoi risparmi di lavoro, e se nonostante ciò l’azienda è riconosciuta corrispondente ad un bisogno, allora potrà essere aggiunto il mancante da parte di altre aziende, previa libera intesa con tutte le persone che vi partecipano. Un giro economico chiuso in sé, che riceva dal di fuori la sua base giuridica e la continua affluenza di individuali capacità umane che vanno man mano sorgendo, avrà in sé a che fare solo con l’economia. Perciò potrà essere fattore di una divisione dei beni che procura a ciascuno quel che giustamente gli spetta secondo il benessere economico della collettività. Se uno avrà apparentemente un reddito maggiore di un altro, ciò avverrà solo perché, in virtù delle sue capacità individuali, il “di più” torna utile alla generalità.

 

43. Un organismo sociale, che si costituisca alla luce delle idee qui esposte, può regolare, mediante accordi tra i dirigenti della vita politica e quelli della vita economica, le imposte occorrenti all’organizzazione politica. E tutto quanto è necessario al mantenimento dell’organizzazione spirituale affluirà a questa dai compensi che, per effetto di libera comprensione, saranno offerti dai singoli partecipanti all’organismo sociale. Questa organizzazione spirituale avrà la sua sana base nelle iniziative individuali che si faranno valere nella libera concorrenza delle singole persone capaci di lavoro spirituale.

 

44. Ma soltanto nell’organismo sociale qui inteso l’amministrazione del diritto troverà la necessaria comprensione per una giusta ripartizione dei beni. Un organismo economico che non richieda il lavoro degli uomini partendo dai bisogni dei singoli rami di produzione, ma che svolga la propria economia nei limiti che gli sono segnati dal diritto, determinerà il valore delle merci secondo le prestazioni umane. Esso non esigerà dagli uomini prestazioni determinate da valutazioni di merci calcolate indipendentemente dal benessere e dalla dignità umani. Un simile organismo vedrà diritti derivanti da rapporti puramente umani. I bambini avranno diritto all’educazione; l’operaio padre di famiglia potrà avere un reddito maggiore che non il celibe. Il “di più” gli verrà assegnato per disposizioni fissate da accordi fra tutte e tre le organizzazioni sociali. Tali disposizioni potranno corrispondere al diritto dell’educazione se, basandosi sulle condizioni economiche generali, l’amministrazione dell’organizzazione economica calcolerà il possibile ammontare delle entrate destinate all’educazione, e lo Stato politico, dopo udito il parere dell’organizzazione spirituale, fisserà i diritti del singolo individuo. Anche qui, sta nella natura di un pensiero corrispondente alla realtà che con tali accenni si voglia solamente indicare, a mo’ di esempio, la direzione in cui tali disposizioni possono essere attuate. Potrebbe darsi che, nei singoli casi, risultassero giuste disposizioni del tutto diverse. Ma il “giusto” si potrà trovare soltanto tramite un’adeguata cooperazione delle tre sfere, per se stesse indipendenti, dell’organismo sociale. Qui, contrariamente a molte idee che al presente si ritengono pratiche mentre non lo sono, il pensiero che sta a base di questa esposizione vorrebbe trovare ciò che è veramente pratico, vale a dire, una struttura dell’organismo sociale che dia agli uomini il modo di produrvi ciò che è socialmente utile e buono.

 

45. Come i fanciulli hanno diritto all’educazione, così i vecchi, gli invalidi, le vedove, gli infermi, hanno diritto al sostentamento; il capitale che occorre a questo scopo dovrà fluire nell’ambito dell’organismo sociale, come fluisce il contributo occorrente per l’educazione di coloro che sono ancora incapaci di produrre. L’essenziale in tutto questo è che il fissare le entrate spettanti a chi non guadagna da sé non debba dipendere dalla vita economica, ma che, viceversa, la vita economica diventi dipendente da ciò che a tal riguardo risulta dalla coscienza della giustizia. Coloro che lavorano in un organismo economico avranno, in meno di ciò che hanno prodotto col loro lavoro, quel tanto che deve essere devoluto a chi non è in condizione di lavorare. Ma questo “meno” sarà diviso, in egual misura fra tutti i componenti dell’organismo sociale, quando saranno messi in opera gli impulsi sociali qui indicati. Dallo Stato di diritto, separato dalla vita economica, ciò che è interesse generale dell’umanità, cioè l’educazione e il mantenimento degli inabili al lavoro, sarà veramente trattato come tale, perché nel campo dell’organizzazione politica tutti gli uomini divenuti maggiorenni devono poter interloquire.

 

46. Un organismo sociale, che corrisponda al modo di pensare qui esposto, farà affluire alla comunità il sovrappiù di lavoro che un uomo compie in virtù delle sue attitudini individuali, come per la minor produzione dei meno dotati attingerà dalla stessa comunità quanto è giustificato per il loro mantenimento. Il cosiddetto plusvalore non sarà prodotto per il godimento ingiustificato di singoli, ma per l’aumento di beni, materiali o spirituali, che devono essere forniti all’organismo sociale e per l’assistenza a quanto nasce dal grembo stesso di questo organismo, senza potergli servire in modo diretto.

 

47. Chi è incline a credere che l’articolazione fra le tre strutture dell’organismo sociale abbia solo un valore ideale, e che questa risulti “da sé” anche nell’organismo statale unitario, o in un’associazione economica comprendente il dominio statale, e basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione, dovrebbe rivolgere lo sguardo alla natura speciale delle disposizioni sociali che devono risultare dall’attuazione della detta triarticolazione. Ad esempio, non sarà più l’amministrazione statale a dover riconoscere il denaro come mezzo legale di pagamento, ma questo riconoscimento dovrà fondarsi su misure emanate dai corpi amministrativi dell’organizzazione economica, perché in un sano organismo sociale IL DENARO NON PUÒ ESSERE ALTRO CHE UN ASSEGNO SU MERCI PRODOTTE DA ALTRI, che noi possiamo ritirare dal campo generale della vita economica, dato che a questo campo abbiamo ceduto altra merce prodotta da noi.

 

48. Con la circolazione del denaro un campo economico diventa unitario. Nel giro della vita economica ciascuno produce per tutti. Entro il campo economico si ha a che fare unicamente con valori di merci; in esso prendono carattere di merci anche le prestazioni che si svolgono nelle organizzazioni spirituali e statali. Ciò che un maestro fa per i suoi scolari, è merce per l’ambito economico. Al maestro le sue attitudini individuali NON sono pagate, così come all’operaio NON è pagata la sua forza di lavoro. All’uno come all’altro può essere pagato solo quanto, partendo da loro, può essere merce o merci nel giro economico. Il modo in cui la libera iniziativa e il diritto possono funzionare, affinché si produca merce, permane fuori dal giro economico, così come resta fuori dal giro economico l’azione delle forze naturali sul prodotto del frumento in un anno di abbondante o di scarso raccolto. Per il giro economico, sia l’organizzazione spirituale in merito a quanto questa richiede come provento economico, sia anche lo Stato, sono singoli produttori di merce. Tutto quanto questi producono nella loro sfera d’azione non è però merce, ma diventa merce quando tutto ciò è accolto nel giro economico. Essi non svolgono interessi economici nei loro rispettivi campi, ma li svolge l’amministrazione dell’organismo economico col FRUTTO delle loro prestazioni.

 

49. Il valore puramente economico, di una merce (o di una prestazione) in quanto si esprime nel denaro che rappresenta il suo equivalente deriverà dalle capacità che saprà sviluppare l’amministrazione economica entro l’organismo economico. Dalle misure che questa saprà prendere, dipenderà fino a qual punto, sulla base spirituale e giuridica, creata dalle altre parti dell’organismo sociale, potrà svilupparsi la produttività economica. Il valore monetario di una merce sarà allora l’espressione del fatto che questa merce è prodotta in quantità corrispondente al bisogno, grazie alle disposizioni dell’organismo economico. Se le premesse esposte in questo libro saranno realizzate, non sarà più determinante nell’organismo economico l’impulso ad ammassare ricchezze mediante la quantità della produzione, ma si coordinerà la produzione secondo i bisogni, per opera di associazioni fra loro collegate nelle più svariate maniere. Con ciò sarà stabilito il rapporto conforme a tali bisogni, fra il valore del denaro e l’organizzazione della produzione (solo da un’amministrazione dell’organismo sociale che risulti da una tale libera collaborazione dei tre sistemi dell’organismo sociale risulterà per la vita economica un sano rapporto dei prezzi dei beni prodotti. Il prezzo dev’essere tale che ogni uomo che lavora, ottenga, come equivalente di un prodotto, quanto occorre per l’appagamento di tutti i bisogni suoi e di coloro che gli appartengono, fino a quando egli abbia di nuovo prodotto un altro lavoro del genere. Tale rapporto tra i prezzi non può essere fissato d’ufficio, ma deve emergere, come risultato, dalla cooperazione vivente delle associazioni attive nell’organismo sociale. Ed indubbiamente emergerà quando la collaborazione poggerà sulla sana opera comune dei tre sistemi. Risulterà con la stessa sicurezza con cui risulta un ponte solido quando lo si costruisce secondo giuste leggi matematiche e meccaniche. È facile obiettare che la vita sociale non segue le sue leggi allo stesso modo di un ponte. Ma nessuno la solleverà se sarà in grado di riconoscere come nell’esposizione fatta in questo libro siano pensate, alla base della vita sociale, leggi viventi e non matematiche). Nell’organismo sociale sano il denaro sarà in realtà solo il misuratore del valore, perché dietro ogni moneta o banconota vi sarà produzione di merce, solo in virtù della quale il possessore del denaro potrà averlo avuto. Dalla natura delle condizioni risulteranno necessari provvedimenti per cui il denaro perda il suo valore per chi lo possiede, quando abbia perso il significato qui caratterizzato. Di tali provvedimenti ho già fatto cenno. Il possesso del denaro passa, dopo un tempo determinato e nella forma dovuta, alla collettività. Ed affinché il denaro non impiegato nella produzione non sia trattenuto da chi lo possiede, eludendo le disposizioni dell’organizzazione economica, si potrà farne, di tempo in tempo, la ri-coniazione o la ristampa. Da tali condizioni risulterà anche certamente che l’ammontare degli interessi di un capitale si restringa sempre più col passare degli anni. Il denaro si logorerà, come si logorano le merci; ma questa misura, che dovrà esser presa dallo Stato, sarà giusta. Non potranno più esservi “interessi” su interessi. Chi fa risparmi ha certamente fatto prestazioni che possono conferirgli il diritto a ricevere più tardi delle controprestazioni in merci; come le prestazioni attuali danno diritto, in cambio, ad attuali contro- prestazioni. Ma tali pretese possono procedere solo fino a un certo limite, perché le pretese provenienti dal passato possono essere soddisfatte solo mediante lavoro attuale. Simili pretese non devono divenire un mezzo di violenza economica. Con la realizzazione di queste premesse il problema del denaro sarà posto su di una sana base perché, comunque la forma del denaro si stabilisca in base ad altre circostanze, il denaro sarà la ragionevole base di tutto l’organismo economico ad opera della propria amministrazione. La questione del denaro non sarà mai risolta in modo soddisfacente da uno Stato per mezzo di leggi; gli Stati attuali la potranno risolvere soltanto se rinunzino da parte loro alla sua risoluzione, e lascino al mero organismo economico le misure necessarie per risolverla.

 

50. Si parla molto della moderna divisione del lavoro, e dei suoi effetti quanto ad economia di tempo, perfezionamento dei prodotti, scambio di merci, ecc., ma poco si guarda a come questa divisione del lavoro influisca sul rapporto tra l’individuo e la sua prestazione di lavoro. Chi lavora in un organismo sociale ordinato in base alla divisione del lavoro non guadagna mai le sue entrate propriamente da sé, ma mediante il lavoro di tutti coloro che fanno parte dell’organismo sociale. Un sarto, che si faccia un abito per suo proprio uso, non pone quell’abito nel medesimo rapporto verso se stesso come chi, nelle condizioni primitive, si procurava da se tutto il necessario per il sostentamento della sua vita. Egli si fa quell’abito per mettersi in condizione di poter fare altri abiti ad altre persone, e il valore del suo abito per lui dipende interamente dalle prestazioni degli altri. L’abito è veramente un mezzo di produzione. Qualcuno dirà che queste sono sottigliezze. Ma non potrà più pensare così se guarderà alla formazione del valore delle merci nel giro economico. Vedrà allora che in un organismo economico, basato sulla divisione del lavoro, non è per nulla possibile lavorare per sé. Si può lavorare solo per gli altri e far lavorare gli altri per se. Si può altrettanto poco lavorare per sé, quanto poco si può mangiare se stressi. Ma si possono avere istituzioni che contrastano con l’essenza della divisione del lavoro. Questo accade quando la produzione delle merci è meramente indirizzata a dare in proprietà all’individuo quanto egli può produrre solo in grazia della sua posizione nell’organismo sociale. La divisione del lavoro spinge l’organismo sociale a far sì che l’individuo viva in esso secondo le condizioni di tutto quanto l’organismo; dal punto di vista economico la divisione del lavoro elimina l’egoismo. Se poi questo egoismo sussiste ugualmente sotto la forma di privilegio di classi o simili, si determina una condizione sociale insostenibile che porta a scosse violente dell’organismo sociale. È in queste condizioni che viviamo oggi. Vi sarà chi non terrà in alcun conto l’esigenza che le relazioni giuridiche ed altre debbano regolarsi secondo la non-egoistica divisione del lavoro. Costui, dalle sue premesse, può trarre solo questa conseguenza, e cioè che in generale non c’è addirittura proprio nulla da fare, e che il movimento sociale non può condurre a nulla. Certamente è vero che non si può fare nulla di buono, se non si vuol concedere ai fatti reali il loro diritto. Il modo di pensare che sta a base di questo libro vuol conformare ciò che l’uomo ha da compiere in seno all’organismo sociale, a quello che consegue dalle necessità vitali di questo organismo.

 

51. Chi è capace di formarsi i suoi concetti solo secondo le istituzioni consuete, si spaventa sentendo dire che il rapporto tra il lavoratore e chi lo dirige dovrebbe essere svincolato dall’organismo economico, perché crede che un tale svincolo debba portare al deprezzamento del denaro e al regresso verso rapporti economici primitivi (Rathenau, nel suo scritto “Nach der Flut”, esprime simili opinioni, che, dal suo punto di vista, sembrano giustificate). Ma questo pericolo non può sussistere entro la triarticolazione dell’organismo sociale: l’organismo economico posto sulle sue proprie basi, così come quello giuridico, separa del tutto le questioni di denaro da quelle del lavoro regolate dal diritto. I rapporti di diritto non potranno avere un’influenza diretta su quelli di danaro, perché questi ultimi sono il risultato dell’amministrazione dell’organismo economico. Il rapporto di diritto fra chi dirige il lavoro e chi lo esegue non potrà per nulla manifestarsi unilateralmente nel valore del denaro, perché il valore del denaro, dopo che si sarà tolto di mezzo il salario, che rappresenta un rapporto di scambio tra merci e forza di lavoro, sarà esclusivamente la misura del reciproco valore di merci (e prestazioni). Dalla considerazione degli effetti che la triarticolazione ha per l’organismo sociale, si può conquistare la convinzione che essa comporta istituzioni che nelle attuali forme statali non esistono.

 

52. Nell’ambito di queste istituzioni potrà essere eliminato ciò che oggi è sentito come lotta di classe, dato che questa lotta dipende dall’aver aggiogato la mercede del lavoro al giro economico. Qui si propone invece una forma di organismo sociale in cui il concetto di salarlo subisce una trasformazione al pari dell’antico concetto di proprietà. Da tale trasformazione sarà però creata una convivenza sociale tra gli uomini che sarà vitale. Soltanto una critica superficiale troverà che con l’attuazione di quanto è qui proposto null’altro si raggiunga infine che il mutamento del salario a ore in salario a cottimo. Può darsi che una veduta unilaterale della cosa conduca a questo giudizio. Ma qui una tale veduta unilaterale è riguardata come non giusta. Qui si mira a sostituire per il salariato, condizioni contrattuali di spartizione dei FRUTTI delle comuni prestazioni di chi dirige e di chi esegue il lavoro, in connessione con tutto l’ordinamento dell’organismo sociale. E chi vede come salario di cottimo la parte del provento della prestazione spettante al lavoratore, non si accorge che questo “salario di cottimo” (che però non è propriamente un “salario”) si esprime nel valore della prestazione in modo da porre la posizione sociale del lavoratore in tutt’altro rapporto con gli altri membri dell’organismo sociale, rispetto a quello risultante dal dominio di classe, determinato unilateralmente da motivi economici. In tal modo si soddisfa l’esigenza di abolire la lotta di classe. A chi poi è formato nell’opinione, frequentemente espressa specialmente nelle sfere socialiste, che l’evoluzione stessa debba portare la soluzione della questione sociale, e che non si possano fissare piani da realizzarsi, ecc., si può rispondere: “Certo, l’evoluzione dovrà portare ciò che è necessario; ma nell’organismo sociale gli impulsi delle idee dell’uomo sono realtà”. E quando il tempo sia alquanto progredito e si sia oramai realizzato ciò che oggi può solo idearsi, allora quanto si sarà così realizzato farà appunto parte dell’evoluzione. Coloro che confidano “solo nell’evoluzione”, e non nella produzione di idee feconde, dovranno aspettare a giudicare fino a quando ciò che oggi è pensato sarà diventato evoluzione. Solo che allora sarà troppo tardi per il raggiungimento di certi fini già oggi reclamati dai fatti. Nell’organismo sociale non è possibile considerare l’evoluzione oggettivamente come nella natura. L’evoluzione si deve produrre. Perciò è nefasto per lo svolgersi di un sano pensiero sociale che vi si oppongano oggi opinioni che vogliono “dimostrare” ciò che è socialmente necessario, come “si dimostra” nel campo delle scienze naturali. Nella concezione della vita sociale una “prova” può risultare solo a chi è in grado di accogliere nel proprio campo visivo NON SOLO gli elementi del già esistente, ma anche quelli che – spesso inavvertiti – vivono in germe negli impulsi umani, e vogliono essere realizzati.

 

53. Uno degli effetti, per cui la triarticolazione dell’organismo sociale dovrà dimostrare di aver radice nell’essenza della vita sociale umana, sarà la liberazione dell’attività giudiziaria dalle istituzioni statali. A queste spetterà di fissare i diritti che hanno da valere fra gli uomini, o fra gruppi di uomini. L’escogitazione dei giudizi però dipenderà da istituzioni emanate dall’organizzazione spirituale. Il giudicare, infatti, dipende in massima parte dalla possibilità che il giudice abbia senso e comprensione per la condizione individuale del giudicando. Tale senso e comprensione possono esistere soltanto se gli stessi vincoli di fiducia per i quali gli uomini si sentono attratti dalle istituzioni dell’organizzazione spirituale valgano pure riguardo all’istituzione dei tribunali. È possibile che l’amministrazione dell’organizzazione spirituale scelga i giudici che potranno essere presi dalle classi più disparate di professionisti spirituali, e che, decorso un certo tempo, ritorneranno alla propria professione. Allora, entro certi limiti, ognuno avrà la possibilità di scegliersi, fra gli incaricati dell’ufficio di giudici per cinque o dieci anni, quella persona in cui abbia tanta fiducia da voler sottostare alla sua decisione, durante quel periodo, in qualsiasi caso di diritto privato o penale. Nel circondario di residenza di ciascuno vi saranno sempre tanti giudici che tale scelta abbia un valore. Un querelante dovrà allora rivolgersi sempre al giudice pertinente all’eventuale accusato. Si pensi quale decisiva importanza avrebbe avuto un tale ordinamento, per esempio, nell’Austria-Ungheria! Nei paesi di varie lingue gli appartenenti a ciascuna nazionalità avrebbero potuto scegliersi un giudice del proprio popolo. Chi conosce le passate condizioni dell’Austria può anche intendere quanto un tale ordinamento avrebbe potuto contribuire all’equità della vita delle varie nazionalità. Ma, oltre alla nazionalità, ci sono vasti campi della vita, al cui sano svolgimento può favorevolmente concorrere un tale ordinamento. Per la conoscenza più stretta delle leggi, si potrà, alle corti giudiziarie e ai giudici scelti nella maniera descritta, porre a lato funzionari, la cui scelta spetterà pure all’organizzazione spirituale, ma che non dovranno giudicare essi stessi. Dalla stessa organizzazione spirituale si formeranno anche delle Corti di Appello. Nella vita che consegue all’attuazione di queste premesse, sarà essenziale che un giudice abbia familiarità con le consuetudini di vita e col modo di sentire di coloro che deve giudicare, e che, oltre al suo ufficio che terrà soltanto temporaneamente, conosca bene gli ambienti di vita di coloro che devono essere giudicati. Così come il sano organismo sociale educherà in tutte le sue istituzioni la comprensione sociale delle persone che ne fanno parte, allo stesso modo farà anche per l’esercizio della giustizia. L’esecuzione dei giudizi spetterà allo Stato politico.

 

54. Non occorre, per ora, descrivere per esteso le istituzioni che si renderebbero necessarie con l’attuazione di quel che è indicato qui, per altri campi della vita, oltre a quelli già trattati. Ciò richiederebbe, come è facile intendere, uno spazio illimitato.

 

55. Le singole istituzioni qui accennate, bastano a dimostrare che il pensiero che le informa non intende un rinnovamento delle tre classi: degli insegnanti, degli agricoltori e dei soldati, come qualcuno potrebbe credere, e come difatti fu creduto quando ebbi occasione di parlarne qua e là. Il pensiero che le informa intende proprio il contrario di questa divisione in classi. Gli uomini non saranno divisi socialmente né in classi, né in ceti; l’organismo sociale stesso dovrà essere triarticolato. Ma appunto perciò l’uomo potrà essere veramente uomo; perché l’articolazione sarà tale che egli, con la sua vita, avrà radici in ciascuno dei tre campi. All’ambito dell’organismo sociale a cui appartiene per la sua professione, egli sarà legato da interessi pratico-oggettivi, e con gli altri due ambiti avrà relazioni piene di vita perché le loro istituzioni saranno con lui in rapporti tali da suscitare queste relazioni. L’organismo sociale, distinto dall’uomo, ma costituente il suo terreno vitale, sarà triarticolato; ogni uomo, come tale, sarà un elemento collegatore delle tre sfere.