Del comprendere lo spirito e dello sperimentare il destino / 62-68

O.O. 26 – Massime antroposofiche – 13.07.1924


 

Nelle comunicazioni e considerazioni che qui vengono dirette ai soci,

questa volta deve venir detto qualcosa che sia atto a dare una direzione più vasta ai pensieri sulle Massime.•

• La comprensione della conoscenza antroposofica può venir avvantaggiata

ove si indirizzi sempre di nuovo l’anima umana alla relazione esistente fra l’uomo e il mondo.

 

Se l’uomo dirige l’attenzione al mondo

nel quale viene a nascere e dal quale esce al momento della morte,

innanzi tutto egli ha intorno a sé la folla delle sue impressioni sensorie.

E su tali impressioni dei sensi egli si forma dei pensieri.

 

• Portando a coscienza il pensiero: « Io mi formo dei pensieri sul mondo che i miei sensi mi manifestano »,

egli può già dare inizio all’auto-osservazione.

• Può dirsi: « Nei miei pensieri vivo « io ». Il mondo mi dà occasione di sperimentarmi in pensieri.

Considerando il mondo, io trovo me stesso nei miei pensieri ».

• Proseguendo così nella riflessione, l’uomo perde il mondo nella sua coscienza, e l’io entra in essa.

Egli cessa di rappresentarsi il mondo; comincia a sperimentare il sé.

 

Se al contrario l’attenzione vien diretta all’interiorità, nella quale il mondo si rispecchia,

emergono nella coscienza i fatti del destino della vita nei quali il sé umano è fluito

a partire dal momento fino al quale si risale con la memoria.

Si sperimenta la propria esistenza nella successione di tali esperienze del destino.

 

• Mentre ci portiamo alla coscienza: « Col mio sé ho sperimentato un destino »,

si può cominciare con l’osservazione del mondo.

• Ci si può dire: « Nel mio destino io non ero solo; nel mio sperimentare interveniva il mondo;

io volevo una cosa o l’altra, e nel mio volere fluiva il mondo.

Io trovo il mondo nel mio volere sperimentando il volere nell’auto-osservazione ».

 

• Continuando così a penetrare nel proprio sé,

l’uomo perde il sé nella sua coscienza, e in questa entra il mondo.

Egli cessa dallo sperimentare il sé, e nel sentire comincia ad avvertire il mondo.

 

Io penso fuori nel mondo, e là trovo me;

io mi immergo in me stesso, e qui trovo il mondo.

 

Quando l’uomo sente ciò in modo sufficientemente forte, egli è inserito negli enigmi universali e umani.

• Infatti, il sentire: « Noi ci affatichiamo nel pensare per afferrare il mondo,

e alla fine in questo pensare siamo pur sempre noi stessi », è il primo enigma universale.

• Sentirsi formati dal destino nel proprio sé, e sentire in questo formarsi il fluttuare del divenire universale

ci spinge verso il secondo degli enigmi universali.

 

Nello sperimentare questo enigma universale ed umano

germina l’atteggiamento animico nel quale l’uomo può incontrare l’antroposofia

in modo da riceverne nel suo intima un’impressione che susciti la sua attenzione.

 

L’antroposofia fa rilevare che esiste uno sperimentare spirituale il quale nel pensare non perde il mondo;

anche nel pensare si può ancora vivere.

• Nella meditazione essa indica uno sperimentare interiore nel quale, pensando, non si perde il mondo dei sensi,

ma si guadagna il mondo dello spirito.

• Invece di penetrare nell’io, nel quale si sente che scompare il mondo dei sensi,

si penetra nel mondo spirituale, nel quale si sente rafforzato l’io.

 

L’antroposofia mostra inoltre che vi è uno sperimentare del destino nel quale non si perde il sé.

Anche nel destino si può sperimentare sé stessi attivi.

Nella contemplazione non egoistica del destino umano

essa suggerisce un’esperienza nella quale si impara ad amare non soltanto la propria esistenza, ma il mondo.

 

• Invece di fissare il mondo che nella ventura e nella sventura porta l’io sui suoi flutti,

si trova l’io che, volente, plasma il proprio destino.

• Invece di cozzare contro il mondo frantumando l’io, si penetra nel sé che si sente congiunto col divenire universale.

• Il destino dell’uomo gli viene preparato dal mondo che i suoi sensi gli manifestano.

 

• Se nell’agire del destino egli trova la propria attività,

allora il suo sé, nella sua sostanza, gli sorge dinanzi non solo dalla propria interiorità, ma dal mondo dei sensi.

• Se, anche sommessamente, si riesce a sentire come nel sé il mondo appaia come spiritualità,

e come nel mondo dei sensi il sé si dimostri attivo, già si è inseriti in una sicura comprensione dell’antroposofia.

 

In tal caso si svilupperà allora un senso per il fatto che nell’antroposofia

è lecito descrivere il mondo spirituale che viene afferrato dal sé.

Tale senso svilupperà anche la comprensione per il fatto che nel mondo dei sensi

il sé può venir trovato anche in altro modo che non immergendosi nell’interiorità.

 

L’antroposofia trova il sé mostrando come dal mondo dei sensi

non si manifestino all’uomo soltanto percezioni sensorie,

ma anche effetti che sono l’eco della sua esistenza preterrena e delle sue vite anteriori.

 

Ora l’uomo può guardar fuori nel mondo dei sensi e dire: esso non è solamente colore, suono, calore;

in esso operano anche le esperienze delle anime,

le esperienze che le anime hanno attraversato prima della loro attuale vita terrena.

Egli può guardar dentro di sé e dire: qui non vi è soltanto il mio io, qui si manifesta un mondo spirituale.

 

In una comprensione siffatta, l’uomo toccato dagli enigmi universali e umani può incontrarsi con l’iniziato il quale, partendo dal proprio giudizio, deve parlare del mondo esteriore dei sensi come se da esso non si manifestassero solo le percezioni sensorie, ma le impressioni di ciò che le anime umane hanno operato nella vita preterrena e in vite anteriori; lo stesso iniziato deve dire del mondo egoico interiore che esso rivela nessi spirituali altrettanto suscitatori di impressioni e stimolanti all’azione, quanto lo sono le percezioni del mondo sensibile.

 

I soci che vogliono essere attivi dovrebbero coscientemente farsi intermediari fra ciò che l’interrogante anima umana sente come enigmi universali ed umani, e ciò che ha da dire la conoscenza degli iniziati, quando dai destini umani essa porta a galla un mondo passato, e quando dal rafforzamento animico dischiude la percezione di un mondo spirituale.

Così, nel lavoro dei soci che vogliono essere attivi, la Società Antroposofica può diventare una vera scuola di preparazione per la scuola iniziatica. Questo voleva indicare con ogni energia il Convegno di Natale; e chi giustamente lo comprende, continuerà a ricordarlo fino a che una sufficiente comprensione in proposito possa dare nuovi compiti alla Società.

Sulla base di queste indicazioni vengono qui date le seguenti altre Massime.

 

62 — Il mondo dei sensi fa affiorare nelle percezioni dei sensi solo una parte dell’essere che esso cela nelle profondità dei suoi flutti. Ad una penetrante osservazione conforme allo spirito, si mostra che in queste profondità vi sono gli effetti di quanto anime umane hanno compiuto ancora in tempi remotissimi.

63 — Il mondo interiore dell’uomo rivela all’ordinaria auto-osservazione solo una parte di ciò in cui è immerso. Venendo sperimentato più intensamente, mostra di trovarsi in una vivente realtà spirituale.

64— Nel destino umano si manifesta non soltanto l’attività di un mondo esteriore, ma anche quella del nostro proprio sé.

65 — Nelle esperienze animiche dell’uomo si manifesta non soltanto un sé, ma anche un mondo dello spirito che il sé, in una conoscenza conforme allo spirito, può saper connesso con la propria entità.

66 — Le entità della terza gerarchia si manifestano nella vita che si dispiega come sfondo spirituale nel pensare umano. Questa vita si cela nell’attività pensante umana. Se continuasse ad agirvi di per sé, l’uomo non potrebbe giungere alla libertà. Dove cessa l’attività pensante cosmica, comincia l’attività pensante umana.

67 — Le entità della seconda gerarchia si manifestano in un elemento animico extraumano che, in quanto avvenimento cosmico-animico, è nascosto al sentire umano. Questo elemento cosmico-animico opera nello sfondo del sentire umano. Esso conforma la sostanzialità umana in un organismo di sentimento, prima che vi possa vivere il sentire.

68 — Le entità della prima gerarchia si manifestano in una creatività extraumana che dimora nel volere umano come mondo cosmico-spirituale di entità. Questo elemento cosmico-spirituale sperimenta creativamente se stesso nell’atto della volizione umana. Esso conforma il rapporto della sostanzialità umana col mondo extraumano, prima che l’uomo, per mezzo del suo organismo di volontà, divenga un’entità che vuole liberamente.