Il gesto vissuto e quello formato

O.O. 279 – Euritmia linguaggio visibile – 26.06.1924


 

Sommario: L’atmosfera dei suoni s, g a, e, u, ei, h, c, d, f l, m, n, r. Spiegazione del modo in cui il gesto vissuto può passare grazie all’euritmia nel gesto veramente formato.

 

Vorrei ancora aggiungere a quanto detto ieri i suoni che non abbiamo ancora trattato. Sono la s e la z che rappresentano però in qualche modo entità autonome. Quel che può emergere nel puro elemento del suono, lo riprenderemo nelle successive conversazioni.

 

Il suono della s fu sempre sentito, quando vi era ancora una percezione di queste cose, come se intervenisse in modo particolarmente profondo nell’elemento linguistico. Si può dire che l’esperienza della s è correlata alle sensazioni che si ebbero in tempi antichissimi dell’evoluzione umana di fronte al simbolo del serpente o anche, in un certo senso, a quello del caduceo (non però il simbolo di Mercurio, ma proprio il caduceo). Il simbolo di Mercurio va cercato piuttosto nel suono della e. Il simbolo del caduceo, invece, rivestì un grandissimo ruolo in certi scritti orientali in cui la lettera, il segno grafico che ne costituiva la base era la forma della s che, quale oggi la conosciamo, richiama chiaramente il simbolo del serpente. La sensazione suscitata dalla s, la s che oscilla, la s che serpeggia, è in realtà assai complessa: percependola in modo elementare, si sentirà come con forza venga sedato quel che si agitava, si avvertirà la sicurezza nell’agire sull’essere nascosto delle cose, pacificandole.

 

Nei misteri il simbolo della s fu sempre indicato con dignità, come si faceva analogamente con il simbolo della z. Ma quando ci si riferiva a cose quali la t, Tao, come abbiamo detto ieri, lo si faceva con un raccoglimento solenne. Invece, se posso esprimermi in modo grossolano, la s era sempre legata a qualcosa di spaventoso per coloro ai quali veniva mostrato questo simbolo; qualcosa di spaventoso da cui ci si deve proteggere e di cui tuttavia non si può fare a meno nella vita. Non posso quindi raccontare semplicemente come si parlasse del simbolo della s nei misteri, possiamo però rivestirlo in un’altra forma.

 

Oggi resteremmo meravigliati potendo vedere direttamente quanto poco sentimentali fossero i veri discepoli degli antichi misteri. Quegli uomini non erano come una volta una delle nostre amiche – non tedesca – descrisse certi antroposofi: “con un viso lungo fino alle ginocchia”. Questo stato d’animo non è certo quello che avevano i veri discepoli dei misteri. Essi avevano humour e rivestivano talvolta di forme umoristiche anche quello che altrimenti sapevano considerare ben sacro. Quando veniva chiesto ad un vero discepolo dei misteri da uno che non vi apparteneva come andasse considerata la s (tali domande nascevano perché la curiosità è una caratteristica che gli uomini ebbero già anche nei tempi antichi), allora il discepolo dei misteri probabilmente rispondeva, con un po’ di umorismo: sì, è vero, conoscendo il mistero della s si possono vedere le qualità nascoste nei cuori degli uomini e indagare il cuore femminile; si può calmare tutto quello che si nasconde nei cuori e giungere nelle profondità nascoste.

 

Questa era una spiegazione molto exoterica, ma indicava tuttavia ciò che è contenuto nel suono della s: un acquietamento di ciò che è mosso, per cui si è sicuri che la calma subentri grazie a questo strumento.

Trasformando nel gesto quel che così definiamo, si ottiene proprio la s euritmica. Ora passiamo al suono della z che ci deve portare a sperimentare questa lettera e il sentimento che suscita.

 

Il gesto della z naturalmente è simile a quello della c (ci), solo più allungato, e può essere percepito in modo analogo. Si trova questa ‘sensazione già nel suono, se lo si considera con serietà e calore. La z può essere sentita come qualcosa che rallegra perché può essere presa con leggerezza e non con gravità; qualche cosa che intende rallegrare e può essere anche una cosa inanimata.

In tal modo avremmo completato il senso dei singoli suoni e potremmo porli dinanzi alla nostra anima. Dissi che la prima cosa sarà una specie di ricapitolazione, tale da poter rimanere come tradizione. Lasciamo ora che davanti all’anima ci appaiano ancora una volta i singoli suoni in euritmia.

Dovremmo innanzi tutto sentire in un gesto artistico l’essere dei suoni.

 

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Deve essere chiaro che l’uomo è formato da quegli elementi del cosmo che ho indicato per i suoni. Prendendo tutto quello che abbiamo indicato per i suoni si giunge, come per legge naturale, a quelle forze che portano l’uomo dall’esistenza preterrena a quella terrena e lo guidano ancora, fino a circa trentacinque anni, finché sia divenuto maturo.

Le forze che separano, sospingono l’uomo, portandolo lungo il percorso verso l’età adulta, risiedono nei gesti dei suoni. Per tale motivo la parola, il suono furono sentiti come qualcosa di tanto particolare.

Cominciamo ora da quello che appartiene nel modo intimo all’uomo e che egli sperimenta, come si diceva in Grecia, quando si trova dinanzi agli enigmi dell’esistenza; tanto che la filosofia, l’amore per la sapienza può nascere solo dalla meraviglia, dallo stupore. Accettiamolo ricordando che la capacità di meravigliarsi è puramente umana, appartiene già a quello che solleva l’uomo al di sopra dell’animale.

E quando ci domandiamo: che cosa vi è nell’uomo che lo solleva al di sopra dell’animale? dobbiamo dirci: è la possibilità per l’entità umana di mantenere in movimento certe proporzioni, o meglio lo sviluppo di certe proporzioni, che costringono l’animale in una forma rigida, cosicché l’uomo può essere visto come una confluenza di forze riunite proprio in lui. Cercando la propria origine di fronte alla quale dovrebbe sentire stupore e meraviglia, l’uomo avrebbe una sensazione di uniformità se la cercasse in un unico punto del cielo come la cerca per gli animali e le piante.

L’uomo può sentire quel che lo pone di per sé in uno stato di meraviglia soltanto se proviene da diverse direzioni del cielo. E ciò si esprime nel fatto che, volendo intendere noi stessi come uomini nella nostra vera entità e dignità, sentiamo di doverci comprendere come se gli Dèi facessero confluire in noi le loro forze, provenienti dalla periferia cosmica.

Rappresentiamoci schematicamente la periferia del cosmo: le forze penetrano dalla periferia verso il centro, verso la terra (vedere le frecce nel disegno). Quando ci sentiamo come “uomini” sulla terra, dobbiamo sentire la nostra dignità afferrandola come confluente dai diversi punti del cosmo.

 

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(«Rappresentate una a»). La a consiste sostanzialmente nell’afferrare proprio le due direzioni con le mani e attraverso le mani con le braccia. La a non consiste quindi in uno slancio: immaginiamo di essere penetrati da due direzioni del cosmo, di essere stati creati, determinati e di afferrare seguendo queste due direzioni. In questo gesto vive la a e soltanto questo ne fa parte. Non ha importanza come si tengono le braccia, la a consiste nel penetrare queste due direzioni e nel distendere la percezione che si ha del muscolo come se si procedesse in queste due direzioni. Questo va sentito nei muscoli passando immediatamente dal suono che precede al movimento di distensione delle braccia. Questa è la a.

 

È come dirsi: tu, uomo, provieni da due punti diversi del cosmo. Tu distendi le braccia per afferrare queste due direzioni. Ora afferri ciò da cui hai origine. Tu senti come queste forze fluiscano attraverso le tue braccia, come confluiscano nel tuo petto. Allora hai la a.

Questa è la a euritmica. In questo contesto si comprende come per l’uomo il suono della a sia contenuto in questo gesto.

 

Abbiamo detto della e che significa all’incirca: qualcosa mi ha toccato, ma io mi mantengo saldo nei suoi confronti. Che cosa vi è in questa esperienza? Qualcosa che è veramente l’opposto di quella della a. La a sperimenta l’uomo partendo dal cosmo. L’esperienza della e ha già qualcosa dietro di sé. È accaduto qualcosa, e lo stadio successivo all’evento viene sperimentato nel gesto. Lo si può sperimentare solamente quando sia accaduto qualcosa, quando si percepisca qualcosa. Si percepisce qualcosa nel gesto quando una parte dell’organismo umano viene posta in relazione con l’altra.

 

Ora, questo non può essere fatto in molti modi poiché, per esempio, l’uomo non è un elefante, non può rendere il proprio naso tanto mobile da toccare la guancia con la sua punta. Se lo potesse, il gesto della e verrebbe fatto in modo assolutamente eccellente grazie a ciò. Ma non si può! Il gesto della e può essere fatto soltanto come in euritmia: quando un arto tocca l’altro, quando vi è il contatto; questo significa nel contempo mantenersi saldi nei confronti dell’evento. Il contatto è l’imitazione del fatto che a qualcuno è accaduto qualcosa; tenere questo a forma di croce imita il mantenersi saldi. Un braccio sta sull’altro; anche un dito può stare sull’altro; si può anche, se qualcuno è in grado di farlo, incrociare una direzione oculare con l’altra. Ogni gesto che faccia quindi percepire molto realmente la sensazione di una parte dell’organismo toccata da un’altra esprime questa sensazione della e e, se il gesto si ferma, porta a contemplare l’esperienza completa, il resistere a ciò che fu fatto a qualcuno. Pensate soltanto a quale grande differenza esista nel gesto tra l’esperienza della a e quella della e.

 

L’esperienza della a nel gesto presuppone che si percepisca con la propria coscienza l’estensione muscolare; si deve percepire il muscolo esteso. L’esperienza della e presuppone che si percepisca un braccio appoggiato sull’altro, che si abbia l’esperienza fondamentale nel punto d’incrocio.

L’esperienza centrale della e non è l’estensione dei muscoli, ma l’appoggio oppure la pressione di un braccio sull’altro. Si può fare la e anche ponendo la gamba destra su quella sinistra e premendo: si percepisce così il movimento della e, l’esperienza della e.

 

Nella nostra civiltà si può avere l’impressione che il mondo abbia sempre fatto qualcosa agli uomini poiché essi siedono per Io più a gambe incrociate e fanno in questo modo continuamente il movimento della e! Si rivela così quello che crede la maggior parte degli uomini, cioè che il mondo abbia fatto loro qualcosa e che essi se ne debbano difendere: in questo modo lo comprendiamo sotto il profilo artistico-gestuale.

 

Se passiamo ora al movimento della o, al gesto della o, sentiamo quale mondo di esperienze vi sia nel suono della o. La a è semplice meraviglia, puro stupore. La o è un porsi pieno di comprensione nei confronti di ciò che dapprima provoca stupore, poiché lo stupore richiama tutto quello che comprendiamo se siamo uomini; la o ci porta in un rapporto più intimo con quello che comprendiamo. Cosicché la o diventa gesto quando non soltanto l’uomo sente se stesso, ma sente partendo da sé un’altra cosa oppure un altro essere che egli vuole abbracciare.

Lo si può immaginare nel modo più puro se, provando amore verso un altro essere, lo si circonda con le braccia; si ricava così il gesto naturale del movimento della o: le braccia piegate a semicerchio che abbracciano l’altro rappresentano il movimento della o, il gesto della o.

 

Abbiamo qualcosa che accoglie nella rappresentazione della a. Si penetra in ciò che dal cosmo dà origine all’uomo. Nella e abbiamo l’accenno all’esperienza stessa. L’uomo sperimenta qualcosa del mondo. Nel gesto della o il mondo sperimenta qualcosa mediante l’uomo, ed egli comprende qualcosa d’altro del mondo. Dall’inizio alla fine il gesto della o consiste in un arrotondare, in modo flessuoso, circondando con le braccia sin dall’inizio. Questo è in realtà il movimento della o. Procedendo sin dall’inizio nell’arrotondare.

 

Ora abbiamo quel suono che si avvicina ancor più della e all’uomo, che rappresenta per così dire assolutamente l’auto affermazione dell’uomo, cioè la i. E l’autoaffermazione più pura. Sottolineai spesso che abbiamo Ich (io) nella corretta lingua tedesca. Abbiamo l’autoaffermazione dapprima nella i e vi aggiungiamo un suono aspirato, mediante il quale indichiamo di essere qualcosa che vive nel respiro. Ma chi usa il dialetto non vi è arrivato e si ferma alla semplice autoaffermazione. Perciò in Austria per esempio non si dice ich, ma i. Non verrebbe in mente a nessuno di dire: ich haue dich durch (ti picchio per bene) – questa frase mi viene in mente perché la si collega tanto frequentemente al concetto dell’io; in Austria nel linguaggio quotidiano non si dice: ich haue dich durch, ma: I hau di durch! L’autoaffermazione pura. Viene sentita tale autoaffermazione. Nella a procediamo in senso centripeto partendo da due lati diversi, nella i andiamo dal centro verso l’esterno e non abbiamo la percezione di afferrare qualcosa, ma sentiamo l’estensione, sentiamo la trazione che parte da noi, dal cuore attraverso il braccio, attraverso le due braccia, oppure attraverso le gambe anche attraverso la direzione dello sguardo, con la quale si può fare la i: mediante la direzione degli occhi, guardando coscientemente con un occhio e lasciando passivo l’altro, si forma nettamente la i.

 

Nella i non vi deve essere niente che abbia il carattere della a, ma le braccia devono diventare luna il prolungamento dell’altra. Ma basta anche un braccio solo. Va tenuto presente che nella i si deve sentire l’estensione, mentre nella a l’afferrare affinché vi sia la giusta intonazione nel suono che si esegue.

Se si penetra nei suoni come si deve penetrare nell’elemento musicale, di cui parlai qui di recente nel corso dell’euritmia musicale, soltanto allora la cosa diventa artistica. Non dovete quindi preoccuparvi tanto di imitare soltanto la forma, ma di sperimentarla interiormente, quindi di afferrare nella a qualcosa che viene incontro e sentirlo nelle braccia, e percepire nella i l’estensione delle stesse.

 

Poi abbiamo la u di cui già parlammo. Qui non vi è autoaffermazione ma il suo contrario: ci si sente piccoli, rattrappiti, irrigiditi, ci si ritrae in se stessi, ci si trattiene. Mentre quindi nella e si sente il deciso contatto di un arto con l’altro, si deve sentire nella u l’elemento che si ritrae.

La u vien fatta nel migliore dei modi ponendo le braccia il più vicino possibile luna all’altra, ma può anche consistere nell’accennare soltanto ad un’unione. Vi è per esempio una u anche quando si sta in piedi e si premono insieme le gambe. E vedemmo già che si possono fare tali cose anche all’indietro.

 

La percezione migliore del suono ei (ai) (risulterà così molto chiaro ciò che dissi già ieri) si ha pensando alla sensazione di accarezzare un bimbo molto piccolo: ei – ei (ai – ai). Esprime una sorta di intimità attraverso il sentimento (Rivolgendosi a una delle euritmiste, le chiede di eseguire una ei: «Rimanga eretta, senza muovere il resto del corpo»). Si sentirà che in questo gesto vi è il divenire intimi con una cosa, e nel contempo si comprenderà che la nostra scrittura, il modo in cui componiamo ei partendo da e e i, non genera il suono e e i, ma qualcosa di assolutamente unitario: ei. Ponendo e e i l’uno accanto all’altro, ci avviciniamo all’ei, ma tale suono sta in realtà tra la e e la i come nesso inorganico. Si parlerà ancora di sfumature più fini.

 

Passiamo ora all’elemento consonantico. Cerchiamo di sentire tale elemento anche nel gesto. Vi dissi che la b è tutto quello che circonda, che è attorno ad una cosa, è un gesto di protezione. Naturalmente, questo non viene espresso senz’altro nel gesto, dev’essere sperimentato come imitazione (viene eseguita la b). Ora siamo nel vero gesto della b: tratteniamolo (v. disegno).

 

In questo modo siamo veramente nel gesto della b e sentiamo la posizione dell’uno e dell’altro braccio. Sperimentando ciò che vi è contenuto si potrà immaginare di afferrare qualcosa, diciamo un bambino piccolo che è davanti a me e che voglio prendere in braccio. Lo accoglierò in modo protettivo con questo gesto (gesto della b). Quindi, che cosa dovete sentire qui se avrete l’esperienza nel modo giusto? Si dovrà sentire veramente di tenere qualcosa nello spazio vuoto che si è creato. Se posso inserire una notazione pedagogica, volendo avvicinare la b ai bambini, nell’euritmia dei piccoli, si dovrebbe evocare una cosa qualunque dicendo al bambino di abbracciarla, facendogli capire come debba sentire le proprie braccia in un abbraccio che protegge, che le sue braccia sono colme di qualcosa intorno a cui si compie il gesto della b.

 

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Queste forme non vanno imitate semplicemente in modo astratto, occorre avere le sensazioni corrispondenti; questo fa parte della cosa.

Ho detto ieri che un suono interessante è quello della c (ci). Porta in un certo modo l’elemento materiale nello spirituale e lo solleva, accennando alla leggerezza — così ho detto ieri — indicando che qualcosa è leggero, che un elemento materiale può essere vinto da quello spirituale, può essere sollevato nelle altezze. La c viene sperimentata al massimo grado dal bambino che impara ad alzarsi in piedi, a passare dalla posizione carponi a quella eretta. Con il suono c-c-c si vorrebbe veramente seguire sempre questa esperienza meravigliosa – poiché si tratta di un’esperienza meravigliosa. Si giunge tanto vicino a questo alzarsi in piedi del bambino dalla posizione carponi a quella eretta: c-c-c, questo divenire leggero, l’elevazione dell’elemento materiale mediante lo spirituale vi si esprime tanto bene! Si sente che lì vi è qualcosa di lieve: la materia viene sollevata mediante lo spirituale! Si può sentire la c immaginando che qualcosa si trovi come per caso sulle nostre braccia e, compiendo il gesto della c, lo si porti in volo verso l’alto. Se sentite come qualcosa che si trova su di un punto delle vostre braccia voli verso l’alto grazie al movimento della c, si ha l’esperienza della c.

All’inizio intendo procedere più lentamente perché tutti possano penetrare in questa esperienza. Infatti, lo sperimentare è ciò che non trovai neanche nel nostro fare euritmia.

 

La d, come dissi, è un indicare verso il basso, oppure in una direzione qualsiasi: d. Se vi si aggiunge la a (lo stupore di fronte a ciò che si indica) si ha: da (qua). Immaginiamo di voler esprimere la natura dell’educatore orientale. Egli è completamente diverso dall’educatore europeo, se parliamo naturalmente dell’educatore orientale più antico. Di fronte all’educatore europeo di oggi, si prova la sensazione che faccia di tutto per cavar le parole di bocca a qualcuno o addirittura che arrivi a tartassarlo. Fa tanto per uno solo. Oggi si parla molto di diventare “evoluti”, benché si tratti per lo più di chiacchiere. Quando gli odierni pedagoghi parlano di educazione, si ha la sensazione di essere, come si dice in Austria, un gomitolo di filo che venga srotolato. Quando si tratta di educazione, ci si sente letteralmente fatti a pezzi. Si viene tartassati, riempiti di paura; in breve, quando si viene educati, accade di tutto. L’educatore europeo sente di dover fare dell’uomo qualcosa di completamente diverso da com’è veramente. Se si potesse fare tutto questo e si eseguisse tutto ciò di cui parla oggi la pedagogia, l’uomo che ne uscirebbe sarebbe un essere davvero bizzarro! L’uomo orientale non sente in questo modo nei confronti dell’educatore, ma sente che l’educatore è colui che indica le cose, che richiede l’attenzione: das ist das (questo è questo). Lascia in pace, poiché l’orientale accetta che ci si sviluppi da sé, che si possa restare tranquilli; viene solamente data indicazione su tutto. Perciò l’educatore orientale è quello che, in tutto ciò che fa, dice sempre “da” (qua), da, da: il dada. Infatti lo si chiama anche così: dada è l’educatore orientale. E quello che mostra le cose: da, da!

 

Una certa corrente culturale odierna si evolve in modo diverso rispetto al darwinismo: l’umanità, felicemente giunta all’uomo partendo dalla scimmia, vuole tornare alla scimmia; in senso inverso al darwinismo, si vuole nuovamente tornare alla situazione originaria. Così è nato persino il dadaismo. Anni fa, a Berlino, ricevetti una volta una lettera in cui qualcuno si firmava “Grande Dada”! Questa è una regressione, un principio dell’imitazione che viene scoperto grazie ad un’inversione del darwinismo, ad una regressione alla scimmia. Si imita dunque, e quindi si imita l’oriente nella sua fase primitiva, fondando in Europa il dadaismo.

 

Ma nella parola “dada” è espresso il gesto di indicare, di attirare l’attenzione su qualcosa, l’elemento indicatore (A un’euritmista: «Si immerga completamente nell’essenzialità del suono della d»). In che cosa risiede l’essenzialità del suono della d? Nel movimento che indica. Si deve quindi avere il sentimento: da (qua) vi è qualcosa, qua vi è qualcos’altro, cui si arriva in ultimo. Nel movimento della d si deve avere l’accordo fra l’istante precedente e quello immediatamente successivo all’arrivo delle braccia in una determinata posizione, ma in rapida successione, cosicché l’uno venga soltanto come conseguenza dell’altro. Può avvenire da sinistra e da destra.

È necessario evidenziare queste cose di per sé e sentire effettivamente l’indicare; prima ci si abitui ad ottenere il movimento indicatore per far emergere il suono puro della d, si devono quindi tenere le mani in questo modo (indicando con il dito).

 

Ho detto ieri che la f è veramente Iside. F: la coscienza dell’essere compenetrato di sapienza, quando si sente in sé dapprima il proprio essere, e lo si sperimenta poi nell’espirare: f allora si ha la f. Nell’espirare si sperimenta la propria saggezza, il proprio corpo eterico. Ciò dev’essere presente anche nel gesto che rappresenta la f (Rivolgendosi a un’euritmista: «È il gesto che si trova anche nell’aria espirata, dicendo f. Esegua f soltanto ad intervalli, allora percepirà ciò che viene indicato nella f. Mostri che qui vi e una specie di duplice accenno, soltanto non così rapido, ma più leggero»). Questa è la f. La f imita molto esattamente un espressivo espirare cosciente.

 

Ora vi dissi che abbiamo nella l qualcosa che dà veramente forma e in cui il dar forma viene sentito sulla lingua: l l l. Indicai per chiarire ciò la parola “Leim” (colla): l’elemento di duttilità della colla, l’elemento plasmatore della stessa, quindi l’elemento plasmatore imitatore o l’imitazione plasmatrice della l fu considerato un suono magico particolare nei misteri poiché, quando si dà forma a una cosa, si ha potere su di essa. E proprio questo avere-potere-su fu l’aspetto in cui i misteri videro la forza demonica della l. Questo deve essere contenuto nel gesto della l. Se a ciò viene ancora collegato il fatto di sentire come le braccia divengano flessibili di per sé; se si sentirà quindi che accade alle braccia qualcosa di simile a ciò che avviene alla lingua pronunciando la l, l l, si avrà la giusta esperienza della l e si troverà che essa ha qualcosa di assolutamente affascinante già in questo gesto.

 

Poi abbiamo la m. Ho già detto ieri che la m e la comprensione, l’approfondire una cosa con comprensione. In Austria, quando si ascolta qualcuno, per confermare che lo si è capito, si dice: mhn; hn – ne parleremo ancora – esprime la gioia, la contentezza di aver capito e si sente già completamente come se l’altro abbia già interamente inglobato l’interlocutore con la comprensione quando dice mhn. La comprensione del mondo viene così indicata in modo tanto grandioso dalla sillaba sacra degli Indù: aum, m. Quindi: dapprima viene il cogliere, poi il penetrare nell’altra cosa e poi la comprensione. (All’ euritmista: «Rimanga in piedi per poter esprimere l’interpretazione naturale, ovvia del gesto, esprimendo la comprensione alla fine di essocon le braccia un po’ in avanti»).

Sarebbe molto bello insegnare questo anche agli elefanti; essi potrebbero farlo bene, girando la proboscide in avanti durante l’estensione, allora si avrebbe una m perfetta. Se lo si potesse fare in questo modo si avrebbe la m più bella. Lo dico perché possa essere sperimentato.

 

Si può anche sperimentarlo per il fatto che si prova sempre una sensazione spiacevole quando si incontra qualcuno con il naso aquilino. Noterete che il naso aquilino nasce dal fatto che questi gesti della m vengono eseguiti in modo inconscio. Il naso viene trasformato in una m. Ci si sente sempre imbarazzati di fronte a persone con il naso aquilino poiché si ha la sensazione che questi comprendano una persona da parte a parte (ed è proprio una sensazione sgradevole) poiché questo tipo di naso è proprio il gesto della m fissato, congelato. Chi però sperimenti il gesto della m come comprensione, non si turba persino se incontra qualcuno che abbia il naso aquilino, che gli porti già incontro la m euritmica nella forma del naso. Ma è più facile sentirsene imbarazzati.

 

Ma vi è un altro tipo di comprensione, una comprensione che allontana, in cui ci si comporta in un modo leggermente ironico che comprende l’altro, ma fa notare nel contempo: tutto questo è assolutamente ovvio! ni Quando si arriva a Berlino, se ne è subito colpiti. Si sente in modo spiacevole che qualcosa è accaduto e che lo si comprende benissimo! Lo si respinge subito: nel Del resto che cosa dice di diverso il berlinese dal ne, quando conosce bene qualcuno? Non dice molto di diverso. Si deve accennare a questo generale atteggiamento spregiativo nei confronti di qualcosa che si ritiene ovviamente di comprendere.

 

Quando si fa questo gesto, si sente subito: qui non vi è dietro molto, lo domino. Ma questo lo si deve anche sentire. Per giungere ad un corretto gesto della n, si deve sempre immaginare di avere davanti uno stupido che parli con grande enfasi di ogni cosa e che si voglia fargli capire che è troppo stupido per noi, che noi comprendiamo benissimo e intendiamo ignorarlo. Questa è l’esperienza.

 

Dissi già che la r è ciò che gira, che fa la ruota, in cui si porta ad espressione tutto quello che non è rotondo, ma tende all’arrotondamento; si ha la sensazione che sia difficile da imitare – poiché infatti il gesto naturalistico della r sarebbe il fare la ruota. Ma non può essere fatta in questo modo (a un’euritmista: «Questa e una r molto faticosa. Questo era un modo.» – La r viene eseguita da un altro euritmista«Questo e un altro modo»). Questi sono modi diversi di eseguirla bene: la r che gira, che fa la ruota, che si trova anche nel respiro e si arrotola quando la si pronuncia.

 

Spero che tutto questo abbia dato una prima rappresentazione di come il gesto sperimentato possa passare, attraverso l’euritmia, a quello veramente formato.