La coscienza di sogno 


 

1. I caratteri precipui della coscienza di sogno

Tra le nozioni elementari di Scienza dello Spirito va annoverata quella che mette in piena luce il fatto che l’uomo non vive sempre in uno stesso stato di coscienza, ma che anzi esperimenta durante la sua esistenza terrestre diversi stati di coscienza, i quali si alternano secondo un ritmo determinato da condizioni cosmiche e fisiologiche. Nella Scienza dello Spirito si suole dunque distinguere:

1) Lo stato di coscienza di veglia;
2) Lo stato di coscienza di sogno;
3) Lo stato di coscienza di sonno.

 

Oggi noi parleremo in particolar modo dello stato di coscienza di sogno, che è il piú mal compreso e intorno a cui, per l’inconscia attrattiva che esso esercita, ama ricamare in modo affatto arbitrario tanto la fantasia superstiziosa del popolino quanto quella preconcetta di quella pseudo-scienza che è la psicologia moderna.

Se si suol cogliere di primo acchito la netta differenza che passa tra veglia e sogno, bisogna soffermare la propria attenzione sui seguenti fatti. Se cento uomini desti osservano la stessa rosa, questa appare nella coscienza di ciascuno di essi nello stesso identico modo. Se è rossa, tutti la vedono rossa, se è bianca, tutti la vedono bianca. Qui l’interiorità personale del singolo tace e lascia parlare l’oggetto esterno.

Non cosí nell’esperienza del sogno. Se cento soldati dormono in una camerata e in questa avviene improvvisamente un fatto insolito, come per esempio la caduta rumorosa di un oggetto, questo fatto unico si rifletterà forse nella coscienza di ogni singolo dormiente in modo affatto diverso. Uno per esempio sognerà una vicenda alla cui fine rintrona un colpo di cannone; un altro avrà l’impressione che sia scoppiato un temporale e che un fulmine sia caduto sulla sua casa; un terzo assisterà forse alla caduta del martello d’un battipalo; ognuno dei cento insomma riceverà un’immagine differente dello stesso e identico fatto fisico.

Qui dunque l’interiorità non tace, non resta indifferente a quanto riceve dal mondo esterno, ma si afferma vigorosa e impone se stessa dando un particolare aspetto, una forma personale a tutto ciò che le viene incontro dal di fuori.

 

Dobbiamo perciò dire che la coscienza di veglia è oggettiva e che la coscienza di sogno è soggettiva.

• Nella prima si fa valere l’oggetto esterno, nella seconda l’immagine interiore;

• in una si manifesta ciò che il mondo dice a noi, nell’altra si rivela ciò che noi diciamo al mondo.

 

Parrà forse strano che noi siamo piú consapevoli di quello che è una cosa che sta fuori di noi, che non di quello che siamo noi stessi. Perderemmo completamente di vista il nostro argomento, se volessimo risalire alle cause prime di tale fatto singolare, perciò dobbiamo accontentarci di far bene risaltare la cosa nella sua peculiarità senza chiedercene la spiegazione.

Tutti sanno per esperienza propria che piena luce domina nelle idee che ci formiamo sulle cose, mentre i nostri piú intimi sentimenti stanno immersi in un sempiterno crepuscolo. Vi è in proposito un detto popolare pieno di significato: «Nessuno è padrone del suo cuore». Il fatto è che l’uomo moderno conosce moltissimo del mondo che l’attornia, ma non conosce quasi niente affatto se stesso.

 

La vita di sogno è dunque caratterizzata da una coscienza soggettiva

in cui tuttavia il soggetto come tale si mantiene celato.

 

Consideriamo ora gli altri caratteri della coscienza di sogno.

Le immagini che sorgono nell’anima sognante non conoscono leggi di spazio e di tempo.

Sono senza spazio e senza tempo. Per quanto riguarda la non spazialità delle visioni oniriche, essa è tanto evidente che ogni discussione in proposito è superflua. Tutti ne sono convinti, perché tutti sanno che i fatti animici interiori (pensieri, sentimenti ecc.) non occupano spazio. La stessa evidenza non sussiste per la non temporalità del sogno. Anzi, quasi sempre si ha l’impressione che il sogno si sia svolto nel tempo. Ma questa impressione non sorge dal sogno stesso, ma dal risveglio.

Al momento del risveglio ci si ricorda del sogno fatto e in questo atto del ricordare la coscienza innesta le determinazioni temporali proprie dello stato di veglia. L’apparente temporalità del sogno non deriva dunque dal sogno stesso – che in realtà si è svolto fuori dal tempo – ma dal suo riemergere postumo nella comune coscienza di veglia come ricordo.

 

La psicologia moderna ha potuto constatare tale fatto con mezzi esteriori. Essa afferma che anche il sogno piú lungo in apparenza e piú pieno di vicende si svolge in un solo fugacissimo istante. Se cosí non fosse, il nostro sistema nervoso ne verrebbe distrutto, tanto grande è l’energia nervosa consumata dal sogno. Non è il caso di entrare in discussione su queste deduzioni scientifiche; piú importante è rilevare il fatto che il sogno non si svolge nel tempo. Abbiamo con ciò visto che la seconda grande caratteristica del sogno è data dalla non spazialità e non temporalità delle immagini sognate.

 

La terza caratteristica non viene di solito posta nel dovuto rilievo, sebbene sia importantissima per cogliere la differenza tra coscienza di veglia e coscienza di sogno, tra esperienza oggettiva ed esperienza soggettiva, tra percezione fisica ed immaginazione spirituale.

Durante il sogno l’anima è incapace di formarsi delle rappresentazioni sui fatti che esperimenta. Che cosa è la rappresentazione? È l’immagine che resta in noi di un oggetto dopo che lo abbiamo percepito. Come tale, la rappresentazione è la base del ricordo.

Se, per esempio, sono stato a Roma, ne conservo nell’anima una certa visione mnemonica: vedo la disposizione delle sue strade, la mole dei suoi edifici, il contenuto dei suoi musei ecc. Ho insomma, in questo momento, la percezione di Trieste e la rappresentazione di Roma. Ciò determina l’unità della mia coscienza pur nel continuo fluire del tempo. Niente di simile avviene nel fantasmagorico mondo del sogno.

 

Nel sogno siamo sempre in una sempiterna attualità senza futuro e senza passato,

siamo sempre nella novità assoluta, siamo immersi in un’inesauribile corrente creativa.

Tale fatto ci può dare una pallida idea della realtà soprasensibile.

Nel mondo spirituale non si può essere in un posto o ricordarsi di un altro posto in cui si era prima.

Quivi è possibile soltanto la piena comunione con la realtà.

Si è qui e là, si vive nello ieri e nel domani contemporaneamente, si è in ogni luogo e in ogni ora, sempre.

Ciò rende superfluo il ricordo.

 

La memoria, o la rappresentazione, serve soltanto nel mondo dello spazio e del tempo

per assicurare la continuità della coscienza.

Un barlume di ciò che è l’esistenza nel soprasensibile appare nel sogno,

il quale non può essere trasportato nella rappresentazione.

 

Anche a questo proposito è da notare che soltanto nel ricordo, allo stato di veglia, possiamo inserire nel sogno le rappresentazioni che lo riguardano. Ed è tale fatto appunto che dà al sogno l’apparenza della temporalità, l’illusione del prima e del poi. Nello stato di veglia, quando percepiamo le cose del mondo esterno, la nostra anima è pur sempre capace di mantenersi autonoma di fronte alla realtà. Il sogno invece ci assorbe completamente, non ci permette di essere qualcosa di diverso di ciò che è il suo contenuto. Noi stessi siamo il sogno e non siamo altro che il sogno.

 

Le tre caratteristiche principali della coscienza di sogno sono dunque:

1. La soggettività del contenuto;
2. La non spazialità e la non temporalità di ciò che viene sperimentato;
3. L’assenza della rappresentazione, cioè l’assoluta attualità delle immagini.

 

2. L’interpretazione del sogno

Ciò che rende il sogno cosí enigmatico è senza dubbio la sua soggettività. In ogni tempo si è cercato di arguire, dall’immagine soggettiva del sogno, il fatto reale che le sta dietro e che essa soltanto adombra.

Il sogno, per essere compreso, dev’essere volto dal soggettivo all’oggettivo, dev’essere insomma tradotto nelle forze concettuali della coscienza pensante di veglia.

Quest’arte di tradurre il sogno è indubbiamente difficile e al tempo d’oggi se ne sono perdute anche le ultime tracce, e quello che resta è caduto nella piú crassa ciarlataneria. In tempi antichi vi erano gli interpreti del sogno e anche la Bibbia ce ne fa fede.

Che cosa cercavano nel sogno questi interpreti antichi? Non cercavano certo, come si fa oggi, di trarne fuori un terno al lotto. Essi esaminavano il sogno per veder se dietro il suo contenuto immaginativo si celasse qualche rivelazione spirituale. In quei tempi si considerava il sogno come un possibile messaggio del mondo spirituale.

 

Oggi ciò viene ritenuto ignorante superstizione di popoli primitivi. Oggi si sa che i sogni non sono altro che reminiscenze trasformate della vita di veglia. Cosí sono sorti i nuovi interpreti del sogno, che come sapete sono gli psicanalisti. È fuor di dubbio che la psicanalisi abbia fatto importantissime scoperte nell’ermetico mondo dei sogni, ma è altrettanto vero che la chiave che essa ha trovato apre soltanto una porta, mentre la città dei sogni ne ha cento, come l’antica Tebe.

Si dice che una mela cadutagli sulla testa, mentre riposava nel suo giardino, abbia fatto scoprire a Newton le leggi della gravitazione universale. Pare che un simile fortunato infortunio sia capitato anche a Freud. Ce lo racconta lui stesso in un suo libro famoso. Un giorno si presenta a lui una distinta e giovane signora viennese e lo supplica che la salvi dalla nevrastenia che la minaccia.

«Dottore – gli dice – da qualche tempo io sono stranamente agitata, turbata, ossessionata da sinistri presagi di sventura. I miei giorni sono un tormento indicibile, le mie notti un inferno anticipato».

«Forse lei, signora – s’informa il medico – va soggetta a sogni affannosi?».

«Oh, sí – esclama la gentile signora – sogni orrendi, spaventosi. Questa notte mi sono sognata di sette gatti neri che stavano posati sul divano del mio salotto. Mi fissavano con occhi di fuoco e pareva che volessero saltarmi addosso».

Qui Freud ebbe il proverbiale lampo di genio. La sua diagnosi è fulminea e sorprendente per la profondità dell’intuizione.

«Gentile signora – egli dice – ci sono dei dissapori tra lei e suo marito. Da sette giorni suo marito rincasa tardi la sera e anziché andare a coricarsi nel letto coniugale, si accomoda alla meglio sul divano del salotto. Si riconcilii con suo marito e vedrà che tutti i suoi mali spariranno come per incanto».

La signora resta senza fiato. Deve confessare che è proprio cosí. Se ne va risollevata, ma lascia a Freud i suoi sette gatti neri, la chiave preziosa per penetrare nel mondo dei sogni. L’interpretazione scientifica del sogno è da quel momento una conquista che onora il genio umano…

 

3. Sogno e sessualità

A base di ogni sogno – dice la psicanalisi – sta un fatto sessuale. Il sesso è il piú potente degli impulsi umani ed agisce di giorno e di notte, ininterrottamente. Con ciò la psicanalisi riprende il grande motivo di Nerone, il quale aveva ciecamente dichiarato che la libidine è l’unica molla che spinge l’uomo all’azione. Il sesso è per il moderno psicanalista la chiave dei sogni. Perciò le interpretazioni dei sogni fatte dalla psicanalisi paiono il piú delle volte acrobazie di funamboli cerebrali.

Lo psicanalista, per seguire i princípi della sua scienza, è costretto a mettere ogni sogno sul letto di Procuste della sessualità. Che nel sogno compaiano gatti neri, o cavalli bianchi, o barche a vela, o gusci di noce, o ciabatte vecchie, è completamente indifferente, perché, questo o quello che sia, tutto adombra un fatto sessuale. A questo punto ci si deve chiedere: ma perché avvengono questi pudibondi travestimenti? Perché si pensa ad esempio alle procaci bellezze della Venere Medina e si sogna invece delle gobbe del dromedario?

 

Lo psicanalista risponderà subito che la sfera della nostra anima è divisa tra l’inconscio e il cosciente. L’inconscio è tutto un sudiciume di desideri inconfessabili, il cosciente è invece imbiancato con una leggera vernice che viene dalle consuetudini del vivere civile. Sulla soglia di queste due sfere c’è una specie di guardiano, una specie di Catone il Censore, il quale non permette che alcunché esca dalle tenebre dell’inconscio senza essersi prima coperto con qualche indumento decente. Ciò avviene appunto nel sogno, perché nel sogno l’inconscio fa il tentativo, quando meno agiscono i freni inibitori del vivere sociale, di irrompere nella sfera del cosciente. Detto con parole crude, senza pietosi eufemismi, il fatto è questo: l’uomo è un sudicio maialone, ma non ha il coraggio interiore di confessarlo nemmeno a se stesso.

 

Dobbiamo subito dire che siffatta concezione pessimistica della natura umana piú profonda è fondata su un grossolano equivoco e su poca perspicacia di osservazione. Ognuno che abbia osservato spregiudicatamente la vita di sogno, sa che, mentre in essa tutto si metamorfizza, sono proprio i fatti sessuali a presentarsi tali e quali, nudi e crudi, selvaggi e irrompenti, come sono nella realtà. Spesso nel risveglio siamo costretti a fare delle amare constatazioni sul nostro proprio conto, ma non dobbiamo spaventarcene. I santi piú puri, appunto perché erano tali, dovettero combattere in sogno con le immagini piú invereconde.

 

È indubbio il fatto che tra sogno e sessualità c’è uno strettissimo legame, ma da ciò non è lecito trarre le deduzioni della psicanalisi. La realtà è fondamentalmente diversa e possiamo avvicinarla soltanto con le conoscenze della Scienza dello Spirito. Questa ci dice che per lunghe epoche dell’evoluzione umana il fatto sessuale era immerso nelle profondità dell’incoscienza. Gli uomini si congiungevano nel sonno profondo, senza saperlo, e la concezione era allora immacolata. Soltanto verso la metà dell’epoca atlantidea il fatto sessuale cominciò ad affiorare nella coscienza umana. L’uomo portò le forze del sesso dal sonno al sogno. Ma in questo stato ci troviamo tuttora.

 

Per quanto riguarda il sesso, noi siamo sempre nel sogno, di giorno e di notte. Ed è appunto perciò che il fatto sessuale è l’unico che non si tramuti nel sogno. Esso non ne ha bisogno: esso permane nel suo vero elemento, e perciò non ha bisogno di assumere altre sembianze. In realtà il fatto sessuale è sempre una immagine simbolica, anche durante la vita diurna di veglia. Gli uomini del tempo nostro, cosí grossolanamente materiale e cosí facilmente portato all’illusione, stenteranno forse a credere che tutta la vita sessuale, in apparenza tanto intensa e vivace, non è altro che un sogno destinato ben presto a dileguarsi. Solo al risveglio ci si accorge di aver sognato. Ormai questo risveglio non è tanto lontano.

Tra qualche millennio il fatto sessuale passerà dalla coscienza di sogno alla piena e chiara coscienza di veglia. Soltanto dopo questa elevazione, l’uomo potrà sapere che cosa siano in realtà le sue forze sessuali. Ora vive in proposito nella piú completa illusione.

 

Le forze sessuali non appartengono alla nostra natura inferiore,

ma alla nostra natura piú alta e sono collegate con le Potenze spirituali piú sublimi.

Perciò è possibile che l’uomo faccia un sogno lubrico (un sogno addirittura osceno)

e che tutto ciò non sia altro che l’immagine corrotta di forze sublimi che tessono nella sua anima.

 

Ma non vorrei che da quanto io sto dicendo nascesse qualche grosso equivoco. Non vorrei che qualche ascoltatore, tratte delle affrettate conclusioni, dicesse, poi fuori di qui: «Gli antroposofi insegnano che le forze sessuali sono molto elevate e che perciò è lecito abbandonarsi ad esse».

Questa conclusione è completamente falsa. Se io dico che le forze sessuali sono quelle che maggiormente inducono l’uomo all’illusione riguardo alla loro vera natura, si deve trarre da ciò una sola conclusione. Che è poi questa: bisogna superare l’illusione. Ora, si può superare l’illusione in un solo modo: purificando la vita dell’anima affrancando il proprio essere dalle potenze dell’illusione, Lucifero e Arimane. La chiave dei sogni della psicanalisi è in realtà un grimaldello, una chiave falsa. Ma esiste anche una vera chiave dei sogni, una chiave preziosa, una genuina chiave d’oro, e questa chiave si chiama catarsi.

 

4. I sogni tipici

Tra le infinite e non mai uguali immagini del sogno, ci sono quelle che ricorrono di tanto in tanto e che si presentano in maniera simile in quasi ogni individuo. Chi non ha mai sognato di volare, di perdere tutti i denti, di essere immerso nelle acque? Sono questi, ed altri ancora, i cosiddetti sogni tipici, i quali, secondo l’interpretazione scientifica moderna, hanno per base un fatto fisiologico o una reminiscenza mai giunta alla coscienza.

Voi sapete che ogni uomo può spingere indietro il suo ricordo negli anni trascorsi fino a un determinato punto, che segna la nascita del suo Io. Piú in là, il ricordo non giunge. Nessuno può sapere le esperienze che ha compiute nel suo sesto mese di vita o addirittura all’atto della nascita fisica. Eppure queste esperienze – come afferma la psicologia – si sono impresse indelebilmente in noi e riemergono durante il sogno.

Questo è per esempio il caso di quel sogno tipico che ci dà l’esperienza della immersione nelle acque correnti, che ci dà la sensazione di essere trasportati dai flutti di un grande fiume. Questo sogno ha il termine tecnico di “trauma della nascita”, perché sarebbe, secondo l’opinione della scienza, la reminiscenza della poderosa scossa psichica e fisica che noi abbiamo ricevuto nel venire al mondo.

 

In queste teorie si è insinuato molto dilettantismo, è penetrata molta faciloneria gabbata per scienza, e ciò per il fatto che l’umanità ha rigettato la conoscenza dello spirito e si è preclusa con ciò l’accesso alla vera esperienza. Il diretto esperimento di ciò che sta realmente alla base di questi sogni, che potremmo chiamare elementari, perché hanno da fare con l’aria o con l’acqua, è già accessibile anche a chi abbia mosso i primissimi passi sul sentiero del discepolato esoterico. Da questo diretto e personale esperimento appare evidente che

• nella sensazione dell’aria, del volo, dell’ascesa si fa sentire il corpo astrale,

• e nell’impressione delle acque fluenti si fa valere il corpo eterico.

• Nel fuoco si dovrebbe fare la prima esperienza del proprio Io,

ma questo è un sogno che non appare tanto facilmente nella coscienza dell’uomo comune.

 

Le esperienze di sogno dei nostri arti sono dunque collegate con gli elementi della natura. Però non si deve generalizzare questa constatazione e farne una regola assoluta. Può benissimo darsi che uno sia troppo coperto nel suo letto, sogni di trovarsi in una fornace ardente, e che un altro rigirandosi sia rimasto scoperto, provi l’impressione di essere immerso in acqua gelida.

 

5. L’elemento drammatico del sogno

Nel sogno non conta tanto l’immagine per se stessa, quanto il particolare stato d’animo che ad essa si accompagna. L’immagine come tale ha sempre un molteplice significato che non rivela mai di per se stessa.

 

È sempre una indefinibile ma precisa e netta sensazione che accompagna il sonno,

la quale rivela all’anima la base reale della sua esperienza.

Chi vuol penetrare nella realtà della vita di sogno,

deve superare la tendenza di dar troppo peso alle immagini e sostituirla con l’osservazione dei moti dell’animo.

Non è mai il sogno come spettacolo, come rappresentazione, che deve interessarci,

bensí il suo dinamismo, la sua drammaticità.

 

Nel ricordare il sogno, bisogna sforzarsi di rievocare, per quel tanto che si può ancora, i moti dell’animo che lo hanno accompagnato. Bisogna per esempio potersi dire: «Quando esperimentavo quella immagine, c’era in me uno stato di tensione; poi, quando è comparsa l’immagine successiva, a questo stato di tensione è subentrato un rilassamento, una calma piena di forza».

Cosí, abituandoci un po’ alla volta ad osservare i moti della nostra anima durante il sonno, arriveremo a fare una importante constatazione. Che è questa: nel sogno i sentimenti diventano qualcosa di reale, crescono di statura, acquistano consistenza e peso, diventano esseri reali.

 

6. La base oggettiva del sogno

Vedete, nel mondo dei sensi che esperimentiamo durante la coscienza diurna di veglia, i sentimenti non hanno troppa consistenza. Per quanto fortemente possiamo sentirli, sappiamo pur tuttavia che prima o poi scompariranno dal campo della nostra anima. Essi non fanno parte della realtà del mondo; non sono che un prodotto momentaneo della nostra persona. Essi sono il soggettivo senza valore di fronte all’oggettivo che assomma in sé tutta la realtà.

 

Nella coscienza di veglia esperimentiamo questo stato di cose:

1) l’immagine del mondo, data dalla molteplicità delle nostre percezioni, come fatto oggettivo;

2) i sentimenti come fatto soggettivo.

Di fronte a un’unica immagine della percezione, per esempio quella della rosa, si hanno negli uomini infiniti sentimenti determinati dalla particolare sensibilità animica di chi l’osserva.

 

Nel sogno invece l’uomo ha i sentimenti fuori di sé. Essi costituiscono ora l’ambiente della sua anima e si dispiegano tutt’intorno a lui come nel mondo dei sensi i monti, i mari, gli alberi, le pietre ecc. E dentro di sé ha invece ora l’immagine.

Perciò nel sogno si presenta quest’altro stato di cose:

1) i sentimenti come fatto oggettivo;

2) le immagini come fatto soggettivo.

 

• Come nel mondo dei sensi per una sola immagine possiamo avere infiniti sentimenti,

• nel mondo dei sogni per un solo sentimento possiamo avere infinite immagini.

• E come nel mondo dei sensi sappiamo di aver raggiunto la realtà oggettiva

  quando, trascurati i nostri sentimenti personali, lasciamo parlare soltanto la cosa,

• nel mondo dei sogni dobbiamo trascurare l’immagine soggettiva per cogliere l’essenza dell’oggettivo sentimento.

 

7. Critica dell’interpretazione psicanalitica del sogno

Vorrei esprimermi anche in un altro modo e dire: chi è scienziato nel mondo dei sensi diventa poeta nel mondo del sogno. Chi è poeta nel mondo dei sensi diventa scienziato nel mondo del sogno. Nel sogno la scienza si fa poesia e la poesia si fa scienza. Perciò proprio gli scienziati sono cosí poco adatti a comprendere scientificamente il sogno.

Gran parte di ciò che la psicanalisi ci dice intorno ai sogni è pura fantasia poetica, è favola mitologica. La psicanalisi difatti, nella sua interpretazione del sogno, si basa sulla immagine soggettiva e non sul sentimento oggettivo. Qualcuno obietterà: ma è proprio il contrario. Freud è subito passato dai sette gatti neri al sentimento che ne stava alla base, la gelosia. Sí, questo è vero; ma appunto in questa apparente perspicacia si nasconde un grande semplicismo. Potrebbe benissimo darsi che dietro il sogno di quella figura ci stesse qualcosa di completamente diverso da quello immaginato da Freud, e che quel qualcosa rimasto sconosciuto abbia assunto la forma soggettiva dei sette gatti neri soltanto perché da sette giorni la signora passava per una crisi di gelosia.

 

Tutto ciò è molto utile per sapere la causa soggettiva che ha prodotto quella altrettanto soggettiva immagine di sogno, ma non aiuta minimamente a comprendere la realtà oggettiva che sta alla base del sogno. Forse un esempio chiarirà questo pensiero.

Una banda sta suonando in piazza un’allegra marcia militare. Tra tanti visi lieti, voi osservate quello di un uomo che piange. Volete rendervi ragione delle sue lacrime e con i dovuti riguardi ve ne informate. Egli vi risponderà: «Al suono di questa musica mio figlio è partito per la guerra e non è piú tornato».

 

Voi ora sapete molte cose che prima ignoravate. Sapete per esempio perché l’anima di un uomo risponde con un sentimento di infinita tristezza al suono di una musica gaia. Ma che cosa sapete sulla musica, cioè sul fatto obiettivo che ha provocato la tristezza nell’animo di un uomo e l’allegria in quella di un altro? Proprio nulla.

La stessa cosa avviene – o perlomeno può avvenire – nell’interpretazione cosiddetta scientifica del sogno. Essa non è capace di andare oltre i limiti della pura soggettività. S’intende bene che il piú delle volte ciò basta, perché anche chi sogna non va spesso oltre i confini della propria limitata personalità e si accontenta di rimuginare le reminiscenze della vita di veglia, di modo che in questo caso è inutile cercare un nesso tra contenuto soggettivo e fatto obiettivo. Tale nesso manca molte volte anche nella vita di veglia.

 

Immaginiamo di poter osservare i sentimenti di due uomini che camminano per un viale di tigli fioriti. Nell’anima di uno si svolgono amorosi sensi, l’anima dell’altro è in preda a cupo sconforto. E perché ciò? Perché il primo ha saputo aprirsi a quegli alberi fioriti, a quel blando profumo, e il secondo invece è rimasto chiuso in se stesso, preoccupato forse per gli affari e per i dissesti della sua azienda. Non sempre dunque esiste un nesso tra il soggettivo sentire dell’anima e l’obiettiva realtà dell’ambiente. Ciò vale anche per il sogno.

Chi sogna può restare chiuso nella ristretta cerchia della sua personalità. Forse la signora che si è presentata a Freud non aveva realmente dentro la sua anima altro che la gelosia, il timore di essere tradita e i sette gatti neri. Tale fatto non permette però di dichiarare senz’altro che dietro ogni sogno non c’è altro che un fatto soggettivo o fisiologico o psichico. La psicanalisi lo fa, ma con ciò decade da scienza a dilettantismo facilone.

 

Il rigore scientifico impone difatti la necessità di distinguere caso per caso. La scienza purtroppo è inficiata da un grave preconcetto materialistico. Essa pensa che non esista altro che il mondo dei sensi e l’uomo che ne subisce le impressioni. Perciò si pone a priori l’idea fissa che nel sogno non ci può essere altro che reminiscenza della vita di veglia, o trauma psichico, o riflesso fisiologico.

Invece proprio nel sogno osservato con serietà scientifica e senza preconcetti, l’uomo può per la prima volta accorgersi che oltre al mondo della materia fisica esiste anche un altro mondo attivo e reale. Lo possiamo chiamare il mondo dei sentimenti obiettivi, perché è appunto con questo carattere che esso comincia a comparire nel sogno.

 

Vi siete svegliati d’improvviso nel cuore della notte con l’anima piena di paura? Uno a cui accada questo, si mette subito a domandare la ragione della sua paura e finisce col dirsi che ha fatto un brutto sogno di cui non ricorda piú nulla. Nel porsi questa domanda egli è spinto dall’esperienza della vita diurna. Nel mondo dei sensi la paura è difatti una impressione soggettiva provocata da un fatto esterno.

Per comprendere il sogno è però necessario sgomberare l’anima dalla forma mentis propria della vita di veglia.

 

Nel sogno i sentimenti sono esseri reali.

Qui se l’anima ha un senso di paura, non è perché qualcosa l’abbia intimorita,

ma perché essa è venuta a contatto con l’essere paura.

Similmente nel sogno entriamo in relazione con l’essere gioia, l’essere dolore, con l’essere lussuria,

con l’essere ingordigia, con l’essere gelosia ecc.

 

Di giorno questi esseri sono in noi, di notte sono fuori di noi, obiettivi.

Per questo abbiamo detto che nel sogno piú che l’immagine conta il drammatico susseguirsi dei sentimenti.

Questi sentimenti del sogno non sono difatti nostri sentimenti personali e perciò tinti di ogni possibile errore.

Essi stanno là fuori nel loro mondo.

Noi l’incontriamo ed essi possono rivelarci qualcosa di quel mondo che sfugge al senso fisico.

 

✺ Testo tratto da una conferenza tenuta dall’Autore a Trieste il 13 gennaio 1948,
riveduto a cura del Gruppo Antroposofico di Trieste.