La diagnosi, tramite fra patologia e terapia

O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 23.03.1920


 

Sommario: La diagnosi, tramite fra patologia e terapia. La triplice struttura dell’uomo. Nervi di moto e nervi di senso. Suggestione e ipnosi. Relazione tra farmaci e uomo. Le metamorfosi nell’accrescimento delle piante. Capacità di adattamento e rigenerazione. Forze formative e funzioni animico-spirituali dell’uomo. Fondamenti per una psicologia conforme alla realtà. Evoluzione ascendente e discendente. Processo formativo del sangue e processo formativo del latte.

 

Nel corso di queste conferenze terrò conto di tutti i desideri che mi sono stati esposti; sarà però necessario raccogliere prima tutte le richieste, dato die alcuni problemi sono stati proposti da diversi partecipanti. D’altronde non è indifferente parlare dei temi che mi vengono richiesti, prima di aver creato una base sufficiente, o dopo averla creata. Perciò fin da oggi cercherò di porre una base per tutte le considerazioni seguenti, tenendo conto dei desideri che mi sono stati esposti.

 

Come avete veduto, ho cercato di prendere le mosse nella prima conferenza dalla formazione e dall’intima attività del sistema osseo e del sistema muscolare. Ieri poi siamo già proceduti fino a una prima trattazione, a mo’ di esempio, del processo morboso in generale e delle necessità cui è sottoposta la procedura terapeutica; appunto come esempio abbiamo cominciato ad esaminare quei due tipi di processi parlando della circolazione sanguigna e del cuore.

 

Oggi vorrei ancora esporre qualche considerazione introduttiva, in merito a una concezione del processo di guarigione (della sua possibilità e della sua essenza), concezione fondata sopra una conoscenza approfondita dell’essere umano. Nelle conferenze seguenti entreremo poi nei particolari, ma qui ora debbo premettere ancora qualche considerazione di principio.

 

Lo studio della medicina è oggi organizzato in modo che, almeno nella maggior parte dei casi, la terapia procede per così dire parallela alla patologia; senza che esista fra le due una connessione chiaramente percepibile. Soprattutto nell’ambito della terapia regna oggi per lo più sovrano il metodo puramente empirico. Proprio nella terapia è difficile poter trovare uri criterio razionale che consenta di operare in pratica fondandosi veramente su princìpi. È noto che tali difetti del pensiero medico condussero nel secolo scorso fino alla scuola del nichilismo medico: questa dava importanza solo alla diagnosi e in fondo si accontentava che le malattie venissero riconosciute, mostrando in genere un forte scetticismo nei confronti di qualsiasi criterio razionale di terapia. Ora, volendo porre alia medicina delle richieste puramente razionali, mi sembra che si dovrebbe esigere che già nella diagnosi stessa si trovi almeno un accenno alla terapia. Non dovrebbe sussistere un nesso del tutto esteriore fra terapia e patologia. Bisogna in certo senso poter riconoscere l’essenza della malattia in modo che da essa si possa formare una conoscenza del processo di guarigione.

 

Questo problema è naturalmente collegato con l’altro: in che misura possono esistere, nell’intero contesto dei processi naturali, rimedi e processi di guarigione? Si cita spesso un interessante detto di Paracelso: il medico deve superare l’esame della natura. Non si può dire però che i più recenti scritti su Paracelso sappiano trarre gran frutto da quella massima; se così fosse, vorrebbe dire che gli studiosi di Paracelso sono impegnati a spiare processi di guarigione nella natura stessa. Certo, questo tentativo viene compiuto nei confronti di processi patologici contro i quali la natura stessa provvede a difendersi. Ci si limita però a osservare la natura riguardo ai suoi processi di guarigione, solo in casi eccezionali, già in presenza di alterazioni e difese naturali; una vera osservazione della natura consiste invece nell’osservazione di processi normali. Dovrebbe porsi il problema: è possibile osservare in natura processi che vengono chiamati normali e trame qualche conoscenza per le procedure terapeutiche? Questa domanda ne suggerisce un’altra, alquanto delicata. In natura si possono certo osservare in modo normale dei processi di guarigione, solo se in natura esistono di norma dei processi morbosi. Sorge quindi la domanda: esistono forse nella natura in quanto tale dei processi morbosi, sì da Consentire di « superare l’esame della natura », apprendendo da lei a guarire? Solo nel corso di queste conferenze potremo rispondere in modo completo alla domanda; però già oggi vorrei cercare di avvicinarmi ad essa di un passo. Va detto subito che la comune impostazione scientifica della medicina contemporanea preclude la via indicata dal problema ora posto.

 

Con le premesse scientifiche dominanti nel nostro tempo è molto difficile muoversi in quella direzione; è infatti molto singolare che proprio la tendenza materialistica del secolo scorso abbia portato a misconoscere totalmente nelle sue funzioni il sistema nervoso, cui adesso intendo accennare dopo aver menzionato in precedenza il sistema osseo, il sistema muscolare e il sistema cardiaco.

 

È diventata a poco a poco un’abitudine l’attribuire al sistema nervoso centrale l’intera sfera dell’anima, e ridurre la complessiva attività animico-spirituale dell’uomo a una serie di processi paralleli riscontrabili all’interno del sistema nervoso. Come vi è noto, mi sono ritenuto costretto a sollevare obiezioni contro questo modo di considerare la natura; lo feci nel mio libro Gli enigmi dell’anima dove cercai di mostrare anzitutto che solo i processi strettamente connessi con la rappresentazione sono legati al sistema nervoso, mentre tutti i processi della sfera del sentimento sono legati, non indirettamente ma direttamente, con i processi ritmici dell’organismo. Nel corso di queste mie conferenze avrò modo di contribuire con i dati dell’esperienza alla conferma di queste verità. Lo scienziato d’oggi ritiene di solito che i processi del sentimento non abbiano nulla a che fare direttamente con il sistema ritmico; anche la vita di sentimento si svolgerebbe tramite il sistema nervoso, in quanto i processi ritmici si trasmettono al sistema nervoso. Similmente cercai di mostrare che l’insieme della vita di volontà è connesso con il ricambio direttamente, e non indirettamente tramite il sistema nervoso; sicché anche nei riguardi dei processi legati alla volontà, al sistema nervoso rimane soltanto la facoltà di percepirli. Nessuna volizione viene realizzata ad opera del sistema nervoso: quest’ultimo non fa che percepire ciò che in noi avviene da parte della volontà. Tutte le considerazioni da me svolte in quello scritto possono senz’altro venir confermate dai dati di fatto biologici corrispondenti, mentre non trova affatto conferma l’opinione opposta che connette con la vita psichica soltanto il sistema nervoso. Mi sembra difficile che un sano raziocinio possa accordare il dato di fatto che, dopo aver tagliato un cosiddetto nervo motorio e un nervo sensitivo, essi possano venir saldati insieme e ne nasca un nervo unitario, con la supposizione che esistano nervi di senso e nervi motori. I nervi motori non esistono affatto: quelli così chiamati sono in realtà nervi di senso che percepiscono i movimenti dei nostri arti, vale a dire ciò che vi si svolge mentre noi esplichiamo un atto di volontà. In verità dunque anche i nervi detti motori sono nervi di senso, i quali percepiscono il nostro interno, mentre i nervi chiamati sensitivi percepiscono il mondo esterno.

 

Questo orientamento porta a conseguenze estremamente importanti per la medicina, le quali però potranno venire valorizzate solo se i dati di fatto saranno apprezzati adeguatamente. Infatti con la distinzione fra nervi di senso e nervi di moto sarà difficile venire a capo proprio di fenomeni patologici come quelli che ho proposto come esempio ieri, nel caso della tubercolosi. Alcuni ricercatori attenti hanno difatti già avanzato la supposizione che in ogni nervo si abbia non solo una conduzione alternativa (o centripeta o centrifuga), bensì che vi coesistano la conduzione centrifuga e quella dalla periferia verso il centro. In tal modo ogni nervo motorio avrebbe due tipi di conduzione; vale a dire che, volendo spiegare per esempio l’isteria partendo dal sistema nervoso, occorre ammettere le due opposte conduzioni. Appena si considerano a fondo certi fatti, si presenta dunque la necessità di attribuire ai nervi delle qualità che contraddicono in fondo radicalmente le ipotesi relative al sistema nervoso. Con l’abitudine a pensare in questo modo sul sistema nervoso ci si è preclusa in realtà la possibilità di conoscere quel che accade nell’organismo, per così dire al di sotto del sistema nervoso, come ad esempio nel caso dell’isteria. Ieri ho caratterizzato i fenomeni isterici come processi del ricambio che il sistema nervoso non fa che percepire. Questo avrebbe dovuto attirare l’attenzione; invece si è cercata l’origine dell’isteria solo in una particolare eccitabilità, in uno squasso del sistema nervoso, attribuendo tutto al sistema nervoso.

 

Da questo scaturirono poi altre conseguenze. È innegabile che fra le cause indirette dell’isteria figurino anche dei fattori psichici, crucci, delusioni subite, eccitazioni interne appagabili o meno, tutti fenomeni che possono sfociare in manifestazioni isteriche. Avendo per così dire separato tutto il resto dell’organismo dalla vita dell’anima, lasciando in connessione con questa solamente il sistema nervoso, si è poi costretti a scaricare tutto quanto sul sistema nervoso. Ne è derivata una concezione che anzitutto non concorda assolutamente più con i dati di fatto, e poi non consente più di riconoscere i molteplici rapporti Ita la sfera animica e l’organismo umano. Ci si accontenta di metterla in rapporto col sistema nervoso, rinunciando a conoscerne le connessioni con l’organismo intero. Tutt’al più si inventano dei nervi motori che non esistono affatto, aspettandosi poi dalla loro funzione un’influenza sulla circolazione e su altro ancora: influenza che appartiene in larga misura al regno delle ipotesi.

 

La concezione cui ho accennato condusse poi fuori strada anche persone intelligentissime, quando si diffusero i concetti di suggestione e di ipnosi. Potè accadere (soprattutto qualche decennio fa) die certe signore isteriche abbiano ingannato i medici più intelligenti, menandoli per il naso, semplicemente perché i medici prestavano fede alle scene che venivano recitate davanti ai loro occhi, senza essere capaci di riconoscere quanto avveniva realmente nell’organismo del paziente. È interessante a questo proposito menzionare l’errore in cui non potè a meno di cadere il chirurgo Schleich: in questo caso non si trattava di una signora, bensì di un uomo isterico. Lo Schleich era naturalmente abituato a riflettere su tali problemi. Un giorno andò a consultarlo un uomo che si era punto un dito con il pennino bagnato d’inchiostro: diceva che sarebbe certamente morto durante la notte, che sarebbe sopraggiunta una setticemia se non si fosse amputato il braccio. Naturalmente il chirurgo Schleich non procedette all’amputazione: procedette alle necessarie medicazioni e tentò di tranquillizzare il paziente, ma non potè certo amputargli il braccio solo perché quello gli diceva che sarebbe morto di setticemia la notte seguente. Quel paziente andò poi da un’altra celebrità medica, e neppur questa accettò di amputargli il braccio. Lo Schleich però non era tranquillo; la mattina seguente di buon’ora si informò: il paziente era motto davvero durante la notte. Schleich ne concluse: morte per suggestione.

 

Tirare la conclusione « morte per suggestione » è facile, terribilmente facile. Chi però ha conoscenza dell’entità umana, non può accettare di concepire in questo modo una « morte per suggestione »; ponendo ima diagnosi come questa, si confonde completamente la causa con l’effetto. Non vi fu neppure una setticemia (come risultò dall’autopsia); il paziente morì per una causa che rimase sconosciuta ai medici; per chi è in grado di comprendere il problema, la causa di quella morte era però senz’altro profondamente radicata nell’Organismo. Tale causa profondamente organica aveva reso maldestro e insicuro il paziente già il giorno prima, e per questo egli si era punto il dito col pennino bagnato d’inchiostro: cosa che abitualmente non avviene. La puntura era già conseguenza di una sua incertezza nei movimenti. Mentre compiva quei movimenti maldestri, aumentò in lui una certa facoltà di veggenza, e sotto l’influsso della sua malattia egli ebbe una visione profetica della sua morte che sarebbe avvenuta nella notte seguente. La morte non fu in alcun modo dipendente dalla puntura; la sua morte imminente fu la causa di quello che egli oscuramente provava per il fatto di portare nel suo organismo la causa della morte. Tutto il resto era legato solo nel modo più esteriore ai processi interni che provocarono la morte. In quel caso non si può dunque parlare nemmeno per sogno di « morte per suggestione »; anche quello che il paziente credeva, e tutti i fatti concomitanti, non contribuirono certo a condurlo a morte, ma avevano invece cause più profonde. Egli invece previde la propria morte e inserì tutto quello che gli accadeva nella previsione della morte. Questo esempio può mostrarci quanto prudenti si debba essere per giungere a giudizi fondati, in merito ai complicati processi della natura. Non si può in questo campo partire dalle premesse più semplici.

 

A questo punto bisognerà chiedersi: può la percezione Sensoriale e tutto quanto le è affine offrirci un punto di riferimento per gli influssi di tipo, vorrei dire, un po’ differente che i farmaci debbono esercitare sull’organismo umano?

 

In condizioni normali esistono tre generi di influssi sull’organismo umano. Anzitutto quello che si esercita tramite le percezioni sensoriali e che si estende poi nel sistema nervoso. In secondo luogo quello che opera mediante il sistema ritmico, cioè la respirazione e la circolazione, e in terzo luogo quello che agisce nel ricambio. Questi tre rapporti normali debbono avere dei corrispettivi nelle relazioni abnormi che noi stabiliamo fra i farmaci (che dobbiamo pur ricavare in qualche modo dalla natura esterna) e l’organismo umano. Certo, è nell’influsso esercitato sul sistema nervoso che si può osservare in modo chiaro l’interazione che si svolge fra il mondò esterno e l’organismo umano. Possiamo quindi chiederci: come dobbiamo concepire razionalmente una connessione fra l’uomo e la natura extra-umana, dei cui processi o delle cui sostanze vogliamo servirci come rimedi, ai fini della guarigione dell’uomo malato? È necessario formarci un’opinione sul rapporto reciproco esistente fra l’uomo e la natura extra-umana. Perfino se applichiamo una idroterapia fredda ci serviamo di qualcosa di extra-umano. Qualunque rimedio si usi, si tratta sempre di qualcosa di extra-umano: è quindi necessario avere un’idea razionale dei rapporti fra l’uomo e i processi extraumani.

 

Si giunge così a un capitolo in cui, nell’ordinario corso degli studi di medicina, invece di un nesso organico regna la pura aggregazione. Lo studente di medicina segue certo corsi preparatori di scienze naturali; poi su queste nozioni scientifiche viene innalzato l’edificio delle nozioni di patologia generale e speciale, poi di terapia generale e così via. Nelle lezioni propriamente di medicina non si sente però più parlare di quali siano i rapporti tra i fenomeni che vengono qui trattati, e in particolare tra i procedimenti terapeutici e i processi della natura esterna. Ritengo che i medici che si sono formati con questo tipo di studi non solo debbano sentire tale situazione come un difetto sul piano intellettuale, ma anche come un disagio, nel momento in cui sono chiamati a intervenire terapeuticamente contro le malattie: un disagio dovuto all’incertezza sulle ragioni della scelta di un rimedio piuttosto che di un altro. In realtà molto di rado esiste una vera conoscenza del rapporto fra un certo farmaco e i processi che si svolgono nell’organismo umano. Quello che importa veramente è il riconoscere che la natura stessa di questo problema esige un’indispensabile riforma degli studi medici.

 

Vorrei oggi mostrare, con l’esempio di certi processi della natura extra-umana, quanto differenti questi siano, sotto molti riguardi, da quelli legati alla natura dell’uomo. Prenderò le mosse dai processi che riscontriamo in animali inferiori o in certe piante; in seguito passerò a trattare i processi che possono essere provocati nell’uomo da sostanze extra-umane in generale, sostanze che possiamo ricavare dal regno vegetale, da quello animale e particolarmente dal regno minerale. Potremo però affrontare lo studio delle sostanze puramente minerali solo partendo da concetti scientifici molto elementari; in un secondo tempo prenderemo in considerazione quello che si verifica quando si introduce come farmaco nell’organismo umano arsenico o stagno o un’altra sostanza inorganica. La prima nozione che a tale proposito va messa in evidenza è che negli esseri diversi dall’uomo le metamorfosi legate al processo dell’accrescimento si svolgono in modo del tutto differente che nella natura umana.

 

Non si può fare a meno di concepire in qualche modo col pensiero il vero e proprio principio della crescita vivente, sia nell’uomo, sia negli esseri diversi dall’uomo. La diversità che si constata nell’uno e negli altri è di importanza fondamentale. Osserviamo ad esempio un essere vivente ben noto: la cosiddetta falsa acacia, la Robinia pseudacacia. Se in questa pianta si tagliano le foglie all’altezza del picciuolo, si verifica un fenomeno interessante: attraverso un processo di metamorfosi i picciuoli diventano un po’ bitorzoluti, assumendo poi la funzione delle foglie. In tale processo si mostra altamente attiva una forza (vogliamo chiamarla per ora così, in via ipotetica) che è presente nell’intera pianta e che si manifesta quando si impedisce alla pianta di usare per determinate funzioni un suo organo normalmente sviluppato. Nell’uomo è ancora presente, vorrei dire, un resto di questa forza che si manifesta in misura così elevata nella pianta, la quale cresce in modo più semplice. Nell’uomo può darsi che per una qualsiasi ragione venga impedito l’uso di un braccio o di una mano, per una determinata funzione: vedremo allora che l’altro braccio o l’altra mano diventano più forti e anche fisicamente più grandi. Fenomeni come questi vanno collegati gli uni con gli altri, perché questa è la via che porta alla conoscenza di certe possibilità terapeutiche.

 

Ora, nella natura extra-umana le cose vanno ben più oltre di così. È possibile ad esempio osservare che in certe piante, che crescono sopra un pendio, può accadere che alcuni picciuoli si sviluppino in modo da non dare origine alla formazione delle foglie. Le foglie non si formano, mentre il picciuolo si trasforma in organo di sostegno (vedi la figura seguente). Le foglie si atrofizzano, il picciuolo si ripiega diventando organo di sostegno.

 

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Si tratta dunque di piante con picciuoli trasformati e con foglie atrofizzate. Questo fenomeno ci indica la presenza nella pianta di forze formative interne, grazie alle quali essa può adattarsi in larga misura alle condizioni di vita richieste dall’ambiente. Le forze che agiscono in fenomeni del genere ci si mostrano in modo particolarmente interessante negli organismi inferiori.

 

In qualsiasi embrione pervenuto allo stadio di gastrula si può procedere a questo esperimento: tagliando a metà la gastrula, ognuna delle due parti si avvolgerà nuovamente su se stessa, mostrandosi capace di formare a sua volta tutti e tre i segmenti del tratto intestinale. Se dunque tagliamo a metà la gastrula, ognuno dei pezzi si comporta come si sarebbe comportata l’intera gastrula se non l’avessimo sezionata. È noto che questo esperimento può essere fatto anche su animali inferiori, perfino sui lombrichi: asportando parti di certi animali inferiori si può constatarne la ri- generazione, in quanto le forze formatrici insite nell’animale gli consentono di formare nuovamente le parti asportate. Di queste forze formatrici è necessario parlare in concreto, non in modo ipotetico, assumendo l’esistenza di una « forza vitale »: occorre segnalarne concretamente la presenza. Un’osservazione attenta dei fatti mostra ad esempio che, asportando una parte dell’organismo di una rana in uno stadio molto precoce del suo sviluppo si constata che l’organismo mutilato si ricompone. Una mentalità incline al materialismo dirà forse che nella ferita sono presenti delle forze di tensione, grazie alle quali può svilupparsi la parte che ricomincia a crescere. Le cose però non stanno così, altrimenti, quando si taglia un organismo in un certo punto (la freccia nel disegno seguente) e sulla superficie di sezione comincia a crescere qualcosa per effetto della supposta forza di tensione, dovrebbe essere il pezzo più vicino a svilupparsi, cioè la parte immediatamente adiacente dell’organismo integro. In realtà non è questo che avviene: se si asporta con un taglio una parte del corpo nelle larve di rana, non compaiono organi adiacenti, bensì degli organi terminali, come la coda o perfino la testa, e in altri animali delle antenne, cioè organi di cui l’organismo ha bisogno subito.

 

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È assolutamente impossibile che con le « forze di tensione » insite nel punto di sezione si formino parti come quelle che di fatto si sviluppano; non si può a meno di ammettere che l’organismo intero sia in qualche modo coinvolto in tali neoformazioni.

 

In tal modo si può realmente osservare quel che succede negli organismi inferiori. Ora che ho indicato il metodo di osservazione, si può provare ad estenderlo a tutte le esperienze pubblicate finora: si constaterà come solo con questo metodo si possa giungere a chiarezza su fenomeni del genere. Ritengo che si dovrà concludere che nell’uomo le cose stanno diversamente. Sarebbe certo molto carino potergli tagliare un dito o un braccio e poi vederli ricrescere, ma l’uomo non è in grado di farlo! Sorge quindi il problema: come si comportano nell’organismo umano le forze formatrici e di accrescimento che nel caso esaminato si rivelano cosi chiaramente? sono andate perdute o non esistono affatto?

 

Chi osserva la natura in modo oggettivo sa che solo per questa via si può giungere a una conoscenza conforme a natura delle connessioni fra ciò che nell’uomo è spirituale e ciò ch’è fisico. Infatti le forze che in questo caso impariamo a conoscere come direttamente produttrici di forme dalla sostanza corporea, nell’uomo sono semplicemente sottratte agli organi e sono presenti solo nelle sue parti animico-spirituali; qui esse sono difatti presenti. Per il fatto che sono sottratte agli organi, che non sono rimaste forze plasmatrici di organi, l’uomo ne dispone in altro modo: le ha nelle sue funzioni animico-spirituali. Se io penso o sento, lo faccio con le medesime forze che nell’animale inferiore o nella pianta agiscono come produttrici di forme. Non sarei in grado di pensare, se non svolgessi le attività del pensare, del sentire e del volere con le medesime forze che ho sciolto dai vincoli della materia. Guardando agli organismi inferiori debbo riconoscere che in essi si trovano forze formatrici identiche a ciò che porto anche in me; io però le ho sottratte ai miei organi, le ho rese indipendenti, e penso, sento e voglio con le stesse forze che nel mondo degli organismi inferiori operano plasticamente.

 

Chi voglia fare della psicologia sostanziosa, e non solo a parole (come oggi spesso avviene) dovrebbe studiare i processi del pensare, del sentire e del volere, ritrovando in essi (ma trasposti sui piani animico e spirituale) gli stessi processi che negli animali inferiori si manifestano come attività produttive di forme corporee. Possiamo constatare che nella nostra attività psichica noi realizziamo processi che nell’organismo non siamo più in grado di eseguire: completare concatenazioni di pensieri che avevamo perdute, partendo da altri pensieri. In un’operazione del genere noi procediamo in modo analogo a quello che abbiamo riscontrato nella rigenerazione di parti degli animali inferiori: vale a dire che non si presenta ciò che è direttamente contiguo, bensì ciò che è più distante.

 

Esiste un parallelismo completo fra quello che noi sperimentiamo sul piano psichico interiore e le forze, i principi formativi che operano nel mondo esterno. Questo parallelismo va sottolineato: occorre mostrare che nel mondo esterno l’uomo ritrova in fondo come princìpi formativi la vita animico-spirituale che egli ha sottratto al proprio organismo e che quindi nell’organismo non si trova più a base della materia, della sostanza materiale.

 

Senonché noi non la abbiamo sottratta a tutte le parti dell’organismo con la stessa forza, bensì in modo differenziato. Solo dopo aver acquistato nozioni preliminari come quella ora esposta, si può affrontare in modo adeguato lo studio dell’organismo umano. Osservando la struttura del nostro sistema nervoso si trova qualcosa di singolare: proprio le cosiddette cellule nervose (e in generale il tessuto nervoso) sono formazioni rimaste indietro, a uno stadio evolutivo relativamente precoce; non sono formazioni cellulari molto progredite. Ci si aspetterebbe dunque che esse dimostrino il carattere di formazioni cellulari primitive. Sotto certi altri aspetti invece esse non mostrano affatto un tale carattere, per esempio in quanto non sono capaci di riprodursi. Come le cellule del sangue, le cellule nervose sono indivisibili e pertanto incapaci di riprodursi. Sono state private cioè in uno stadio relativamente primitivo di una facoltà di cui le cellule extra-umane sono invece dotate. Esse rimangono ferme e per così dire paralizzate a un gradino evolutivo precoce. Ciò che in esse viene paralizzato si separa invece come qualità animico-spirituale. In effetti, per i nostri processi animico-spirituali noi ricorriamo a quello che un tempo si era formato entro lo sostanza organica; ne possiamo però disporre solo in quanto portiamo in noi la sostanza nervosa che abbiamo per così dire uccisa, o almeno paralizzata, in uno stadio relativamente primitivo.

 

In questo modo d si può accostare alla reale essenza della sostanza nervosa. Si scopre allora perché la sostanza nervosa possieda la caratteristica di assomigliare, da un lato, abbastanza alle formazioni primitive (perfino in ciò che essa a sua volta produce), mentre dall’altro serve all’attività che di solito si considera la più alta dell’uomo, cioè all’attività spirituale.

 

Incidentalmente vorrei rilevare che un’osservazione anche superficiale della testa umana, entro la quale si trovano racchiuse come in una corazza le diverse cellule nervose, ricorda piuttosto la struttura di certi animali inferiori che non quella degli animali superiori. Proprio la nostra testa ricorda in fondo, vorrei dire, certi animali preistorici; appare soltanto trasformata. Parlando degli animali inferiori siamo soliti dire che essi hanno uno scheletro esterno, mentre gli animali superiori e l’uomo hanno uno scheletro interno. Solo la nostra testa invece, che è la parte più evoluta, ha uno scheletro esterno. Si tratta qui di una specie di motivo conduttore per la comprensione di quanto è stato ora esposto.

 

Possiamo ora svolgere certe considerazioni. Ammettiamo di essere indotti da un evento che chiamiamo « malattia » (di cui parlerò con maggior precisione più avanti) ad apportare all’organismo umano ciò che gli era stato sottratto nel modo che si è detto, cioè le forze formative presenti nella natura extraumana die gli erano state sottratte per usarle per l’attività animico-spirituale. Utilizzando come farmaco una pianta o altro, noi restituiamo all’organismo umano qualcosa di cui a tutta prima esso è privo. Gli veniamo in aiuto fornendogli qualcosa che prima gli era stato tolto, perché potesse diventare uomo.

 

Qui si va già profilando qualcosa che si potrebbe definire un processo terapeutico: il ricorrere a certe forze della natura esterna (di cui in condizioni normali siamo privi), per rafforzare in noi qualcosa, rispetto alle condizioni esistenti nell’uomo normale. Per parlare concretamente, sia pure solo come esempio, ammettiamo che dallo studio del polmone (o di un altro organo) risulti che l’uomo ne ha estratto dei princìpi formativi per poterne disporre per l’attività animico-spirituale. Se, studiando poi il mondo vegetale, ci si imbatte proprio nelle forze che l’uomo ha sottratto al polmone e le si somministrano all’uomo malato, in caso di alterazione del sistema polmonare, si può riuscire di giovamento a questo sistema ammalato. Sorgerebbe dunque il problema: quali forze nella natura extra-umana sono affini a quelle che stanno alla base degli organi umani, ma che sono state deviate verso l’attività animico-spirituale? Ecco in tal modo delineata una via per passare da una terapia fondata solo sui tentativi a una terapia razionale.

 

Gli errori in cui si è incorsi riguardo al sistema nervoso riguardano l’interno dell’uomo, ma un altro grave errore si è diffuso nei riguardi della natura extra-umana errore cui oggi accenno soltanto, per trattarlo più a fondo un’altra volta. Nell’epoca materialistica si è venuta gradualmente formando la concezione che esista un’evoluzione degli organismi materiali, la quale procederebbe da quello ch’è chiamato il più semplice al più complicato. Dapprima si sono presi in considerazione gli organismi inferiori, seguendo poi la metamorfosi delle forme fino agli organismi più complicati, rivolgendo infine l’attenzione anche al mondo inorganico, al regno minerale. Si è constatato che il regno minerale è meno complesso del regno vegetale, e si è giunti a porsi i problemi sull’origine della vita dal regno minerale, postulando una condizione, nel remotissimo passato, nella quale le sostanze siano passate dal piano delle azioni esclusivamente inorganiche al piano delle azioni organiche. Nel contesto di tali problemi, si discusse a lungo su quella che fu chiamata « generatio aequivoca».

 

A un’osservazione spregiudicata dei fenomeni risulterà però che tale concezione non è giusta. Bisogna infatti riconoscere che in linea di principio, come si può concepite un’evoluzione che proceda dalle piante attraversò gli animali fino all’uomo, così è concepibile anche un’evoluzione che dalle piante giunga ai minerali, in quanto a questi ultimi venga sottratta la vita. Ripeto che per il momento accenno soltanto a questi problemi, riservandomi di trattarli più chiaramente in seguito. Per venire a capo del problema dell’evoluzione non si deve cercar di risalire dall’inorganico alle piante, agli animali e fino all’uomo: conviene cercare il punto di partenza a metà, e concepire poi da un lato un’evoluzione ascendente che dal vegetale proceda all’animale e all’uomo, e dall’altro un’evoluzione discendente verso il minerale. Il principio non andrebbe dunque ricercato nell’inorganico, nel minerale, bensì al centro della natura, sì che poi certi esseri si formino per evoluzione ascendente, altri per evoluzione discendente. Procedendo così, si scoprirà che scendendo dalla pianta al minerale (e in particolare al minerale tanto importante che è il metallo), nell’evoluzione discendente possono manifestarsi certe forze che stanno in un rapporto del tutto speciale con l’immagine speculare di quella evoluzione, cioè con l’evoluzione ascendente.

 

In sostanza sorge il problema: quali sono le particolarissime forze presenti nei minerali, che possiamo osservare soltanto studiando le forze formative constatate negli animali inferiori? (cfr. la figura precedente). Nei minerali le vediamo apparire nei processi di cristallizzazione. La cristallizzazione ci mostra decisamente qualcosa che compare nell’evoluzione discendente, qualcosa che deve essere in un certo rapporto con le forze formative che constatiamo nell’evoluzione ascendente, pur non essendo la stessa cosa. Se introduciamo nell’organismo umano le forze presenti nei minerali sorge un nuovo problema. Poco fa abbiamo potuto rispondere a un problema analogo: noi siamo in grado di giovare all’organismo umano, fornendogli dai regni vegetale o animale le forze formative che gli sono state sottratte per essere messe a disposizione dell’attività animico-spirituale. Ma che cosa accadrebbe, se introducessimo nell’organismo umano le forze differenti che si trovano invece nell’evoluzione discendente, cioè nel regno minerale? Questo è il problema che oggi vorrei porre e che dovrà trovare risposta nel corso di queste considerazioni.

 

Con tutto dò non siamo però ancora arrivati al punto di poter rispondere in modo giusto alla domanda posta all’inizio di questa conferenza: se cioè si possa scoprire nella natura stessa un processo terapeutico. Di fronte a un problema del genere è sempre necessario accostarsi alla natura con adeguate conoscenze, e noi abbiamo cercato fin qui di procurarcene, almeno in modo approssimativo: solo così certi processi d si sveleranno poi nella loro essenza. Questo è l’importante.

 

Nell’organismo umano esistono due tipi di processi i quali ci si rivelano in certo senso come contrapposti, se li osserviamo in base alle idee che abbiamo ora acquisite. (Quei due tipi di processi esistono anche nell’animale, ma in questo momento ci interessa meno). Si tratta di processi contrapposti in alto grado quasi polarmente, ma non del tutto: sottolineo questo fatto esplicitamente e prego di tenerne conto, a scanso di malintesi su ciò che sto per dire. I due processi sono quelli della formazione del sangue e della produzione del latte, quali avvengono nell’organismo umano. Già esteriormente la formazione del sangue e la produzione del latte si differenziano in modo essenziale. La formazione del sangue è situata vorrei dire in parti molto nascoste dell’organismo umano. La produzione del latte è invece un processo che tende verso la superficie. La differenza sostanziale fra i due processi è però che nella formazione del sangue si trova in alto grado la capacità di formare a sua volta forze plasmatrici, come risulta dall’osservazione dell’uomo stesso. Al sangue dobbiamo infatti attribuire forze formative nell’intera « economia » dell’organismo umano; esso contiene ancora sotto un certo riguardo le forze formative che abbiamo riscontrato negli organismi inferiori. A tale proposito la scienza moderna potrebbe fondarsi sopra un fatto molto importante, osservando il sangue; però non lo fa ancora in modo ragionevole. Essa potrebbe fondarsi sul fatto che i globuli rossi rappresentano la componente principale del sangue e che i globuli rossi sono essi pure incapaci di riprodursi: hanno la peculiarità di non potersi riprodurre, e l’hanno in comune con le cellule nervose. Constatando questa peculiarità comune, quello che importa è però l’accertare se nei due casi .la ragione di quel comportamento sia la stessa. La ragione non può essere la stessa, perché al sangue la capacità formativa non è stata sottratta nella stessa misura in cui è stata sottratta alla sostanza nervosa. La sostanza nervosa che sta alla base della vita di rappresentazione, è in larga misura priva della capacità formativa interna. Nell’uomo la sostanza nervosa viene configurata in dipendenza delle impressioni esterne, ancora per molto tempo dopo la nascita: in essa la capacità formativa interna cede il passo di fronte alla capacità di adattarsi semplicemente alle impressioni esterne. Nel sangue le cose stanno diversamente, perché il sangue ha conservato in alto grado la capacità formativa interna. Ora è noto dall’esperienza comune che anche nel latte è presente in certo senso una tale capacità formativa; se così non fosse, il latte non sarebbe l’alimento giusto per i neonati, come in effetti è. I lattanti hanno appunto bisogno del latte, nel quale è presente una capacità formativa simile a quella del sangue. Fra il sangue e il latte esiste dunque una certa somiglianza, per quanto riguarda la capacità formativa.

 

C’è però una differenza molto importante. Mentre ha la capacità formativa, il latte non possiede qualcosa d’altro (o lo possiede solo in misura minima): è il ferro, l’unico metallo, in fondo, che nelle sue combinazioni entro l’organismo umano si mostri realmente capace di cristallizzarsi. Anche se il latte contiene altri metalli in piccolissime quantità, esiste tuttavia la differenza per quanti) riguarda il ferro, un metallo caratteristico di cui il sangue ha bisogno per la sua composizione. Il latte invece, che pure possiede anche la capacità formativa, non ha bisogno del ferro. A questo punto nasce il quesito: perché il sangue necessita del ferro?

 

È questo un problema fondamentale per tutta la scienza medica: il sangue ha infatti bisogno dèi ferro. In seguito raccoglierò i dati relativi ai fatti ora menzionati sommariamente; per il momento vorrei enunciare che il sangue è una sostanza dell’organismo umano che per sua natura è malata, e deve venire continuamente guarita dal ferro. Questo non è il caso per il latte; se il latte fosse « malato » allo stesso modo del sangue, non potrebbe essere (come invece è) un mezzo formativo per l’uomo stesso, un mezzo formativo che gli viene fornito dall’esterno.

 

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Nel sangue dobbiamo vedere a pro della costituzione umana, della sua organizzazione, una cosa che nell’uomo è continuamente malata. Il sangue è per così dire malato per effetto della sua propria essenza e deve venir curato di continuo mediante l’aggiunta del ferro.

 

Ciò significa che nel processo che si svolge nel nostro sangue ha luogo un continuo processo di guarigione. Se il medico vuole « superare l’esame della natura », deve anzitutto osservare non un processo naturale già di per sé abnorme, bensì un processo normale. Ora quello del sangue è certo un processo normale, ma al tempo stesso è tale che la natura stessa vi deve di continuo svolgere un’azione risanatrice, servendosi del minerale aggiunto, del ferro. Volendo rappresentare graficamente quel che accade nel sangue, dobbiamo dire: quello che il sangue possiede per propria costituzione senza il ferro, si può esprimere in una curva o in una linea discendente che arriverebbe fino alla completa dissoluzione del sangue (nel disegno, la linea rossa); l’azione continuamente risanatrice del ferro nel sangue si esprime invece in una linea ascendente (nel disegno, la linea gialla).

 

Siamo realmente di fronte a un processo normale, ma al tempo stesso tale da dover venire imitato, se si vuole avere un’idea di che cosa siano i processi di guarigione. Qui possiamo veramente « superare l’esame della natura », assistendo a processi che la natura compie: essa apporta all’organismo umano un elemento extra-umano, cioè il metallo con le sue forze. Al tempo stesso vediamo come il sangue (che vuole assolutamente rimanere nell’organismo) abbia necessità di essere guarito; il latte invece, che tende a uscire dall’organismo, non ha bisogno di essere guarito: esso contiene forze formative ed è in grado di trasmetterle in modo sano a un altro organismo. Ecco dunque delineata una specie di polarità, anche se non completa, fra il sangue e il latte: una polarità che va esaminata attentamente perché offre abbondante materia di studio. Da essa inizierò nella prossima conferenza.

 

Ho dovuto premettere tutte queste nozioni, perché dalle domande propostemi ho visto che esse potranno trovare una risposta più adeguata, una volta esposti i concetti e le basi necessarie.