01 – La direzione spirituale dell’umanità

O.O. 15 – Direzione spirituale dell’uomo e dell’umanità – I°


 

L’uomo che riflette su se stesso riconosce ben presto che, oltre all’io che egli abbraccia coi suoi pensieri, coi suoi sentimenti e con gli impulsi pienamente coscienti della sua volontà, ne porta in sé un altro, più forte del primo. Egli si accorge di sottomettersi a questo secondo sé come ad una potenza superiore. In un primo momento, per altro, l’uomo sentirà questo secondo sé come un’entità inferiore in confronto all’io che egli abbraccia con la sua anima pienamente cosciente e volta al bene e alla verità, e cercherà di vincere quella entità inferiore.

 

Tuttavia, un esame più approfondito di se stesso rivelerà altri aspetti di quel secondo sé. Se nel corso della vita si esamineranno spesso retrospettivamente le proprie esperienze ed azioni, si perverrà a una scoperta singolare: scoperta che si considererà tanto più significativa, quanto più avanti si sarà giunti con gli anni. Se ci si chiede che cosa abbiamo fatto o detto in questo o quel momento della vita passata, si costaterà di aver fatto una quantità di cose che si comprendono solo molto più tardi. Ecco che sette od otto, o magari anche venti anni prima, si sono compiute o dette certe cose delle quali sappiamo con certezza che soltanto ora, dopo molto tempo, il nostro intelletto è in grado di comprenderle. Molta gente non fa di queste scoperte sul proprio conto perché non ne va in cerca. È. però straordinariamente fruttuoso per l’uomo il raccogliersi spesso in questo modo nell’intimo della propria anima. Infatti, dal momento in cui l’uomo si rende conto di avere compiuto nel passato azioni che solo adesso comincia a comprendere e che allora, nel passato, il suo intelletto non era ancora maturo per capire le cose fatte e persino dette da lui stesso, dal momento di una scoperta di questo genere scaturisce un sentimento che si può esprimere in questo modo.

 

Ci si sente come protetti, ad opera di una potenza buona operante nelle profondità dell’anima; si comincia ad acquistare sempre maggior fiducia nel fatto che in realtà non si è soli nel mondo, e che tutto quello che comprendiamo, che coscientemente siamo capaci di compiere, in fondo non è che una piccola parte di ciò che operiamo nel mondo.

Ripetendo spesso questa osservazione, si perviene a realizzare pienamente, come prassi di vita, qualcosa che in teoria e molto facile da capire. È infatti facile da comprendere, in teoria, che non si farebbe molta strada nella vita se ogni nostra azione dovesse venire compiuta in piena consapevolezza intellettuale, sotto lo sguardo vigile di un’intelligenza che abbracci ogni minima circostanza. Per riconoscere teoricamente questo dato di fatto, basta riflettere su quanto segue.

 

Qual è il periodo della vita nel quale l’uomo compie su se stesso le azioni più importanti per l’esistenza? Quando è che egli agisce su se stesso con il massimo di sapienza?

Questo avviene all’incirca fra la nascita e il momento sino al quale giungono i suoi ricordi, quando più tardi egli guarda indietro agli anni passati della propria esistenza terrena. Quando si ripercorre col pensiero ciò che si è fatto tre, quattro, cinque anni prima, e poi sempre più indietro nel tempo, si arriva fino a un certo pulito dell’infanzia, oltre il quale il ricordo non arriva. Del passato più remoto possono raccontare i genitori o altre persone., ma la propria memoria non oltrepassa un determinato punto. Si tratta del punto nel quale l’uomo ha imparato a sentirsi come un io. Per chiunque la cui memoria non superi la normalità deve in ogni caso esistere un punto siffatto.

 

Prima di questo punto l’anima umana ha compiuto le operazioni più altamente sapienti sull’uomo stesso; più tardi, quando avrà sviluppato la propria consapevolezza, l’uomo non potrà mai attuare su se stesso azioni grandiose e possenti quanto quelle compiute dalle profondità incoscienti dell’anima nei primissimi anni dell’infanzia. Sappiamo infatti che, nascendo, l’uomo reca con sé nel mondo fisico i frutti delle vite terrene passate.

Al momento della nascita, per esempio, il cervello fisico è ancora uno strumento molto imperfetto. Spetta ora all’anima dell’uomo elaborare entro quell’organo le strutture più delicate che ne faranno il mediatore di tutte le esperienze di cui l’anima è capace.

 

Di fatto l’anima umana, prima di essere pienamente cosciente, lavora sul cervello in modo da farne lo strumento atto a esplicare tutte le facoltà, le disposizioni, le qualità, ecc. che sono proprie dell’anima quali risultati delle sue precedenti vite terrene. Questo lavoro sul proprio corpo si svolge secondo punti di vista che sono più sapienti di tutto quanto più tardi l’uomo è in grado di operare su di sé, fondandosi sulla propria coscienza. E c’è di più: in quel periodo non solo l’uomo elabora plasticamente il proprio cervello, ma deve apprendere tre delle cose più importanti per la sua esistenza terrena.

Prima di tutto impara ad orientare nello spazio il proprio corpo.

 

L’uomo d’oggi non si rende affatto conto del significato di questa operazione, che coinvolge una delle diversità essenziali fra l’uomo e l’animale. L’animale è determinato in partenza a realizzare in un certo modo la propria posizione di equilibrio nello spazio; una specie animale è predestinata ad arrampicarsi, un’altra a nuotare, e così via. L’animale è di per se stesso organizzato in modo da disporsi nello spazio nel modo adeguato; e questo vale fino ai più alti gradini della scala zoologica, fino ai mammiferi più simili all’uomo. Se gli zoologi riflettessero più a fondo su questo dato di fatto, essi non metterebbero tanto in rilievo, ad esempio, che l’uomo e l’animale posseggono un certo numero di ossa o di muscoli analoghi: ciò è infatti assai meno importante del fatto che l’uomo non è dotato sin dall’inizio della capacità di realizzare il proprio equilibrio. Egli deve prima organizzare questa capacità sulla base delle caratteristiche complessive della propria natura. È significativo che l’uomo debba lavorare su se stesso per trasformarsi da un essere incapace di camminare in uno capace di camminare eretto.

 

È l’uomo stesso a conferirsi la propria posizione verticale, la propria posizione di equilibrio nello spazio: è lui a mettersi in rapporto con la forza di gravità. Non sarà certo difficile, a chi pretenda di considerare questo problema senza approfondirlo, negare quanto è stato ora affermato, con ragioni apparentemente buone. Si potrà sostenere che l’uomo è predisposto al suo incedere eretto in base alla propria organizzazione, come un animale arrampicatore è predisposto dalla propria all’arrampicarsi. Sennonché un’osservazione più attenta può mostrarci che nell’animale è la natura della sua organizzazione a determinarne il rapporto con lo spazio. Nell’uomo invece è l’anima a mettersi in rapporto con lo spazio e a tal fine essa soggioga l’organizzazione.

 

La seconda cosa che l’uomo insegna a se stesso, e precisamente partendo dalla propria entità che procede di incarnazione in incarnazione, è il linguaggio. Per mezzo del linguaggio egli si mette con gli altri uomini in un rapporto che fa di lui il portatore della vita spirituale che compenetra il mondo fisico, prendendo le mosse dall’uomo stesso. È stato ripetuto spesso e con ragione che, se fosse posto in un’isola deserta prima di saper parlare, l’uomo non apprenderebbe il linguaggio.

Le qualità ereditarie, impiantate in noi per gli anni venturi, non dipendono dalla presenza di altri uomini: così ad esempio nel settimo anno si verificherebbe la nuova dentizione, per effetto della disposizione ereditaria, anche se l’uomo si trovasse nell’isola deserta, purché si trovasse nelle condizioni di sopravvivere. Egli invece impara a parlare solo se viene stimolato il suo essere psichico come tale, quell’entità cioè che passa di vita in vita.

 

L’uomo deve formare il germe dello sviluppo della propria laringe

nel periodo della vita durante il quale non possiede ancora la coscienza del suo io.

Perché la laringe possa diventare l’organo del linguaggio,

l’uomo deve porre il germe per la elaborazione di quell’organo

prima del momento fino al quale più tardi giungerà la sua memoria.

 

• Esiste poi una terza cosa, della quale è meno risaputo che l’uomo l’apprende da se stesso,

mediante quell’elemento ch’egli porta nel suo intimo da incarnazione a incarnazione:

si tratta della vita entro il mondo stesso del pensiero.

 

L’elaborazione del cervello viene intrapresa perché il cervello è lo strumento del pensare.

All’inizio della vita questo organo è tuttora plastico,

in quanto è l’uomo stesso a doverlo prima forgiare a strumento del proprio pensare,

conforme alla natura dell’entità che viene portata di vita in vita.

• Lo stato in cui si trova il cervello subito dopo la nascita riflette le forze ereditate dai genitori e dai progenitori.

L’uomo però deve esprimere col proprio pensare ciò ch’egli è come essere individuale,

conformemente alle proprie vite terrene pregresse.

• Perciò egli deve trasformare, elaborandole, le caratteristiche ereditate del proprio cervello,

quando dopo la nascita egli si è reso fisicamente indipendente da genitori e avi.

 

Vediamo dunque che nei primissimi anni della sua vita l’uomo compie attività importanti, lavorando su se stesso secondo i princìpi di un’altissima saggezza.

In realtà, se dipendesse dalla sua intelligenza, egli non sarebbe in grado di compiere ciò che, senza la sua intelligenza, egli deve compiere nel primo periodo della vita.

 

Perché tutto questo si compie, scaturendo dalle profondità incoscienti dell’anima? Perché

nei primi anni di vita l’uomo è congiunto (nella sua anima, in tutto il suo essere)

molto più strettamente con i mondi spirituali delle gerarchie superiori di quanto non lo sarà negli anni successivi.

 

Per il chiaroveggente che, per effetto di un suo sviluppo spirituale, è in grado di osservare con precisione i fatti spirituali reali, si manifesta qualcosa di estremamente importante nel momento in cui l’uomo consegue la coscienza del proprio io, e che segna il punto fino al quale più tardi risalirà la memoria.

 

Durante i primi anni di vita la cosiddetta « aura infantile »

avvolge il bambino come una mirabile potenza umano-sovrumana:

e l’avvolge in modo che quell’aura infantile, che in realtà è la parte superiore dell’uomo,

si estende da ogni lato entro il mondo spirituale;

sennonché, giunto al punto fino al quale l’uomo saprà risalire con i suoi ricordi,

quell’aura tende a ritirarsi nell’interno dell’uomo.

 

E risalendo fino a quel punto l’uomo può sentirsi come un io coerente,

proprio perché ciò che in precedenza era stato in contatto con i mondi superiori, in seguito si è ritratto entro il suo io.

Da quel momento la coscienza si mette ovunque in contatto col mondo esterno.

Ciò non avviene ancora nell’età infantile, quando le cose circondano il bambino come un mondo di sogno.

L’uomo lavora allora su se stesso in base a una saggezza che non è in lui.

 

Si tratta di una saggezza più profonda e più vasta di qualsiasi saggezza cosciente dell’età ulteriore.

Quella saggezza superiore si oscura per l’anima umana che acquista in cambio la consapevolezza.

Dal mondo spirituale quella saggezza opera profondamente entro la corporeità,

di modo che per mezzo suo l’uomo può plasmare dallo spirito il proprio cervello.

 

Non a torto è lecito affermare che anche l’uomo più savio può imparare da un bambino; infatti ciò che opera nel bambino è quella saggezza che più tardi non viene accolta dalla coscienza e mediante la quale l’uomo si trova per così dire in « contatto telefonico » con gli esseri spirituali fra i quali egli dimora fra la morte e una nuova nascita. Di questa sfera qualcosa si trova ancora effuso nell’aura infantile, e in questa situazione l’uomo si trova sottoposto come essere singolo alla guida di tutto il mondo spirituale al quale appartiene.

 

Nel bambino fluiscono ancora le forze spirituali provenienti da quel mondo: cessano di fluirvi nel momento fino al quale potrà giungere la memoria retrospettiva.

Sono queste forze a conferire all’uomo la capacità di conquistarsi un determinato rapporto con la forza di gravità. Sono ancora esse a formare la laringe, a plasmare il cervello in modo da renderlo uno strumento vivente per l’espressione del pensiero, del sentimento e della volontà.

Ora il fatto che nell’infanzia si verifica con massima intensità, cioè che l’uomo opera attingendo a un sé che sta tuttora in rapporto diretto coi mondi superiori, questo fatto persiste entro certi limiti anche nella vita ulteriore, sebbene le condizioni si trasformino nel senso sopra indicato.

 

Quando in un’epoca più avanzata della vita capita di sentire di avere fatto o detto qualcosa molti anni prima,

e di cominciare solo adesso a comprenderlo,

questo vuol dire che allora ci si era lasciati guidare da una saggezza superiore;

e solo dopo anni si è giunti a comprendere le ragioni che determinarono la nostra condotta.

 

Da tutto questo si può imparare a sentire che poco dopo la nascita non ci si era ancora sottratti del tutto

al mondo nel quale si dimora prima di penetrare nella esistenza fisica;

a quel mondo al quale, in realtà, non ci si sottrae mai completamente.

Quel tanto che ognuno possiede di spiritualità superiore penetra nella vita fisica e ci segue.

 

Spesso accade che si senta: ciò che si trova al fondo di noi stessi

non è solamente un sé superiore, che deve svilupparsi a poco a poco,

ma qualcosa che è già presente in noi e fa sì che tanto spesso superiamo noi stessi.

 

Tutto quello che l’uomo è in grado di produrre come ideali, come creazione artistica, ma anche tutte te le forze risanatrici naturali ch’egli sa mettere in azione nel proprio corpo, per compensare di continuo il logorio dovuto alla vita, tutto ciò non deriva dall’intelletto ordinario, bensì dalle forze più profonde che nei primi anni lavorano sul nostro orientamento nello spazio, e contribuiscono alla elaborazione della laringe e del cervello. Infatti queste forze sono ancora presenti più tardi nell’uomo.

 

Quando talora, in caso di malattia, si afferma che le forze esterne non possono recarci aiuto,

ma che deve essere il nostro organismo a far scaturire le forze risanatrici latenti,

si accenna appunto a un’attività piena di saggezza, presente nell’uomo.

• Inoltre scaturiscono dalla medesima sorgente

anche le migliori forze che portano alla conoscenza del mondo spirituale, cioè a una vera chiaroveggenza.

• Si solleva ora di necessità la domanda:

perché quelle forze superiori  agiscono entro l’uomo soltanto nei primi anni dell’infanzia?

Una metà della risposta è facile, ed eccola: se quelle forze superiori continuassero ad agire allo stesso modo,

l’uomo rimarrebbe sempre bambino, non conseguirebbe mai la piena coscienza dell’io.

Ciò che prima operava dall’esterno deve venir trasposto entro lui stesso.

 

Sennonché esiste un’altra ragione più importante e tale da illuminarci ancora di più sui segreti della vita umana, ed è la seguente. La scienza dello spirito ci mostra che il corpo umano, qual è nella nostra epoca evolutiva, è da considerarsi come il risultato di un processo che, da condizioni del tutto diverse, lo ha portato alla sua forma attuale. Al conoscitore della scienza dello spirito è noto che nel corso di questa evoluzione forze differenti operarono sulla natura complessiva dell’uomo: certe forze agirono sul corpo fisico, altre sul corpo eterico, altre ancora sul corpo astrale.

L’entità umana conseguì la sua forma attuale per effetto delle entità che noi chiamiamo luciferiche e arimaniche.

Grazie a queste forze la natura umana è diventata in certo modo peggiore di come sarebbe divenuta se avessero agito su di lei solo le forze che derivano dalle guide spirituali del cosmo, che avrebbero voluto guidare l’uomo in un’evoluzione rettilinea. Anche la causa dei dolori, delle malattie e della morte va ricercata nel fatto che, oltre alle entità che guidano l’uomo in linea diretta, operano anche quelle luciferiche e quelle arimaniche che di continuo intralciano l’evoluzione rettilinea e progressiva.

In ciò che l’uomo reca con sé nascendovi è qualcosa di migliore dell’uso che egli saprà farne più tardi nella vita.

 

Nei primi anni dell’infanzia le forze luciferiche e quelle arimaniche hanno un’influenza scarsa sulla natura umana; esse sono essenzialmente attive solo in ciò che l’uomo fa di se stesso mediante la propria vita cosciente. Se quella parte dell’essere umano che è migliore dell’altra perdurasse in lui in tutta la sua forza, egli non sarebbe in grado di resistere alla sua azione, in quanto le contrastanti forze luciferiche e arimaniche indeboliscono la sua natura complessiva.

 

Nel mondo fisico l’uomo ha un’organizzazione tale da poter sopportare le forze dirette del mondo spirituale,

che operano in lui nei primi anni dell’infanzia,

solamente fintanto ch’egli rimane per così dire infantilmente morbido e plasmabile.

Egli soccomberebbe, se anche nell’età ulteriore continuassero ad agire in modo diretto

le forze che stanno alla base dell’orientamento nello spazio, della formazione della laringe e del cervello.

 

Queste forze sono così potenti che, se operassero anche più tardi,

il nostro organismo dovrebbe deperire per effetto della loro santità.

L’uomo deve rivolgersi a quelle forze

soltanto per quell’attività che lo porta in contatto cosciente col mondo soprasensibile.

 

Da questo ci si schiude però un pensiero pieno di significato, purché compreso correttamente. Nel Nuovo Testamento esso viene espresso con le parole: «,Se non diventerete come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli. »

 

Infatti qual è l’ideale che appare più alto all’uomo,

se ciò che è stato detto più sopra viene riconosciuto come giusto?

Certamente quello di avvicinarsi sempre più a un rapporto cosciente

con le forze che operano incoscientemente sull’uomo nei primi anni dell’infanzia.

 

Va però tenuto presente che l’uomo si spezzerebbe sotto la potenza di quelle forze, se esse potessero agire in modo diretto nella sua vita cosciente. Questa è la ragione per cui il conseguimento delle facoltà che consentono la percezione dei mondi soprasensibili esige un’accurata preparazione. Tale preparazione si propone di rendere l’uomo atto a sopportare ciò che nella vita ordinaria appunto egli non è in grado di sopportare.

 

Il passaggio attraverso le successive incarnazioni ha la sua importanza per l’evoluzione complessiva dell’essere umano. Questo, nel passato, ha attraversato una serie di vite successive, mentre anche la Terra procede nella sua evoluzione parallela. Arriverà una volta il momento in cui la Terra sarà pervenuta alla fine del suo cammino; a quel punto il pianeta terrestre, in quanto entità fisica, dovrà staccarsi dall’insieme delle anime umane, come il corpo umano si stacca con la morte dallo spirito quando l’anima umana, per continuare a vivere, entra nel regno spirituale che le compete fra la morte e una nuova nascita. Tenendo conto di ciò, dovrà apparire come l’ideale più alto che l’uomo, al momento della morte della Terra, abbia saputo conquistare tutti i frutti che possono scaturire dall’esistenza terrestre.

 

Ora le forze che rendono incapace l’uomo di sopportare quelle altre forze,

che operano su di lui durante l’infanzia, provengono dall’organismo della Terra.

• Quando quest’ultimo si sarà distaccato dall’essere umano,

l’uomo, per aver conseguito la propria mèta, dovrà essere divenuto capace

di abbandonarsi realmente con tutto il proprio essere a quelle Forze che attualmente sono attive solo nell’infanzia.

 

Il significato delle successive vite terrene è dunque

di fare gradualmente dell’uomo intiero (e quindi anche della sua parte cosciente)

l’espressione delle forze che nei primi anni della vita operano in lui

provenienti dal mondo spirituale, senza ch’egli ne abbia coscienza.

 

Scaturisce da tali considerazioni un pensiero che afferra l’anima e che deve riempirla di umiltà,

ma anche di un’adeguata coscienza della dignità umana.

 

Il pensiero è questo: l’uomo non è solo;

in lui vive qualcosa che può dimostrargli in ogni momento che egli ha la possibilità di elevarsi al disopra di se stesso,

verso qualcosa che già attualmente lo trascende e che andrà crescendo di vita in vita.

Questo pensiero può assumere una forma sempre più precisa;

ne deriverà un senso straordinario di pace e di elevazione,

mentre l’anima sarà compenetrata nello stesso tempo di umiltà e di modestia.

 

Che cosa è dunque che l’uomo racchiude in sé?

Si tratta realmente di un uomo superiore, di un uomo divino,

dal quale egli può sentirsi vivamente compenetrato;

è come se dicesse a se stesso: Egli è la mia guida e sta dentro di me.

 

Da questi punti di vista nasce facilmente il pensiero che in tutto ciò che possiamo fare

si debba cercare l’accordo con la parte di noi che è più saggia dell’intelligenza cosciente.

• Dal nostro sé normalmente cosciente si schiude lo sguardo verso un sé più ampio,

nei confronti del quale è possibile eliminare e sopprimere ogni falso orgoglio, ogni presunzione umana.

 

E questo sentimento si trasforma poi in un altro,

che schiude una giusta comprensione del modo in cui attualmente l’uomo è imperfetto;

tale sentimento permette di conoscere come egli possa diventare perfetto,

quando la spiritualità più vasta, che in lui opera, potrà trovarsi nello stesso rapporto con la sua coscienza

che, nei primi anni della vita, essa ha con la vita incosciente dell’anima.

 

Se anche talvolta il ricordo retrospettivo non raggiunge il quarto anno dell’infanzia, pure si può affermare che

l’azione della sfera spirituale superiore, nel senso sopra indicato, si estende ai primi tre anni di vita.

Alla fine di questo periodo

l’uomo acquista la capacità di congiungere le impressioni del mondo esterno con la rappresentazione del proprio io.

 

È bensì esatto che questa coerente rappresentazione dell’io può essere fatta risalire soltanto fino al punto al quale giunge la memoria retrospettiva. Tuttavia si dovrà dire che in sostanza questa memoria giunge fino all’inizio del quarto anno; solo che per l’inizio di una chiara coscienza dell’io essa è così debole da passare inosservata. E quindi valida l’affermazione che le forze superiori che determinano l’uomo durante l’infanzia possono agire durante tre anni.

Nell’attuale organizzazione terrestre media

l’uomo è dunque organizzato in modo da poter accogliere quelle forze solo per tre anni.

 

Se ora esistesse un uomo il cui io ordinario venisse allontanato ad opera di una qualsiasi potenza dell’universo (dobbiamo cioè ammettere che sia possibile di eliminare dal corpo fisico, dal corpo eterico e dal corpo astrale l’io ordinario che era passato attraverso le incarnazioni passate), mentre verrebbe inserito nei tre corpi un io capace di operare in armonia con i mondi spirituali, che cosa dovrebbe accadere a un uomo siffatto? Dopo tre anni il suo corpo dovrebbe soccombere! Dovrebbe accadere qualcosa, per effetto del karma universale, per cui l’entità spirituale connessa con i mondi superiori non potrebbe vivere in quel corpo per più di tre anni.

 

Soltanto alla fine di tutte le vite terrene l’uomo potrà avere in sé ciò che gli consentirà di vivere per più di tre anni con quella entità spirituale. Ma allora l’uomo sarà anche in grado di dire: non io, bensì questo elemento superiore in me, che è sempre stato presente, opera adesso in me! Fino a quel momento egli non può ancora affermare questo, ma tutt’al più potrà sentire quell’elemento superiore, senza però essere capace di farlo realmente vivere in sé con il suo vero io umano.

 

Se verso la metà dell’evoluzione della Terra fosse esistito un organismo umano che in età adulta fosse stato liberato dal suo io ad opera di certe forze cosmiche, e avesse invece accolto l’io che di solito agisce solo nei tre primi anni dell’infanzia, e che fosse in rapporto con i mondi spirituali in cui si trova l’uomo fra la morte e una nuova nascita, quanto tempo un uomo siffatto potrebbe vivere nel corpo terrestre? Circa tre anni: poiché allora per effetto del karma universale dovrebbe accadere qualcosa che distruggerebbe quell’organismo umano.

 

Ma ciò che qui è stato ipotizzato si è realmente avverato nella storia.

L’organismo umano che si trovava in riva al Giordano quando l’io di Gesù di Nazaret si allontanò dai tre corpi,

dopo il battesimo aveva accolto in sé, in piena e libera attuazione,

quel superiore sé dell’umanità che di solito opera nel bambino con cosmica saggezza,

senza che l’uomo ne abbia coscienza.

 

Ma da ciò derivava la necessità che quel sé connesso col mondo spirituale superiore

potesse vivere solo tre anni entro quell’organismo umano.

I fatti dovettero svolgersi in modo che dopo tre anni la vita terrena di quell’essere avesse termine.

Gli eventi esteriori della vita del Cristo Gesù sono assolutamente da interpretarsi

come determinati dalle cause interne di cui abbiamo parlato.

Essi si presentano come l’espressione esteriore di queste cause.

 

Ne risulta il rapporto profondo

• tra l’elemento che è la guida nell’uomo, che risplende nella nostra infanzia come in una luce velata,

e che opera in noi di continuo sotto la soglia della coscienza, come la parte migliore di noi,

• e quello che penetrò una volta nell’evoluzione intiera dell’umanità, vivendo per tre anni in una corporeità umana.

 

Che cosa si palesa in questo io superiore, connesso con le gerarchie spirituali e che allora penetrò nel corpo umano di Gesù di Nazaret, in modo che il suo ingresso viene rappresentato simbolicamente sotto la figura dello Spirito Santo che discende in forma di colomba, accompagnato dalle parole: « Questo è il mio Figlio diletto, oggi l’ho generato »

(poiché così suonavano originariamente quelle parole)?

Se si prende in considerazione questa immagine, si ha dinanzi agli occhi il sommo ideale umano.

Essa infatti non significa altro che questo:

nella storia di Gesù di Nazaret viene riferito che in ogni uomo si può riconoscere il Cristo.

 

E se anche non esistessero né i vangeli, né la tradizione, che affermano che un tempo visse un Cristo,

la conoscenza della natura umana permetterebbe di apprendere che il Cristo vive nell’uomo.

Conoscere le forze operanti sull’uomo nell’infanzia significa riconoscere il Cristo nell’uomo.

 

Sorge ora il problema: questa conoscenza conduce anche al riconoscimento del fatto

che il Cristo è vissuto davvero una volta sulla Terra in un corpo umano?

A questa domanda si può rispondere affermativamente, senza ricorrere ad alcun documento.

Infatti una reale autoconoscenza veggente conduce l’uomo d’oggi a riconoscere

che entro l’anima umana si possono trovare delle forze che emanano dal Cristo.

 

Nei primi tre anni dell’infanzia tali forze agiscono senza alcun intervento da parte dell’uomo.

Più tardi, esse possono agire se l’uomo cerca in sé il Cristo mediante una concentrazione nel proprio intimo.

Ma non in ogni tempo l’uomo era in grado di trovare in sé il Cristo, come lo può trovare oggi:

vi furono dei tempi nei quali nessuna concentrazione nel proprio intimo poteva condurre l’uomo al Cristo.

 

Anche questo viene insegnato dalla conoscenza veggente.

La vita terrena del Cristo sta in mezzo,

• tra il passato in cui l’uomo non poteva trovare il Cristo in sé,  • e il presente in cui è invece possibile trovarlo.

Ed è proprio quella vita terrena stessa

la cagione per la quale l’uomo è ora in grado di trovare il Cristo, nel modo sopra indicato.

In tal modo per la conoscenza veggente viene dimostrata l’esistenza terrena del Cristo,

prescindendo da qualsiasi documento storico.

 

Si potrebbe credere che il Cristo abbia detto: Per voi uomini io voglio essere un ideale

che vi presenti, sollevato nello spirito, ciò che di solito si compie nella corporeità.

 

Nei primi anni della vita l’uomo impara a camminare fisicamente, partendo da forze spirituali: vale a dire

che dallo spirito l’uomo si traccia la sua via per la vita terrestre.

E impara a parlare, cioè a formulare la verità, partendo da forze spirituali;

in altri termini, nei primi tre anni di vita l’uomo sviluppa dal suono l’essenza della verità.

 

Ed anche la vita che l’uomo, in quanto essere dotato di io, vive sulla Terra,

riceve il proprio organo vitale mediante ciò che si va formando nei primi tre anni dell’infanzia.

• Così dunque l’uomo apprende a camminare nel corpo, cioè a trovare « la via »,

apprende a presentare col suo organismo « la verità »

e impara ad esprimere nel corpo, partendo dallo spirito, « la vita ».

 

Non sembra possibile concepire una più significativa trasformazione delle parole:

« Se non diventerete come fanciulli, non potrete entrare nel Regno dei cieli. »

E molto significativo dobbiamo considerare il fatto

che l’io del Cristo si esprime in questo modo: « Io sono la via, la verità e la vita. »

 

Come le forze spirituali superiori improntano l’organismo infantile (che non ne è cosciente)

in modo da farne un’espressione corporea della via, della verità e della vita,

così lo spirito umano, compenetrandosi del Cristo,

diventa a poco a poco, coscientemente, il portatore della via, della verità e della vita.

• In tal modo egli si trasforma nel corso del divenire terrestre

nella forza che opera in lui durante l’infanzia senza che egli ne sia il soggetto cosciente.

 

Parole come quelle della via, della verità e della vita sono atte a schiudere le porte dell’eternità.

Esse risuonano nelle profondità dell’anima umana, se l’autoconoscenza diventa reale e sostanziale.

Considerazioni di questo genere schiudono in due modi la vista sulla direzione spirituale dell’uomo e dell’umanità.

Per mezzo dell’autoconoscenza l’uomo trova il Cristo in sé, come guida

alla quale, dal tempo in cui il Cristo visse sulla Terra, si può sempre arrivare, perché è sempre presente nell’uomo.

 

E inoltre, se si applica ai documenti storici la conoscenza che si è acquistata senza di quelli, si scopre la vera natura di quei documenti. Essi esprimono storicamente qualcosa che si manifesta da se stesso nell’intimo dell’anima. Perciò dobbiamo ascriverli a quella direzione dell’umanità che deve condurre l’anima a riflettere su se stessa.

 

Se in questo modo si comprende il senso eterno delle parole « Io sono la via, la verità e la vita », si sente quanto sia ingiustificato il chiedere perché l’uomo debba ricominciare sempre la vita da bambino, anche dopo avere attraversato molte incarnazioni. Infatti ci risulta adesso che questa apparente imperfezione rappresenta un continuo ricordo di quanto di più elevato vive nell’uomo. E non si può mai ricordare abbastanza spesso, e per lo meno all’inizio di ogni nuova vita, il fatto fondamentale del valore della natura dell’uomo, riferito all’Entità che sta alla base di tutta l’esistenza terrestre, senza peraltro essere menomata dalle imperfezioni di questa esistenza.

 

Nella scienza dello spirito, o nella teosofia o nell’occultismo in genere, non è bene esprimersi con molte definizioni o con concetti. È meglio cercare di caratterizzare, per risvegliare il sentimento di ciò che realmente è. Perciò anche qui si vorrebbe cercare di destare un sentimento di ciò che contraddistingue i tre primi anni della vita umana e del rapporto esistente fra quello e la luce che irradia dalla croce sul Golgota. Questo sentimento ci dice che l’evoluzione umana è percorsa da un impulso del quale a ragione si può affermare che è suo compito di avverare il detto di Paolo: « Non io, ma il Cristo in me ».

Basta sapere ciò che l’uomo è in verità, per poter arrivare da tale conoscenza al riconoscimento dell’entità del Cristo.

 

Se una vera conoscenza dell’umanità ci avrà condotti a questa idea del Cristo, e avremo riconosciuto che il modo migliore per scoprire il Cristo è di cercarlo prima di tutto in noi stessi, volgendoci poi di nuovo ai testi evangelici ne scopriremo solo allora il grande valore.

 

Nessuno apprezza la Sacra Scrittura maggiormente, ma anche più coscientemente, di chi avrà scoperto il Cristo nel senso suddetto. Si potrebbe fare l’ipotesi che qualcuno, diciamo un abitante di Marte, discendesse sulla Terra senza aver mai udito menzionare il Cristo e la sua opera. Un tale abitante di Marte non sarebbe in grado di comprendere molto di quanto è avvenuto sulla Terra, né lo interesserebbero molte delle cose che interessano uomini di oggi. Ma lo interesserebbe il punto centrale dell’evoluzione terrestre: l’idea del Cristo, quale si esprime nell’essere stesso dell’uomo. Chi lo ha capito apprezzerà ora più che mai i testi evangelici, poiché vi troverà mirabilmente espresso ciò che prima avrà scoperto in se stesso. E potrà dirsi: non occorre neppure che io sia stato educato ad apprezzare in modo speciale i vangeli: mi avvicino ad essi in piena coscienza e, grazie a quello che ho imparato dalla scienza dello spirito, essi mi appaiono in tutta la loro grandezza.

 

Non si afferma troppo dicendo che verrà un tempo in cui si riconoscerà che chi ha appreso dalla scienza dello spirito ad apprezzare giustamente il contenuto dei vangeli riconoscerà in essi degli scritti fondamentali per l’umanità, in un senso che renderà loro giustizia più di quanto sia avvenuto sinora. L’umanità dovrà ancora imparare a capire, mediante la conoscenza dell’essenza dell’uomo stesso, tutto ciò che si trova in quei profondi documenti. Ci si dirà allora: se nei vangeli troviamo quello che è talmente connesso con l’essenza dell’uomo, vi deve essere stato immesso da coloro che li scrissero, e quindi per gli autori di quegli scritti deve valere più che mai ciò che dobbiamo affermare della nostra vita (e tanto più, quanto più vecchi diventiamo). Vale a dire: abbiamo fatto molte cose che comprendiamo solo molti anni più tardi.

 

Negli autori dei vangeli possiamo riconoscere degli uomini che scrissero ispirati dal loro sé superiore, da quel sé che opera nell’uomo durante gli anni dell’infanzia. I vangeli sono quindi degli scritti che provengono dalla saggezza che forma l’uomo.

 

L’uomo è manifestazione dello spirito per mezzo del suo corpo;

i vangeli ne sono una manifestazione per mezzo della scrittura.

Con queste premesse il concetto di ispirazione riacquista il suo giusto significato.

 

Come certe forze superiori agiscono nel cervello nei primi tre anni, così nelle anime degli autori dei vangeli furono impresse dai mondi spirituali certe forze dalle quali scaturì la composizione dei vangeli. In un fatto come questo si esprime la direzione spirituale dell’umanità.

 

Deve essere veramente guidata un’umanità, se in seno ad essa operano persone capaci di scrivere opere fondate sulle medesime forze che plasmano sapientemente l’uomo stesso. E come il singolo uomo agisce o parla in un modo che solo molto più tardi egli potrà comprendere, così l’umanità nel suo complesso si è procurata, con gli autori dei vangeli, dei mediatori che nei loro scritti fornirono delle rivelazioni che solo gradualmente potranno venir comprese. La comprensione di quei documenti aumenterà sempre più, col progredire dell’umanità. L’uomo può sentire in sé la guida spirituale, l’umanità nel suo complesso può sentirla in persone che operano come gli autori dei vangeli.

 

Il concetto di una direzione dell’umanità, che abbiamo così acquistato, può essere ampliato sotto vari riguardi. Supponiamo che qualcuno abbia trovato dei discepoli, alcune persone che lo seguono. Fondandosi sopra una vera autoconoscenza, costui si accorgerà facilmente che quanto egli ha da dire non proviene da lui stesso; che si tratta invece di forze spirituali di mondi superiori che vogliono comunicarsi ai suoi seguaci, trovando nel maestro lo strumento adatto per manifestarsi.

 

Egli sarà indotto a pensare così: quand’ero bambino, lavoravo su me stesso grazie a forze che agivano dal mondo spirituale; ciò che adesso io posso offrire come il meglio di me stesso deve provenire esso pure da mondi superiori: io non ho il diritto di considerarlo come appartenente alla mia coscienza ordinaria. Anzi, un uomo siffatto può affermare che attraverso di lui agisca dal mondo spirituale qualcosa di demoniaco, una specie di demone, intendendo questa parola nel senso di una potenza spirituale buona. Questo sentiva anche Socrate, del quale Platone ci narra che si considerava guidato e diretto dal proprio «demone ». È stato tentato in molti modi di interpretare il « demone » di Socrate. Ma si può comprenderlo soltanto accettando l’idea che Socrate avesse i sentimenti ora esposti. In tal caso si riesce pure a comprendere che nei tre o quattro secoli, durante i quali la Grecia rimase sotto l’influenza del principio socratico, vi si diffuse uno stato d’animo che potè contribuire alla preparazione di un altro grande evento: il sentimento, cioè, che l’uomo come si presenta non è interamente ciò che dai mondi superiori discende in lui: tale stato d’animo continuò ad esercitare la sua influenza.

 

I migliori fra quanti ne furono partecipi sono quelli che più tardi compresero meglio degli altri le parole: « Non io, ma il Cristo in me. » Infatti essi furono in grado di riconoscere che se Socrate aveva parlato di un elemento quasi demoniaco, operante dai mondi superiori, con il rivelarsi dell’ideale del Cristo diveniva chiaro di che cosa Socrate parlasse.

Soltanto che Socrate non poteva ancora parlare del Cristo, perché ai suoi tempi nessuno poteva ancora trovare in sé l’entità-Cristo.

Qui troviamo di nuovo qualcosa che ci fa sentire la guida spirituale dell’umanità: nulla può fare il suo ingresso nel mondo senza preparazione.

 

Perché Paolo trovò proprio i suoi migliori seguaci nella Grecia? Perché ivi il terreno di quel particolare atteggiamento dell’anima era stato preparato dal pensiero di Socrate.

Vale a dire: ciò che nell’evoluzione dell’umanità avviene più tardi si richiama ad eventi precedenti che avevano contribuito a rendere maturi gli uomini per quello che doveva seguire più tardi. Qui possiamo sentire quanto arrivi lontano la forza che guida l’umanità e come essa faccia trovare gli uomini adatti al momento giusto, là dove essi risultano necessari per l’evoluzione. In fatti come questi si esprime nelle sue linee generali la direzione dell’umanità.