L’azione delle impressioni sensoriali e degli organi interni sul sangue

O.O. 128 – Una fisiologia occulta – 22.03.1911


 

Sommario: Effetti degli esercizi di concentrazione interiore. L’azione delle impressioni sensoriali e degli organi interni sul sangue. Il sistema nervoso simpatico come mediatore delle azioni del mondo interiore; il sistema cerebro-spinale mediatore di quelle del mondo esteriore. L’immersione mistica nella propria interiorità intensifica il collegamento tra sangue e sistema nervoso simpatico. Natura dell’immersione mistica. La milza ha la funzione di produrre ritmo interno. L’azione di Saturno nel cosmo. Necessità di ritrovare un’armonizzazione tra i ritmi organici e quelli cosmici. Significato fisiologico delle immagini del mito.

 

Queste tre prime conferenze, compresa l’odierna, si propongono di orientarci sulle linee generali della vita e dell’entità umane. Perciò in queste tre prime conferenze presento alcuni dei concetti più importanti, senza però approfondirli; lo faremo nelle considerazioni che seguiranno, anche se per ora sembrano un po’ campati in aria. Ritengo però preferibile tracciare prima uno sguardo d’insieme sul modo di osservare l’uomo dal punto di vista occulto; in questa esposizione, che in un primo tempo si potrà accogliere come un’ipotesi, cercherò di inserire le argomentazioni che conducono più in profondità.

 

Alla fine della conferenza precedente ho già cercato di mostrare come si possa, mediante una forte concentrazione di pensieri e di sentimenti, provocare in sé una condizione di vita differente da quella abituale. Quest’ultima si ha perché durante la desta vita diurna sussiste in noi una normale connessione fra nervi (sistema nervoso) e sangue. Si potrebbe esprimerlo schematicamente così: ciò che avviene per mezzo dei nervi si imprime, si iscrive sulla lavagna del sangue. Con certi esercizi interiori si può conferire al sistema nervoso una tensione tale, per cui esso non estenda la propria attività fino al sangue, sì che questa sia per così dire respinta ai nervi stessi. Poiché però il sangue è lo strumento del nostro io, chi sia riuscito per così dire a liberare il proprio sistema nervoso dal sangue, mediante la forte concentrazione di sentimenti e pensieri, viene a sentirsi come estraniato dalla propria entità abituale, si sente come fuori di sé, contrapposto ad essa; non può più dirsi: “questo sono io”, ma “questo sei tu”. Di fronte a se stesso egli è come una personalità estranea che vive nel mondo fisico esterno. Entrando un po’ più a fondo nella condizione di vita di chi sia in tal modo divenuto in certa misura chiaroveggente, si potrebbe dire che egli si sente come se un’entità superiore penetrasse nella sua vita animica. Si tratta di un sentimento completamente diverso da quello che si prova nella vita normale, trovandosi di fronte al mondo esterno. Nella vita normale ci si sente come un essere fuori e a lato delle cose e degli esseri presenti nel mondo esterno: animali, piante, e così via. Di fronte a un fiore, si sa perfettamente che il fiore è lì e io sono qui. La cosa cambia del tutto quando si ascende al mondo spirituale nel modo descritto, previo il distacco del proprio sistema nervoso dal suo rapporto col sangue, cioè quando ci si solleva dal proprio io soggettivo. In questa condizione non ci si sente più come separati e contrapposti ai vari esseri, ma è come se l’essere estraneo penetrasse in noi, e noi ci sentissimo uno con lui. Con un’osservazione progredita, chi cerca la chiaroveggenza impara dunque a conoscere il mondo spirituale col quale si è sempre congiunti e che di continuo viene a noi grazie al nostro sistema nervoso e, nella vita normale, per la via indiretta delle impressioni sensoriali.

 

Del mondo spirituale l’uomo non sa nulla nella coscienza normale; però esso si inscrive sulla lavagna del sangue, cioè nel nostro io individuale. Possiamo infatti affermare che alla base di tutto quanto ci circonda nel mondo sensibile si trova un mondo spirituale che noi percepiamo come attraverso un velo, intessuto appunto dalle impressioni dei sensi. Nella coscienza ordinaria, non vediamo il mondo spirituale sul quale l’orizzonte dell’io individuale stende un velo. Nel momento in cui ci liberiamo dell’io, si estinguono però anche le comuni impressioni sensoriali; esse cessano e noi ci troviamo a vivere nel mondo spirituale. È lo stesso mondo spirituale che in fondo è situato dietro le impressioni sensoriali e a cui ci uniamo quando solleviamo il nostro sistema nervoso dalla sua abituale connessione con l’organismo del sangue.

 

Nelle considerazioni sin qui fatte abbiamo seguito certi aspetti della vita umana, in quanto viene stimolata dall’esterno e poi agisce tramite i nervi e sul sangue. Già ieri però avevamo sottolineato che nella vita puramente organica e fìsica umana, si può scorgere, quasi come concentrato, condensato il mondo esterno; questo vale in modo particolare per il fegato, il sistema biliare, la milza, nei quali è presente per così dire un mondo esterno, condensato in quegli organi. Possiamo quindi affermare che, come il sangue scorre attraverso il cervello nella parte alta del nostro organismo, e qui viene in contatto col mondo esterno (in quanto le impressioni esterne agiscono sul cervello), analogamente il sangue che circola nel corpo entra in rapporto con gli organi interni, fra i quali per ora menzioniamo appunto il fegato, il sistema biliare e la milza. Che in questi organi il sangue non venga in rapporto con il mondo esterno è assicurato dal fatto che essi non si aprono verso l’esterno, come gli organi di senso, ma sono racchiusi nell’organismo, ricoperti da ogni lato, e quindi svolgono solo una vita interna. Anche sul sangue quegli organi possono agire solo come sono essi stessi nelle loro caratteristiche, in quanto fegato, cisti biliare e milza, non ricevendo impressioni da fuori, come l’occhio o l’orecchio, non sono neppure in grado di trasmettere al sangue effetti in qualche modo provocati da fuori: nell’azione che hanno sul sangue possono esprimere soltanto la loro propria natura. A proposito del mondo interno in cui è per così dire rappreso quello esterno, possiamo dire: qui agisce sul sangue umano un mondo esterno interiorizzato. Possiamo ancora una volta raffigurare schematicamente la situazione.

 

Il tratto A-B sta per la lavagna del sangue. Le frecce superiori indicano tutto quanto proviene da fuori come su una delle facce della lavagna del sangue, mentre le frecce che vengono da sotto indicano tutto ciò che si iscrive sull’altra faccia della lavagna. Volendo disegnare questi rapporti in modo meno schematico (vedi disegno seguente), si potrebbe dire: nella testa umana osserviamo il sangue che vi scorre, attraversandola tutta, impressionato da fuori dagli organi di senso; per effetto dell’attività del cervello il sangue subisce modificazioni analoghe a quelle che subisce per effetto degli organi interni.

 

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Infatti i tre organi interni, il fegato, la cisti biliare e la milza, agiscono sul sangue dalla parte opposta (cioè da dentro). Nella figura ho disegnato il sangue come se il suo flusso scorresse intorno agli organi in questione. Riceverebbe dunque effetti, irradiazioni dagli organi interni, e in quanto strumento dell’io il sangue porterebbe ad espressione nell’io la vita degli organi interni, come nella vita del cervello si esprime quel che ci circonda nel mondo esterno.

 

Occorre però tener presente che per rendere possibili quegli effetti degli organi sul sangue deve avvenire qualcosa di ben determinato. Abbiamo detto che solo grazie all’interazione fra nervi e sangue diventa possibile che qualcosa si iscriva nel sangue, che su di esso possa venire esercitato un effetto. Se quindi devono esercitarsi effetti sul sangue da parte degli organi interni, se qualcosa deve iscriversi nel sangue, se per così dire il sistema cosmico interno dell’uomo deve agire sul sangue, fra quegli organi e il sangue dovrà trovarsi inserito qualcosa di simile a un sistema nervoso. Il mondo interno deve prima poter agire su un sistema nervoso, per poi poter trasferire sul sangue i propri effetti.

 

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Da un semplice confronto fra la parte inferiore dell’uomo e quella superiore vediamo la necessità che fra i nostri organi interni (come loro rappresentanti il fegato, il sistema biliare e la milza) e la circolazione sanguigna debba trovarsi inserito qualcosa di simile a un sistema nervoso. L’osservazione comune ci mostra che in tutti quegli organi è presente il cosiddetto sistema nervoso simpatico, che si estende a tutte le cavità interne dell’organismo. Esso si trova nei riguardi del mondo organico interno e del circolo sanguigno in un rapporto simile a quello in cui si trova l’altro sistema nervoso, quello cerebro-spinale, inserito fra il mondo esterno e la vita umana, in particolare il circolo sanguigno. Il sistema nervoso simpatico si snoda prima di tutto lungo la colonna vertebrale, e da lì si allarga, si diparte verso ogni distretto dell’organismo; in certi punti forma una specie di reticoli, o plessi, in particolare nella cavità addominale, dove si trova il cosiddetto plesso solare.* Del sistema nervoso simpatico dobbiamo dire che esso differisce sotto certi aspetti dal sistema nervoso cerebro-spinale. Anche se non porta a una dimostrazione, è tuttavia interessante chiederci: come potrebbe essere strutturato il sistema simpatico, in confronto all’altro sistema nervoso, perché si realizzino le condizioni che abbiamo esposte ipoteticamente?

 

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Possiamo vedere che, come il sistema nervoso centrale si deve aprire allo spazio circostante, così il sistema nervoso simpatico deve rivolgersi a quella specie di mondo concentrato nell’organizzazione interna. Per corrispondere alle nostre premesse, il rapporto fra il sistema nervoso cerebro-spinale e quello simpatico dovrebbe potersi esprimere nel rapporto fra i diversi raggi della figura precedente; e precisamente il rapporto fra i raggi segnati con (a) che si dipartono dal centro verso la circonferenza, e i raggi indicati con (b) che dalla circonferenza si rivolgono all’esterno. Dovrebbe cioè esistere in certo modo un contrasto fra il sistema nervoso simpatico e il sistema nervoso cerebro-spinale. Tale contrasto esiste in realtà. Per noi ha senz’altro una grande importanza il poter stabilire che se le nostre premesse sono giuste, l’esperienza e l’osservazione esteriore debbono confermarle; nel nostro caso constatiamo che l’osservazione esteriore in effetti conferma le nostre premesse. Mentre nel sistema nervoso simpatico si formano infatti essenzialmente nodi, o gangli nervosi, assai sviluppati, da cui si irradiano filamenti relativamente sottili e di minore importanza in confronto ai gangli, nel sistema nervoso cerebro-spinale si ha invece l’opposto: essenziali sono i filamenti conduttori, o congiungimenti, mentre i gangli hanno un’importanza secondaria. L’osservazione diretta conferma dunque quel che avevamo supposto. Se il compito fondamentale del sistema nervoso simpatico deve essere quello di cui abbiamo parlato, allora la vita interna dell’organismo (che si esprime nella nutrizione e nella produzione di calore) dovrebbe come riversarsi nel sistema nervoso simpatico, e quest’ultimo dovrebbe a sua volta riportarla sulla lavagna del sangue, in modo analogo a come le impressioni esterne si trasmettono al sangue mediante il sistema nervoso cerebro-spinale. Così nell’io individuale, per mezzo del sangue che è lo strumento dell’io, e per la via del sistema nervoso simpatico, riceviamo le impressioni della nostra corporeità interna. Poiché essa, come ogni cosa fisica, è edificata dallo spirito, il mondo spirituale che si è come racchiuso, rappreso nei diversi organi interni umani, emerge nel nostro io [di veglia] per la via del sistema nervoso simpatico.

 

Appare dunque anche qui, anzi in modo più preciso, la dualità della natura umana dalla quale siamo partiti nelle nostre considerazioni. Scorgiamo il mondo attivo fuori di noi, e anche in noi: in entrambi i casi, ad esplicare gli effetti esercitati dal mondo serve lo strumento dell’uno o dell’altro sistema nervoso. Vediamo come fra il mondo esterno e quello interno si trovi inserito il nostro sistema sanguigno, sul quale si può scrivere come sulle due facce di una lavagna: da fuori o da dentro.

 

Abbiamo detto ieri, e ripetuto oggi per maggiore chiarezza, che l’uomo è in grado di liberare per così dire i suoi nervi, in quanto sono rivolti al mondo dei sensi, dall’azione che il mondo esterno esercita sul sangue. Ci si può domandare se qualcosa di simile sia possibile anche nella direzione opposta. In realtà vedremo più avanti che sono possibili anche certi esercizi dell’anima che rendono possibile nell’altra direzione il medesimo effetto di cui abbiamo parlato. Qui esiste però una differenza. Mediante la concentrazione del pensiero, del sentimento, mediante certi esercizi occulti possiamo separare i nostri nervi cerebrali o spinali dal sangue; con quelle concentrazioni rivolte verso il nostro mondo interno, verso la vita organica interna (e si tratta delle concentrazioni che possiamo riassumere nel nome di “vita mistica”) penetriamo tanto a fondo in noi stessi che dobbiamo di necessità coinvolgere l’io e il suo strumento, il sangue. Sappiamo che la concentrazione mistica (e vi ritorneremo in modo più preciso) porta per così dire a un’immersione nella propria essenza divina, nella propria spiritualità, in quanto questa vive nell’uomo: non consiste dunque in un sollevarsi dall’io. E al contrario una più profonda immersione nell’io, un’accentuazione, un rafforzamento del senso dell’io.

 

Prescindendo da quel che possono dire i mistici odierni, ci potremo persuadere di quel che ho detto ora prestando un po’ di attenzione ai mistici più antichi. Essi si sforzavano (ed era indifferente che si trovassero su un terreno più o meno religioso) soprattutto di astrarsi da tutto quello che può offrire il mondo esterno, al fine di liberarsi da ogni impressione esterna e di immergersi completamente in se stessi. Questo interiorizzarsi, questo immergersi nel proprio io, ha il significato di concentrare tutta la forza, ogni energia dell’io nel proprio organismo. Ciò agisce trasmettendosi all’intera organizzazione umana. L’immersione nell’interiorità, quella che possiamo chiamare “la via mistica” propriamente detta, in contrapposizione all’altra via che abbiamo descritto, ha per caratteristica che il sangue, strumento dell’io, non viene separato dai nervi, ma al contrario viene spinto a un più stretto contatto, e precisamente col sistema nervoso simpatico. Mentre dunque nel processo descritto ieri allentiamo la connessione fra nervi e sangue, mediante l’immersione mistica propriamente detta si fa più stretta la connessione fra sangue e sistema nervoso simpatico. La controparte fisiologica di questo tipo di esperienza mistica è una più stretta connessione fra il sangue e il sistema nervoso simpatico, mentre nell’altro modo di avvicinarsi al mondo spirituale il sangue viene allontanato dal sistema nervoso. Nella immersione mistica si ha dunque una specie di impressione del sangue nel sistema nervoso simpatico.

 

Supponiamo ora di poter per un momento prescindere dal fatto che, quando l’uomo si sprofonda nella sua interiorità, non si stacca dal proprio io, ma anzi questo penetra ancora più addentro, portandosi dietro le qualità deteriori dell’uomo. Quando ci si immerge nel proprio io non si comprende a tutta prima che si imprimono nell’interiorità anche tutte le proprie qualità deteriori, in altre parole che viene impresso nel sistema nervoso simpatico tutto ciò che di passionale vive nel sangue. Supponiamo dunque di poter prescindere da tutto questo; ammettiamo che, prima di giungere a quella immersione in se stesso, il mistico si sia preoccupato di eliminare sempre più le proprie qualità deteriori. Ammettiamo che sentimenti altruistici abbiano sostituito le qualità egoistiche, e che egli si sia preparato a quella esperienza destando in sé la virtù della comprensione per tutti gli esseri, paralizzando così le tendenze fortemente egoistiche. Se dunque avviene che qualcuno si sia sufficientemente preparato ad immergersi a fondo nella propria interiorità, e in tal modo porti l’io (tramite lo strumento del sangue) entro il mondo [organico] interno, allora il sistema nervoso interno, cioè il simpatico, che nella coscienza ordinaria noi ignoriamo naturalmente del tutto, penetra nella coscienza dell’io. Si comincia allora a sapere che si ha in sé qualcosa capace di trasmetterci impressioni del proprio mondo interno, analogamente a quanto fa il sistema nervoso cerebro-spinale che trasmette [le impressioni] del mondo esterno. Si avverte l’esistenza del proprio sistema nervoso simpatico, e come per mezzo del sistema nervoso cerebro-spinale si è in grado di conoscere il mondo esterno, così ora si incontra l’esperienza del mondo interno. Come non percepiamo il nervo ottico, ma solo le cose di cui il nervo ci trasmette la visione, cioè il mondo esterno che penetra nella nostra coscienza, così nella contemplazione mistica non sono i nervi interni a emergere nella coscienza, ma ci si accorge solo di possedere in loro uno strumento atto a rendere percepibile il mondo interno. Avviene cioè qualcosa di ben diverso: alla facoltà umana di coscienza divenuta chiaroveggente, si presenta il mondo interno. Come la vista degli occhi ci schiude il mondo esterno, senza che si abbia coscienza dei propri nervi, così pure non si acquista coscienza del proprio sistema nervoso simpatico, bensì del mondo interno che ci si presenta. Questo mondo interno di cui si diventa in tal modo coscienti non è però altro che la nostra natura di uomini fisici.

 

Forse non è tanto ovvio, ma mi vien fatto di dire che un pensatore incline al materialismo potrebbe provare un certo orrore al pensiero di poter vedere dall’interno il proprio organismo. Potrebbe forse dirsi: bella roba vedrò là dentro, diventando chiaroveggente mediante il mio sistema simpatico! Vedere il mio fegato, la mia bile, la mia milza: bella roba davvero! Può darsi che non sia tanto ovvio, però potrebbe venir fatto di pensare così. Le cose non sono però così. Con un’obiezione come quella non si tiene conto che gli oggetti che nella vita ordinaria si chiamano fegato, bile o milza vengono guardati da fuori, come ogni altro oggetto esterno. In anatomia e nella comune fisiologia, sezionando un cadavere, fegato, bile e milza vengono visti con i sensi ordinari e con il sistema nervoso cerebro-spinale, come ogni altra cosa. Tutta diversa è invece la condizione in cui si è divenuti chiaroveggenti verso l’interno, con il sistema nervoso simpatico. In questa condizione non si percepiscono affatto le cose che si vedono esteriormente; si vede ciò che spinse i chiaroveggenti di ogni tempo a scegliere strani nomi per quegli organi, di cui ho riferito nella seconda conferenza.

 

Si scopre allora che quegli organi appaiono effettivamente alla vista esteriore, legata al sistema nervoso cerebro-spinale, in forma illusoria, di maya, in quanto l’aspetto che presentano dal di fuori non ne rivela affatto il significato intimo ed essenziale.

 

Si vede in realtà qualcosa di completamente differente, quando si è in grado di intravedere il proprio mondo interiore con l’occhio chiaroveggente rivolto all’interno. Si scopre allora a poco a poco perché i veggenti di tutti i tempi misero in relazione gli organi con l’azione dei pianeti. Come abbiamo detto ieri, l’azione della milza veniva collegata al nome di Saturno, quella del fegato a Giove, e quella della bile a Marte. Ciò che così si scorge nel proprio interno è dunque del tutto diverso da ciò che si offre alla vista esteriore. Si scopre di avere realmente dinanzi a sé certe parti dell’universo esterno racchiuse in determinati organi. Anzitutto si scopre qualcosa che ci può servire come esempio: quando si perviene in questo modo a una conoscenza che va oltre la visione abituale delle cose, ci possiamo persuadere che la milza umana è un organo molto importante. All’osservazione interiore essa infatti non si presenta affatto come se consistesse di materia, di carne; se è lecito esprimersi così (sebbene si possa esprimere solo approssimativamente quel che si vede), la milza appare davvero in piccolo come un corpo cosmico luminoso, dotato di una vita interiore molteplice e complessa. Ho già ricordato ieri che, osservata esteriormente, la milza presenta l’aspetto di un tessuto ricco di sangue in cui si trovano inclusi i menzionati follicoli bianchicci. Partendo dall’osservazione fisiologica corrente si può dunque ritenere che il sangue che fluisce attraverso la milza venga da questa per così dire setacciato. All’osservazione interiore, la milza appare anzitutto come un organo messo in un continuo movimento ritmico da parte delle molteplici forze interiori menzionate. Quest’organo basta già a persuaderci della grandissima importanza che il ritmo ha nei fenomeni del mondo. Se ne può avere un’idea, se si riconosce il ritmo del cosmo nelle pulsazioni del sangue. Lo si constata anche esteriormente negli organi, e in particolare nella milza. In essa è possibile seguire il ritmo con sufficiente precisione. Per lo sguardo chiaroveggente rivolto verso gli organi interni, tutte le differenziazioni della milza si svolgono come in un corpo luminoso, conferendo all’organo un certo ritmo nella vita. Si tratta di un ritmo che si differenzia molto da tutti gli altri ritmi vitali a noi noti. Proprio nel caso della milza è interessante studiare il modo in cui quel suo ritmo si distingue tanto da ogni altro ritmo: è infatti molto meno regolare. Perché? La ragione è che la milza è vicina e in certo modo connessa con l’apparato nutrizionale umano.

 

Basta poca attenzione per comprendere che nell’uomo la pulsazione del sangue dev’essere molto regolare, affinché la vita possa conservarsi nel giusto modo: è un ritmo che deve proprio essere molto regolare. Esiste però un altro ritmo che lo è molto meno, sebbene sarebbe desiderabile che ci si educasse a renderlo sempre più regolare, soprattutto per la vita del bambino: è il ritmo del mangiare e del bere. Una persona regolata segue senz’altro un certo ritmo nell’introduzione dei cibi e delle bevande: di solito si consumano a ore fìsse i pasti del mattino, del mezzogiorno e della sera, si segue cioè un certo ritmo. Le cose però non si svolgono poi tanto regolarmente: basta pensare alla deplorevole condiscendenza che si esplica verso la golosità di molti bambini ai quali si offre qualcosa appena mostrano di desiderarlo, senza alcun riguardo per un ritmo qualsiasi. Del resto è noto (e qui non lo si critica, ma lo si constata soltanto) che anche gli adulti non sempre si attengono a un ritmo alimentare preciso, e con quanta irregolarità vengono introdotti nell’organismo gli alimenti e soprattutto le bevande: tutto questo non si vuole qui predicare pedantescamente, e so bene che la vita moderna non sempre lo consente. A tutto ciò che introduciamo di irregolare nel nostro organismo dev’essere a poco a poco imposto un ritmo diverso, dev’essere inserito nel più regolare ritmo dell’organismo; deve in qualche modo cambiare, deve essere limata almeno l’irregolarità più marcata.

 

Poniamo che qualcuno sia costretto dalle sue occupazioni abituali a prendere i primi due pasti della giornata uno alle otto del mattino e l’altro alla una o alle due del pomeriggio, e che quegli orari siano divenuti per lui un’abitudine. Può succedere che fra quei due pasti egli si rechi da un amico e che la mai abbastanza lodata cortesia lo obblighi a bere o a mangiare qualcosa: ecco che ha nettamente interrotto il suo ritmo abituale. Questo esercita un ben determinato effetto sul suo organismo. Nell’organismo deve perciò esservi qualcosa che rafforzi in modo adeguato gli effetti della regolarità nell’introduzione di cibi e bevande, e che attenui gli effetti di un’alimentazione irregolare. Almeno le irregolarità più grossolane devono poter venire eliminate, grazie a un organo inserito nel ritmo del sangue che controbilanci l’irregolarità dell’introduzione degli alimenti, rispetto alla necessaria regolarità del ritmo del sangue. Questo organo è appunto la milza. Dato questo modo di considerare la milza, certi ben determinati processi ritmici possono chiarirci che questo organo è una specie di commutatore destinato a compensare le irregolarità che si presentano nel canale digerente, trasformandole in eventi regolari, ritmici, entro la circolazione sanguigna. Sarebbe infatti gravissimo, se certe sregolatezze nell’assunzione degli alimenti dovessero estendere al sangue tutti i loro effetti (si pensi alla vita studentesca, e non solo a quella!). Situazioni come questa devono veramente essere corrette, in modo che al sangue si trasmetta solo quanto gli si confà. Questo è il compito della milza, l’organo inserito nella corrente sanguigna che irradia la propria azione ritmizzante a tutto l’organismo umano, si che possa realizzarsi ciò che è stato ora descritto.

 

I fatti rilevati dall’osservazione chiaroveggente, cioè che la milza funziona secondo un certo ritmo, sono fino a un certo punto rilevabili anche dall’osservazione corrente. Anche se è molto difficile scoprire il vero compito della milza con le comuni ricerche fisiologiche, già esternamente si può però constatare che dopo pasti abbondanti la milza appare aumentata di volume per diverse ore, contraendosi poi di nuovo dopo un determinato tempo.

 

Grazie all’alternanza tra fasi di dilatazione e di contrazione di quest’organo, viene compensata l’irregolarità nell’assunzione di cibo che interferisce col ritmo del sangue. Bisogna ora tener presente che l’organismo umano non è soltanto una somma di singoli organi (come spesso si pensa); tutti gli organi trasmettono le loro più segrete azioni in ogni parte dell’organismo. Perciò i movimenti della milza, soggetti sì a un loro ritmo, ma anche sottoposti agli effetti dell’introduzione degli alimenti, si irradiano a tutto l’organismo, esercitando su di esso una compensazione. Va detto però che questo è solo uno dei modi in cui opera la milza, né è possibile citarli subito tutti.

 

Siccome però non tutti possono diventare chiaroveggenti da un momento all’altro, sarebbe proprio interessante se la fisiologia accademica cercasse di prendere le cose da me ora esposte come un’idea da verificare.* Si potrebbe allora dire: forse quel che si manifesta allo sguardo chiaroveggente non sono tutte fandonie, come spesso si ripete in modo preconcetto; per una volta, senza fare un atto di fede, ma nemmeno negandola a priori, proviamo a esaminare l’idea, controllando dal punto di vista della fisiologia corrente se sia possibile dimostrare qualcuna delle affermazioni fatte in base all’osservazione chiaroveggente.

 

In un certo senso, i fenomeni che ho riferito costituiscono già una conferma di questo genere. Si constata infatti che la dilatazione della milza avviene dopo i pasti, dipende cioè dall’introduzione degli alimenti. Così da un lato (cioè verso l’apparato digerente) essa ci appare come un organo dipendente dall’arbitrio umano; dall’altro (da quello del sangue) è un organo che in certo senso annulla l’arbitrio umano, lo paralizza riconducendolo al ritmo del sangue, configurando per così dire l’elemento fisico dell’uomo in modo conforme alla sua natura. Affinché l’uomo risulti configurato e funzionante secondo la sua natura, lo strumento centrale di tale natura, il sangue, deve potere esplicare adeguatamente la propria funzione, nel ritmo che gli è proprio. In quanto portatore della sua circolazione sanguigna, l’uomo deve in certo modo essere separato, isolato da quanto avviene fuori di lui, da quel che avviene di irregolare nel mondo esterno, e che d’altra parte agisce su di lui perché egli introduce in sé gli alimenti senza rispettare alcun ritmo.

 

È dunque un processo di isolamento che rende l’entità umana indipendente dal mondo esterno. Ogni individualizzarsi, il rendersi in qualunque modo autonomi, riceve dall’occultismo la qualifica di “saturnio”: è un processo dipendente da un’attività di Saturno. L’idea originaria, l’elemento essenziale di Saturno è che un qualsiasi essere si isoli, si individualizzi nei confronti di un tutto, così da potere svolgere una regolarità in se stesso, per forza propria. In questa sede vorrei prescindere dal fatto che l’astronomia moderna attribuisce al nostro sistema solare alcuni pianeti al di là di Saturno, come Urano e Nettuno. Per l’occultismo, tutte le forze che operano nel nostro sistema solare nel senso di isolarlo, di individualizzarlo rispetto al restante universo, di conferirgli leggi proprie, sono forze attribuibili a Saturno, cioè al pianeta che va considerato il più esterno di tale sistema.

 

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Rappresentandoci dunque il sistema solare nel suo complesso, si potrebbe dire che esso si trova entro l’orbita di Saturno, in modo da poter ubbidire entro quell’orbita alle proprie leggi, rendendosi indipendente e in certo modo avulso dalle forze plasmatrici dell’universo circostante. Per questa ragione gli occultisti di tutti i tempi considerarono le forze di Saturno quelle che racchiudono il nostro sistema solare in se stesso, e che gli conferiscono la possibilità di sviluppare un proprio ritmo, diverso dal ritmo presente al di fuori di esso.

 

In modo analogo agisce nel nostro organismo la milza. Certo qui non si tratta di una separazione da tutto il mondo esterno, ma soltanto da un ambiente, in quanto da questo provengono gli alimenti per il nostro organismo. La milza è l’organo che tratta tutto ciò che proviene da fuori, in modo simile a quello in cui le forze di Saturno trattano tutto ciò che nel nostro sistema solare si trova entro l’orbita di Saturno: ne modificano il ritmo, inserendolo nel ritmo, nelle leggi proprie dell’uomo. Ciò che opera nella milza isola la nostra circolazione sanguigna da tutte le azioni esterne, dà a essa un ritmo regolare autonomo, ne fa un sistema capace di avere un proprio ritmo.

 

Ci avviciniamo così un po’ di più alle ragioni per cui nell’occultismo vengono scelti quei nomi. Nelle scuole occulte i nomi venivano riferiti non solo ai singoli pianeti visibili; come ho detto per esempio, il nome “Saturno” fu attribuito a tutto ciò che esclude un mondo esterno da un sistema configurato ritmicamente in se stesso. Che un sistema si segreghi, configurandosi in se stesso, con proprie regole e un proprio ritmo, produce un certo svantaggio nell’evoluzione cosmica complessiva, cosa che ha sempre un po’ preoccupato gli occultisti. È facile comprendere che nel mondo grande e piccolo tutte le azioni risultino in fondo collegate fra loro, che ogni cosa abbia un riferimento con le altre. Se ora un mondo qualsiasi, sia esso un sistema solare o il sistema sanguigno dell’uomo, viene distaccato dalla totalità del mondo circostante e segue proprie regole, significa che esso infrange in modo autonomo le leggi circostanti, che si individualizza nei confronti delle leggi dell’ambiente esterno, modificandosi, creandosi leggi proprie, un proprio ritmo, che contraddice anzitutto quello del mondo circostante. Vedremo senz’altro che ciò può applicarsi anche all’uomo fisico, sebbene le considerazioni fatte oggi dimostrino che per lui è un benefìcio il possesso di un suo ritmo interno creato in modo saturnio dalla milza. Vedremo però che è applicabile anche all’uomo la regola secondo la quale, per effetto del chiudersi in sé, un essere (sia esso un pianeta, sia un uomo) si pone in contrasto col mondo circostante. È una contraddizione fra ciò che sta intorno a noi e ciò che è in noi. Una volta creata, la contraddizione non può essere eliminata finché il ritmo instauratosi all’interno non si adatti nuovamente e in modo completo al ritmo esterno. Vedremo che ciò vale anche per l’uomo fisico; da quel che ho esposto finora, sembrerebbe che l’uomo debba sottomettersi alle irregolarità. Le cose però sono diverse. Una volta instaurato, il ritmo interno deve tendere a riarmonizzarsi con l’intero mondo esterno, vale a dire deve annullare se stesso. L’entità che si è formata e individualizzata all’interno, in quanto opera in modo autonomo ha però la tendenza ad adattarsi al mondo esterno, ad assomigliargli. In altre parole, tutto ciò che si è reso autonomo grazie a un’azione di tipo saturnio, viene dalla stessa azione condannato anche a distruggersi. Come dice il mito, Saturno (o Cronos), divora i propri figli.

 

Si scopre qui una profonda consonanza fra un’idea occulta e un mito antico, consonanza che si esprime nell’immagine simbolica di Cronos che divora i propri figli. Certo, se si meditasse sempre di più su queste cose, si avrebbe al riguardo una sensibilità finissima, e a poco a poco non sarebbe più così facile accettare le osservazioni di illuministi superficiali, del tipo di questa: “Ci vuole una bella fantasia a favoleggiare che nei miti antichi, nelle leggende, si esprimano in immagini verità profonde!” Certo, non bastano tre o anche dieci di questi accostamenti, e per di più esposti come spesso avviene in letteratura, cioè in modo assolutamente esteriore, per convincersi che in miti e leggende siano contenute verità più profonde che nella scienza. Chi però affronta il problema più a fondo, trova proprio che certi miti conducono più a fondo nella reale conoscenza dell’essenza del mondo e della formazione degli organi, di quanto sia possibile alla scienza odierna. Osservando con la massima accuratezza le idee tradotte in immagini che si trovano diffuse su tutta la Terra, immergendosi con amorevole penetrazione nelle leggende e nei miti dei popoli, vi si potrebbero scoprire le trasfigurazioni delle saggezze più profonde. Si capirebbe allora perché certi occultisti abbiano detto con ragione: solo chi è penetrato a fondo nella natura umana mediante una fisiologia occulta, può comprendere veramente miti e leggende. Certi miti, certe leggende, contengono una reale sapienza sull’essere umano, una reale fisiologia in misura maggiore della scienza. Si dovrà un giorno scoprire quanta fisiologia sia per esempio nascosta nei nomi di Caino e Abele, e in quelli dei loro discendenti, che riecheggiano tempi in cui nei nomi si esprimeva un profondo significato. Riacquistando un giorno quelle conoscenze, ne deriverà un profondo rispetto, uno straordinario apprezzamento per quanto, nel corso del divenire storico, è stato escogitato dagli uomini più saggi al fine di comunicare alle anime umane la loro connessione con i mondi spirituali per mezzo di certe immagini, perché non era ancora giunto il tempo di ascendervi con la veggenza. Quando si saranno riscoperte le cose ora accennate, verrà superata la presunzione tanto diffusa che si esprime nei ben noti versi del Faust. «E quanto siamo adesso meravigliosamente progrediti invero!», intendendo con ciò: finalmente abbiamo messo da parte le antiche immagini della primigenia umanità.

 

Esse vengono messe da parte, se non ci si immerge con intimo amore nel corso dell’evoluzione umana attraverso le successive epoche. Le conoscenze che il chiaroveggente, grazie all’occhio spirituale aperto, acquisisce sulla fisiologia degli organi umani, si esprimono in immagini, e gli mostrano che nei miti e nelle saghe è contenuta per così dire l’origine dell’uomo. Il chiaroveggente vede espresso nei miti e nelle saghe il meraviglioso processo di concentrazione di interi mondi negli organi umani.

 

Vede come nel corso di ere lunghissime gli organi si siano come cristallizzati insieme, per render possibile oggi in noi il lavoro di milza, fegato o sistema biliare. Ne riparleremo ancora domani. Per poter esprimere tutto ciò in immagini occorre una profonda saggezza, una profonda conoscenza di ciò che grazie alla conoscenza occulta oggi solo presagiamo. Ciò che agisce nell’interno dell’organismo umano, è un microcosmo nato dai mondi del macrocosmo; tutta questa sapienza la vediamo espressa nei miti e nelle saghe. Hanno quindi ragione gli occultisti che ritengono si possa scoprire il senso di miti e leggende soltanto esaminandoli dal punto di vista della fisiologia.

 

Oggi dovevo soltanto accennare tutte queste cose, perché possano servirci ad acquisire quel senso di venerazione del quale ho parlato nella prima conferenza. Esercitando questo tipo di osservazione, possiamo davvero indicare ciò che si offre a una indagine approfondita del contenuto spirituale degli organi umani. Se anche possiamo esemplificarlo solo a proposito di poche cose, pure potremo ugualmente persuaderci che l’organismo umano è proprio un edificio meraviglioso. Nel corso di questo ciclo di conferenze cercheremo appunto di gettar luce nella sua essenza.