03 – Le diverse relazioni di tempo e spazio per le quattro parti costitutive umane.

O.O.226 – Il destino dell’uomo – 18.05.23


 

Sommario: Le diverse relazioni di tempo e spazio per le quattro parti costitutive umane. L’aiuto del Cristo come mediatore dell’ordine morale durante il sonno. L’attività della terza gerarchia nell’apprendimento del camminare, parlare e pensare da parte del bambino.

 

Ieri abbiamo parlato del cammino che percorriamo fra la morte e una nuova nascita e da tutto quel che ho detto si potrà rilevare che in effetti ogni notte, quando dormiamo, dobbiamo ritrovare il cammino fino al punto d’inizio della nostra vita terrena.

 

In realtà abbiamo così potuto acquisire un’importante conoscenza, ossia che

• quando cadiamo nel sonno, come ho già detto nel corso di queste conferenze,

non rimaniamo per così dire alla data alla quale siamo giunti nella vita,

ma addormentandoci ritorniamo al punto di inizio della nostra vita terrena.

• Ogni volta quando ci addormentiamo ritorniamo alla nostra infanzia,

anzi allo stato precedente la nostra vita terrena;

dormendo ritorniamo sempre con l’io e col corpo astrale nel mondo soprasensibile dal quale deriviamo

e che avevamo abbandonato quando siamo diventati uomini terreni.

 

A questo punto delle nostre considerazioni si rende perciò necessario porci ancora una volta davanti all’anima, con più precisione, ciò che inconsciamente attraversiamo dormendo, ma non per questo meno vivacemente. In proposito la durata del sonno non è molto rilevante. È davvero difficile per la coscienza ordinaria pensare come i rapporti di spazio e di tempo diventino del tutto diversi quando siamo nel mondo spirituale; dobbiamo però farcene un’idea, perché quei rapporti diventano del tutto diversi.

 

Ho già detto che quando siamo immersi nel sonno, quando dunque ci troviamo nell’incoscienza, e d’improvviso ci risvegliamo, nell’istante del risveglio viviamo quel che avremmo vissuto se avessimo dormito a lungo.

 

La durata del sonno, misurata in un tempo fisico,

ha importanza solo per il corpo fisico e ancora per quello eterico.

• Valgono invece tutt’altri rapporti temporali per ciò che vivono l’io e il corpo astrale;

quindi quel che ora esporrò vale sia per un sonno lungo, sia per uno breve.

 

Quando con l’anima entriamo nel sonno, la prima condizione in cui ci sentiamo è quella di vivere nell’etere cosmico (tutto si svolge nell’incoscienza, ma comunque in modo ben vivo). Ho detto “ci sentiamo”: è un sentire inconscio, ma non è possibile esprimere queste cose in modo diverso, dovendo usare parole della coscienza normale. Ci sentiamo per così dire effusi in tutto il cosmo, e cessa la percezione distinta, che normalmente si ha, di essere legati con le cose che ci circondano sulla terra.

In un primo tempo sopraggiunge un sentimento di partecipazione generale con tutta la vita e il tessere del cosmo; partecipazione legata al sentirci come anime per così dire prive di una base d’appoggio. Assieme al sentirsi sospesa, sorge nell’anima un forte desiderio di essere protetta dalla sfera divina; ogni giorno addormentandoci abbiamo in effetti, proprio durante il sonno, l’esigenza religiosa che tutto il mondo sia compenetrato dalla sfera divino-spirituale ovunque diffusa. Lo sperimentiamo in effetti nell’addormentarci. In tutta la nostra costituzione umana portiamo poi nello stato di veglia quell’esigenza della sfera divina. Siamo debitori all’esperienza del sonno per il quotidiano rinnovamento delle nostre esigenze religiose.

 

• Lo studio di tutto l’essere dell’uomo ci porta dunque alla conoscenza delle condizioni di vita che attraversiamo. In sostanza, nella vita cosciente viviamo dalla mattina fino alla sera senza pensare che molto avviene nelle nostre esperienze notturne. Non ci è sempre chiaro da dove provengano le nostre esigenze religiose. Derivano da tutte le esperienze che abbiamo ogni notte nel primo sonno, e magari con minore intensità durante un sonnellino pomeridiano.

 

• Durante ogni sonno sopraggiunge poi qualcos’altro (che come ho detto resta dapprima inconscio, ma non per questo è vissuto meno vivacemente): è come se non si rimanesse più con la propria anima effusi nel cosmo, ma come suddivisi con le singole parti del proprio essere. Ci si sente come smembrati, o meglio, ci si sentirebbe come smembrati, se si sentisse quel che si sperimenta, se divenisse cosciente.

Nel fondo dell’anima nasce allora l’inconscia paura di venire suddivisi in tutto l’universo,

e la sperimentiamo ogni notte nel sonno.

 

Si dirà: ma che cosa ce ne importa, dal momento che nulla ne sappiamo? Ce ne importa invece molto. Vorrei precisare con un paragone quanto ce ne importi. Immaginiamo di avere paura nella vita corrente, di impallidire. Avere paura è un processo cosciente dell’anima; impallidire è una determinata modificazione del nostro organismo: il sangue si ritira all’interno del corpo, ed è un processo oggettivo. Possiamo descrivere la paura anche attraverso il processo oggettivo che avviene nel corpo fisico durante lo stato di veglia. Quel che sperimentiamo nell’anima è in un certo senso il riflesso animico del ritiro del sangue dalla superficie del corpo verso il suo interno. Si tratta dunque di un processo oggettivo che corrisponde alla paura durante la vita di veglia. Così anche nel corpo astrale vi è un processo oggettivo che attraversiamo dormendo e che è del tutto indipendente dalla coscienza.

 

Chi è in grado di pensare con l’immaginazione e l’ispirazione sperimenta quel processo oggettivo nel corpo astrale come paura, e noi lo viviamo ogni notte perché la nostra anima viene suddivisa. Ma come?

Essa viene in realtà suddivisa ogni notte nel mondo delle stelle. Una parte del nostro essere tende a Mercurio, un’altra parte a Giove e così via. Per caratterizzare con precisione il processo che si svolge, devo dire che nel sonno abituale esso non è come nel cammino fra la morte e una nuova nascita, quando si sale realmente nel mondo delle stelle; durante la notte sperimentiamo sì quella suddivisione, però non veniamo veramente sparpagliati fra le stelle, ma fra le loro immagini che durante la vita portiamo sempre in noi. Durante il sonno notturno veniamo suddivisi fra le immagini di Mercurio, Venere, Luna, Sole e così via. Si tratta dunque di immagini, non delle stelle stesse.

 

La paura che si sperimenta, che interviene relativamente presto dopo Tessersi addormentati, può venir superata solo quando vi sia un reale rapporto con il Cristo. A questo punto si conosce il necessario rapporto degli uomini con il Cristo. Per parlarne bisogna però tenere presente l’evoluzione del genere umano sulla terra, e la si può comprendere soltanto arrivando a vedere la determinante svolta nell’evoluzione avvenuta con il mistero del Golgota. Gli uomini erano del tutto diversi nell’anima e nello spirito prima che sulla terra si svolgesse il mistero del Golgota. Osservando animicamente bene l’uomo, occorre sempre tener presente che egli era diverso prima di quel mistero, rispetto a dopo.

 

Quando in precedenti vite terrene prima del mistero del Golgota gli uomini dormivano e sperimentavano la paura che ho descritta, il Cristo era altrettanto presente nelle immagini del mondo stellare, come erano presenti le immagini delle altre stelle. Naturalmente quegli uomini eravamo noi stessi, appunto nelle nostre precedenti incarnazioni. Il Cristo aiutava gli uomini ad allontanare la paura mentre dormivano. In tempi antichi gli uomini avevano ancora senz’altro un’istintiva chiaroveggenza e al risveglio ricordavano in modo quasi sognante che il Cristo era stato loro vicino durante il sonno; non lo chiamavano però Cristo, ma Spirito solare. Negli uomini che erano vissuti prima del mistero del Golgota vi era una profonda fede che il grande Spirito solare fosse anche la guida e l’aiuto dell’umanità e che si avvicinasse agli uomini ogni notte per toglier loro la paura di venir smembrati nel mondo. Il Cristo appariva quale spirito che rafforza e consolida interiormente gli uomini.

 

Chi tiene insieme le forze umane nella vita? Questo si chiedevano coloro che partecipavano alle antiche religioni: era il grande Spirito solare che teneva insieme i singoli elementi umani in ogni individuo. Avevano tale fede in base alla coscienza che ricordava che ogni notte il Cristo si avvicinava loro. Non c’è da meravigliarsi che fosse cosi, perché in quegli antichi tempi, quando gli uomini avevano ancora una chiaroveggenza istintiva, in speciali momenti della loro vita vedevano se stessi, quali essere spirituali animici, nei tempi in cui erano prima di discendere sulla terra per rivestirvi un corpo fisico. Per gli uomini era allora del tutto naturale guardare in alto all’esistenza prenatale.

 

• Non è dunque come abbiamo appunto spiegato, e cioè che con ogni sonno siamo ricondotti all’esistenza prenatale, all’esistenza prima di diventare bambini? Si, lo è. Come gli uomini sapevano che nell’esistenza preterrena erano vicini all’alto Spirito solare che dava loro la forza di attraversare la morte quali esseri immortali, così dopo ogni sonno avevano un ricordo cosciente che quell’alto Spirito solare li aveva aiutati, permettendo loro di essere giustamente uomini con la loro personalità unitaria.

L’anima umana viveva quella condizione durante il sonno, mentre così conosceva il mondo dei pianeti. Era come un venir scissi, e poi esser tenuti insieme dal Cristo nell’ambito delle immagini planetarie.

 

Dopo il mistero del Golgota tutte quelle esperienze dell’anima durante il sonno si sono modificate per gli uomini. Il mistero del Golgota favorì per gli uomini sulla terra lo sviluppo di una forte coscienza dell’io.

• Nei tempi precedenti quel mistero gli uomini sentivano fortemente di appartenere all’esistenza prenatale, ma non avevano una forte coscienza dell’io. Tale coscienza si sviluppò a poco a poco dopo il mistero del Golgota, ma per l’umanità civile in effetti solo dal primo terzo del secolo quindicesimo.

 

La forte coscienza dell’io fa sì che l’uomo si ponga nel mondo dei sensi quale essere libero e autocosciente,

e che dall’altra parte, come per un pareggio, si oscuri la visione retrospettiva della vita preterrena,

compresa la coscienza del ricordo che durante il sonno il Cristo è al suo fianco per aiutarlo.

 

Il mistero del Golgota produsse di particolare che nell’evoluzione dell’umanità gli uomini rafforzarono la coscienza dell’io durante la veglia diurna, e che si diffuse a poco a poco una completa oscurità su quel che prima illuminava la coscienza del sonno. Di conseguenza dal mistero del Golgota essi devono stabilire durante la veglia un cosciente rapporto con il Cristo Gesù, acquisendo una comprensione cosciente di che cosa in effetti è avvenuto con quel mistero: che sulla terra discese lo Spirito solare del Cristo, divenne uomo nel corpo di Gesù di Nazareth, visse sulla terra, passò attraverso la morte e ancora dopo la morte gli apostoli poterono vederlo nel corpo eterico, e rimase ancora loro maestro.

 

• Se dopo il mistero del Golgota gli uomini acquisiscono nella veglia una coscienza del loro rapporto col Cristo grazie a viventi immagini di quel che è avvenuto con quel mistero, vi è per loro di nuovo la possibilità che l’impulso del Cristo li aiuti ora nel sonno, come riflesso della sua azione sulla vita diurna.

La grande differenza nel sonno umano prima e dopo il mistero del Golgota è che prima, durante il sonno, vi era per così dire sempre l’aiuto spontaneo del Cristo, e gli uomini potevano persino ricordare nella veglia diurna che il Cristo era stato vicino a loro durante il sonno notturno. Gli uomini sarebbero invece del tutto abbandonati dal Cristo, dopo il mistero del Golgota, se durante il giorno non stabilissero con lui un rapporto cosciente e quindi non ne trasferissero l’eco, il riflesso nel sonno, potendosi così mantenere uniti nella loro persona con l’aiuto del Cristo.

 

• Dopo il mistero del Golgota è sorto per gli uomini l’interiore dovere animico di dover acquisire a poco a poco l’aiuto del Cristo, che prima ricevevano inconsciamente dalle altezze celesti, ora grazie a un rapporto cosciente col mistero del Golgota stesso. Non potremmo quindi studiare bene l’essenza del sonno umano, senza tenere presente la poderosa differenza del sonno prima e dopo il mistero del Golgota.

 

Quando dormiamo, anche tutto il nostro mondo è diverso da quando siamo svegli.

Come viviamo sulla terra quando siamo svegli? Siamo assoggettati col nostro corpo fisico alle leggi della natura; le leggi che operano nella natura operano anche in noi. Tutto quel che riconosciamo come obbligo morale, impulso morale, ordine morale del mondo, in un certo senso è come un mondo astratto inserito nelle leggi di natura. D’altra parte oggi all’indagine sulla natura, poiché tiene conto solo del mondo diurno, sfugge del tutto il mondo morale.

 

Così l’indagine sulla natura ci racconta, sia pure come ipotesi (ma questa è la sua caratteristica), che all’inizio della nostra evoluzione cosmica vi fu la nebulosa originaria di Kant-Laplace (oggi è un po’ modificata, ma in sostanza vale ancor sempre per il pensiero scientifico), e che alla fine dell’evoluzione si arriverà alla morte per calore, in cui tutto ciò che vive sulla terra verrà seppellito come in un grande cimitero. La scienza ci mostra l’evoluzione del cosmo da uno stato fisico all’altro, e ad essi l’ordine morale del mondo è estraneo. L’uomo non potrebbe sperimentarsi come tale, non sentirebbe la propria dignità, se non si sentisse quale essere morale. Ma gli impulsi morali erano già nella nebulosa di Kant-Laplace? No, vi erano soltanto leggi meccaniche, leggi fisiche. Ci saranno forse quando la terra sarà arrivata alla morte per calore? No, di nuovo varranno soltanto leggi fisiche; così dice la scienza, e dagli eventi naturali deriverebbe tutto ciò che è vivente, anche la vita dell’anima umana. L’uomo pensa di dover fare qualcosa e di non doverne fare un’altra, sperimenta un ordine morale del mondo, ma questo non ha un terreno su cui crescere all’interno delle leggi di natura. L’ordine morale appare all’uomo solo come un mondo astratto, cresciuto su quello solido e massiccio delle leggi naturali.

 

• Quando la coscienza immaginativa, ispirata e intuitiva sperimenta quel che l’uomo attraversa durante il sonno nell’io e nel corpo astrale, il quadro è del tutto diverso: l’ordine morale del mondo vi è sicuro e reale, e quello naturale appare come qualcosa di sognato, di astratto. E’ difficile pensarlo, ma è così: tutto il mondo è rovesciato.

Se chi dorme fosse chiaroveggente, l’ordine morale gli apparirebbe reale e sicuro e quello delle leggi naturali fisiche gli apparirebbe sottoposto all’altro.

Se chi dorme fosse cosciente non porrebbe all’inizio dell’evoluzione la teoria di Kant-Laplace, e alla sua fine la morte per calore, ma vi porrebbe il mondo delle gerarchie spirituali, esseri spirituali-animici che conducono l’uomo all’esistenza. Alla fine dell’evoluzione non vedrebbe la morte per calore, ma di nuovo esseri spirituali-animici che accolgono nelle loro schiere gli uomini che saranno passati attraverso un processo evolutivo. Sotto, come un’illusione scorrerebbe l’astratto ordine fisico del mondo.

 

Se fossimo chiaroveggenti e immersi nel sonno, tutte le leggi di natura conosciute durante il giorno si vedrebbero come sogni, mentre l’ordine morale sarebbe visto quale terreno sicuro. Lo si sperimenta se, consci dell’aiuto del Cristo, ci si avvicina alla quiete del cielo stellato, sia pure nel suo riflesso durante il sonno notturno.

• Dalle stelle fisse, dal loro riflesso, si guarda giù alla terra e alle leggi di natura.

 

Questa è l’altra forma delle esperienze che l’uomo ha fra l’addormentarsi e il risveglio e che ogni notte porta la sua anima nell’immagine del cosmo. Come fra la morte e una nuova nascita a una certo punto si viene portati dalle forze lunari a una nuova esistenza terrena perché se ne sente il bisogno – l’ho detto ieri – così, dopo esser vissuti in un certo qual modo dormendo nell’esistenza celeste, si ha l’esigenza di ridiscendere nel proprio corpo fisico e nel proprio corpo eterico.

 

• Dal momento in cui con la nascita ci troviamo nell’esistenza terrena, noi siamo anche in una specie di condizione di sonno e di sogno. Come al mattino, se prescindiamo dal sogno, se dopo esser svegli da un’ora riguardiamo il momento del risveglio, la coscienza si spegne e piomba nell’oscurità del sonno, così avviene riguardando la propria infanzia. In alcuni prima, in altri più tardi, in alcuni a cinque anni, in altri a quattro la coscienza si spegne. Come oltre il punto fino al quale ci si ricorda vi è qualcosa che è immerso nella vita di sonno e di sogno della prima infanzia, così tutte le notti la vita dell’anima umana si immerge nel buio del sonno.

Quello del bambino non è però un sonno completo, ma una specie di sogno desto. In quel sogno desto si svolgono tre tappe importanti della vita umana che ho già caratterizzate ieri nel loro susseguirsi, e nelle quali possiamo vedere un riflesso e un effetto postumo della vita fra la morte e una nuova nascita. Anzitutto da quella vita di sonno e di sogno il bambino impara quello che semplicemente indichiamo e che notiamo di più, come l’imparare a camminare. Quel che avviene nel bambino è però qualcosa di più vasto, qualcosa che, per chi in effetti lo sa guardare, modifica le parti più sottili dell’essere umano, qualcosa di grandioso e poderoso. Il bambino impara a porsi nel mondo con tutti i rapporti di peso e di equilibrio. Il bambino cessa di cadere, si inserisce nelle direzioni del lo spazio sviluppando forze interiori.

 

Se dovessimo trasporre coscientemente il nostro organismo da uno stato di totale mancanza di equilibrio in un altro di sicuro equilibrio nelle tre direzioni dello spazio, imparando in più come da bambini si conservi l’equilibrio nei movimenti pendolari delle gambe, svolgeremmo un poderoso compito meccanico che il bambino compie inconscio; lo svolge come riflesso di quel che egli viveva tra gli spiriti nel periodo fra la morte e una nuova nascita, ed è qualcosa di vasto e grandioso che nessuna scienza del più valente ingegnere sarebbe in grado di calcolare.

 

• Il modo in cui le forze umane si inseriscono nei rapporti spaziali del mondo,

cosa che il bambino compie inconsciamente,

è quanto di più grandioso si possa pensare per lo sviluppo delle forze matematiche, meccaniche e fisiche.

• Indichiamo tutto ciò con la semplice espressione di “imparare a camminare”,

ma in essa vi è appunto qualcosa di grandioso.

 

• Imparando a camminare si sviluppa anche il giusto impiego delle braccia e delle mani.

• Il giusto inserirsi quale essere fisico nelle tre dimensioni dello spazio è anche la base dell’imparare a parlare.

 

La fisiologia sa poco del rapporto esistente fra la dinamica umana del camminare, dello stare eretti e l’imparare a parlare; sa soltanto che le circonvoluzioni del linguaggio sono a sinistra nel cervello, per chi usa meglio la mano destra, perché i gesti della mano destra, eseguiti con forza dalla volontà umana, continuano misteriosamente nel cervello e in esso determinano i processi che ci portano a parlare.

Non è solo il rapporto della mano destra con la terza circonvoluzione sinistra della fronte, la cosiddetta circonvoluzione di Broca, a determinare quei processi, ma la capacità di muovere le gambe, le braccia e le dita, tutti i movimenti e gli equilibri umani: tutto ciò sale al cervello, lo forma, e da questo penetra nella laringe.

Il linguaggio si sviluppa dal terreno del camminare, dell’afferrare, dai gesti degli organi del movimento.

 

Chi ha sviluppato per queste cose una giusta capacità di comprensione sa che un bambino che abbia la tendenza a camminare sulla punta dei piedi parla anche in modo diverso, dà ai suoni un tono diverso di un altro bambino che abbia la tendenza a camminare sui talloni.

 

Dall’organismo del movimento e del camminare si sviluppa l’organismo del parlare;

il parlare a sua volta riflette ciò che ieri ho mostrato come il momento della manifestazione spirituale

fra la morte e una nuova nascita.

• Quando il bambino impara a parlare, anche se non capisce le parole in pensieri e solo le “sente”,

vive però nel sentimento del linguaggio, e dopo il parlare, se si evolve normalmente, impara a pensare.

Nel bambino in realtà i pensieri si sviluppano dalle parole.

 

• Proprio come il camminare e l’afferrare, e i movimenti delle gambe e delle mani

si riflettono nell’òrganismo del linguaggio,

• ciò che vive nell’organismo del linguaggio, adattandosi al linguaggio del suo ambiente,

passa agli organi del pensiero, e il bambino sviluppa così la terza tappa, quella del pensare.

 

In quello stato di sonno e di sogno attraversa appunto quei tre stadi: camminare, parlare e pensare. Sono le tre immagini terrene di ciò che si era sperimentato tra la morte e una nuova nascita, nel vivente passaggio attraverso il mondo spirituale, attraverso la manifestazione del mondo spirituale, e mentre si raccoglieva l’etere cosmico per formare il nostro corpo eterico. Solo osservando l’adulto durante il sonno si può rettamente giudicare che cosa il bambino elabori in quelle tre tappe.

 

• Quando fra l’addormentarsi e il risveglio cessiamo di pensare – i pensieri tacciono appunto all’addormentarsi –

la forza dei nostri pensieri viene curata dagli esseri che conosciamo quali Angeli.

Ci si avvicinano mentre dormiamo e hanno cura dei nostri pensieri, mentre noi stessi li trascuriamo.

 

• Nel sonno cessiamo anche di parlare. In quello stato parliamo solo in condizioni anormali, che possono anche venir comprese e delle quali non occorre che ora ci occupiamo. Normalmente cessiamo di parlare quando ci addormentiamo – sarebbe anche brutto se qualcuno continuasse a raccontare qualcosa durante il sonno – cessiamo dunque di parlare durante il sonno.

Sono entità della gerarchia degli Arcangeli

quelle che durante il nostro sonno si occupano di ciò che porta a parlare.

 

• Infine a parte i sonnambuli, che a loro volta sono in uno stato anormale, noi siamo tranquilli durante il sonno, non camminiamo, non afferriamo, non ci muoviamo.

Le forze della desta vita diurna, che sono attive in noi e che producono i movimenti dati dalla nostra volontà,

vengono curate durante il sonno da entità che fanno parte della gerarchia delle Archai.

 

Se comprendiamo queste relazioni, vediamo anche come fra l’addormentarsi e il risveglio si avvicinino all’io e al corpo astrale esseri della terza gerarchia: Angeli, Arcangeli e Archai; comprendiamo anche che cosa avvenga nel bambino quando apprende le tre attività del camminare, del parlare e del pensare. Vediamo allora che, mentre il bambino apprende il dinamismo vitale dell’afferrare e del camminare, sono le Archai che portano giù quel che avevamo sperimentato fra la morte e una nuova nascita assieme a esseri animico-spirituali, quale immagine del camminare del bambino.

 

• Le Archai trasmettono qui nel mondo fisico il riflesso dei movimenti del tutto spirituali

da noi fatti assieme a esseri animico-spirituali fra la morte e una nuova nascita,

affinché il bambino impari e camminare.

 

• A loro volta gli Arcangeli portano in terra ciò che ci si manifesta fra la morte e una nuova nascita,

e operano affinché il bambino impari a parlare.

 

• Gli Angeli infine portano qui le forze che avevamo sviluppato col riunire il nostro corpo eterico

dal complesso della sostanza eterica cosmica.

Le portano e ne fanno un’immagine negli organi del pensiero formati plasticamente,

affinché il bambino impari a pensare dal linguaggio.

 

Con l’antroposofia non impariamo dunque soltanto a guardare il mondo fisico e a ripetere che alla sua base vi è lo spirito. Così sarebbe facile, ma in tal modo non acquisiremmo una giusta idea del mondo spirituale. Chi solo filosoficamente volesse sempre dire che alla base della sfera fisica ve ne è una spirituale si comporterebbe come chi, passeggiando su un prato, a un altro che gli facesse notare che vi sono denti di leone e margherite, rispondesse di non volerne sapere nulla perché sono tutti solo fiori, astrazioni di fiori. Così appare chi da filosofo voglia riconoscere dappertutto l’elemento panteistico e spirituale, ma non entrare nelle particolari e concrete manifestazioni dello spirito.

 

L’antroposofia ci mostra come nelle singole strutture della vita ovunque viva l’elemento divino-spirituale. Osserviamo come il bambino dall’essere maldestro, dal muoversi a carponi, arrivi a camminare, e vediamo con meraviglia e venerazione in quel poderoso fenomeno universale l’opera delle Archai, che portano ciò che avevamo sperimentato fra morte e nuova nascita nella nostra struttura terrena. Seguiamo come dall’attività degli Arcangeli il bambino arrivi al linguaggio e come dall’attività degli Angeli arrivi a pensare.

Tutto ciò ha il suo profondo significato e anche un aspetto pratico che si osserva specialmente nella nostra epoca tanto materialistica, nella quale per molti le parole non hanno più qualcosa di spirituale. A poco a poco in effetti ci siamo ridotti a usare le parole soltanto per indicare le cose fisiche del mondo esterno; e lo si nota. Pensiamo a quanti sono gli uomini nel mondo che proprio non sono più in grado di far sorgere in sé rappresentazioni quando si parla loro della sfera spirituale; appunto perché le parole non hanno più per loro un significato spirituale, perché vengono impiegate soltanto per cose fisiche. Per molti il linguaggio ha assunto un carattere materialistico ed è solo applicabile a cose fisiche. Siamo in effetti inseriti in una civiltà nella quale il linguaggio è sempre più materialistico. Ma a che cosa porta tutto ciò?

 

Lo si vede osservando in modo giusto il nesso fra la veglia e il sonno in relazione al linguaggio.

• Di giorno e nello stato di veglia noi parliamo con i nostri simili e mettiamo così in movimento l’aria.

Il modo in cui l’aria si muove trasmette quel che intendiamo esprimere animicamente.

• Nella nostra interiorità vivono però gli impulsi animici per quelle parole.

• Ogni parola corrisponde a un impulso animico, ed esso è tanto più forte quanto più parliamo in modo idealistico,

quanto più siamo coscienti che le parole hanno anche un’importanza spirituale.

Sapendolo si può vedere di preciso quale sia il processo.

 

Prendiamo ad esempio qualcuno che in effetti intenda solo il senso materialistico delle proprie parole. Di giorno non appare molto diverso da un altro che abbia anche qualcosa di idealistico e di spirituale nelle sue parole, e che in genere abbia coscienza del fatto che le parole vengono animate dallo spirito. Di notte però l’uomo, con l’io e il corpo astrale, porta nel mondo spirituale l’aspetto spirituale-animico del linguaggio, risalendo così alla propria origine spirituale.

Chi però usa solo il linguaggio materialistico non trova il proprio Arcangelo,

non trova la connessione col mondo degli Arcangeli.

La trova però chi ha ancora un linguaggio idealistico.

 

• Il tragico di una civiltà che già nel linguaggio si esprime materialisticamente,

è che gli uomini con tale linguaggio possono perdere la connessione notturna con il mondo degli Arcangeli.

 

In effetti è qualcosa che fa male al cuore di un vero indagatore dello spirito nella civiltà del presente, vedere come gli uomini, quanto più dimenticano di dare alle parole un contenuto spirituale, perdano la connessione col mondo spirituale, e in particolare con gli Arcangeli. E ciò è spaventoso nella nostra civiltà che diviene materialistica; lo si comprende solo osservando la vera essenza dello stato di sonno.

 

Non si può diventare antroposofi nel giusto senso, volendo rimanere solo teorici. Sui maggiolini, sui lombrichi e sulle cellule si possono con indifferenza formulare teorie per le quali non occorre partecipare col cuore, perché in definitiva come si formino i maggiolini e i lombrichi da una cellula non tocca il cuore. Se però si fanno proprie le conoscenze antroposofiche nella loro pienezza, allora si vede sin nel profondo dell’essere, dell’evoluzione e del destino dell’umanità; il cuore è sempre coinvolto in queste conoscenze. La loro somma passa allora con tutto il mondo nella vita dei sentimenti e delle sensazioni, in definitiva anche nella volontà.

 

L’essenza dell’antroposofia

è di non afferrare solo la testa umana, ma l’uomo nel suo complesso,

portando luce alle forze dell’anima e del sentimento sia nel destino della cultura e della civiltà,

sia in quello del singolo.

 

Si comprende giustamente e si partecipa alla vita umana sulla terra solo se si guarda anche l’altro aspetto, quello spirituale, e come esso ci si possa svelare solo comprendendo anche lo stato del sonno, grazie al quale sempre si ritorna nel mondo spirituale. Allora la scienza dello spirito diviene per l’uomo reale vita animica, spirituale, e in sostanza anche etica, sociale e religiosa. Deve diventare reale scienza che tenda alla saggezza.

 

L’umanità ha grande bisogno di una scienza che le dia una vita forte,

per non affondare e non decadere, per poter risorgere.

 

Nelle prossime conferenze che ancora potrò tenere penetreremo più a fondo nelle relazioni dell’uomo con il mondo, comprendendo di conseguenza come si struttura il destino dei singoli nelle ripetute vite terrene. Ne parleremo domani.