Le ispirazioni della Sofìa nei pastori e nei magi

La celeste Sofìa e l’essere Antroposofia


 

Delle rivelazioni della celeste Sofìa, che di fatto erano conosciute in diverse forme in tutti i veri misteri dell’antichità, parla il libro del Siracide dell’Antico Testamento. Qui la celeste Sofìa dice di se stessa: ▸«Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo, e come nube ho ricoperto la terra. Ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. Il giro del cielo da sola ho percorso, ho passeggiato nelle profondità degli abissi. Sui flutti del mare e su tutta la Terra, su ogni popolo e nazione ho preso dominio. Fra tutti questi cercai un luogo di riposo, in quale possedimento stabilirmi. Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, il mio creatore mi fece posare la tenda e mi disse: Fissa la tenda in Giacobbe, sia la tua eredità in Israele. Egli mi creò fin dal principio, prima del tempo: per tutta l’eternità non verrò meno. Ho officiato davanti a lui nella tenda sacra, e così mi sono stabilita in Sion. Nella città amata mi ha fatto abitare, in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore, sua eredità» (Siracide 24,3-12). In queste parole del discorso della Sofìa vediamo che viene menzionato Giacobbe, il nipote di Abramo, capostipite dell’antico popolo giudaico, il quale in seguito alla sua iniziazione ricevette il nuovo nome Israele.

 

Il mistero dell’unione delle forze della Sofìa con l’antico Israele si rivela a Giacobbe durante la sua iniziazione nella poderosa immaginazione della rampa spirituale, come viene descritto nella Bibbia: ▸«Capitò [Giacobbe] allora in un certo luogo, dove si fermò per pernottare, perché il sole era tramontato (…) e sognò di vedere una rampa che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco: gli angeli di Dio salivano e scendevano per essa. Ed ecco: il Signore gli stava davanti e disse: “Io sono il Signore, Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. La terra sulla quale tu sei coricato la darò a te e al tuo seme. La tua discendenza sarà come la polvere della terra (…). Saranno benedette in te e nella tua discendenza tutte le famiglie della terra. Ed ecco che Io sono con te e ti custodirò ovunque andrai (…). Perché non ti abbandonerò se prima non avrò fatto tutto quello che ti ho detto”» (Gen 28,11-15).

 

Si capisce che si tratta del mistero della Sofìa che si rivela nella visione a Giacobbe, per il fatto che dopo il suo risveglio egli nomina il luogo in cui fu onorato di tale visione: «la casa di Dio» e «la porta del cielo» (Gen 28,17), il che corrisponde esattamente alla descrizione della Sofìa nei proverbi di Salomone, nei quali si può leggere: «La saggezza costruì il suo edificio, e innalzò sette colonne» (9,1).

 

Nell’adempimento del compito dell’antico popolo ebraico, Giacobbe potè svelare i misteri della Sofìa soltanto fino al grado in cui si trovava Jahve stesso, al quale spettava guidare tale compito dal mondo spirituale. Jahve però apparteneva al rango degli Spiriti della forma o elohim, come vengono chiamati nella Bibbia. E nonostante nella visione di Giacobbe egli si trovi in cima alla «rampa», nell’entità della Sofìa occupa soltanto il quinto di sette gradi. Questo significa che i due gradi più elevati entro l’entità della Sofìa, gli Spiriti del movimento e gli Spiriti della saggezza, per Giacobbe erano irraggiungibili, poiché riguardavano già i compiti di tutta l’umanità e non soltanto quelli dell’antico popolo ebraico. E quando Giacobbe nel processo della sua iniziazione volle elevarsi ancora di più, oltre i confini dei compiti del suo popolo, gli fu impedito di conoscere. Ecco come avvenne.

 

Nel linguaggio delle stelle il grado gerarchico al quale appartengono gli Spiriti della forma è collegato alla sfera zodiacale dello Scorpione-Aquila.27 Ad essa corrispondono nell’organismo umano da un lato le forze creatrici fisiche, le forze della riproduzione e dell’ereditarietà (scorpione) e dall’altro lato la loro massima metamorfosi, le forze creatrici spirituali provenienti dall’io umano, che fu donato all’uomo dagli Spiriti della forma all’inizio dell’evoluzione della Terra. Da questa regione cosmica dello Scorpione-Aquila anche Jahve trae gli impulsi che gli sono necessari per la guida dell’antico popolo ebraico e li realizza nella linea dell’ereditarietà, attraverso le forze che vanno dal padre al figlio, da Abramo a Isacco e Giacobbe nella successione delle discendenze.

 

Al grado successivo, già oltre il confine della parte di rampa celeste vista da Giacobbe, si trova la gerarchia degli Spiriti del movimento, che nella sfera zodiacale è collegata in particolare con la regione della Bilancia.28 Se Giacobbe volesse elevarsi in questa sfera superiore, verrebbe respinto dall’alto, per non oltrepassare i confini dell’influenza di Eloah Jahve, oltrepassando l’ambito di competenza del suo popolo.

 

Nell’organismo umano alla Bilancia corrispondono i fianchi o il cavo del femore, che venne lussato a Giacobbe nella lotta con l’angelo. Il fatto che l’angelo in un primo momento non può vincere Giacobbe, indica la forza con cui Giacobbe tenta di penetrare nella sfera delle forze spirituali della Bilancia, vale a dire le forze dell’«equilibrio» cosmico, cosicché l’angelo infine gli lussa il cavo del femore, in tal modo fermandolo per così dire, alla soglia della regione della Bilancia. Di nuovo avviene tutto di notte, vale a dire in una rivelazione notturna: ▸«Durante quella notte egli [Giacobbe] si alzò (…) e attraversò il guado dello Iabbok (…) rimase solo, e un uomo lottò contro di lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo percosse nel cavo del femore; e il cavo del femore di Giacobbe si lussò, mentre egli si abbracciava con lui» (Gen. 32, 23 e 25-26).

 

Secondo la tradizione cristiana orientale, l’«uomo» che lottò con Giacobbe era lo spirito del popolo dell’antico popolo ebraico, l’arcangelo Michele. Questo motivo è inserito spesso nelle raffigurazioni sul bordo delle icone russe dedicate all’arcangelo. Da Michele Giacobbe ricevette anche il suo nuovo nome dei misteri, il quale divenne poi il nome di tutto l’antico popolo ebraico. «Disse: [l’Angelo]: non più Giacobbe sarà il tuo nome, ma Israele [il combattente]» (Gen. 32,29).

 

Naturalmente Giacobbe «lottò» in realtà con l’inviato di Jahve soltanto nel senso che, di propria volontà, sulla «rampa degli angeli» voleva innalzarsi al di sopra del grado in cui si trovava Jahve, e Michele come suo inviato gli sbarrò la strada. Ma poiché Giacobbe non voleva cedere alla volontà superiore, Michele gli lussò l’anca, indicando così i confini entro i quali doveva rimanere la volontà dell’antico popolo ebraico, a servizio della celeste Sofìa, fino alla venuta del Cristo. ▸«Per questo i figli di Israele», così continua nella Bibbia, «fino al giorno d’oggi, non mangiano il nervo sciatico [muscolo] che si trova nell’anca, perché quello aveva lussato l’anca di Giacobbe sul nervo sciatico» (Gen. 32,33), vale a dire, da allora e «fino al giorno d’oggi» «i figli di Israele» non aspirano a ciò che si trova nel mondo spirituale al di sopra di Jahve, e cioè oltre i confini della missione del loro popolo.

 

Come già descritto nella prima parte di questo capitolo, tale missione consiste innanzitutto nella preparazione, attraverso la corrente ereditaria, degli involucri terrestri (il corpo fisico), per la futura incarnazione del Cristo sulla Terra. Quando tuttavia questo compito fu compiuto tramite l’incarnazione in Gesù di Nazareth durante il battesimo nel Giordano, il popolo israelitico, come pure gli apostoli originari, dovevano riconoscere il Messia e diventare così, da popolo di «combattenti di Dio» il primo popolo di «portatori di Dio» sulla Terra, vale a dire, dal punto di vista occulto, guarire l’anca di Giacobbe, compiere in modo giusto ciò a cui aspirava già con tutta la sua anima il progenitore Giacobbe, ma che non potè raggiungere prima che si adempisse la missione citata del popolo ebraico. A quel tempo egli non potè ancora ascendere dagli Spiriti della forma (gli Elohim) agli Spiriti del movimento e agli Spiriti della saggezza. Infatti questo era possibile soltanto mediante la conoscenza e l’accoglimento dell’impulso del Cristo sulla Terra, per passare con il suo aiuto da compiti nazionali a compiti generalmente umani, alla nuova missione di diffondere il cristianesimo tra tutti i popoli della Terra.

 

Le parole della Bibbia secondo cui colui che lottò con Giacobbe «non riuscì a vincerlo» sono da considerare come un riflesso di avvenimenti soprasensibili.(42) Naturalmente nella realtà Giacobbe non fu in grado di vincere nel sonno l’inviato divino.

Il fatto che qui si tratti di Michele stesso, il volto di Jahve, è testimoniato dalle parole di Giacobbe alla fine della visione notturna: «Ho visto Dio faccia a faccia eppure la mia anima è rimasta salva(43)» (Gen. 32, 31). La sua anima, vale a dire la sua coscienza individuale, sicuramente non avrebbe potuto preservarsi se nei mondi spirituali egli si fosse incontrato con Jahve stesso faccia a faccia (infatti più tardi Mosè potè guardarlo soltanto da dietro, ed Elia dovette coprirsi il volto dinanzi ad esso). Giacobbe poteva incontrare «faccia a faccia», senza morire, soltanto il «volto» del Dio Jahve: Michele, il cui nome significa «simile a Dio!»

 

Così la celeste Sofìa potè rivelarsi all’antico popolo ebraico, prima della venuta del Cristo sulla Terra, come essere gerarchico «sobornico»(44) soltanto (contando dal basso) fino alla sua quinta parte costitutiva(45), a Eloah Jahve, guida dell’antico popolo ebraico.

Soltanto molto più tardi, nelle discipline della cabala portate già da Babilonia e tramandate dapprima soltanto oralmente (furono scritte per la prima volta nel XII-XIII secolo d.C.), nel popolo giudaico si fece strada l’idea della parte costitutiva più elevata della Sofìa, che si trova al di sopra di Jahve e persino al di sopra della sfera che Giacobbe potè appena toccare (la sfera degli Spiriti del movimento) per cui pagò con la lussazione del femore.

 

Nel libro principale della Cabala, il «Sohar», questa sfera spirituale fu denominata «En-soph», che significa «non essere» o «non-qualcosa», come viene chiamata la suprema divinità che, come tale, è irraggiungibile per la conoscenza dell’uomo della Terra, e a cui si può fare riferimento soltanto indirettamente mediante una definizione negativa. La sillaba «Soph» che appare nel nome, testimonia però anche il rapporto con il nome babilonese Soph-Ea, Sophia, vale a dire con la più elevata gerarchia della Sofìa, gli Spiriti della saggezza.

 

L’azione della celeste Sofìa nell’antico popolo ebraico, viene però ad espressione attraverso la nascita in esso di una propria legge morale, cosa che avvenne allora per la prima volta nella storia dell’umanità, cosicché la sua azione ebbe principalmente un carattere morale:

▸«Soltanto attraverso la cultura ebraico-giudaica venne effettivamente inoculato nell’umanità l’elemento morale. [Infatti] l’elemento morale nella cultura pagana non aveva un’esistenza separata. In compenso, questa antica cultura pagana era conformata in modo tale che l’uomo si sentiva come una parte costitutiva dell’intero cosmo.»30

 

Nell’antico ebraismo però questo elemento morale «separato» non scaturiva ancora dall’anima umana, ma le veniva conferito mediante la rivelazione dall’esterno, attraverso i comandamenti. Questo si mostra con particolare chiarezza nei cosiddetti proverbi di Salomone, nei quali l’«acquisizione della saggezza», vale a dire la ricerca della Sofìa e il diretto rapporto con essa, diventa il più alto comandamento, e l’adempimento di tale aspirazione non porta tanto alla saggezza, nel senso di conoscenza, quanto al risveglio della volontà di conseguire le più elevate virtù.

In questo modo l’impulso della Sofìa compenetra tutta la storia spirituale dell’antico popolo ebraico, fino a presentarsi nei pastori nei campi.

 

In tutt’altro modo invece si esplicò l’azione della Sofìa nel mondo pagano, che dopo un’evoluzione durata millenni, appare alla svolta dei tempi nelle figure dei tre magi dell’oriente. Rudolf Steiner ne diede la seguente caratterizzazione:

▸«Questa fu una delle correnti, la corrente pagana [l’altra fu quella antico-ebraica], che era una Sofìa della natura, che vedeva lo spirituale ovunque nella natura, e poteva guardare anche all’uomo considerandolo sì un essere della natura, ma tuttavia un essere spirituale, perché appunto vedeva anche lo spirituale in tutti gli esseri della natura. Il suo aspetto più puro e più bello emerge in Grecia e in particolare ancora nell’arte greca»,31

come pure nel rapporto con la natura attraverso l’esperienza del pensiero, il quale costituì la base per l’intero sviluppo della scienza in Europa (specialmente con le opere di Aristotele).

 

Rudolf Steiner caratterizzò così la corrente antico-ebraica in confronto a quella antico-greca:

▸ «L’altra è la corrente giudaica dell’Antico Testamento. Non possiede alcuna saggezza della natura. Per quanto riguarda la natura, possiede soltanto la visione dell’esistenza fisico-sensibile. In compenso questa concezione dell’Antico Testamento è rivolta alle fonti originarie della moralità, collocate tra morte e nuova nascita, alle fonti originarie che però ora non guardano all’elemento naturale nell’uomo. Per l’Antico Testamento non esiste alcuna scienza naturale, ma soltanto l’osservanza dei comandamenti divini».

 

Questi «comandamenti divini» pervennero al popolo dell’Antico Testamento da Eloah Jahve stesso, il quale era per gli antichi ebrei la parte costitutiva più elevata da essi raggiungibile della celeste Sofìa. In origine era uno dei sette Elohim solari, che dopo la separazione della Luna dalla Terra fece il sacrificio di scegliere la Luna come sua ulteriore dimora e luogo di azione.32

Dopo che Jahve da Eloah solare divenne un Eloah lunare, vale a dire da spirito «diurno» divenne uno spirito «notturno», assunse la guida della storia spirituale dell’antico popolo ebraico, per condurlo alla realizzazione della sua più importante missione terrestre: la preparazione degli involucri corporei per l’incarnazione dell’entità cosmica del Cristo sulla Terra. Questo compito venne poi realizzato da Jahve attraverso una successione di spiriti al suo servizio, appartenenti a diverse categorie di entità della terza gerarchia. Il carattere e le particolarità di tale guida saranno ora considerati più attentamente.

 

 


 

Note tra parentesi:

(42) – Rudolf Steiner parlò più volte della particolarità della percezione nei mondi superiori, per cui gli esseri e gli avvenimenti appaiono all’uomo come un’immagine riflessa (vedi: La scienza occulta (O.O. 10), cap. ‘La conoscenza nei mondi superiori’).

(43) – Nella traduzione russa non è riportato «salva», bensì «mantenuta».

(44) – La parola «sobornico» (sost. «Sobornost» in russo) deriva dalla radice «sobor» e significa sia «cattedrale» sia «grande riunione spirituale, concilio». Entrambi i significati sono connessi al verbo «Sobiratjsja» (incontrarsi, riunirsi).

(45) – Vale a dire, tradotto nella scrittura delle stelle: dai pesci allo scorpione (aquila).29

 

Note:

27 – Vedi Sergej O. Prokofieff, Le dodici notti sante e le gerarchie spirituali, parte

  1. cap. 1 «Il cerchio dello Zodiaco e le Gerarchie Spirituali», Ed. Arcobaleno, Oriago (VE)

28 – Si può dire che Giacobbe toccò la sfera degli Spiriti del movimento, ciò che ebbe come conseguenza la lussazione del suo cavo del femore (vale a dire l’ambito della «Bilancia», e cioè l’ambito dello zodiaco collegato agli Spiriti del movimento; vedi nota 27). L’accesso alla sfera degli Spiriti della saggezza gli fu tuttavia sbarrato. Questo è collegato al fatto che gli Spiriti della saggezza agiscono dal Sole come una unità, poiché nella loro evoluzione hanno già superato la differenziazione dei singoli pianeti, mentre invece gli Spiriti della forma e gli Spiriti del movimento, che agiscono anche loro dal Sole, devono differenziare la loro azione ancora in base alle sfere planetarie (vedi O.O. 136, 13.4.1912). Detto in altre parole, l’azione degli Spiriti della saggezza è un’azione puramente solare (stellare), mentre quella degli Spiriti della forma e degli Spiriti del movimento è un’azione solare-planetaria. (Sui due aspetti, quello solare, e quello stellare-planetario vedi anche nota 27, parte I, cap. 2)

29 – vedi nota 27

30 – O.O. 193, 4.11.1919

31 – O.O. 210,18.2.1922 e la seguente citazione

32 – O.O. 11, cap. «L’uscita della Luna», e O.O. 103, 20.5.1908