Le quattro fasi preparatorie dell’evoluzione nordico-germanica, corrispondenti ai quattro periodi di civiltà del mondo mediterraneo.

O.O. 92 – Leggende e misteri antichi – 12.05.1905


 

Sommario: Le quattro fasi preparatorie dell’evoluzione nordico-germanica, corrispondenti ai quattro periodi di civiltà del mondo mediterraneo. La nascita dell’io nella quinta fase. La rappresentazione di questo evento nella tetralogia wagneriana. Il significato esoterico di alcuni momenti di tale rappresentazione. Il problema della bisessualità com’è vissuto nel Tristano e Isotta. Il superamento di questo problema nell’amore cristiano. Un accenno al Parsifal.

 

Nella conferenza precedente abbiamo visto come il grande compositore si sia richiamato al mito per rappresentare il succedersi di eventi che hanno una portata universale. Nel mito di Sigfrido si esprime l’intero contenuto della concezione nordica del mondo, fino all’avvento del cristianesimo. Questa concezione del mondo è orientata in senso tragico; il suo punto d’arrivo è il crepuscolo degli dèi. Che cosa significa questo orientamento tragico?

 

Ho detto che dei misteri erano presenti anche nel nord; nel loro ambito, i discepoli ricevevano una spiegazione del perché il mito nordico si concludesse con il crepuscolo degli dèi. In questi misteri veniva svelato qualcosa di ciò che era ancora nascosto, e che sarebbe accaduto solo nel futuro. I sacerdoti del nord erano chiamati ad annunciare che l’antico mondo degli dèi sarebbe tramontato, e che, dal fuoco in cui doveva perire il mondo nordico, un nuovo mondo si sarebbe innalzato, attraverso il Cristo, a un amore purificato. Il passato doveva morire; di qui l’orientamento tragico al momento della fine. Ecco ciò che Wagner riesce così mirabilmente a far trasparire: questa atmosfera di preparazione propria delle saghe nordiche, che si stempera infine nel crepuscolo degli dèi.

 

La concezione nordica del mondo contempla quattro fasi. Fino alla venuta del Cristo, l’umanità è passata attraverso quattro stadi. Noi oggi apparteniamo al quinto periodo di civiltà della epoca della Terra; la nostra civiltà è stata preceduta da altre: quella sanscrita, quella di Medi e Persiani e quella caldeo-babilonese-egizia; poi viene, quarta, la civiltà greco-latina, mentre nel nord abbiamo la stirpe teutonico- germanica. A questo punto, con l’irrompere del cristianesimo si compie una svolta decisiva. In questo stadio cambierà tutto, e per il vecchio mondo sarà la fine. L’avvenimento è simboleggiato con grande efficacia nel racconto di Vinfrido – Bonifacio che abbatte la quercia sacra. Negli antichi misteri, “quercia” è sinonimo di “druido”, e dunque l’abbattimento della quercia sta a significare l’annientamento dell’antica religione nordica. I misteri nordici hanno preannunciato questa sconfitta del culto druidico.

 

Contemporaneamente all’evolversi delle prime quattro civiltà nel sud, le popolazioni del nord si sono preparate questa loro specifica evoluzione. Anche qui abbiamo quattro fasi, anche qui l’evoluzione attraversa quattro stadi, l’ultimo dei quali si identifica appunto con il crepuscolo degli dèi. È caratteristico che in queste quattro fasi si ripeta tutta l’evoluzione umana precedente. L’umanità è passata attraverso differenti stati. Il mito nordico è una specie di rievocazione di tutta quanta la storia della Terra, che vive in esso come immagine, come contenuto mitico. E i quattro stadi dell’evoluzione vivono anche nei drammi wagneriani, giacché questi suoi drammi Wagner li ha ricavati dal mito. A buon diritto ha composto una tetralogia. Nelle sue quattro parti, incluso il Prologo, si delinea l’evoluzione dell’umanità; il quinto stadio sarà quello del cristianesimo.

Qual è il motivo di fondo dell’Oro del Reno. E qual è il motivo di fondo della nostra attuale epoca? Se risaliamo all’epoca polare, vi troviamo degli uomini che non possedevano ancora una coscienza di sé e non erano ancora differenziati sessualmente; lo stesso dicasi degli Iperborei. Solo nella terza epoca della Terra, nell’epoca lemurica, l’uomo diventa unisessuale. E solo nell’epoca atlantica, nel suo quinto periodo di civiltà, nasce l’io. Accade allora per la prima volta che l’uomo chiami “io” se stesso. Nel mito, questa coscienza dell’io viene rappresentata sotto forma di un nano, Alberico, ed è concepita come emergente dal Nifelheim. Il Nifelheim era l’Atlantide, e il suo nome significa a giusto titolo “paese della nebbia”. La nostra atmosfera terrestre non si era ancora depurata dei vapori acquei, né v’erano ancora precipitazioni piovose. L’io umano è nato da questo Nifelheim, con le sue acque gorgoglianti e le sue nebbie sospese. Wagner ne restituisce un’impressione grandiosa con l’accordo in mi bemolle maggiore dell’orchestra; il motivo di fondo della nostra umanità, dell’umanità attuale, risuona dal Nifelheim.

 

Rendiamoci conto di ciò che è accaduto sulla Terra in quell’epoca. L’uomo è giunto sulla Terra come essere animico. Il suo corpo era nato dalla Terra eterica. Non c’è ancora distinzione fra maschio e femmina, e l’uomo ancora non conosce affatto né possesso né potere. L’acqua rappresenta l’anima, e così sul possesso, che insieme è potere, vigilano ancora le potenze fluttuanti del mondo astrale, le figlie del Reno. Nondimeno, si prepara lentamente quello che si presenta nell’epoca atlantica: l’io, l’egoismo. Nell’essere animico primordiale era insito però qualcosa cui l’uomo, adesso, deve rinunciare: l’amore, l’amore che non cerca ancora un essere al di fuori di sé, ma riposa in se stesso. E questo amore concluso in se stesso ciò cui Alberico deve rinunciare. E può farlo grazie all’anello, che riunisce la totalità dell’uomo. Finché era durata la bisessualità, l’uomo non aveva avuto bisogno dell’anello; soltanto nel momento in cui egli rinuncia all’amore animico, alla bisessualità, bisogna che l’anello riunisca esteriormente quanto è separato. Per l’uomo, adesso, l’amore è accessibile solo nell’unione con un altro essere, separato da lui. L’anello è il simbolo del ricongiungimento di esseri umani separati, è la riunione dei due sessi nella fisicità. Nel momento in cui si appropria dell’anello, Alberico deve rinunciare all’amore. È giunto ormai il tempo in cui l’uomo non è più in grado di creare in una condizione di unità. Prima d’ora, corpo, anima e spirito erano una cosa sola. Adesso la divinità crea il corpo dall’esterno. C’è una contrapposizione ostile fra i sessi, che vengono simboleggiati dai due giganti Fafner e Fasolt. Il corpo umano è diventato unisessuale.

 

Nelle religioni antiche il corpo umano è stato rappresentato come un tempio; la divinità lavora ad esso dall’esterno. Il tempio interiore, la nostra anima, deve edificarlo l’uomo stesso, da quando è diventato un io. Nella divinità creatrice l’amore permane ancora, e continua a lavorare al “tempio esteriore”. Nel mito, questo aspetto viene in luce nel punto in cui Wotan vuole sottrarre l’anello ai giganti, ma gli appare Erda che lo dissuade dal farlo. Erda è l’universale coscienza chiaroveggente dell’umanità. Il dio non può serbare l’anello, che unisce ciò che è destinato a separarsi, e a ricongiungersi solamente in uno stadio superiore, quando i sessi avranno raggiunto una fase neutrale. A Wotan, dunque, la forza profetico-chiaroveggente della coscienza terrestre impedisce di impossessarsi dell’anello; esso rimane ai giganti. In ciascun uomo resta, d’ora in poi, un unico sesso. Il gigante rappresenta la corporeità fìsica. Solo ora i giganti edificano il Walhalla. Nella lotta per l’anello, Fasolt viene ucciso da Fafner: è la contrapposizione fra l’elemento maschile e quello femminile. In ciascun uomo, uno dei due sessi viene soppresso; il maschio uccide in sé la femmina, la femmina il maschio.

 

Ma ora, dalla coscienza terrestre deve generarsi la coscienza superiore. È ciò che avviene con l’unione fra Wotan ed Erda, dalla quale nasce Brunilde. In Brunilde è tuttora presente qualcosa della divina saggezza universale della coscienza cosmica. Quest’ultima comincia tuttavia ad affievolirsi. Wotan genera invece con una moglie terrena Siegmund e Sieglinde, personificazioni della bisessualità animica, dell’anima maschile e di quella femminile. Nessuna di queste due anime può continuare a vivere da sola. L’anima femminile, Sieglinde, diviene preda di Hunding; l’anima deve sottomettersi al cervello fisico. E per Siegmund, per l’anima rinchiusa nel corpo, non c’è più via di uscita; quest’anima non è potente abbastanza da avvicinarsi al divino, ormai perduto. Gli dèi non possono proteggere Siegmund; la sua spada si frantuma contro la lancia di Wotan.

 

Wotan quindi deve cedere la funzione di guida al sé umano che agisce interamente entro la sfera dei sensi, deve cederla ad Hagen figlio di Alberico, al principio del sé inferiore. Tutte le potenze congiurano contro il legame di anima maschile e anima femminile. Fricka deve soccorrere lo stesso Wotan. Ella, che rappresenta l’anima maschile-femminile nello stadio superiore, incita Wotan a sciogliere il vincolo fra anima maschile e anima femminile nello stadio terreno. Nella vita si conserva una connessione fra la componente animica maschile e quella femminile, ma sulla Terra entra in gioco il sangue, entra in gioco la sensualità. Ne abbiamo una profonda espressione nell’episodio dell’amore fra i due fratelli. È questo l’elemento illecito che entra in gioco, e, quando esso prende il sopravvento, Siegmund e Sieglinde devono perire, la fisicità è destinata a rovinare. Sieglinde deve venire annientata dalla coscienza universale, da Brunilde; tutta l’evoluzione della Terra sarebbe altrimenti ostacolata. Brunilde però le viene in soccorso, e le dà il suo cavallo, Grane, che porta l’uomo attraverso gli eventi terreni. Poi si richiude nell’esilio; una vampa magica circonda la sua rupe. Ora la coscienza chiaroveggente è cinta dal fuoco, e l’uomo, se vuole ritornare a questa coscienza universale, deve prima attraversare questo fuoco per esserne purificato.

 

Ma Sieglinde, l’elemento animico-femminile, dà alla luce Sigfrido, la coscienza umana, che dovrà nuovamente innalzarsi al mondo superiore. Sigfrido cresce appartato, in compagnia di Mime. Per guadagnarsi il potere, egli deve sconfiggere la natura inferiore, il drago. E sconfiggerà anche Mime. Chi è Mime? È colui che può fornire qualcosa che rende invisibili, la cappa magica, qualcosa di una potenza che non è visibile agli uomini comuni. La cappa che rende invisibili è il simbolo del mago – del cultore di magia bianca o magia nera, indifferentemente -, che si muove visibilmente in mezzo a noi, ma che, in quanto tale, è invisibile. Mime è il mago che, valendosi di forze terrestri, di forze nere, può fornire la cappa che rende invisibili. Egli vuole istruire Sigfrido nella magia nera, vuole farne un mago, ma non è questo ciò che vuole Sigfrido. Sigfrido ha ucciso il drago, ne ha inghiottito una goccia di sangue, del sangue che è il simbolo delle passioni, ed è in grado pertanto di intendere il linguaggio degli uccelli, del mondo sensibile-terrestre. Egli può cominciare il cammino dell’iniziato superiore; la via che gli viene mostrata è quella che conduce a Brunilde, alla coscienza universale.

 

Abbiamo fin qui tre fasi dell’evoluzione nordica: dapprima il nano, poi il gigante, e adesso l’uomo. La valchiria rappresentava la seconda fase, mentre solo con Sigfrido nasce propriamente l’uomo. Rinchiuso nella corporeità, egli deve ritrovare la via che conduce alla saggezza pura. La quarta parte della tetralogia, quella del crepuscolo degli dèi, ci dice che nel mondo nordico l’uomo non era ancora maturo, non aveva conseguito ancora la piena iniziazione. C’è ancora un punto dove Sigfrido rimane vulnerabile, ed è il medesimo punto sul quale poggerà la croce portata dal Cristo. Sigfrido non può ancora prendere la croce su di sé. In questo vi è un profondo riferimento a ciò che ancora mancava al popolo nordico, al fatto che gli era ancora necessario il cristianesimo. Sigfrido non può unirsi con Brunilde; egli è l’anima umana, è stato generato dalla donna terrena, è il frutto dell’unione di Siegmund e Sieglinde. Brunilde è la vergine pura, la coscienza superiore.

 

Nell’ultima fase, quella che bisogna raggiungere è la conoscenza superiore. Poiché l’uomo non ha ancora ottenuto la facoltà di unirsi con la saggezza verginale, il suo impulso alla conoscenza superiore si manifesta come desiderio. Questo deve essere vinto. E la volontà di Sigfrido, la sua brama terrena di unirsi con Brunilde, porta allo scambio reciproco dei beni di ciascuno: Brunilde dona il cavallo, egli l’anello.

 

Prima che l’uomo possa unirsi con il sé superiore, l’anello, la costrizione esteriore, non ha ancora perso il suo potere. L’uomo sprofonda nella coscienza inferiore, è ottenebrato. Sigfrido dimentica Brunilde e si lega a Gudrun, la coscienza inferiore. Giunge al punto di voler conquistare Brunilde per un altro, per Gunther, l’indegno. Questo significa che nell’ultima fase, prima dell’avvento del cristianesimo, l’uomo ancora una volta si svia, si fa schiavo di potenze oscure. L’indebita unione di Brunilde con Gunther è la causa della rovina di Sigfrido. Egli troverà inevitabilmente la morte per opera di quelle potenze inferiori delle quali si è reso schiavo.

L’ultima fase è ormai prossima. Compaiono ancora una volta le tre Norne. È la fase che segna il venir meno della coscienza universale:

 

E alla fine il sapere eterno!

Più nulla annunziano al mondo le sagge. – Giù!

Alla madre! Giù!

 

La saggezza superiore, che era stata data un tempo ai figli degli dèi, sparisce dalla Terra e fa ritorno all’eternità.

L’umanità è abbandonata a se stessa.

 

A uno sguardo approfondito, il Tristano e Isotta si presenta come il dramma musicale nel quale il problema della dualità dei sessi si ripropone a Wagner con sempre maggiore chiarezza. Maschile e femminile hanno un senso solo per il piano fisico. Tristano anela a superare la separazione, a trovare un’armonia, ad avere una coscienza che non sia più maschile o femminile. E questo l’anelito che fluttua e ondeggia nel dramma: non essere più l’io-Tristano, ma avere accolta in sé anche Isotta; non essere più l’io-Isotta, ma essere Isotta e Tristano. In entrambi, la coscienza di questa separazione è smarrita. È ciò che risuona nelle parole finali del dramma, è la liberazione dallo stato di separazione:

 

Nel flusso ondeggiante del mare di delizia,

nell’armonia risonante delle onde fragranti,

nello spirante universo del respiro del mondo

– annegare, inabissarmi – senza coscienza – suprema voluttà!

 

Ogni parola manifesta l’impronta di una conoscenza molto profonda. Questo ondeggiante mare di delizia è il mondo astrale, e il mondo che riecheggia di suoni fragranti è il devacian. Il respiro del mondo è il principio vitale, tutto vi si deve armonizzare. Nella coscienza più nessuna separazione; annegare, inabissarsi nell’indifferenziato, senza coscienza: ecco la voluttà, la gioia suprema. Per la natura terrena, in realtà, la gioia suprema è superare l’elemento sensibile in virtù di quello spirituale. La gioia, che tende all’annientamento della natura terrena, nobilita; è il superamento di ciò che essa stessa ha in sé. È questo il problema che Wagner ha cercato di risolvere nel Tristano e Isotta.

 

Non che in Wagner tutti questi pensieri fossero presenti in forma cosciente, astrattamente teorica; essi però vivono nei miti, e Wagner li ha tratti appunto dai miti. L’artista non ha bisogno di concepire questi pensieri in forma astratta. Così come vi sono leggi che presiedono alla crescita della pianta, ma che la pianta ignora, allo stesso modo le forze universali vivono nel mito, quali immagini simboliche della verità divina, della verità eterna.

 

Il Sigfrido wagneriano è ancora impigliato nell’elemento terreno, è destinato a perirvi. Brunilde riconosce questo legame, e comprende di che cosa si tratti. Restituisce quindi l’anello alle figlie del Reno, all’elemento che non è entrato nel gioco di questo mondo. L’intera evoluzione dell’umanità ritorna alla materia primordiale, verginale.

 

Alla vecchia concezione del mondo, quella nordica, ne subentra una nuova, che non fa più appello all’esteriorità, all’elemento sensibile, ma solo a ciò che ha conservato una verginità incontaminata, all’anima. Brunilde, lei pure impigliata nell’esteriorità, nell’elemento sensibile, a motivo della sua unione con Sigfrido, si lancia a cavallo nel fuoco. Lì si genera l’amore. Questo è un pensiero che per il nord, inizialmente, è ancora tragico; ciò che infatti si era capaci di comprendere va in rovina. Dal mare di fuoco, dalla materia primordiale, verginale, lo Spirito genera l’amore. «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria virgine». Dal medesimo elemento dal quale in precedenza era nato l’egoismo, l’amore sensuale, viene generato adesso un nuovo sentimento, che si innalza al di sopra di tutto ciò che è impigliato nel piano fisico. La saggezza si fa indietro, perché da quell’elemento in cui si è serbata la purezza verginale possa scaturire l’amore, che si identifica con il Cristo, con il principio cristiano. L’amore altruistico opposto all’amore egoistico, ecco la grande evoluzione ottenuta a prezzo della misteriosa involuzione della morte, della fine dell’elemento fisico. C’è qui, nettissimo, il senso dell’opposizione vita-morte.

 

Il legno è la vita disseccata, e da questo legno pende la nuova vita, la vita eterna, dalla quale ora nasce la nuova epoca. Dal crepuscolo degli dèi scaturisce una vita nuova, spirituale. Come ambisse, dopo avere riattraversato le quattro fasi della vita nordica, a rappresentare il principio cristiano nella sua profondità, Wagner ce lo ha dimostrato con il Parsifal — nel quale abbiamo la quinta fase. Per Wagner, che aveva conosciuto fino in fondo il senso tragico dell’evoluzione nordica, la glorificazione del cristianesimo era una necessità inevitabile.