Mistica e matematica

O.O. 326 – Nascita e sviluppo storico della scienza – 26.12.1922


 

Sommario: La matematica è estratta dal nostro sistema locomotore. Mistica e matematica. Triangolo e quadrato. Il sistema delle coordinate trasposto fuori dell’uomo, nello spazio astratto. Cartesio, Spinoza. L’estinzione delle esperienze antiche: diventa possibile l’immagine copernicana del mondo, e la scoperta della circolazione del sangue.

 

Nelle due conferenze che precedono, ho cercato di indicare il momento in cui, nel corso dell’evoluzione storica moderna, è nato il modo di osservare e di pensare proprio di quella che Oggi consideriamo la scienza. Ho mostrato come il vero carattere del pensiero scientifico, quale si rivela per primo e nel modo più evidente nella concezione astronomica di Copernico, dipende dal modo in cui a poco a poco il pensiero matematico è stato posto in rapporto con la realtà esteriore. In realtà sono state straordinariamente importanti per lo sviluppo scientifico moderno le conseguenze della rivoluzione avvenuta nel pensiero umano, anche riguardo al pensiero matematico. Oggi si è straordinariamente propensi a considerare appunto come valido in assoluto il modo di pensare del nostro tempo, senza prestare per lo più alcuna attenzione a quanto si siano trasformate le condizioni. Si ha una certa posizione nei confronti della matematica, e una certa opinione sui rapporti fra la matematica e la realtà fisica del mondo; si è convinti che questo rapporto sia quello giusto e necessario. Certo, se ne discute anche, ma entro certi limiti si ritiene che quel rapporto sia giusto, senza rendersi conto che in un passato niente affatto remoto l’umanità considerava la matematica con un atteggiamento molto diverso. Basterebbe ricordarsi con sufficiente precisione di un fatto d’altra parte ben noto: poco dopo il momento che ho definito come il più significativo della vita culturale dei tempi moderni, quando il Cusano pubblicò i suoi pensieri così importanti, non solo Copernico si propose di spiegare i movimenti del sistema solare con un pensiero orientato dalla matematica, un pensiero già orientato secondo i criteri che si considerano validi ancor oggi, ma perfino dei filosofi come Cartesio o Spinoza proclamarono come loro ideale l’applicazione del modo di pensare matematico alla descrizione dell’intero edificio fisico e spirituale dell’universo.

 

Lo Spinoza attribuì un’importanza particolare al fatto di esporre nella sua Etica i propri princìpi e ragionamenti filosofici secondo il metodo delle deduzioni matematiche; anche se in quell’opera non appaiono formule o calcoli: il modo di formulare giudizi, di derivare leggi successive da leggi precedenti è quello della matematica. I contemporanei avevano preso a ritenere cosa del tutto naturale che la matematica dovesse venire considerata come il modello per l’acquisizione di una certezza interiore: erano convinti che si sarebbe pervenuti a qualcosa che dovrebbe corrispondere alla realtà, se si fosse riusciti a esprimere il corso del mondo con pensieri collegati gli uni agli altri, con il medesimo rigore meticoloso che è proprio dei pensieri del sistema matematico o geometrico. Se però vogliamo afferrare in modo corretto il carattere del pensare scientifico, occorre assolutamente comprendere a fondo la posizione che si è assunta nei riguardi della matematica e del suo rapporto con la realtà. In quei secoli la matematica era gradualmente diventata ciò che vorrei definire come una facoltà di pensare autosufficiente: così vorrei definirla, in confronto a un atteggiamento di tempi precedenti, sul quale ritornerò a parlare fra poco. Che cosa intendo dire, con questa definizione?

 

È senz’altro lecito affermare che per i tempi di Copernico 0 di Cartesio, la matematica può essere caratterizzata press’a poco come la si può caratterizzare anche ai nostri giorni. Prendiamo ad esempio un matematico odierno che espone la geometria, e che nel mondo dei concetti geometrici ricerca anche le sue formule analitiche, al fine di comprendere questo o quel processo fisico. Nella sua geometria, questo matematico prende le mosse dallo spazio tridimensionale, se segue la geometria euclidea, o comunque da uno spazio dimensionale, qualora si voglia tener conto anche della geometria non-euclidea; nello spazio tridimensionale egli distingue tre direzioni perpendicolari fra loro, ma per il rimanente equivalenti. Si può affermare che lo spazio sia una formazione autosufficiente di cui si acquista semplicemente coscienza, senza preoccuparsi donde scaturisca il pensare geometrico in genere. Data l’esteriorità che nei tempi recenti il pensiero psicologico ha sempre più adottato, è del resto naturale che non si pervenga neppure più alle profondità dalle quali emergono per esempio i fondamenti del pensare geometrico. Si accetta come un dato di fatto la coscienza ordinaria e la si riempie con la matematica escogitata, ma non sperimentata. Prendiamo in considerazione il caso particolare delle tre dimensioni perpendicolari tra loro dello spazio euclideo, anch’esse pensate, ma non sperimentate veramente. L’uomo non sarebbe però mai pervenuto a concepire le tre dimensioni ortogonali dello spazio euclideo, se non sperimentasse in se stesso un triplice orientamento.

 

Il primo orientamento che l’uomo sperimenta in sé è quello che procede dall’avanti all’indietro. Basta riflettere a come, secondo l’odierno modo della osservazione anatomico-fisiologica, si svolgano nell’uomo (e in questo contesto non occorre parlare anche degli animali) per esempio le funzioni dell’alimentazione e dell’escrezione, e anche altre funzioni che si svolgono nella direzione davanti-dietro; e riflettere a quanto sia diverso nell’uomo questo orientamento da quello che si sperimenta nell’eseguire per esempio un movimento col braccio destro, e uno simmetrico col sinistro. In quest’ultimo caso i processi sono orientati appunto secondo la simmetria bilaterale orientata da destra a sinistra. E infine ricordiamoci che, per quanto riguarda un altro orientamento, l’uomo lo consegue solamente a un certo punto della sua esistenza terrestre: da principio egli si muove strisciando e solo a poco a poco si erge in piedi, di modo che viene a formarsi in lui stesso un orientamento dall’alto in basso, o dal basso in alto.

 

Questi tre orientamenti dell’uomo vengono oggi considerati in modo piuttosto esteriore, in quanto i processi che nell’organismo umano si svolgono essenzialmente dall’avanti all’indietro, da destra a sinistra (o da sinistra a destra) e dall’alto in basso, non vengono sperimentati nella loro qualità interiore, ma solo osservati esteriormente. Se, grazie a una psicologia effettiva, si potesse guardare indietro a epoche passate, si apprenderebbe appunto che per la sensibilità e la capacità di esperienza di un’umanità più antica questi tre orientamenti rappresentavano esperienze interiori. Come oggi si ammette ancora, sia pure con una certa riluttanza, il fatto che si coltivino dei pensieri, o che si provino dei sentimenti, così l’uomo del passato aveva una effettiva esperienza interiore per esempio dell’orientamento dall’avanti all’indietro. Egli non aveva ancora perduto la facoltà di sperimentare l’attenuarsi del senso del gusto che si esplica intensamente nella parte anteriore della bocca, e poi si affievolisce più indietro. Era un’esperienza reale e concreta per l’uomo il fatto qualitativo consistente nell’intensa presenza del gusto sulla parte anteriore della lingua e della sua graduale diminuzione verso l’indietro (cioè nella direzione dell’orientamento in questione), per poi perdersi del tutto. Con questo genere di esperienze qualitative si seguiva anche quel particolare orientamento (davanti-dietro), di cui oggi l’uomo non è più altrettanto dotato interiormente quanto lo era nel passato. Perciò certe esperienze come quella ora accennata gli sono oggi precluse. Così pure egli non possiede oggi una sensazione viva della posizione dell’asse visivo, attuata per fissare un dato punto mediante la convergenza dell’asse dell’occhio sinistro con quello destro. E neppure ha una sensazione concreta di quanto avviene nell’orientamento destra-sinistra, per esempio nel coordinare i movimenti degli arti superiori dei due lati. Meno che mai poi possiede la sensazione che gli consenta di dire che il pensiero nasce nel capo, e poi procede nel capo verso il cuore, cioè nell’orientamento dall’alto verso il basso: una sensazione che, come esperienza, gli è andata perduta, insieme all’interiorità dell’esperienza generale del mondo. Un tempo però tale esperienza esisteva effettivamente; l’uomo sperimentava anzitutto in se stesso, i tre orientamenti spaziali ortogonali. Erano queste, la sua esperienza interiore del davanti-dietro, dell’alto-basso, del destra-sinistra, a costituire la base dello schema spaziale tridimensionale. Questo schema è soltanto un’astrazione dell’esperienza diretta che ho ora caratterizzata. Come possiamo dunque caratterizzare la geometria (cioè una parte della matematica), se prendiamo in considerazione i tempi più antichi? Possiamo dire che l’uomo dei tempi antichi si rendeva conto che il fondamento della matematica, della geometria, gli si rivelava grazie alla sua natura umana nella vita stessa, e la comprensione geometrico-spaziale del mondo nasceva dal fatto di prolungare fuori di sé la sua diretta esperienza personale dell’alto-basso, del destra-sinistra, del da vanti-dietro.

 

Occorre veramente sentire l’enorme differenza esistente fra questa sensazione matematica legata all’esperienza umana, e il vuoto schema spaziale della geometria analitica che pone un punto in uno spazio astratto, traccia tre coordinate ortogonali, separando da qualsiasi sua esperienza lo schema spaziale escogitato. In realtà l’uomo ha in precedenza estratto questo schema spaziale astratto dalla propria vita interiore. Se dunque si vuole comprendere giustamente l’origine della concezione matematica più recente, che ha poi determinato la scienza, nell’affermazione autosufficiente delle sue entità, bisogna realmente farla derivare dalla matematica sperimentata in tempi più antichi nell’uomo stesso. Oggi è interamente racchiuso nel subconscio quello che una volta esisteva, vorrei dire, in un’esperienza sognante della tridimensionalità interiore, e che in seguito è diventato astratto. Di fatto ancora oggi l’uomo ricava la matematica dalla propria tridimensionalità interiore; senonché l’estrazione dello schema spaziale dall’esperienza interna dell’orientamento avviene oggi nell’uomo in modo del tutto incosciente: nulla ne perviene alla coscienza. Nella coscienza emerge per esempio lo schema spaziale bell’e compiuto, come del resto tutte le formazioni matematiche distaccate dalla loro radice. Io ho scelto l’esempio dello schema spaziale, ma potrei menzionare qualsiasi altra categoria matematica, sia dal campo dell’aritmetica, sia da quello dell’algebra o dell’analisi. Tutte quante non sono altro che schemi elevati ad astrazioni, ma scaturiti originariamente da un’esperienza umana diretta.

 

Se, nel considerare il modo in cui si affrontava la matematica, risaliamo di un paio di secoli prima del quindicesimo o sedicesimo, troviamo almeno ancora un’eco dei sentimenti che nell’antichità suscitavano i numeri. Del resto non si sarebbero neppur potuti trovare dei nomi per i numeri, nell’epoca in cui questi erano già diventati le astrazioni che sono oggi. Spesso i nomi dei numeri sono straordinariamente caratteristici: si pensi alla parola zwei che esprime ancora distintamente un processo concreto: entzweien (spaccare in due, separare), e quest’ultima ha perfino un’affinità con zweifeln (dubitare). Se il numero due (zwei) viene espresso dalla radice di entzweien non si tratta però di un riferimento a qualcosa di esteriore, bensì proprio di un’esperienza interiore fatta schema, come è avvenuto per lo schema spaziale tridimensionale.

 

Si ritorna così a un’epoca che era ancora presente nella sua piena vitalità spirituale nei primi secoli cristiani, la cui caratteristica spirituale risulta anche dal fatto che la matematica (in greco màthesis significa dottrina, oggetto di cognizione, conoscenza) veniva considerata quasi la stessa cosa che la mistica. Mistica, màthesis, matematica sono una cosa sola, sia pure solo sotto certi riguardi. Per un mistico dei primi secoli cristiani la vera mistica è ciò che si sperimenta nell’anima, mentre la matematica è mistica che si sperimenta piuttosto esteriormente, mediante il corpo: per esempio la geometria mediante gli orientamenti del corpo nelle tre direzioni: davanti-dietro, destra-sinistra, alto-basso. Si potrebbe dire che la mistica propriamente detta è mistica dell’anima, mentre la matematica, màthesis, è mistica del corpo, sperimentata tramite il corpo. L’una era esperienza interiore, l’altra veniva sperimentata grazie al fatto che non si era ancora perduta la facoltà di averne coscienza tramite il corpo.

 

In realtà, il modo in cui un Cartesio o uno Spinoza sentono ancora la matematica o il metodo matematico è del tutto diverso dà quello attuale. Si provi ad immergersi nelle opere di questi pensatori, ma non così esteriormente come lo si fa oggi, pretendendo sempre di ritrovare negli antichi i concetti che ci vengono oggi inculcati: se si approfondisce il loro pensiero in modo non egoistico, ma uscendo per così dire dalle nostre abitudini di pensiero, si scoprirà che perfino lo Spinoza ha ancora un certo sentimento mistico, quando si vale del metodo matematico. In fondo, la filosofia dello Spinoza si differenzia dalla mistica solo in quanto i mistici del tipo di un Maestro Eckhart o di un Tauler cercano di sperimentare i segreti dell’universo fondandosi sul sentimento, mentre uno Spinoza li delinea altrettanto intimamente, però secondo linee matematiche: non propriamente linee geometriche, ma pure sperimentate interiormente secondo il metodo matematico. Quanto all’atteggiamento dell’anima, in fondo non vi è differenza tra il metodo mistico del Maestro Eckhart o di Tauler e il metodo matematico di Spinoza. Chi vi scorge una differenza essenziale, non comprende in fondo che Spinoza sperimentò realmente la sua Etica sii una base mistico-matematica. In quel filosofo era ancora presente una lontana eco del tempo in cui matematica, màthesis e mistica venivano sentite come identiche esperienze dell’anima.

 

Alcuni dei qui presenti ricorderanno come nel mio libro Gli enigmi dell’anima io abbia cercato di esporre l’organizzazione umana in un modo nuovo e consono al pensiero moderno. Devo qui appunto riferirmi a un passo di quel libro, in cui descrissi l’organizzazione umana (intendendo qui essenzialmente quella fisica) come strutturata in un sistema neuro-sensoriale, in un sistema ritmico e in un sistema del ricambio e degli arti. Non ho bisogno di assicurare che non intendevo suddividere materialmente l’uomo in parti che si trovassero l’una accanto all’altra nello spazio, come è stato riferito in modo deformante da parte universitaria. Dalla lettura di quel mio libro risulta chiaramente che i tre sistemi si compenetrano a vicenda: se quello neuro-sensoriale può chiamarsi anche sistema del capo, è perché esso ha nella testa la sua localizzazione principale, pur essendo però diffuso nell’intero organismo; analogamente anche i ritmi del respiro e della circolazione sanguigna dal torace si estendono su nell’organizzazione della testa, e così via. La triplice strutturazione è dunque di natura funzionale e non locale, e acquistandone una vera comprensione, s’impara davvero a conoscere l’uomo.

 

Vogliamo adesso prendere in esame questa struttura dell’organismo, per uno scopo particolare. Cominciamo a considerare il terzo elemento dell’organizzazione umana, il sistema ricambio-arti, prestando attenzione a ciò che di esso risalta in modo particolare. Osserviamo dunque che l’uomo (in quanto essere fisico-sensibile) esplica la sua vita esteriore nell’esistenza terrestre collegando quel che vive nei suoi arti con le esperienze interiori di cui ho parlato prima, e soprattutto con quella dell’orientamento secondo le tre direzioni dello spazio. Il sistema umano degli arti si inserisce per così dire con i suoi movimenti, con il suo orientamento materiale nel mondo, in quella esperienza dell’orientamento interiore nelle tre direzioni. Nel camminare, ad esempio, noi ci inseriamo in certo modo nell’esperienza dell’alto-basso. In molte prestazioni delle nostre mani o delle braccia, ci inseriamo nella direzione orientativa destra-sinistra. Perfino nel nostro linguaggio (in quanto esso è un moto dell’elemento aeriforme nell’uomo) ci inseriamo nella direzione da dietro in avanti. In quanto compiamo dei movimenti, noi inseriamo nel mondo esterno il nostro orientamento interiore.

 

Vogliamo ora considerare il processo reale, in contrapposizione a quello soltanto illusorio, in un particolare caso matematico. E un fatto illusorio, che si svolge esclusivamente nello schema pensato, di fronte a un qualsiasi fatto spaziale, quello di affrontarlo nell’analisi matematica disegnando (o anche solo pensando) i tre consueti assi ortogonali e di inserire quel fatto spaziale esteriore entro lo schema astratto concepito da Cartesio.

 

image2

 

Si tratta, vorrei dire, solo di quel che avviene lassù in alto, nel sistema neuro-sensoriale umano, nella sfera degli schemi concettuali. Non si perverrebbe ad alcun rapporto dell’uomo con quel processo spaziale, se non esistesse il fondamento dell’esperienza degli arti umani, anzi dell’uomo tutto intero, dell’orientamento vissuto interiormente (nelle tre direzioni alto-basso, destra-sinistra e davanti-dietro) grazie al quale ci si inserisce nel mondo. Quando cammino in avanti, io so che mi inserisco nell’alto e nel basso, per poter incedere eretto. So però anche che camminando in avanti mi inserisco nell’orientamento dietro-avanti, e se per caso nuoto, usando le braccia, mi oriento nel mondo secondo la direzione destra-sinistra. Adottando lo schema spaziale cartesiano, il sistema astratto degli assi coordinati, non dispongo affatto di ciò che sta alla base della realtà. Quello che dà all’uomo l’impressione della realtà nei suoi rapporti con le cose nello spazio, mi si offre solo se mi rendo conto che nella mia testa, nel sistema nervoso si svolge solo l’immagine illusoria di qualcosa che in realtà ha luogo nel profondo inconscio, dove l’uomo non perviene con la sua coscienza ordinaria; lì ha luogo il rapporto fra il sistema delle membra umane e il mondo. La matematica tutta quanta, la geometria, nascono dal nostro sistema di movimento; non esisterebbe la geometria, se noi non ci trovassimo posti nel mondo secondo un orientamento interiore. In verità noi facciamo della geometria, quando innalziamo alla sfera illusoria dello schema pensato ciò che si svolge nell’inconscio: perciò esso ci appare come qualcosa di così astrattamente autonomo. Tutto questo però si è verificato appunto solo in tempi recenti. Quando la màthesis, la matematica veniva ancora sentita come affine alla mistica, allora anche il rapporto matematico con le cose era ancora qualcosa di umano. Che cosa c’è infatti di umano, se immagino un punto zero nello spazio in cui s’incrociano tre direzioni ortogonali, e poi sovrappongo questo schema spaziale a un evento percepito realmente nello spazio? Tutto ciò è completamente distaccato dall’uomo, è del tutto inumano. Però questo quid di inumano, ch’è sorto nei tempi moderni nell’edificio concettuale matematico, un tempo era stato qualcosa di umano. E quando?

 

Ho già accennato prima a quali epoche storiche si applichi questa mia affermazione, ma mi rimane da caratterizzarne l’aspetto interiore. Quel modo di sentire le entità matematiche era umano, quando l’uomo sperimentava ancora nel proprio intimo i movimenti del suo corpo e i suoi diversi orientamenti; quando partecipava interiormente al suo camminare nella direzione da dietro in avanti, o all’esperienza dell’equilibrio nella direzione dall’alto in basso, e a un diverso equilibrio magari nella direzione destra-sinistra; non solo, ma sentiva che in ognuno di questi movimenti, in questa geometria vissuta era attivo il sangue. Infatti ogni volta che io cammino in avanti è presente anche un’attività del sangue. E quanta attività è poi in giuoco, quando da bambini si passa dalla posizione orizzontale a quella verticale! Nello sfondo dei movimenti dell’uomo, dell’esperienza del mondo mediante i movimenti, esperienza che può essere anche di natura interiore, animica, come lo fu nel passato, dietro a tutto questo si trova l’esperienza del sangue. Infatti, nel minimo movimento, come nel più grande di cui si faccia l’esperienza mentre ci si muove, si trova l’esperienza del sangue che gli è connessa. Soltanto che oggi si considera il sangue solo come quel liquido rosso che esce da una ferita, o che si percepisce in qualunque altro modo esteriore. Invece nei tempi in cui la matematica, la màthesis era ancora connessa con la mistica, l’esperienza del movimento era legata a quella del sangue, sia pure in modo vago, quasi sognante, e il sangue veniva sperimentato nell’anima, interiormente. Per l’uomo era cioè qualcosa di diverso prendere in considerazione il sangue che scorre nelle vene del polmone o invece nelle vene del cervello. Si poteva seguire il flusso del sangue nei movimenti del ginocchio, o del piede, e l’uomo faceva realmente un’esperienza di sé nel proprio sangue fluente. Esiste una sfumatura diversa nel sangue, quando io sollevo il piede o quando lo poso per terra; così pure, se me ne sto seduto inerte, se dormo, ó se invece seguo attivamente dei pensieri. L’uomo può cioè acquistare interiormente una configurazione differenziata, se è in grado di sperimentare il sangue dietro l’esperienza dei movimenti. Si provi a raffigurarsi vivamente ciò che intendo qui dire. Se si comincia a camminare più in fretta, 0 a correre, o a girare su se stessi, o a ballare, si farebbe sempre la corrispondente esperienza del sangue, se si fosse capaci di sentirsi nello spazio non con l’attuale coscienza astratta, ma con l’esperienza interiore viva dei tre tipi di orientamento. Prima vi sarebbe la sfumatura di sensazione interiore che accompagna il muoversi lentamente; correndo, ruotando su se stessi o ballando, la cosa cambierebbe. L’esperienza interiore si potrebbe forse raffigurare schematicamente come nel disegno seguente, purché il movimento venisse realmente vissuto nell’anima (nella figura, la linea bianca); e per ogni diversa posizione assunta durante questi movimenti, si avrebbe una diversa esperienza del sangue (le linee rossa, azzurra, gialla).

 

image3

 

Dalla prima esperienza, quella del movimento, si potrebbe dire che la si prova unitamente a quella dello spazio esterno, dato che si cambia continuamente di luogo. La seconda esperienza, che ho raffigurata mediante linee colorate, è un’esperienza di tempo, è una sequenza di intense esperienze interiori.

Effettivamente, se si è capaci di camminare seguendo la forma di un triangolo, è possibile fare una determinata esperienza interiore del sangue:

 

image4

 

Un’esperienza differente è quella che si può fare, se si cammina seguendo la forma di un quadrato. Ciò che sul piano esterno ha un carattere quantitativo, geometrico, nell’esperienza animica interiore del sangue ha invece carattere intensamente qualitativo:

 

image5

 

Ecco la sorpresa straordinaria che si prova, quando si scopre che la matematica di tempi più antichi parla in modo del tutto diverso del triangolo o del quadrato. Se oggi qualcuno vi trova qualcosa di misterioso, dobbiamo capire che non vi è nulla di misterioso, come invece appare nei discorsi di certi mistici nebulosi odierni; si tratta invece della diversa esperienza che allora avrebbe fatto nel proprio sangue chi si fosse mosso seguendo la forma del triangolo, in confronto a quella che avrebbe fatto, muovendosi in quadrato. Per non parlare poi dell’esperienza del sangue corrispondente alla forma del pentagramma! Vediamo dunque che nel sangue l’intera geometria diventa esperienza qualitativa interiore. Con queste considerazioni ci affacciamo all’epoca che poteva realmente affermare: «Il sangue è un succo molto peculiare!». Se infatti lo si sperimenta intimamente, questo succo assorbe per così dire tutte le figure geometriche, facendo di esse intense esperienze interiori. In tal modo però l’uomo apprende anche a conoscere se stesso: impara che cosa significhi sperimentare un triangolo, un quadrato o un pentagramma, impara a conoscere la proiezione della geometria sul sangue e le sue esperienze. Questa fu un tempo mistica; la matematica non solo era affine alla mistica, ma era l’aspetto esterno (legato ai movimenti e agli arti dell’uomo) dell’esperienza del sangue. Per il mistico di certe epoche passate, tutta la matematica si trasformava da una somma di formazioni spaziali nelle esperienze fatte nel sangue, si trasformava in esperienza interiore ritmica, intensamente mistica e ritmica.

 

Possiamo dire che un tempo l’uomo possedeva una conoscenza da lui realmente vissuta, e che questa concreta partecipazione della sua essenza al mondo e ai suoi segreti, andò perduta nel periodo storico al quale ho in precedenza accennato. L’uomo strappò per così dire la matematica dalla stretta connessione con la propria interiorità; non ebbe più l’esperienza del movimento corporeo come l’aveva prima, e in cambio costruì matematicamente, fuori di sé, i rapporti fra i movimenti. Era ormai privo dell’esperienza del sangue; perciò il sangue e il suo ritmo gli divennero qualcosa di totalmente estraneo, egli divenne anzi estraneo a se stesso, riguardo all’esperienza fatta nel sangue. L’uomo dunque si strappa la matematica dal corpo, ed essa diventa cosa astratta; egli perde la comprensione per l’esperienza del sangue, e la matematica non penetra più nel suo intimo. Occorre rendersi conto che ne derivò un determinato stato d’animo: l’anima in passato aveva un sentimento diverso da quello che sorse più tardi. Prima, essa ricercava il nesso fra l’esperienza del sangue e quella dei movimenti, mentre più tardi l’esperienza matematico-geometrica si separò del tutto da quella interiore, non fu più riferita al movimento proprio del corpo e all’esperienza del sangue. Bisogna capire che si tratta di un fatto storico che consistette in un mutamento reale dello stato d’animo dell’umanità. Sì, l’uomo del passato, quando la matematica, la màthesis, era ancora mistica, poneva tutto il proprio essere nel contesto del mondo, dovendo per così dire misurare il cosmo mediante il proprio organismo in movimento. Era lui stesso, in quanto uomo, a misurare il cosmo; egli viveva dentro l’astronomia. L’uomo moderno invece pone nel cosmo un sistema di coordinate, mentre lui stesso ne esce! Nell’antichità l’uomo faceva con ogni singola forma geometrica un’esperienza nel proprio sangue. L’uomo moderno non conosce più questa esperienza del sangue, e ha perduto il nesso col proprio cuore, nel quale le esperienze del sangue sono accentrate. Sarebbe forse concepibile la fondazione di un’astronomia copernicana, o un sistema astratto di coordinate ortogonali proiettate astrattamente nello spazio, e indipendenti dall’uomo, in pieno medioevo, quando c’era ancora lo stato d’animo dell’esperienza del movimento umano come esperienza geometrica, e dell’esperienza del sangue come esperienza mistica? No, certo: la nuova astronomia e la nuova geometria divennero possibili solo quando in seno all’umanità nacque quel nuovo atteggiamento dell’anima. Poco più tardi, poi, divenne possibile qualcosa d’altro. L’esperienza interiore del sangue era andata perduta; erano maturi i tempi per l’osservazione esteriore, anatomico-fisiologica, del moto del sangue nell’organismo umano fisico. Ed ecco il grande mutamento: nasce da un lato l’astronomia copernicana, e dall’altro la scoperta della circolazione sanguigna ad opera di Harvey, contemporaneo di Bacone, di Hobbes. L’osservazione matematica astratta del mondo non può più conciliarsi con l’antica teoria tolemaica sostanzialmente legata all’uomo e alla sua esperienza matematica interiore. Ormai si sperimenta il sistema di assi ortogonali, separato dall’uomo e legato a un qualsiasi punto zero nello spazio. Ormai non si sperimenta più interiormente il sangue, ma si scopre fisicamente la circolazione sanguigna, col cuore al suo centro!

 

In questo modo la nascita della scienza trovò il suo posto nell’evoluzione generale dell’umanità, influendo sui processi coscienti e inconsci di essa. Solo così si può comprendere, prendendo le mosse dalla vera realtà umana, che cosa sia realmente accaduto: anzi, che cosa sia dovuto accadere in tempi moderni perché potesse svilupparsi una scienza quale è quella che oggi ci sembra tanto ovvia, perché potessero venir fatte delle ricerche come quelle che condussero alla scoperta harveyiana della circolazione sanguigna.