La natura della coscienza intuitiva in rapporto alla prima Beatitudine

Il figlio dell’uomo


 

Le considerazioni precedenti avevano il compito di chiarire che la prima Beatitudine contiene la formula della conoscenza intuitiva e indica inoltre i percorsi karmici che guidano l’umanità a questo grado di coscienza.

Per comprendere allo stesso modo le altre Beatitudini, è necessario considerare la natura della conoscenza intuitiva, per essere poi in grado, alla luce della seconda e della terza Beatitudine, di intendere più chiaramente la natura degli altri due gradi della conoscenza sovrasensibile.

 

La conoscenza intuitiva si attua quando, nel momento del conoscere, sono presenti tre condizioni:

• colui che conosce deve possedere la facoltà, non solo di fuoriuscire da se stesso,

ma anche di vivere in un altro essere;

• questi dev’essere dotato della medesima facoltà

• ed inoltre dev’essere intenzionato ad entrare in un rapporto intuitivo con l’altro soggetto.

 

Per quanto scarne e aride possano apparire di primo acchito tali affermazioni, di fatto esse indirizzano a un mondo di esperienze e di conoscenze. La conoscenza intuitiva non è più povera degli altri tre tipi di conoscenza – oggettiva, immaginativa e ispirata – ma si distingue così nettamente dalle altre, che il suo approssimarsi viene sperimentato come un impoverimento.

Il primo processo che si instaura è la perdita, non solo di tutto quello che ha riempito l’anima interiormente, ma anche di tutti i contenuti e le esperienze che l’hanno arricchita spiritualmente “dall’esterno”. Tutto si fa silenzioso e vuoto dentro e intorno all’anima. Si è raggiunto allora il punto-zero dell’esperienza. Se l’anima permanesse in questa condizione, aspettando che accada qualcosa, non accadrebbe nulla.

 

La disciplina dell’anima sulla via dell’intuizione consiste proprio in questo:

che si crea un silenzio del mondo spirituale intorno ad essa, nel quale è vano stare in attesa ascoltando.

L’anima deve allora compiere un’azione dal nulla; deve procedere oltre il punto-zero.

Essa non ha più pensieri, immagini o sentimenti da mettere in movimento, ma soltanto il proprio essere.

Deve compiere un movimento essenziale, cosa che, allo stato di coscienza che ha appena abbandonato,

appare altrettanto impossibile, quanto fare sgorgare un corso d’acqua da una roccia.

 

Di questo precisamente si tratta: trovare una forza che nell’esperienza dell’anima è altrimenti assente. Come una roccia è immobile e arida, così l’anima sperimenta la propria natura interiore. Questa interiorità vuota e priva di movimento deve ora generare una forza, affinché possa prodursi la conoscenza intuitiva. Di questa forza l’anima ha bisogno per potere vivere al di fuori di sé in altri esseri, senza perdere la propria coscienza.

Questo processo di oltrepassamento del punto-zero e di fuoriuscita della coscienza da se stessa, che è stato qui caratterizzato da un punto di vista interiore, ossia quale si presenta alla coscienza dell’anima, può essere caratterizzato dall’esterno nel modo seguente: prima di raggiungere il terzo grado del risveglio della coscienza umana, il cuore umano è spiritualmente un punto focale nel quale convergono dodici correnti cosmiche fluenti dalle costellazioni dello zodiaco celeste.

 

Il punto centrale del cuore è perciò formato dall’esterno; nel convergere di quelle dodici correnti ha origine il punto focale del centro cardiaco.

Se però il terzo grado del risveglio della coscienza comincia a manifestarsi nell’uomo, avviene un mutamento nella sua organizzazione cardiaca: il centro del cuore viene reciso dalle correnti cosmiche.

Quando ciò accade si è raggiunto il punto-zero dell’esperienza dell’anima. L’anima sperimenta se stessa come un immobile centro di esistenza, immerso nella solitudine, nell’oscurità e nel silenzio. D’altra parte però quello è anche il momento in cui la coscienza sperimenta se stessa, non solo nella sua solitudine, ma altresì nella sua autonomia, in quanto poggiante su di sé e in sé delimitata.

 

Quest’esperienza del poggiare interamente su di sé, può, nello stato ordinario della coscienza, lasciare l’eco di un inebriante senso di libertà; ma d’altra parte il sentirsi in sé delimitati può produrre, nella coscienza ordinaria, il sentimento di una dolorosa mancanza di respiro per l’anima. Se questi due sentimenti si equilibrano tra loro, l’uomo è nella condizione di reggere la prova che Rudolf Steiner, nel suo libro L’Iniziazione, ha chiamato la “prova dell’aria”.

 

I segni caratteristici della prova dell’aria sono,

da un lato, la totale assenza di motivazioni, di regole, ecc., ossia un vuoto totale della coscienza, da cui deve scaturire la forza per un’azione spirituale;

• dall’altra il compiersi dell’esperienza soggettiva dell’anima in una condizione simile a quella di uno spazio privo d’aria, nel quale viene a mancare ogni afflusso di aria respirabile. Il segno che il punto critico di questa prova è stato superato con successo, si ha quando il summenzionato centro del cuore, dopo essere stato reciso dalle influenze cosmiche, non solo continua ad esistere, ma addirittura comincia esso stesso ad irradiare dall’interno verso l’esterno.

 

Il grande mutamento

che avviene nell’organizzazione spirituale del cuore

è che il cuore stesso comincia ad irradiare nel cosmo.

 

La forza irradiante nata dal centro del cuore diviene a poco a poco la facoltà grazie alla quale la coscienza può vivere negli altri esseri. Questo è il modo in cui l’impulso del Cristo si rivela trasformando l’organizzazione dell’essere umano. La prova che precede una tale rivelazione è quella della nascita dell’amore, ossia un conformarsi dell’intero essere umano all’amore, come motivazione centrale del vivere e dell’agire.

 

Essendo la conoscenza intuitiva in modo eminente conoscenza d’amore, essa non può avere alcun ‘oggetto’ passivo, nel quale possa penetrare senza la cooperazione dello stesso. Per la conoscenza intuitiva non esistono ‘oggetti’, ma solamente esseri i quali compenetrano l’anima umana che li conosce, proprio come questa li compenetra. Si tratta di due correnti di volontà che si incontrano e che, aprendosi reciprocamente, vivono l’una nell’altra.

 

Così la conoscenza intuitiva di una pietra comporta un incontro e un compenetrarsi reciproco con l’entità dell’anima di gruppo del minerale – o con esseri ancora più elevati attivi nel mondo minerale. Nel processo dell’intuizione, non si conosce soltanto, ma si viene anche conosciuti. Avviene un arricchimento per entrambe le parti, dal cui cooperare è sorta l’intuizione.

 

• Se un uomo incarnato conosce il mondo spirituale intuitivamente,

ciò significa che anche il mondo spirituale conosce quest’uomo per via di intuizione.

Ne consegue un arricchimento dei due mondi,

non solo sul piano della conoscenza, ma anche in quello della volontà e della capacità di agire.

L’intuizione è infatti un atto, cui i due mondi partecipano contemporaneamente.

Essa comporta dunque sempre un mutamento negli esseri e la nascita di nuove forze.

 

Conoscere intuitivamente i ‘regni dei cieli’, significa che essi sono discesi nell’Io umano e lo compenetrano, così come l’Io li compenetra. Ciò si trova espresso nella prima Beatitudine, il cui contenuto è ridato da Rudolf Steiner con le seguenti parole:

Beati i mendicanti dello Spirito, poiché,

se il Cristo ha aperto loro la via,

fluisce nel loro Io il ‘Regno dei cieli’.