Autoeducazione

O.O. 311 – L’educazione come arte – 15.08.1924


 

Sommario: Autoeducazione. Coraggio in merito a iniziali incapacità. Il destino e i bambini. Esempio di un racconto in immagini. Il metodo di raccontare. Atteggiamento animico-meditativo dell’educatore. Come trattare i temperamenti. Esercizi di simmetria e interiore senso della forma. Esercizi di abilità sul proprio corpo per lo sviluppo del pensiero. Dipingere. L’insegnamento a epoche.

 

Ho già detto che si deve cercare di esporre in forma descrittiva o in immagini ai bambini, fra il cambio dei denti e i 9 e i 10 anni, tutto quanto la loro anima deve accogliere, in modo che ciò che apprendono possa agire naturalmente per tutta la vita. La cosa è però possibile solo se vengono risvegliati in loro non pensieri e sentimenti morti, ma ben viventi.

 

Per poterlo fare occorre aver acquisito il sentimento per il contenuto della vita animica. Bisogna avere la pazienza di perfezionare a poco a poco, come insegnanti e come educatori, la propria autoeducazione, risvegliando nell’anima quel che può veramente germogliarvi e crescere. A questo proposito si potranno fare le più belle scoperte su se stessi. Per arrivarvi bisogna solo non perdere coraggio ai primi inizi.

 

Chiunque cominci un’attività qualsiasi, un’attività spirituale, dovrebbe poter riconoscere, in ogni caso e senza scoraggiarsi, di essere maldestro. Chi non può sopportare di essere maldestro e di fare le cose goffamente e imperfettamente non potrà mai creare nella propria interiorità qualcosa di perfetto. Specialmente nella professione dell’insegnante e dell’educatore dobbiamo dapprima accendere giustamente nella nostra anima il contenuto delle nostre lezioni. Quando si riesca una volta o due a inventare narrazioni ricche d’immagini, con le quali ci accorgiamo di aver colpito i nostri allievi, faremo in noi stessi una singolare scoperta: vedremo che il trovare le immagini ci diventa sempre più facile, che noi stessi diventiamo a poco a poco persone d’ingegno, come mai ci saremmo immaginati.

 

All’inizio può accadere che andando con coraggio a tastoni uno possa deviare dalla linea giusta e dirsi: proprio non dovevo fare l’educatore, se sono tanto poco abile di fronte alla classe. In merito la concezione antroposofìca del mondo potrà aiutare. Ci si dovrà dire: qualcosa mi porta karmicamente verso i bambini, e per una volta posso anche permettermi di mostrarmi loro nella mia incapacità; quelli coi quali ciò non mi sarà più lecito, mi saranno portati in futuro dal karma.

 

L’insegnante, l’educatore deve avere il coraggio di osare nella vita, perché in generale la questione dell’educazione non è soltanto un problema dell’insegnante, ma anche dei bambini.

 

Vorrei fare un esempio di che cosa si possa seminare nell’anima del bambino in modo che cresca in lui, e che anche più tardi si sia in condizione di far germogliare ulteriori sentimenti da quel che in origine gli si era dato.

 

Niente è più utile e fruttifero nell’insegnamento che dare al bambino di 7 o 8 anni qualcosa in immagini e poi, forse a 13 o 14 anni, ritornare sull’argomento in qualsiasi altra forma. Proprio per questa ragione nella Scuola Waldorf si cerca di lasciare alle classi il più a lungo possibile lo stesso insegnante, un insegnante che segua il bambino nel suo percorso scolastico dai sette anni, affinché le cose che in lui erano state disposte in germe possano formare sempre più il contenuto dell’educazione.

 

Immaginiamo ora di raccontare qualcosa a un bambino di 7 o 8 anni, qualcosa che contenga delle immagini. Non è necessario che il bambino comprenda subito le immagini. Dirò poi perché è così. Il punto è che il bambino sia soddisfatto perché l’educatore gli ha raccontato qualcosa in una forma, vorrei dire, graziosa. Immaginiamo di raccontargli questa storia.

 

«In un bosco, nel quale i raggi solari riuscivano a penetrare attraverso gli alberi, c’era una volta una violetta, un’umile violetta sotto un albero dalle grandi foglie. La violetta poteva guardare attraverso l’apertura del fogliame dell’albero, e tra le foglie vide il cielo azzurro. La violetta vedeva per la prima volta il cielo azzurro, perché era sbocciata proprio la mattina di quel giorno. Si spaventò vedendo il cielo azzurro, ebbe molta paura, e non sapeva ancora perché avesse tanta paura. Passò in quel mentre un cane che non sembrava buono, si mostrava anzi ringhioso e cattivo. La violetta gli chiese che cosa fosse quell’azzurro lassù così simile a lei. Il cielo era infatti proprio azzurro come la violetta. Nella sua cattiveria il cane rispose: “Oh, è una viola gigantesca, ed è diventata così grossa per poterti picchiare forte”. La violetta ebbe ancora più paura perché vedeva che la viola lassù era tanto cresciuta per poterla picchiare. Tirò allora i suoi petali ben insieme e non volle più guardare alla grande viola; si nascose anzi dietro una foglia dell’albero che era appunto caduta per un colpo di vento. Rimase così tutto il giorno nascosta per la paura della grande viola su nel cielo.

 

La violetta non dormì per tutta la notte, sempre pensando a come comportarsi con la grande viola del cielo, dalla quale doveva essere picchiata. Si aspettava in ogni momento che proprio allora dovesse giungere il primo colpo, che però mai arrivava.

 

La mattina dunque la violetta uscì da sotto la sua foglia; non era stanca, avendo pensato tutta la notte. Le violette si stancano quando dormono e non si stancano invece quando non dormono. Ma la prima cosa che vide fu l’aurora e il sorgere del sole. Quando la violetta vide l’aurora non ebbe per niente paura, ne fu anzi molto felice. Ma a poco a poco, mentre spariva il rosso del mattino, riapparve l’azzurro biancastro del cielo, che diventava sempre più azzurro. La violetta pensava ancora a quel che le aveva detto il cane, che il cielo fosse una grande viola che l’avrebbe picchiata.

 

Proprio in quel momento passava un agnello, e la violetta gli volle ancora chiedere che cosa ci fosse lassù in alto. “Che cosa c’è dunque lassù?” chiese la violetta. L’agnello rispose: “È una grande viola, azzurra come te”. La violetta ebbe di nuovo paura pensando che aveva avuto dall’agnello la stessa risposta che già aveva avuto dal cane cattivo. L’agnello era però buono e mite, e poiché aveva occhi tanto buoni la violetta gli chiese di nuovo: “Ma caro il mio agnello, la grande viola lassù mi vorrà picchiare?” “Oh no! – rispose l’agnello – non ti picchierà, è una grande viola e il suo amore è tanto più grande del tuo perché è tanto più azzurra di quanto tu non sia nella tua piccolezza”.

 

La violetta capì subito che il cielo era una grande viola, che non l’avrebbe picchiata e che aveva tanto azzurro per poter irradiare anche tanto amore, e che la grande viola l’avrebbe difesa da tutta le avversità del mondo. Si sentì allora a posto, perché tutto ciò che vedeva di azzurro nella grande viola del cielo le appariva come l’amore divino che le giungeva da ogni dove. Da allora guardò sempre in su, come se volesse pregare il Dio delle viole».

 

Quando si racconta qualcosa del genere ai bambini, senza dubbio stanno a sentire. Ascoltano sempre cose del genere. Bisogna però raccontarle in modo che, dopo averle ascoltate con attenzione, i bambini abbiano la possibilità di rielaborarle nella loro anima. È molto importante. Tutto dipende da quanto siamo in grado di tenere i bambini disciplinati con il nostro sentimento. A questo riguardo è perciò necessario porre il problema della disciplina.

 

Nella Scuola Waldorf abbiamo avuto un insegnante che sapeva raccontare benissimo, ma non faceva sui bambini un’impressione tale che questi guardassero a lui con amore. Quali ne furono le conseguenze? Dopo un racconto molto interessante i bambini ne volevano subito un altro. L’insegnante cedeva: ne aveva preparato un altro. I bambini ne volevano un terzo, e di nuovo l’insegnante cedeva: ne aveva preparato un terzo. Alla fine, a poco a poco, avvenne che l’insegnante non riuscì più a prepararne a sufficienza. È infatti necessario non dare in continuazione ai bambini cose nuove, come se si disponesse di un pozzo inesauribile (vedremo fra poco come occorra alternare), ma procedere lasciando che i bambini pongano domande, leggendo nella loro mimica il desiderio di domandare. Ci si deve quindi intrattenere coi bambini sulle domande che sorgono dal racconto fatto.

 

Un bambino domanderà probabilmente perché il cane ha dato una risposta tanto cattiva. Bisognerà allora poter rispondere al bambino in modo adatto a lui: il cane è un essere destinato a far la guardia, a spaventare la gente, a farsi temere. Bisognerà poter dire al bambino perché il cane ha dato quella risposta. Si dovrà poi anche spiegargli perché l’agnello ha risposto come ho indicato. Dopo il racconto converrà parlare a lungo con la classe, e si osserverà che una domanda ne fa sorgere un’altra. Alla fine tutti domanderanno il possibile e l’impossibile. Si tratta in tal caso di non perdere nella classe la naturale autorità, della quale parleremo ancora a lungo. Altrimenti avviene che, mentre ci si intrattiene con un bambino, gli altri cominciano a fare chiasso e ad occuparsi di tutt’altro. Se poi è necessario voltarsi per rimproverarli, si è già a una sconfitta; con i bambini più piccoli occorre proprio avere il dono di lasciar correre molte cose.

 

Al riguardo, una volta dovetti molto ammirare uno dei nostri insegnanti. C’era nella classe un vero e proprio monello che ora, dopo un paio d’anni, è molto migliorato; mentre l’insegnante si occupava di un bambino del primo banco, quello usci alla svelta dal proprio banco e gli diede un calcio. Se l’insegnante avesse reagito con severità, quel monello sarebbe rimasto per sempre maleducato. Il maestro si comportò invece come se nulla fosse accaduto. Certe cose non vanno osservate, e si deve realmente agire in modo da occupare il bambino con cose positive. Di regola è molto male far rilevare i punti negativi.

 

Se non si riesce a mantenere la disciplina, se non si ha una naturale autorità (e vedremo in seguito come la si acquisti), capita come è occorso a un’insegnante: poteva esporre un racconto dopo l’altro, e i bambini erano sempre attenti; troppo attenti contro il suo stesso desiderio. Se l’insegnante voleva allentare la tensione, come appunto andava fatto perché i bambini non diventassero alla fine un fascio di nervi, ecco che un bambino usciva dai banchi e cominciava a giocare, un altro andava a fare esercizi di ginnastica, un terzo faceva euritmia, un quarto si accapigliava con un altro, un quinto usciva dalla porta. In breve, c’era una tale baraonda che non era più possibile ristabilire l’ordine in modo tale che i bambini potessero ascoltare qualcos’altro di interessante.

 

In generale il problema è da dove partire per fare il bene della classe, e a questo riguardo si possono fare veramente le più strane esperienze. Occorre intanto vedere se l’insegnante ha abbastanza fiducia in se stesso. Egli deve entrare nella classe con uno stato d’animo tale da consentirgli davvero di immergersi nell’anima dei bambini. Come si arriva a ciò? Proprio conoscendo i propri allievi. In proposito si vedrà che in un tempo relativamente breve si arriva a un risultato, anche avendo 50 o più bambini in classe. Si impara a conoscerli, li si vede, si sa quale temperamento ha ognuno di loro, quale dote, quali fisionomia e così via.

 

Durante le riunioni degli insegnanti, riunioni che sono l’anima di tutto l’insegnamento, vengono esaminate proprio le singole individualità dei bambini, e il parlarne costituisce l’essenziale di ciò che gli insegnanti stessi trattano e imparano nel corso delle riunioni. Così essi si perfezionano, e in tal modo risolvono una gran quantità di problemi che il bambino porta con sé; nel risolverli si sviluppa la sensibilità che occorre portare nella classe.

 

Ne deriva che se in una classe c’è un insegnante che non abbia intimamente approfondito che cosa vive nei bambini (e questo può succedere), essi si azzuffano in classe cinque minuti dopo l’inizio della lezione: non stanno attenti e fanno sciocchezze. Si può constatare che non è possibile continuare con un insegnante del genere, che bisogna sostituirlo. La stessa classe, con un altro insegnante, sin dal primo giorno diventa una classe modello.

 

Tutto questo può essere sperimentato. Dipende solo dalla disposizione d’animo dell’insegnante Tesser portato ogni mattina a meditare e considerare tutti i bambini con le loro caratteristiche. Si dirà che allo scopo occorre tutta un’ora. Non è vero. Se fosse necessaria un’ora non lo si potrebbe fare, e invece lo si può; occorrono dieci minuti o al massimo quindici. Certo al principio sarà difficile, ma poco a poco si svilupperà un’intima comprensione psicologica che rende possibile all’insegnante avere una visione rapida e completa della classe.

 

Per raggiungere lo stato d’animo necessario per portare ai bambini l’elemento del racconto immaginativo occorre anzitutto avere una buona immagine dei temperamenti dei bambini. Fa quindi parte del metodo di educazione e di insegnamento trattare i bambini in modo adeguato al temperamento di ognuno. Risulta che il miglior trattamento per i temperamenti è mettere subito insieme i bambini che hanno uguale temperamento. Per l’insegnante è senz’altro meglio sapere che da una parte ci sono i collerici, da un’altra i melanconici, da un’altra ancora i sanguinici. Ha così un punto di riferimento per riconoscere tutta la classe.

 

Solo con l’aver studiato il temperamento del bambino e averlo sistemato di conseguenza, si è fatto qualcosa per assicurarsi nella classe la necessaria e naturale autorità. Le cose in genere nascono da cause ben più profonde di quanto non si creda. L’educatore deve fare un lavoro intimo su di sé.

 

Messi insieme, i flemmatici si correggono fra loro. Finiranno per annoiarsi talmente che col tempo avranno una vera antipatia per la flemma; poi andrà sempre meglio. I collerici si batteranno e si daranno pugni, ma alla fine si stancheranno dei pugni degli altri collerici. Così i singoli temperamenti si smusseranno benissimo fra di loro.

 

Commentando il racconto fatto, appunto mentre ne parla col bambino, l’insegnante deve sviluppare in sé il dono istintivo di trattarlo secondo il suo temperamento. Se ho a che fare con un bambino flemmatico, in relazione alla fiaba che avrò prima raccontato, lo tratterò con una flemma ancora maggiore della sua. Con un bambino sanguinico, che vaga da un’impressione all’altra senza fermarsi su nessuna, cercherò di suscitare nuove impressioni ancora più alla svelta di quanto non faccia lui. Al bambino collerico cercherò di presentare le cose in modo da suscitare il lui una forte impressione, parlandogli come se noi stessi fossimo collerici; si vedrà che a poco a poco diminuisce la sua collera di fronte a quella dell’educatore. L’uguale va trattato con l’uguale. Si deve però stare attenti a non cadere nel ridicolo.

 

Si arriva così a poco a poco a creare l’atmosfera nella quale ogni racconto possa venir non solo raccontato, ma anche discusso.

 

Si esamini e si discuta un racconto prima di farlo ripetere. Il metodo peggiore è fare un racconto e poi dire: “Adesso tu Carlo, raccontamelo di nuovo”. Così non ha senso alcuno, e ne acquista uno soltanto se per un certo tempo quel racconto viene discusso in modo abbastanza intelligente. In una classe non si può sempre parlare in modo intelligente; capita di dover parlare in modo più superficiale, il che di solito avviene all’inizio. Così il bambino fa sua la cosa e si può anche fargliela raccontare. Non è dunque tanto importante che il bambino possa raccontare di nuovo la storia in base alla sua memoria. Lo è pochissimo nell’età fra il cambio dei denti e i 9 o 10 anni; da un certo punto di vista è persino meglio che il bambino si ricordi la parte che ha potuto afferrare e dimentichi invece il resto. Per la formazione della memoria ci si servirà di altri insegnamenti, diversi dai racconti, come dirò più avanti.

 

Vogliamo ora esaminare perché mai io abbia proprio scelto il racconto della violetta, con quel contenuto. L’ho fatto perché le immagini di quel racconto possono crescere col bambino. Nel racconto si parla di ogni sorta di cose alle quali si può in seguito ritornare: la violetta ha paura perché vede in cielo la viola grande. Non occorre esaminare subito col bambino il problema della paura. Più tardi, quando sarà necessario passare a più complicate materie d’insegnamento (e capiterà l’occasione che sorga la paura), si potrà ritornare sull’argomento. Nel racconto ci sono cose grandi e piccole, cose che si ripetono, che avvengono sempre di nuovo nella vita interagendo fra di loro, sulle quali si potrà ritornare in seguito. Nel racconto abbiamo anzitutto il consiglio cattivo del cane e quello amorevole dell’agnello. Ci si potrà in seguito riallacciare al racconto, se il bambino lo avrà elaborato nella sua anima e sarà diventato maturo per riflettere sul bene e sul male e sulle opposte sensazioni che sono radicate nell’anima. Anche con un bambino molto maturo ci si può riferire a questo semplice racconto infantile, chiarendogli che spesso si ha paura di qualcosa solo perché lo si è mal compreso e se ne ha un’idea inesatta. Queste contrapposizioni nella vita del sentimento, alle quali forse più tardi ci si potrà riferire per le diverse materie d’insegnamento, potranno essere benissimo richiamate, ritornando più avanti nella vita al racconto della violetta.

 

Nelle lezioni di religione, che cominceranno solo più tardi, si potrà bene sfruttare proprio questo racconto, rilevando come il bambino sviluppi un sentimento religioso per un essere possente che protegge il piccolo, e come si sviluppino veri sentimenti religiosi perché il bambino ritrova in sé la stessa forza riconosciuta come protettrice nell’essere possente. La violetta è un piccolo essere azzurro, il cielo un grande essere azzurro, e perciò è il grande Dio azzurro della violetta.

 

Tutto ciò potrà essere ripetutamente utilizzato nelle lezioni di religione. Ci si potrà anche bene riallacciare al racconto, confrontando l’interiorità umana con la natura divina. Si potrà dire più tardi al ragazzo: guarda la grande viola del cielo, la viola-Dio, è tutta azzurra in tutte le direzioni; immagina ora di separarne un pezzetto, e hai la violetta. Altrettanto è grande Dio quanto lo è l’oceano cosmico. La tua anima è una goccia di Dio. Come l’acqua del mare, vista in una piccola goccia è sempre acqua del gran mare, così la tua anima è una piccola goccia della grande immensità divina.

 

Trovando le giuste immagini, si influirà su tutta l’infanzia in modo che più tardi, quando il ragazzo sarà più maturo, si potrà ritornare alle stesse immagini. Occorre però che l’insegnante provi simpatia e gioia nel creare questo mondo di immagini. Dopo aver formato una dozzina di tali racconti con la propria capacità immaginativa, non se ne potrà più fare a meno, ne sorgeranno sempre di nuovi. L’anima è infatti una sorgente inesauribile che può portare in superficie tutto quel che è necessario, se una volta se ne dissuggella il segreto.

 

L’uomo è di solito troppo pigro e non vuole fare i primi sforzi per estrarre quel che ha nell’anima.

Vogliamo ora esaminare un altro campo immaginativo dell’insegnamento e dell’educazione. Proprio nei bambini più piccoli non si forma ancora l’intelletto che agisce separato nell’anima; sviluppano invece tutto il pensiero in immagini.

 

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Già con bambini di circa 8 anni si dovranno fare esercizi di cui ora dirò, anche se all’inizio saranno fatti molto male: si presenti ad esempio al bambino una figura con la metà di sinistra simile a quella qui a lato (figura 1), e lo si spinga a sentire nel suo intimo che essa non è completa, che le manca qualcosa. Bisognerà ovviamente rifarsi all’individualità del bambino per suscitare il sentimento di quella mancanza. Gli si potrà ad esempio dire: guarda bene la parte a sinistra che è completa fino in basso, mentre la destra lo è solo fino a metà. Non è bello se una parte va solo a metà e l’altra no. A poco a poco si porterà il bambino a completare la figura, facendogli sentire che essa non è finita e che va completata. Bisogna indurlo ad aggiungere alla figura la parte mancante (nell’esempio la tratteggio, ma il bambino la completerà come crede, usando magari un colore diverso). All’inizio il bambino lo farà molto male, ma a poco a poco, equilibrando il disegno, svilupperà qualcosa come un’immagine di pensiero o un pensiero in immagine. Il pensiero rimarrà del tutto nell’immagine.

 

Se una volta in una classe sono riuscito a far completare a un paio di bambini il disegno in questo modo semplice, potrò poi continuare formando una seconda figura (la linea continua di fìg. 2) Occorre far sentire al bambino questa figura complicata come incompleta e fare in modo che tracci quel che manca per il suo completamento (la parte di destra).

 

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Susciterò così nel bambino il sentimento della forma, attraverso il quale egli sarà spinto a sentire la simmetria e l’armonia.

Potrò poi continuare, ad esempio stimolando la sensibilità del bambino facendogli individuare la legge interna alla figura 3. Egli rileverà come la linea converga verso l’interno e diverga verso l’esterno. Il convergere e il divergere sono cose che posso far capire bene al bambino. Se nella figura 4 avrò tracciato le linee esterne rette invece che curve, creando quindi degli angoli, anche le linee più interne dovranno adattarsi a quelle esterne. Si avrà qualche difficoltà con bambini di 8 anni, ma proprio con loro il successo è tanto più grande, se si ottiene che facciano essi stessi il resto della figura, anche se prima la si era solo mostrata.

 

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Bisogna ottenere che il bambino faccia la parte interna della figura, in armonia con le linee esterne, ad angolo.

Si educa così il bambino al vero senso della forma, a sentire l’armonia, la simmetria e altro ancora. Da qui si può progredire sino all’immagine di una forma che si rispecchia. Nella figura 5 si ha una superficie di acqua e sopra un oggetto qualsiasi; se ne susciti nel bambino l’immagine e gli si mostra come essa si rispecchi. In questo modo lo si porta a poco a poco all’armonia che domina il mondo.

 

Si può anche passare a esercizi che rendano il bambino abile nel pensiero per immagini: mostrami il tuo occhio destro con la mano sinistra, e poi il tuo occhio destro con la mano destra! Mostrami l’occhio sinistro con la mano destra! Mostrami, da dietro, la spalla sinistra con la mano destra, e la spalla destra con la mano sinistra! Mostrami l’orecchio sinistro con la mano destra e l’orecchio sinistro con la mano sinistra! Mostrami la punta dell’alluce destro con la mano destra e così via. In altre parole, si possono far fare al bambino i più curiosi esercizi su se stesso. Ad esempio anche: fai un cerchio con la mano destra attorno alla sinistra, e un cerchio con la mano sinistra attorno alla destra! Fai due cerchi contemporanei con le due mani e descrivi due cerchi, con una mano in un senso e con l’altra nell’altro! Questi esercizi vanno fatti fare sempre più alla svelta. Muovi alla svelta il dito medio della mano destra. Muovi alla svelta il pollice della mano destra, muovi alla svelta anche il mignolo!

 

Si fanno fare al bambino i più diversi esercizi con rapida presenza di spirito. Quale è il risultato di esercizi del genere? Se un bambino li fa all’età di 8 anni, con essi impara a pensare per tutta la vita. Imparando a pensare subito con la testa, non si impara per tutta la vita, e più tardi ci si stancherà di pensare. Facendo invece in questo modo sul proprio corpo con rapida presenza di spirito i movimenti indicati, per i quali è necessario pensare, più tardi si diventerà assennati; si potrà osservare il rapporto fra il senno nella vita di un uomo di 35 o 36 anni e quel che gli è stato fatto fare a 7 o 8 anni. Le diverse epoche della vita stanno in simili rapporti. Da tale conoscenza dell’essere umano bisogna cercare di organizzare in modo reale quel che è necessario insegnare al bambino.

 

Si otterrà così anche una certa armonia nei colori. Immaginiamo, per esercizio, di mostrare al bambino una pittura.

 

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Gli faremo notare come il verde all’esterno della figura 6 si armonizzi bene con la superficie interna rossa, e così stimoleremo la sua sensibilità.

 

Poi si dica al bambino: “Voglio invertire il disegno: qui all’interno metto il verde (figura 7); che cosa metteresti tu intorno?” Il bambino dipingerà il rosso. Con questi esercizi si ottiene che il bambino a poco a poco senta l’armonia dei colori e impari che, se al centro ho una superficie rossa e attorno verde, quando il rosso diventa verde devo far diventare verde il rosso. È di enorme importanza far agire sul bambino, attorno agli 8 anni, questo adattarsi di forme e di colori.

 

Quel che occorre per progredire con un tale interiore sistema di insegnamento – e mi si scusi se lo devo esprimere in negativo – è di non cambiare lezioni ad ogni ora. Nella Scuola Waldorf abbiamo il cosiddetto insegnamento a epoche. Ci si occupa di continuo di una determinata materia da quattro a sei settimane. Non abbiamo aritmetica dalle 8 alle 9, lettura dalle 9 alle 10, scrittura dalle 10 alle 11; prendiamo invece una materia e ce ne occupiamo in continuazione durante le ore dell’insegnamento principale, mattina dopo mattina e per quattro settimane. Cambiamo quando la classe è progredita a sufficienza. Mai cambiamo passando da aritmetica dalle 8 alle 9 a lettura dalle 9 alle 10, ma restiamo per quattro-sei settimane con l’aritmetica, cambiando poi materia per un’altra epoca. Solo in singoli casi, dei quali ancora parlerò, abbiamo un orario delle lezioni. In linea generale nel cosiddetto insegnamento principale abbiamo rigorosamente introdotto l’insegnamento a epoche. Durante l’epoca trattiamo solo gli argomenti tra di loro affini.

 

In tal modo togliamo allo scolaro l’elemento di disturbo interiore, animico, per il quale egli deve in un’ora far agire sulla sua anima cose che nell’ora successiva devono essere di nuovo abbandonate. Cose del genere non possono essere evitate, se non introducendo il cosiddetto insegnamento a epoche.

 

Certo ci viene rimproverato l’insegnamento a epoche, con la motivazione che gli scolari dimenticherebbero le cose da un’epoca all’altra. L’inconveniente può però presentarsi soltanto per particolari materie, come per esempio l’aritmetica, e comunque con un po’ di ripasso tutto va di nuovo a posto. Per la maggior parte delle materie il dimenticare si presenta in misura insignificante, se paragonata agli enormi vantaggi che si ottengono quando la classe si concentra su una sola materia per una determinata epoca.