I singoli suoni e le loro correlazioni

O.O. 279 – Euritmia linguaggio visibile – 27.06.1924


 

Sommario: L’essere interiore dei suoni fu svelato negli antichi misteri. Diversità e caratteristiche delle lingue. I suoni sono le singole componenti elementari dell’euritmia; va rivolta particolare attenzione alla descrizione del passaggio da un suono all’altro. Il genio della lingua e la possibilità di sentire l’essere che risiede nelle parole. Nella logica della lingua si esprime il carattere del popolo.

 

Ieri siamo giunti sino alla rappresentazione della r, sviluppando la natura interiore degli altri suoni che rappresenteremo.

Si tratta anzitutto di afferrare il suono della s. Come già abbiamo spiegato ieri, ebbe sempre grandissima importanza anche per i misteri. In effetti si vedeva in essa qualcosa di magico; può essere infatti sentito come l’elemento che calma in modo certo, tanto da venirne convinti, che calma con l’impulso del suono s nel più intimo di un essere, penetrandolo.

 

Ho detto quindi che, quando negli antichi misteri veniva domandato da un estraneo ad un discepolo che cosa avesse imparato mediante il suono della s, questi rispondeva, come di consueto in modo umoristico, dicendo: chi conosce veramente il suono della s può guardare nel profondo dell’anima degli uomini e nel cuore delle donne. In tutti e due i casi, quando si voglia vedere nel profondo, si deve raggiungere uno stato di quiete. Questo calmare portava naturalmente ad una connotazione umoristica della frase.

 

Se ora viene sentito nel suono della t. saggezza in me, io formato dalla saggezza, saggezza in me vivente, io la espiro, essa è qui – nel suono della s viene sentito qualcosa dietro cui si nasconde un leggero timore, qualcosa da cui ci si deve guardare. Perciò negli scritti in cui, come ho detto ieri, la s, la linea serpeggiante, sta alla base di diverse lettere dell’alfabeto, anche la scrittura viene sentita come qualcosa di inquietante, come qualcosa grazie a cui si illuminano profondità nascoste. Ed oggi, almeno se prendo l’oggi come momento storico, continua ad esservi, per i popoli che non sono abituati all’uso della scrittura (ve ne sono ancora pochi) qualcosa di inquietante nel vedere i segni della scrittura. Quando gli Europei, questi “uomini migliori” della civiltà, incontrarono gli Indiani nordamericani, questi sentirono qualcosa di spiacevole in quegli “uomini migliori”, ma anche una sensazione spiacevole nei confronti dei segni della scrittura e dissero che i visi pallidi, commessi li chiamavano, questi inquietanti visi pallidi facevano apparire come per incanto sulla carta anche “piccoli demoni”. E la cosa fu considerata assolutamente in questo modo fin nel XIX secolo presso alcuni ceppi di Indiani ancora esistenti.

 

Pensiamo ora a queste due lettere dell’alfabeto, a questi due suoni: la f e la s. Questi devono essere configurati in euritmia in modo da poter vedere una potente differenza tra loro. Quando viene eseguita la f essa deve esprimere il calmo dominio di ciò che vien fatto comparire come per incanto nel mondo, che vien fatto comparire come per incanto, con calma. Nell’esecuzione si devono soltanto piegare un po’ le mani verso il braccio, ma in modo attivo, non lasciarle penzolare, ma come se si coprisse qualcosa in modo protettivo.

Ora la s; si osservi come nel suono della s qualcosa venga allontanato con vera padronanza (viene eseguito). Si avverta questo allontanare con padronanza. Sta veramente nel rapporto che nasce dal movimento, nel rapporto tra le due braccia.

 

Passiamo ora alla sch. È inconfondibile: sch, l’elemento che soffia via, che passa soffiando. L’abbiamo già sperimentato, suscitando in noi la sensazione dell’husch–husch. Il venticello soffia via e se ne va: husch–husch.

In ogni parola che contenga in sé l’interiezione, si percepirà la sch come elemento che soffia via. Vi sono infatti parole molto caratteristiche a questo proposito.

 

Torniamo ora sul profondo significato di ciò che dissi in questi giorni sulla diversità delle denominazioni linguistiche, delle denominazioni delle cose attraverso le parole delle diverse lingue: le varie lingue definiscono infatti qualcosa di diverso. Se in tedesco diciamo “Kopf, indichiamo proprio la forma, la plasticità del capo; quando in italiano diciamo “testa”, indichiamo ciò che accade con la testa, l’elemento che conferma. E qualcosa di diverso nelle due lingue. Ciò che in tedesco significa Kopf, significherebbe lo stesso anche in italiano, se in italiano si volesse definire la medesima cosa.

 

Sotto questo profilo, le lingue sono molto diverse fra loro. Se consideriamo il tedesco, esso è veramente una lingua plastica. Il genio della lingua tedesca è veramente uno scultore. Questo non va trascurato perché è l’elemento che la caratterizza: il genio della lingua tedesca è uno scultore. Il genio delle lingue romanze ha qualcosa dell’avvocato, del giurista che afferma, convalida, attesta.

 

Questa non è affatto una critica, ma deve essere soltanto una caratteristica. E quindi ogni lingua ha il temperamento e il carattere del suo genio. La cosa si spinge al punto che, per esempio, quando si ascolta l’ungherese o il magiaro oppure anche il finlandese, si ha assolutamente la sensazione che in effetti vi manchi qualcosa. Non si può ascoltare il magiaro senza avere la sensazione che manchi qualcosa ogni tre parole. Dopo ogni tre parole dovrebbe realmente essere ucciso un cervo, quando si parla ungherese o magiaro, poiché il genio della lingua ungherese è un cacciatore. Tutte le parole del magiaro che non sono tratte dall’attività della caccia sono infatti prestiti. La lingua magiara ha assorbito molti elementi: quando si arriva a Budapest si trovano subito, per esempio nelle insegne per strada, tali parole sorprendenti: “Kavehaz” – dal tedesco “Kaffeehaus” (Caffè). Tali parole non sono “magiare” nel senso che ho caratterizzato; la lingua magiara in quanto tale ha moltissime parole “prese in prestito”. Ma quando si ascolta la lingua magiara, essa ha qualcosa di legato alla caccia. Questo non è male: agricoltura, caccia, pastorizia sono gli elementi da cui prese le mosse l’umanità intera. Vive ancora una forza originaria in una lingua come il magiaro. Il genio di quella lingua è un cacciatore, si potrebbe anzi dire una cacciatrice: Diana – soltanto va considerato in tal caso che gli Dèi non sono così definiti dal sesso.

 

Possiamo quindi dire: nella lingua tedesca abbiamo proprio lo scolpire, il configurare. Questo vi è espresso in modo del tutto particolare.

Perciò troviamo ancora molte interiezioni caratteristiche, che non sempre ricordano un serpente; quando un topo si trova sotto gli alberi e non è tranquillo, sembra vi sia qualcosa di rotolante e poco rassicurante, si è colti da stupore: r-a – ora soffia via – sch. Non ci si ferma alla meraviglia: succede qualcosa, ma vi si può resistere: e. Ci si adatta a ciò che accade, lo si comprende lentamente; dove c’è uno spazio cavo si passa strisciando, più in basso, più in alto: l. E quando è finito, lo si è compreso: n, rascheln (frusciare). Qui vi è tutta la plasticità del “frusciare”.

 

Nella lingua tedesca è sorprendente quanto si trova di ciò che corrisponde realmente alla plasticità del linguaggio, che corrisponde a un linguaggio plastico. Non è quindi irrilevante che l’euritmia sia nata nel modo più facile proprio nell’ambito della lingua tedesca, poiché l’euritmia è scultura in movimento e tale scultura in movimento può esser creata ancor oggi nella maniera più facile partendo dal tedesco. Originariamente, tutte le lingue avevano una plasticità in movimento. Certo molte hanno qualcosa di fortemente musicale, come accade per esempio con il magiaro. Il tedesco non ha molto di musicale, perciò tanta più plasticità. Per questo in rascheln (frusciare) si trova, come nel husch–husch, l’elemento che soffia via, che porta via soffiando.

 

L’antico Ebreo sentiva nella sch Jahvé che soffiava nel vento: sch, ed è qualcosa che ritroviamo come plasticità del suono sch. Il ritmo dev’essere molto veloce, allora è un frusciare vero e proprio in cui si sente quello che vi è nella parola. Si sente letteralmente frusciare; è veramente così.

 

Anche ieri ho parlato di come vada inteso il suono della z. Ho detto che nell’esperienza della z si avvicina qualcosa di leggero. E la plasticità, l’esperienza della z risiede in questo accennare, in questo nascere dalla leggerezza, da qualcosa che è lieve: z. Quando la prenderemo in considerazione, vedremo quindi la z come se si avesse dinanzi a sé un bimbo che ha perduto un oggetto appena comprato per lui, ed è perciò immensamente infelice, piange; ma lo si vuole calmare, anziché castigare. Diciamo quindi che, davanti a quel bambino, non si trovano ad esempio la madre o il padre, ma la zia o la nonna che cercano quindi di comportarsi da zia o da nonna con il bimbo che ha appena combinato qualcosa”. Il gesto, in particolar modo con la mano destra, sta ad indicare: bimbo, lascia perdere. È importante in questi casi rappresentarsi tali piccole storie. Si deve sentire la z in particolare nel braccio, non nell’articolazione della mano, ma nell’abbassare il braccio.

 

Così abbiamo sostanzialmente esaminato i singoli suoni in quanto tali. Si tratta ora di trovare la giusta rappresentazione delle loro correlazioni. Per penetrare gradualmente anche negli altri campi, vorrei fare di tanto in tanto osservazioni corrispondenti; nei punti relativi rimanderò sempre all’elemento euritmico–pedagogico ed euritmico–terapeutico, partendo dal fattore artistico. Se quindi passo all’elemento euritmico–pedagogico, si vedrà tale fattore scaturire dalla natura dei suoni che abbiamo ora spiegati, mentre vi appare del tutto evidente come si debbano dapprima usare parole che trattengano le sensazioni, per poi rappresentare l’elemento suddetto. Si penetra realmente in una sensazione trattenuta: così si può suscitare quel che dovrebbe essere sentito, e cioè che l’euritmia è un linguaggio, un linguaggio che si può comprendere immediatamente, se soltanto ci si abbandona ad una sensazione priva di pregiudizi. Facendolo in modo possibilmente chiaro, deciso, proprio nella parola rascheln (frusciare) per esempio, è contenuto tutto; si deve però sempre immaginare che vi sia non solo il processo obiettivo, ma anche la sensazione. Dirò in un punto che cosa vi sia dentro quando si farà euritmia, allora si sentirà come vi sia contenuto tutto (la parola viene eseguita in euritmia): il naso per esempio tra sch ed e, che si volge al frusciare!

Aggiungendo il fattore soggettivo dei sentimenti, si ha tutto nell’elemento euritmico.

 

Prendiamo un’altra parola caratteristica. Dissi che nella c abbiamo qualcosa che nella k e ancora più forte: nella k abbiamo un dominare–la–materia da parte dello spirito. Immaginiamo di avere davanti qualcuno che strilla, ad esempio un vero ragazzaccio che si mostra in tutto il suo aspetto materiale, suscitando un po’ di paura. Non si riesce a cavarsela bene nei suoi confronti, si vorrebbe allontanarlo, nonostante ci blocchi a causa del suo comportamento, gli si dice quindi, ma in modo euritmico: kusch. Vi è sempre la possibilità di sentire queste cose: l’allontanamento, il contrarsi in sé rispetto a ciò cui si dice kusch, ma anche il dominarlo. Va eseguito in modo da mostrare chiaramente la sch alla fine. L’acquietarsi del kusch sta già nel fatto di volerlo soffiare via.

Volendo procedere in senso pedagogico, si cercherà di scegliere quelle parole in cui si possa ancora sentire senz’altro la plasticità della conformazione da un lato e dall’altro la vita interiore che si sviluppa in tal caso.

 

Questi suoni sono le singole componenti elementari dell’euritmia. Partendo da qui si devono poi comporre le parole. Se in una parola qualsiasi, diciamo nella parola rascheln o in un’altra, si combinano insieme queste componenti elementari, questi suoni l’uno dopo l’altro in modo semplicemente razionale, non ne vien fuori alcuna parola. In effetti, la parola è un tutto più di quanto si pensi. Se la parola non fosse un tutto, non saremmo diventati così linguisticamente raggrinziti quanto lo siamo in realtà. Quando leggiamo, non leggiamo affatto chiaramente i singoli suoni, ma scivoliamo sulla parola e lasciamo solo risuonare leggermente le lettere, cosicché un suono si mescola all’altro, un suono passa nell’altro anche nel linguaggio abituale. Quindi si deve rivolgere un’attenzione particolare non soltanto alla rappresentazione del singolo suono, ma innanzi tutto a quella del passaggio da un suono all’altro. Soltanto in tal modo può divenir bella la rappresentazione di una parola, cioè creando un passaggio naturale da un suono all’altro.

 

Sarà quindi necessario rivolgere l’attenzione al modo in cui un suono scaturisce veramente dall’altro, lo si dovrebbe sperimentare. Si dovrebbero prendere per esempio parole caratteristiche che compaiono spesso, che sarebbe necessario sentire effettivamente come un tutto, poiché non si scompongono più nelle loro componenti elementari. Prendiamo per esempio una parola come und (e), e cerchiamo di rappresentarla con uno slancio continuo e di iniziare la n già prima di completare del tutto la u. Questo lo si può fare benissimo in euritmia. Prima di aver finito con la u, si passi alla n: u–n e poi direttamente alla d: und.

 

Con l’euritmia si può studiare come siano strutturate le intenzioni più profonde del genio della lingua. Ho detto che la d è il movimento che indica. Ciò si realizza nell’euritmia. Com’è quindi la fine di and? E la d, il movimento indicativo. Che cosa significa in effetti und in una frase? Diciamo per esempio: Sonne und Mond (sole e luna). Il sole l’abbiamo; dal sole si indica la luna. Grazie all’euritmia si ritrovano i gesti originari presenti nella lingua. Questo deve essere sentito.

 

Da questo punto di vista consideriamo una parola che ha perduto da tempo, anche in tedesco, la plasticità che un giorno ebbe in massimo grado. Un giorno non significa secoli fa, ma non molto tempo addietro. Nella forma in cui esiste oggi, la parola è relativamente nuova; nella forma scaturita dal dialetto aveva questa plasticità e nel dialetto la mantiene ancora oggi. Non dobbiamo farci fuorviare nella percezione di queste cose da una filologia, per altro del tutto legittima. Prendiamo la parola tedesca Mensch (essere umano). Ora rappresentiamola euritmicamente ed accorciamo un pochino la sch, cosicché compaia un Mensch breve. Abbiamo chiaramente alla fine l’elemento che soffia via.

 

Come può toccare veramente questa rappresentazione dell’essere umano? Lo fa in quanto vi è dentro il fattore passeggero, transitorio della vita umana; l’uomo, un essere perituro; l’uomo in un significato ancor più traslato: un essere insignificante. Questo ci dice il gesto euritmico che rende Mensch nella sua totalità.

 

Vi è però la parola dialettale Mensch che significa donna insignificante – non nel senso di prostituta, ma di un essere femminile insulso: das Mensch. Vi è insito fortemente il fattore insignificante e quindi la sensazione tragica che si prova nei confronti di der Mensch scivola un po’ nel significato spregiativo dicendo das Mensch. Di qui il gioco di parole, il modo in cui venne tramandato con disprezzo un bel detto classico: «Nehmt alles nur in allem» (prendete soltanto a grandi linee) tutto ciò che vien detto da una donna – «sie ist ein Mensch gewesen» ( si tratta di un essere insignificante).

 

Abbiamo così la possibilità, proprio nella rappresentazione euritmicamente plastica e gestuale, di sentire profondamente il significato, l’essere che risiede nelle parole.

Dobbiamo tuttavia aver chiaro come l’elemento euritmico renda necessario, nella parola consistente in suoni, passare nuovamente alla natura interiore di ciò a cui la parola si riferisce. Guardando in successione la rappresentazione apparentemente della stessa cosa, si può percepire il carattere dell’euritmia, il carattere del diverso in euritmia. (Un’euritmista esegue la parola Kopf, un’altra testa). Con la parola Kopf si ha il sentimento che si voglia fare qualcosa di rotondo, che si voglia scolpire. Con testa si vuole assolutamente avere ragione! Si percepisce quindi nel carattere più profondo, ciò che un essere della parola vuole portare ad espressione.

Ciò deve però essere rispettato. In modo grandioso attraverso l’euritmia viene espresso il carattere delle diverse lingue che così apparirà dinanzi ai nostri occhi.

 

Per illustrare tutto questo prendiamo alcuni versi di una poesia tedesca:

 

Es stand in alten Zeiten ein Schloss, so hoch und hehr.     Weit glànzt es uber die Lande bis an das blaue Meer.

(Vi era un tempo un castello, severo e maestoso.    Da lontano risplende sulla pianura sino all’azzurro mare.)

 

Eseguiamola possibilmente in modo lento, con tutti i suoni, così che ne emerga il carattere. (Segue l’esecusfone anche di una poesia francese e di una inglese.) Quelli che furono ad Ilkley ricorderanno che dissi come si veda nella lingua inglese che essa ha a che fare con il mare fluttuante. Questo dominare le onde, presente tanto fortemente nel carattere della lingua inglese, lo si vede apparire nel modo più chiaro nell’euritmia. (Segue l’interpretazione euritmica di una poesia ungherese.)

In questa lingua si esprime il fatto che il Magiaro non può immaginarsi altrimenti che posto saldamente nel mondo; in questa rappresentazione si può percepire persino l’elemento che passa attraverso il bosco e la foresta.

Il russo è una lingua che fa semplicemente intendere, che fa soltanto risuonare la vera natura interiore della parola. E’ una lingua che non ha raggiunto sinora l’essenza della cosa, ma segue ancora le tracce dell’essere e indica ovunque il futuro.

 

Vorrei ancora che si confrontassero due cose in cui si manifesta fortemente il carattere. Lo si deve sentire, altrimenti non si impara a ritrovarsi nell’euritmia. Ciò che deve introdurre nell’euritmia non può essere soltanto un elemento teorico, intellettuale, ma dev’essere qualcosa che ci avvicina alla sensazione. Confrontiamo allora l’interpretazione euritmica di una poesia russa con quella di una poesia francese, cercando di sentirne la diversità. (Segue dapprima la rappresentazione della poesia russa). Nel russo viene seguita la traccia dell’essenza della parola; nella poesia francese, si volteggia dinanzi a tale essenza (viene rappresentata la poesia francese). I due caratteri si comportano realmente come il giorno e la notte, come due poli contrapposti.

Riflettendo su tutto questo, si dovrà dire: l’euritmia è completamente predisposta ad esprimere in modo chiaro l’essere incarnato nel linguaggio e, in particolare, nel carattere del linguaggio. Può quindi esprimere ciò che sta dietro il linguaggio e che va espresso.

 

Partiamo in tal caso da qualcosa di ben determinato. Quando parliamo, distinguiamo parole astratte, parole che indicano qualcosa di astratto, e altre che indicano qualcosa di concreto. Nelle parole che indicano qualcosa di astratto, la sensazione ha un’altra qualità da quella che si ha con le parole concrete. Quando si ha una sensazione naturale, vivace, quando non si è né “rospi” né “pesci”, ed anche questo fa parte del linguaggio, ascoltando un’astrazione si ha la sensazione di essere scavati, svuotati. Si diventa interiormente come un ghiacciaio quando si ascolta un’astrazione. A tale scopo ci si deve educare alle sensazioni. Si dovrebbero per esempio già sviluppare le sensazioni per quelle cose che, espresse, suonano tuttavia paradossali. Ma chi voglia familiarizzarsi artisticamente con il linguaggio e quindi con l’euritmia, deve poter formare proprio tali sensazioni.

 

Quando si legge Kant… Anche se non si è letto mai nulla di Kant, si sa come sia riconoscibile il fenomeno: quando si legge Kant…(ilarità). Come mai vi sembra tanto umoristico? pensate che non si possa fare? Dimostrerò subito il contrario. È così sgradevole leggere Kant in città, in una sala di lettura o all’università. Non vi si adatta bene. Ma si provi soltanto a leggere Kant quando fa molto freddo, a leggerlo sul Monte Bianco, e si vedrà subito come sia adatto. Quando si inizia a leggerlo, è astratto ed è così fino alla fine. Se però lo si legge in una “atmosfera ghiacciata”, vi si adatta in modo eccellente: se si riesce ad immaginare qualcosa di simile, il sentimento si adatta senz’altro all’elemento astratto.

Ciò che è concreto non lo si deve leggere sul Monte Bianco, ma lo si deve leggere o dire vicino ad una stufa calda. Questo non dà un senso di vuoto, ma riempie.

 

Cerchiamo ora di indicare veramente l’astrazione, in un contesto in cui si deve comprendere qualcosa di astratto. Prendiamo una parola astratta. Certo tutto è relativo: ciò che è astratto per qualcuno può essere molto concreto per un’altro. Ma indichiamo qualcosa di molto astratto ed accenniamo il gesto, cioè il movimento dell’astrazione in assoluto. Ipotizziamo per esempio che la parola Dreieck (triangolo) compaia in un certo contesto e che si voglia esprimere l’astrazione. Si dovrebbe fare in modo che il movimento scaturisse qui dietro, qui davanti (v. schema) (il movimento viene eseguito nello spazio con i passi).

 

 

Si è di fronte al compito ingrato di scavare; si forma in certo qual modo la parte anteriore di una botte – per esprimerlo in modo drastico – avendo il vino non dinanzi a noi, ma dietro, per cui lo si copre. La parte anteriore di una botte crea l’astrazione.

 

Prendiamo ora una cosa concreta, diciamo per esempio Frosch (rospo) o Fisch (pesce), una cosa concreta che si possa vedere. L’elemento essenziale di ciò che è concreto è questo movimento (v. schema). Facendo questo movimento si può immaginare di avere il vino dinanzi. Lo si prende sotto la propria protezione. Vi si sente ciò che rappresenta, mediante noi, Lelemento che riempie.

Immaginiamo che si vogliano esprimere un’affermazione e una negazione, che si voglia trasporre in euritmia ed esprimere con forza prima di tutto l’elemento affermativo.

 

Un figlio lascia la casa paterna. Mentre egli l’abbandona, si afferma che egli tornerà. Tu tornerai da me! dice il padre. (A un ’euritmista: «Esegua: Tu tornerai da me, esprimendo chiaramente raffermatone»). In che cosa abbiamo espresso l’affermazione? Nell’incedere. Questo incedere in avanti (nella direzione verso destra) esprime l’affermazione, in certo qual modo il porre nel movimento una i – affermazione. Quindi l’affermazione: l’incedere dal dietro in avanti.

 

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Negare – ipotizziamo che qualcuno voglia proibire a un bimbo qualcosa che ha fatto: questo non me lo farai di nuovo. Se volete che la negazione venga espressa fortemente, l’avrete espressa nel retrocedere (verso sinistra). Queste cose sono semplicissime.

 

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In tal modo si può passare da una manifestazione dell’essere, che risiede nella singola parola, alla logica interiore che risiede nel linguaggio. Allora il carattere risalta in effetti ancora di più. Quando si guardano i singoli suoni, il carattere del linguaggio risalta maggiormente quando si interpreta euritmicamente una poesia in una lingua qualsiasi; se si passa d’altro canto a cose che verremo a conoscere l’una dopo l’altra, se si passa a questa logica che si esprime tramite il linguaggio, allora viene maggiormente ad espressione il carattere del popolo.

 

Passiamo alla logica del linguaggio, diciamo alla meraviglia. Se in un qualsiasi passo compare un contesto che esprima meraviglia, si fa il gesto della meraviglia (gesto della a) fondendolo con gli altri suoni, cosicché le due cose vi siano presenti contemporaneamente. Questo lo dà la grande ricerca di come ottenere la connessione di suoni con questa caratterizzazione del contenuto emotivo della logica linguistica: ach, mie schdnl (ah, come è bello!). Si mettano quindi insieme le due cose, il gesto di meraviglia e la connessione dei suoni: ach, wie schdnl — in modo che vi siano dentro entrambe le cose. Si può pensare che, a seconda del contenuto emotivo, anche le altre vocali possano essere fuse in modo preciso e come coloritura in intere connessioni di suoni.

 

Il gesto della meraviglia dev’essere assolutamente collegato al singolo suono; il meravigliarsi deve stare dentro la formazione dei suoni.

 

Domani analizzeremo poi movimenti simili.