Il bello e l’arte (1898)

O.O. 271 – Arte e conoscenza dell’arte – (IV)


 

Sommario: In Goethe, Schiller e Jean Paul i concetti sull’arte sono nati dall’arte stessa; per Vischer, Carrière, Schasler, Lotze e Zimmermann l’arte è un problema filosofico. La posizione di Vischer sull’arte

 

(Articolo apparso in «Das Magazin für Literatur»)

Ho qui un libro che risveglia in me bei ricordi. Robert Vischer, figlio del noto estetico Friedrich Theodor Vischer, ha iniziato la pubblicazione delle opere di suo padre, e ha chiamato Il bello e l’arte il libro nel quale ha riunito con grande cura gli scritti di lui e di alcuni suoi discepoli.

Mentre leggevo il libro riaffioravano in me tutte le idee che tempo fa avevo formato in merito all’essenza dell’arte. «Tempo fa» vuol dire diciotto o vent’anni fa. Persone della mia età cercarono allora di chiarire la natura dell’arte sulla base delle opere sull’estetica di Vischer, Weiße, Carrière, Schasler, Lotze e Zimmermann.

 

Tutti costoro venivano dalla filosofia che dominò la cultura della prima metà del nostro secolo. Alcuni si rifacevano a Hegel, altri a Herbart; e per tutti l’arte era un problema filosofico.

Anche Goethe, Schiller e Jean Paul avevano pensato a modo loro sull’essenza delle arti. In merito erano però partiti dall’arte stessa, dicendo che cosa l’uomo è costretto a pensare quando fa agire l’arte su di sé. I loro concetti sull’arte nascevano cioè dall’arte.

Vischer, Carrière, Weisse, Zimmermann, Schasler non movevano in origine dalla diretta vivente natura. Riflettevano sul complesso dei fenomeni universali. Di questi fanno anche parte i prodotti della creazione artistica. Come riflettevano sull’essenza della luce, del calore e dell’evoluzione animale, così riflettevano anche sull’essenza dell’arte. Il loro punto di partenza era l’uomo che conosce, non quello che sente artisticamente la natura.

 

Certo non intendo che a un uomo come Friedrich Th. Vischer vada contestata la sensibilità artistica nel massimo e più puro senso della parola. Al contrario, la sua comprensione per l’arte è la più viva e personale pensabile. Quando tuttavia parla dell’arte, lo fa da filosofo.

Per Vischer il mondo era la realizzazione dello spirito divino. Di conseguenza per lui l’arte è l’illustrazione dello spirito divino nel marmo, nelle linee, nei colori e nelle parole. Come realizza l’artista lo spirito divino nella materia che cade sotto i sensi? Questo era per Vischer il problema fondamentale. Alla base di tutte le sue elaborazioni vi era un’elevata e matura elaborazione filosofica. Il linguaggio da lui usato viene oggi compreso ancora da pochi. Può essere capito soltanto da chi abbia come parte essenziale della sua formazione i pensieri filosofici di Schelling e di Hegel. Solo costoro possono avere interesse per i problemi posti da Vischer, per i pensieri che egli trasmette.

Oggi solo pochi sono in grado leggere un libro di Vischer come lo leggevano i suoi contemporanei. Per gli uomini di oggi vi si parla di cose che più non li riguardano.

 

In sostanza per Vischer l’arte era una questione impersonale. Faceva parte dei compiti che vengono posti all’uomo dalle potenze superiori. Tuttavia Vischer non crede a un Dio personale, pur credendo a un Dio, a un Essere spirituale che si manifesta nella natura, nella storia e nell’arte. Tale Essere è al di sopra dell’uomo. I nostri migliori contemporanei hanno abbandonato tale credenza: per loro lo spirito non è più autonomo, ed è solo presente in quanto la natura abbia la capacità di manifestare l’elemento spirituale.

Per loro il massimo spirito viene prodotto dall’uomo che lo fa nascere dalla propria natura, ed è presente soltanto se l’uomo crea spiritualmente.

 

Vischer crede che lo spirito sia presente in se stesso, e che l’uomo debba soltanto afferrarlo. I nostri contemporanei credono che solo la natura sia presente senza l’uomo e che lo spirito sia prodotto soltanto dall’uomo. Di conseguenza per Vischer l’artista è un uomo che è ricolmo di spirito divino e lo incorpora nelle sue opere.

 

Per i nostri contemporanei l’artista è un uomo che ha la necessità di usare violenza sulle cose, imprimendo loro l’impronta della sua personalità; non credono di dover incorporare uno spirito, ma vogliono creare cose che corrispondano alle loro idee, alla loro fantasia.

 

Vischer dice: lo scultore forma nel marmo una figura umana che non è simile ad alcuna vera figura esistente, perché inconsciamente vuole incorporare l’immagine, l’idea di tutta l’umanità, avendo in sé il prototipo dell’uomo, il divino prototipo dell’uomo.

 

I moderni nulla sanno di tale prototipo; sanno soltanto che, osservando la figura umana, si presenta all’anima una figura ed essi vogliono realizzarla.

Accanto al mondo della natura vogliono farne nascere uno artificiale al quale imprimere il loro temperamento, la loro fantasia. È un mondo voluto dall’uomo, non scaturito dallo spirito divino.

I moderni non comprendono più che si parli dell’arte come di una realizzazione del divino; possono solo capire che l’uomo abbia il bisogno di dar forma a cose secondo il suo temperamento, la sua ispirazione.

I moderni vogliono parlare umanamente dell’arte e non più interessarsi dell’impulso religioso che era alla base delle elaborazioni di Vischer.