04 – Il passaggio dell’uomo attraverso le sfere planetarie e il significato della conoscenza del Cristo

O.O. 140 – Ricerche occulte sulla vita fra morte e nuova nascita – 18.11.1912


 

QUARTA CONFERENZA

 

Sommario: Coscienza ed esperienza dell’Io nella vita terrena. Sviluppo della coscienza mediante la continua distruzione dei corpi astrale, eterico e fisico nel corso della vita; loro ricostruzione al passaggio attraverso le sfere planetarie nella vita tra morte e nuova nascita. Invecchiamento e morte. Nella sfera di Mercurio: la disposizione animica morale produce socievolezza nel dopo morte e lavora al progresso del mondo; l’immoralità della costituzione animica sortisce isolamento nel dopo-morte e causa distruzione nel mondo. Nella sfera di Venere: le rappresentazioni e i sentimenti religiosi generano socievolezza nel dopo- morte, quelli materialistici imprigionano e isolano l’anima. La sfera solare: necessità delle sue forze per preparare il corpo eterico di una nuova incarnazione. Il rapporto tra la possibilità di accedere nel dopo-morte alle forze della sfera solare e la comprensione dell’impulso del Cristo durante la vita terrena. Il carattere universalmente umano dell’impulso del Cristo rispetto ad altri impulsi religiosi. Costruzione del corpo fisico per una nuova incarnazione terrena grazie alle forze del Padre, alle quali veniamo condotti dall’impulso del Cristo. L’essenziale nell’accoglimento dei contenuti della scienza dello spirito. Un pensiero di preghiera.

 

Siamo questa sera riuniti nel nuovo involucro, diciamo così, del nostro caro gruppo teosofico di Hannover e c’è stata una bellissima inaugurazione, perché si sono presentati tanti nostri amici. Essi hanno così dimostrato ancora una volta, anche in questo luogo, che nel loro cuore fanno sul serio con quel che riassumiamo nella corrente della nostra concezione spirituale del mondo. Da un po’ di tempo in occasioni del genere c’è davvero sempre una difficoltà, che d’altronde ci può colmare di una certa soddisfazione: il fatto che, quando i nostri amici si sono creati una sede per il loro lavoro, già dalle primissime riunioni si dimostra troppo piccola.

 

Naturalmente questa è una cosa che ha due aspetti, è anche ciò che può colmare la nostra anima di fiducia e speranza per la portata del nostro movimento. E dunque lasciatemi esprimere, solo molto brevemente all’inizio delle nostre considerazioni, l’augurio che anche in questi spazi possano fiorire benedizioni e prosperità al lavoro spirituale che qui verrà compiuto. Lasciatemi esprimere dal cuore l’auspicio che questo lavoro possa svolgersi in modo che, per la sua forza interiore e per la sua onestà, possa avere la benedizione di coloro che, come guide spirituali, vegliano sul nostro movimento.

 

Possiamo ottenere questa benedizione solo se tendiamo ai grandi ideali spirituali con onestà interiore, veridicità e rettitudine. Ma se qui lavoriamo insieme partendo da questo anelito, con spirito serio, vero e onesto, allora possiamo anche sempre essere certi che la benedizione di coloro che chiamiamo i maestri della saggezza e dell’armonia dei sentimenti regnerà sul nostro operare. E così possa scendere fluendo su di noi questa benedizione, affinché il nostro lavoro possa divenire qualcosa che dà forza e vigore alle anime, così che questo lavoro possa fornire una piccola pietra da costruzione a ciò che va portato all’intera civiltà umana tramite la scienza dello spirito.

 

Miei cari amici, nella nostra riflessione odierna vogliamo partire col prendere in considerazione quel che chiamiamo la nostra coscienza umana. Cos’è mai quella che chiamiamo la nostra coscienza? Possiamo anzitutto circoscriverla, dicendo: mentre ci troviamo nello stato di sonno, dall’addormentarci la sera fino al risveglio del mattino successivo, questa coscienza non è in noi.

 

Nessuno che abbia la testa a posto, se posso esprimermi così, dubita nondimeno di esistere quando la sera, all’addormentarsi, in certo qual modo perde questa coscienza. Se ne dubitasse, infatti, affermerebbe in modo del tutto insensato che tutto ciò che ha sperimentato interiormente se ne vada perso durante il sonno e soltanto al mattino successivo torni a sorgere di nuovo.

Chi non abbia questa idea assurda è convinto di esistere anche nel tempo in cui dorme. In lui però non c’è quella che chiamiamo coscienza. Durante il sonno noi non siamo ricolmi di rappresentazioni, non siamo pervasi di impulsi, brame e passioni; non siamo pieni di dolori e sofferenze, perché, quando i dolori diventano tanto forti da disturbarci il sonno, la coscienza rimane allora per l’appunto presente. Colui che sa distinguere il dormire dall’esser desti può anche sapere cos’è la coscienza.

 

La coscienza è ciò che ad ogni risveglio rientra di nuovo nell’anima.

Tutta la somma di rappresentazioni, affetti, passioni, dolori e via dicendo, al mattino rientra nuovamente nell’anima.

• Per mezzo di che cosa questa coscienza è espressamente caratteristica dell’uomo?

• Lo è per il fatto che tutto ciò che l’uomo può avere nella sua coscienza è in certo qual modo accompagnato

dal sentimento, dalla sensazione, dall’esperienza dell’Io.

 

È una rappresentazione della quale non possiate almeno pensare “io me la rappresento”,

una sensazione di cui non possiate pensare “io provo la sensazione”,

un dolore del quale non possiate dire “io sento dolore”

– non sarebbero una vera esperienza interiore della vostra anima.

• Tutto quello che sperimentate deve essere collegato alla rappresentazione dell’Io.

 

Ed è così anche in questo caso. Tuttavia sapete che questo essere collegati alla rappresentazione dell’Io, ne abbiamo parlato di frequente, comincia soltanto a un certo momento della vita. Più o meno attorno al terzo anno, allora il bambino comincia per la prima volta a collegarvi un’esperienza, quando non dice più: “Carletto, o Mariella, gioca, o parla o altro”, ma dice: “Io parlo”. È così che si accende il sapere dell’Io nel corso dell’età infantile.

 

Oggi vogliamo chiederci: come si accende gradualmente nel bambino il sapere dell’Io? Proprio con questa domanda possiamo vedere che alle cose, diciamo, più semplici, apparentemente più semplici, non è tanto facile rispondere, sebbene la risposta sia talvolta ben evidente. Come succede dunque che il bambino, dallo stato di coscienza generale privo di Io, arrivi a rappresentazioni ricolme di Io? Chi veramente studia la vita infantile può apprendere come il bambino giunga a ciò.

 

Vedete, c’è un’osservazione molto semplice che ognuno può fare e che lo può portare a convincersi di come il bambino arrivi alla coscienza dell’Io. Basta solo che, per una volta, l’uomo osservi sul serio come si forma e si rafforza questa rappresentazione dell’Io.

Osservate un bambino quando batte la sua testolina contro lo spigolo del tavolo. Se osservate con più precisione la vita infantile, troverete che il sentimento dell’Io si è accresciuto dopo che il bambino ha battuto la testolina. Il bambino si è infatti percepito e ciò contribuisce a che egli venga a sapere di sé. Ora, per una cosa del genere non c’è sempre bisogno di farsi male, non occorre sempre che ci siano delle ferite esteriori. Già quando il bambino appoggia le sue mani da qualche parte vi è un piccolo urto, così il bambino si percepisce al contatto con altre cose. Dovreste dirvi: egli non giungerebbe alla coscienza dell’Io se non si percepisse al contatto con il mondo esterno, nella resistenza del mondo esterno.

 

Se il bambino non sperimentasse alcuna resistenza, mai arriverebbe alla coscienza dell’Io.

Il fatto che egli possa avere di fronte a sé un mondo esterno, questo sviluppa in lui a poco a poco la coscienza dell’Io.

 

Sapete dunque che il bambino in un determinato periodo della sua vita possiede questa coscienza dell’Io. Poi però quello che si è verificato fino ad allora non cessa nell’uomo, ha semplicemente luogo un rovesciamento. Il bambino ha sviluppato la coscienza dell’Io nel percepire gli oggetti esterni come presenti al di fuori di sé, quindi nel separarsi da essi. Una volta che questa coscienza dell’Io c’è, essa sbatte ancor sempre contro qualcosa, deve ancora continuamente urtarsi. E dove si urta? Quel che non viene in contatto con alcuna cosa non può sapere nulla di se stesso, perlomeno non all’interno del nostro mondo, nella misura in cui noi viviamo nel mondo.

 

Dal momento in cui la coscienza dell’Io è presente, l’Io urta contro la propria corporeità interna,

l’Io comincia allora a vivere verso l’interno, comincia a urtare verso l’interno contro il proprio corpo.

• Se volete immaginarvi la cosa, occorre solo che pensiate al risveglio del bambino ogni mattina.

• Questo è un entrare dell’Io e del corpo astrale nel corpo fisico e nel corpo eterico,

allora l’Io urta contro il corpo fisico e l’eterico.

 

Ecco, pensate a quando voi, semplicemente con la mano, toccate e fendete l’acqua, avete allora una resistenza in ogni parte in cui venite a contatto con l’acqua. Così è quando l’Io al mattino si immerge e si trova lambito dalla sua vita interiore. Ma durante tutta la vita questo Io è calato nei corpi fisico ed eterico e da tutte le parti urta contro di essi. Se con la mano sguazzate tutt’intorno nell’acqua, da ogni parte vi accorgerete della mano; così è quando l’Io s’immerge nel corpo eterico e nel fisico e urta da tutte le parti all’interno di questa corporeità. E così accade per tutta la vita.

 

Per tutta la vita l’uomo, ad ogni nuovo risveglio al mattino, deve immergersi nel suo corpo fisico e nel suo corpo eterico e, per il fatto dunque di immergervisi, accadono continuamente urti da parte del corpo fisico e del corpo eterico da un lato e del corpo astrale e dell’Io dall’altro. Quale ne è la conseguenza? La conseguenza è che quelle sostanzialità che lì collidono vengono consumate. All’Io e al corpo astrale da una parte e all’eterico e al fisico dall’altra accade esattamente come quando due corpi battono continuamente l’uno contro l’altro. Si consumano. E questo consumarsi è il graduale invecchiare, il venir logorati che subentra a poco a poco per l’uomo nel corso della vita, questo è anche il principale motivo per il quale moriamo fisicamente.

 

Pensateci: se non avessimo alcun corpo fisico, alcun corpo eterico,

allora non potremmo nemmeno salvaguardare la nostra coscienza dell’Io.

Giungeremmo certo a sviluppare la coscienza dell’Io, ma non riusciremmo a mantenerla.

Perché dobbiamo sempre urtare verso l’interno, se vogliamo mantenerla nella nostra coscienza.

Ne consegue niente meno che il fatto, straordinariamente significativo,

per cui noi abbiamo lo sviluppo del nostro Io dalla distruzione della nostra entità.

 

Se non potessimo collidere con gli arti della nostra entità non potremmo avere alcuna coscienza dell’Io.

Sì, se l’uomo chiede a quale scopo ci siano la distruzione, l’invecchiamento e la morte,

gli si deve rispondere: la distruzione, l’invecchiamento e la morte esistono affinché l’uomo, nel distruggere, si evolva,

vale a dire vada sempre avanti a sviluppare la coscienza dell’Io.

Se non potessimo morire – e questa è l’espressione estrema del fenomeno – non potremmo essere veramente uomini.

 

Se però lasciamo agire sulla nostra anima questo fatto nel suo pieno significato,

può allora venirci il seguente pensiero che l’occultismo può darci come risposta, cioè:

in quanto uomini, se vogliamo vivere, abbiamo sempre bisogno di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io.

• Così come siamo nell’attuale vita umana, dobbiamo dire che ci occorrono questi quattro arti,

• ma per poter conseguire la coscienza dell’Io dobbiamo distruggerli.

Dobbiamo sempre di nuovo riceverli, così da distruggerli sempre di nuovo.

 

Su ciò si basa la necessità delle ripetute vite terrene,

per avere la possibilità di distruggere ogni volta i corpi umani e, in tal modo,

di andare avanti a evolverci proprio come enti umani coscienti.

 

Ora, nella vita terrena non abbiamo che un singolo arto

al cui sviluppo possiamo veramente lavorare, cioè il nostro Io.

All’evoluzione del nostro Io noi possiamo in un certo modo lavorare.

Ma che cosa significa, in senso spirituale, lavorare allo sviluppo del proprio Io?

Se vogliamo dare una risposta a questa domanda, dobbiamo aver chiaro cosa il lavoro sull’Io renda necessario.

 

Supponiamo che una persona si scagli contro un’altra e le dica: “Sei cattivo”. Se questo non è vero, allora la persona in questione ha detto una cosa falsa. Cosa significa una tale affermazione fatta dall’Io, che non è vera? Ebbene, questa asserzione dell’Io, che è una non-verità, significa che da quel momento l’Io ha sminuito il proprio valore. Questo è il senso oggettivo dell’immoralità.

Noi valiamo di più prima del momento in cui abbiamo detto una cosa non vera, rispetto a dopo che l’abbiamo detta.

E misuratevi tutti gli spazi e tutti i tempi: il valore del vostro Io diminuisce, per tutti gli spazi e per tutti i tempi,

per tutta l’immensità e per tutta l’eternità, se lo avete sminuito con una cosa del genere.

 

Però, durante la vita tra nascita e morte disponiamo, diciamo così, di una cosa. Ciò che ha contribuito a rendere il nostro Io meno pregevole, noi lo possiamo sempre correggere, se siamo capaci di superare la nostra menzogna. Con colui al quale abbiamo detto “Sei un uomo cattivo”, possiamo ammettere: “Mi sono sbagliato. Non è giusto quel che ho detto”. O cose di questo tipo. Allora abbiamo restituito valore al nostro Io, abbiamo pareggiato il danno che arrecammo al nostro Io, abbiamo fatto sì che quanto gli abbiamo causato sia compensato.

Così è per molte cose che riguardano il nostro Io: è in mano nostra durante la vita

di poter ancora creare un pareggio, di migliorare ciò per cui l’Io è divenuto manchevole.

 

Se ad esempio è compito nostro sapere qualcosa e lo abbiamo dimenticato, il nostro Io perde valore; ma se ci sforziamo, possiamo riportarlo alla memoria. Prima l’Io ha meno valore, quando abbiamo ricordato abbiamo compensato il danno. Dunque noi possiamo diminuire il valore di questo Io, ma lo possiamo anche sempre aumentare di nuovo.

Vedete, questa capacità da parte nostra di fare la revisione, diciamo così, di un membro vitale, di un membro dell’umanità così che correggiamo i suoi errori, di modo che lo facciamo progredire, questa facoltà noi l’abbiamo in relazione all’Io.

 

La coscienza dell’uomo non si estende però in modo diretto

all’essere astrale, a quello eterico e, assai meno ancora, a quello fisico.

• L’intera vita è tuttavia un continuo distruggere questi tre arti,

ma noi non sappiamo nulla di come la cosa s’aggiusti sempre di nuovo.

 

L’uomo è padrone del modo in cui si ripara l’Io, di come si pareggia un difetto morale o un difetto di memoria,

ma non ha dominio su quel che continuamente distrugge nei suoi corpi, astrale, eterico e fisico.

Eppure questa triade viene di continuo deteriorata e, vivendo,

noi compiamo continui attacchi contro i nostri tre arti umani.

 

All’Io noi lavoriamo.

Anzi, se non lavorassimo al nostro Io per tutto il tempo della nostra vita tra nascita e morte,

esso non progredirebbe proprio.

• Però al corpo astrale, al corpo eterico e al corpo fisico, l’uomo non può lavorare così consapevolmente come al suo Io.

• Tuttavia, quel che in essi l’uomo ininterrottamente distrugge deve venire rimpiazzato.

 

Nel periodo tra la morte e una nuova nascita, l’uomo deve ricevere di bel nuovo

– composto nella giusta maniera come corpo astrale, eterico e fisico – quel che egli ha distrutto.

• Deve essere possibile che in quel periodo noi riceviamo, ricostituito, ciò che prima, nella vita, abbiamo distrutto:

il corpo astrale, il corpo eterico e il corpo fisico.

Questo però può accadere soltanto per il fatto che lavora in noi qualcosa che non è in mano nostra.

 

È molto evidente che, se non avete a disposizione speciali forze magiche, non è in vostro potere procurarvi un corpo astrale quando siete defunti. Questo per l’essere umano va compiuto dal grande universo, dal macrocosmo.

 

Dunque adesso comprendete la domanda:

come viene ricostituito quel che ad esempio abbiamo distrutto del nostro corpo astrale?

Dovremo avere un corpo adeguato quando rinasceremo incarnati in una nuova esistenza.

Dove, nell’universo, si possono trovare le forze che ricostituiscono il corpo astrale?

 

Vedete, potete cercare queste forze sulla terra con tutte le possibili arti di chiaroveggenza, sulla terra non le troverete. E se dipendesse solo dalla terra, allora all’uomo non potrebbe mai più venir creato il suo corpo astrale.

Sbaglia di grosso la concezione del mondo materialistica, la quale crede che tutte le condizioni dell’umanità siano da trovarsi sulla terra. L’uomo non ha la sua patria solamente in terra.

 

Questo ci mostra la vera contemplazione della vita tra la morte e una nuova nascita:

le forze che occorrono all’uomo per rifare il suo corpo astrale si trovano su Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno,

stanno presso gli astri del nostro sistema planetario.

Quello che quanto a forze proviene da questi astri, tutto ciò deve lavorare al ripristino del nostro corpo astrale;

e se noi non riceviamo le forze da là, non possiamo ottenere un corpo astrale.

 

Ma cosa significa questo?

Non significa altro che, dopo la morte o anche nel caso di una iniziazione,

noi dobbiamo uscir fuori dal nostro corpo fisico con le forze del nostro corpo astrale.

E questo corpo astrale si espande nell’universo.

 

Mentre di solito siamo condensati in un solo luogo di questo universo, in un piccolo punto,

dopo la morte tutto il nostro essere si espande fuori nel grande cosmo.

• Veramente la nostra vita tra la morte e una nuova nascita non è altro

che un suggere dalle stelle quelle forze che ci occorrono

affinché gli arti che abbiamo distrutto durante la vita possano venir rifatti a nuovo.

• Dagli astri dunque riceviamo davvero quello che nuovamente ci crea il nostro corpo astrale.

 

Nell’ambito che nel vero senso del termine si chiama occultismo l’indagine è molto difficile, in questo campo è complicata. Davvero, se mandate qualcuno che abbia occhi sani in una località, ad esempio, della Svizzera e questi sale su un monte molto alto e poi torna indietro, vi darà una descrizione che corrisponde alla realtà. Potete però ben immaginarvi che, se andrà una seconda volta da quelle parti e di nuovo salirà sullo stesso monte, forse un po’ più in alto, descriverà allora da un altro punto di vista quello che vede. E grazie alla descrizione fatta da diversi punti di vista, si otterrà un’idea sempre più completa, sempre più precisa del paesaggio montano.

 

Si crede che una volta diventati chiaroveggenti si sappia tutto. La faccenda non è così semplice.

Anche qui nel mondo spirituale si tratta pur sempre di ricercare un pezzo alla volta.

E anche in cose che sono state investigate con esattezza si trova sempre e sempre del nuovo.

 

Ora, negli ultimi mesi, fu proprio mio compito indagare con ancora più precisione, riesaminare il capitolo della vita tra la morte e una nuova nascita. E di queste nuove ricerche vorrei oggi raccontarvi qualcosa.

Naturalmente, riguardo a una cosa del genere sia chiaro che può avere una giusta comprensione soltanto chi sia in grado di immedesimarsi un po’ più profondamente in essa. E soprattutto chi abbia cuore e mente per considerazioni come queste. Non si può pretendere che tutto venga documentato e dimostrato in una serata. Ma se davvero, con pazienza, si mette a confronto e si mette in relazione tutto quanto è stato detto nel corso del tempo, si troverà che nel nostro occultismo non c’è neanche un elemento che non si connetta compiutamente con gli altri, in un tutto ben armonioso.

 

Fu mio compito negli ultimi tempi indagare proprio questo periodo tra la morte e una nuova nascita. E in queste ricerche, delle quali fui incaricato più di recente, questo venne alla luce in modo così particolare, stava proprio del tutto nel senso di questa ricerca, l’afferrare con sguardo spirituale le condizioni esistenti per l’intera vita tra una morte e una nuova nascita.

Lì si mostra per l’appunto veramente che l’uomo, così come è sulla terra, tra nascita e morte, contratto nel suo piccolissimo spazio, sempre più per così dire fuoriesce da questo piccolissimo spazio quando depone il corpo fisico. Quando passa attraverso la porta della morte, esce espandendosi sempre più lontano, si estende e si espande. Cresce poco per volta entro il sistema planetario.

 

In realtà dapprima cresce fino alla posizione del nostro sistema planetario ove orbita la Luna.

E l’uomo diventa tanto grande che i suoi confini più esterni coincidono

con la sfera tracciata dalla posizione della Luna. Lì termina il kamaloka.

Quando poi l’uomo si espande ulteriormente,

si estende allora entro la sfera formata da Mercurio, poi in quella di Venere.

 

Quindi l’uomo, nell’espandersi sempre più lontano, nell’estendersi sempre più,

diventa di fatto tanto grande che la sua parte più esterna è delimitata dall’orbita solare,

vale a dire dal luogo in cui si dice ci sia l’orbita apparente del sole.

 

Con ciò non occorre che ci occupiamo del sistema copernicano, basta che ci immaginiamo le orbite così come è espresso nel ciclo di Dusseldorf sulle Gerarchie spirituali e il loro riflesso nel mondo fisico.

 

• Dunque l’uomo, nel suo ascendere ai mondi spirituali,

si espande entro il sistema planetario, entro la sfera della Luna e così via fin in quella più esterna di Saturno.

• Ed è necessario tutto questo affinché l’uomo s’incontri nel giusto modo con le forze

che, per il suo corpo astrale, egli può ottenere solamente dal sistema planetario.

 

Ma ora si rivela una differenza, quando si osservano persone diverse. La differenza si mostra se, ad esempio, si osserva un uomo, dopo la morte, il quale durante la sua vita abbia suscitato nel suo animo una disposizione morale, buona, e porti attraverso la morte una costituzione animica che sia morale. Si può paragonare un uomo del genere con uno che porti attraverso la porta della morte una costituzione animica meno morale: fa una grande differenza, e ciò si mostra già quando l’uomo entra nelle forze di Mercurio. E come si mostra?

 

Quando è passato per la porta della morte, con i mezzi di percezione che si hanno dopo il periodo del kamaloka, l’uomo percepisce ad esempio gli esseri che in vita furono in stretto rapporto con lui e che sono morti prima che egli stesso passasse per la porta della morte. Essi sono uniti a lui? Certamente, con tutti questi esseri noi ci riuniamo, viviamo insieme a loro anche nella vita dopo la morte. Ma c’è una differenza: è il come viviamo con gli esseri coi quali abbiamo vissuto sulla terra.

 

È diverso se l’uomo porta attraverso la morte una costituzione animica morale

oppure una costituzione animica immorale.

• Se nella vita l’uomo è stato immorale, s’incontra comunque con i suoi familiari e amici

ma ad opera del proprio essere è sempre creato una specie di muro,

che egli non riesce ad attraversare per arrivare fino agli altri.

• Allora, dopo la morte, l’uomo che abbia una disposizione animica immorale diventa un eremita,

un essere isolato che da ogni parte ha come un muro intorno a sé

e non riesce a raggiungere gli esseri nella cui sfera è trasposto.

 

• Invece l’anima avente una costituzione morale,

che possieda quelle rappresentazioni interiori che abbiamo quando purifichiamo la nostra volontà,

diventa per così dire uno spirito socievole e trova sempre i ponti e le connessioni con gli esseri nella sfera dei quali vive.

 

Il fatto che siamo spiriti isolati o socievoli si decide

a seconda della nostra costituzione animica immorale oppure morale.

Questa decisione ha come seguito qualcosa di molto importante.

 

Lo spirito socievole che non sta chiuso come dentro il guscio della propria entità,

ma è capace di avvicinarsi agli esseri della sua sfera,

quest’uomo lavora fruttuosamente allo sviluppo e al progresso del mondo intero.

L’uomo immorale, che dopo la morte diviene un eremita, uno spirito isolato,

lavora alla distruzione del mondo intero.

• Egli lacera il mondo intero producendovi dei buchi tanto grandi

quanto è grande il livello della sua immoralità, del suo isolamento.

 

L’effetto delle azioni immorali di un uomo del genere è per lui un tormento, e per il mondo una distruzione.

La costituzione morale dell’anima ha dunque un grande significato già dopo i primi tempi del kamaloka,

essa decide il nostro destino anche per il periodo successivo, che si chiama di Venere.

 

Sono tuttavia da considerare anche altre rappresentazioni che l’uomo ha sviluppato durante la vita e che lo riguardano quando entra nel mondo spirituale. Queste altre rappresentazioni sono quelle religiose.

 

Nella sfera di Venere l’anima vive dopo la morte in modo diverso

se ha avuto un legame religioso tra il perituro e l’imperituro, e vive diversamente se non ha avuto questo legame.

• Di nuovo, che diventiamo spiriti socievoli o spiriti isolati, eremitici, dipende da questo:

a seconda che nella vita abbiamo avuto una disposizione religiosa oppure no.

• Il chiudersi durante la vita, chiudersi alla religione ci rende eremiti, spiriti non socievoli.

È come se fossimo incapsulati, una tale anima irreligiosa si sente come in prigione.

 

Sappiamo certamente che al di fuori di noi ci sono esseri, ma noi siamo come in una prigione, in una capsula, così che non possiamo raggiungerli. Per esempio i membri dell’Associazione dei monisti, avendo escluso ogni sentimento religioso nelle loro desolate rappresentazioni materialistiche, dopo la morte non saranno riuniti in una nuova società, in una associazione, saranno rinchiusi ognuno nella propria prigione. Naturalmente con ciò non si ha niente da dire contro l’Associazione dei monisti, va solo reso comprensibile un dato di fatto.

Qui in vita le rappresentazioni materialistiche sono un errore, nel regno dello spirito esse sono un fatto: con quelle rappresentazioni, attraverso le quali qui nel fisico ci limitiamo a isolarci in modo erroneo, là nel regno degli spiriti ci imprigioniamo, ci rendiamo prigionieri della nostra personale astralità.

 

Noi ci togliamo le forze di attrazione nella sfera di Mercurio mediante una condizione di vita immorale;

priviamo noi stessi delle forze di attrazione nella sfera di Venere per via di una costituzione animica irreligiosa.

• Non possiamo riuscire a trarre da questa sfera le forze che ci occorrono,

vale a dire che nella successiva incarnazione noi riceviamo un corpo astrale in certo qual modo imperfetto.

 

Qui vedete come si lavora al karma, vedete qui la tecnica del karma. Quando si considera questo fatto della ricerca occulta, allora si illumina in modo singolare quella massima che, come d’istinto, fu enunciata da Kant. Volendo esprimere le due cose che più gli infondevano ammirazione, disse: “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. In apparenza si tratta di due cose, ma in verità sono una sola e medesima cosa.

Per quale motivo ci coglie un tale sentimento di elevatezza, di divina e sacra serietà quando alziamo lo sguardo alla vastità del cielo stellato? Perché allora, senza che lo sappiamo, si risveglia il sentimento della nostra patria dell’anima, perché allora si ridesta nell’anima il sentimento:

• “Prima che tu fossi disceso sulla terra in una nuova incarnazione,

eri tu stesso in queste stelle e da queste stelle sei riuscito a far entrare in te le forze migliori.

E la tua legge morale ti è stata infusa quando soggiornavi in quel mondo.

Se eserciti l’autoconoscenza, puoi contemplare quello che il cielo stellato ti ha dato tra la morte e una nuova nascita

come le tue forze migliori, le più belle della tua anima”.

 

Ciò che noi scorgiamo nel cielo stellato è la legge morale che ci è data dai mondi spirituali, perché tra morte e nuova nascita noi viviamo insieme al cielo stellato. Chi volesse darsi la possibilità di avere un sentore della provenienza delle sue forze migliori, dovrebbe contemplare il cielo stellato con questi sentimenti.

A chi non vuole affatto interrogarsi, ma vive ottusamente alla giornata, gli astri non racconteranno nulla. Chi invece si pone la domanda “Come entra in me ciò che non è minimamente dovuto al mio corpo sensibile?”, se alza lo sguardo al cielo stellato e lo coglie quel particolare sentimento, se riesce ad avvertire come può diventare devoto, allora sa: è il ricordo della nostra patria eterna. Ci si familiarizza così un po’ alla volta con la condizione nella quale realmente viviamo, insieme al cielo stellato, tra la morte e una nuova nascita.

 

Ci siamo interrogati, finora, sul nostro corpo astrale con le sue connessioni, con la sua ricostruzione nel mondo spirituale. Possiamo farci la stessa domanda in merito al nostro corpo eterico.

Anche questo lo dobbiamo distruggere durante tutta la nostra vita;

ma allo stesso modo dobbiamo andare a prendere altrove le forze per poterlo ricostruire,

per metterlo in condizione di svolgere il suo lavoro per l’intero uomo durante la vita.

 

Certo, ci furono lunghi periodi di tempo, nell’evoluzione umana terrena, nei quali l’uomo non poteva fare proprio nulla per dare qualche contributo affinché il suo corpo eterico nell’incarnazione successiva fosse dotato di buone forze. Ma a quell’epoca l’uomo aveva ancora un’eredità dai tempi in cui si era formato sulla terra. Finché durò l’antica chiaroveggenza, nell’essere umano c’erano ancora quelle forze che in morte rimanevano presenti senza essere state consumate, in un certo senso forze di riserva, per mezzo delle quali il corpo eterico poteva venir ricostruito. Ma è il senso dell’evoluzione umana che tutte le forze debbano svanire e venir sostituite con forze nuove.

 

E oggi ci troviamo veramente a un punto dell’evoluzione

nel quale l’uomo deve fare qualcosa affinché il suo corpo eterico possa venir ricostruito.

• Tramite tutto quello che facciamo con le normali rappresentazioni morali,

quello che facciamo con una qualsiasi religione della terra,

con una religione che sia limitata a un singolo popolo della terra, andiamo senza dubbio nel sistema planetario

e da esso traiamo le forze che ci occorrono per la ricostruzione del corpo astrale.

• Soltanto attraverso un elemento, però, noi passiamo senza estrarne le giuste forze: il Sole stesso.

• Perché dal Sole deve trarre le forze anche il nostro corpo eterico,

esso deve trarre dal Sole le forze di cui ha bisogno per la propria ricostruzione.

 

Nelle epoche precristiane avveniva che l’uomo, con l’evolversi su nel mondo spirituale,

prendeva con sé una parte delle forze del corpo eterico

e queste forze di riserva gli permettevano di trarre dal Sole ciò che gli serviva

per la ricostituzione del suo corpo eterico in una nuova incarnazione.

Ora è diverso: oggi l’uomo viene sempre meno toccato dalle forze del Sole.

 

Se non fa quello che è opportuno, affinché il suo corpo eterico si prepari

– così da riversare nell’anima ciò che è in grado di trarre dal Sole

le forze che gli occorrono per la ricostruzione del suo corpo eterico –

allora passa attraverso la sfera solare senza venirne toccato.

 

Ma ciò che possiamo sentire, a partire da una singola confessione religiosa della terra,

non può mai dare all’anima quanto ci occorre per poter sussistere nella sfera solare.

Ciò che possiamo riversare nel nostro corpo eterico,

ciò che allora ci occorre nell’anima perché essa possa percorrere fruttuosamente la sfera solare,

questo può arrivarci solo dall’elemento comune che affluisce in tutte le religioni umane.

 

E che cosa vi fluisce? Se ora paragonate le differenti religioni del mondo – e questo è per l’appunto uno dei più importanti compiti del lavoro scientifico-spirituale, lo studiare veramente il nocciolo di verità delle diverse religioni – se le confrontate tutte l’una con l’altra, troverete una cosa.

Troverete che queste religioni furono sempre perfette nel loro genere, ma appunto in relazione a un determinato popolo, a una data epoca; troverete che a quel popolo e a quell’epoca esse hanno dato la cosa più importante che quel tempo poteva ricevere. E in fondo noi sappiamo di più, riguardo a una religione, proprio là dove queste religioni hanno appunto potuto essere utili al loro tempo e al loro popolo, con l’essersi isolate in un certo modo egoistico, così come erano state date dalla grandiosa sorgente primigenia della vita.

 

Abbiamo studiato le religioni per più di dieci anni, ma una buona volta si doveva cominciare col dare all’umanità qualcosa che andasse oltre le singole religioni, che per così dire contenesse tutto ciò cui le singole religioni avevano accennato. In che modo si giunse a questo?

Si realizzò tramite il fatto che un giorno comparve una religione che non era egoistica.

La sua perfezione si fonda proprio su questo, sul fatto che essa non si limita solo a un popolo e ad un’epoca. Una religione che è egoistica in senso molto eminente è ad esempio l’induismo. Infatti il non indù non può venir accettato in questa religione. Essa è dunque fatta su misura in senso particolare per il popolo indù. Altrettanto è anche per le altre religioni territoriali. La grandezza delle singole confessioni religiose si basa sul fatto che esse furono tagliate su misura per singole situazioni terrene.

 

Chi non considera questo,

il fatto che le religioni abbiano la loro compiutezza appunto nel limitarsi a singole situazioni terrene,

chi sottolinea sempre e soltanto che tutti i sistemi religiosi sono sorti da una fonte unitaria,

non può mai giungere a una conclusione.

 

Cosa vuol dire, infatti, parlare sempre e soltanto dell’unità? Vuol dire ad esempio che qualcuno afferma: “Sul tavolo ci sono sale, pepe, peperoncino e zucchero, ma noi non vogliamo mettere in risalto quello che ciascuno significa in sé, bensì ricerchiamo l’unità che si esprime nei diversi condimenti, sale, pepe, peperoncino e zucchero”.

Si può parlare così di queste cose, ma quando si tratta di passare dalle parole alla realtà, quando conta impiegare i diversi condimenti, ognuno in sé, nella propria particolarità, allora ci si accorgerà della differenza. In tal caso nessuno, usando i diversi condimenti, dirà che sono tutti condimenti, senza differenza. Perché, se davvero non c’è differenza, allora prendetevi il sale o il pepe e metteteli nel vostro caffè o tè al posto dello zucchero e sentirete la differenza. Prende la stessa cantonata logica chi non distingue veramente le singole confessioni religiose, ma afferma che provengono tutte dalla stessa fonte.

 

Se però si vuole conoscere come un legame vivente passi attraverso le diverse religioni diretto a una grande meta, si deve allora conoscere questo legame, si devono studiare veramente le religioni nel loro valore per i singoli ambiti. Questo è avvenuto da più di dieci anni all’interno della nostra sezione mitteleuropea della società teosofica. Ma un giorno s’è cominciato a fare una specie di religione di qualcosa che non ha niente a che vedere con le differenze tra gli uomini, che c’entra solamente con l’elemento umano, esistente senza differenza di colore, razza e così via. In che cosa questo si manifesta?

 

Noi, abbiamo forse una religione nazionale come ce l’hanno gli indù o gli ebrei? Se venerassimo Wotan saremmo nella condizione degli indù, ma noi non veneriamo Wotan. L’occidente si riconosce in Cristo, che non è un occidentale, è un forestiero quanto alla sua origine. Non è stato legandosi a una confessione in modo egoistico, o nazionale, che l’occidente si è posto nei riguardi di Cristo. Non possiamo naturalmente esaurire nel corso di una singola conferenza l’ambito qui toccato, possono sempre venir addotti solo alcuni punti di vista. Si è dovuto riferire che il modo in cui l’occidente si è acquisito la sua confessione religiosa è stato assolutamente non egoistico. Anche in un altro modo si mostra la supremazia del principio di Cristo.

 

Convocate il più serio dei congressi, composto da eruditi in fatto di religione delle differenti confessioni, i quali debbano sforzarsi di confrontare l’uno con l’altro, con imparzialità, i singoli sistemi religiosi. Vorrei farvi una domanda: se vi sia qualcosa che, con lo stesso senso e in una qualsiasi religione, su tutta la terra abbia validità al pari di ciò che segue. Il fatto che vi sia, come vi è nel cristianesimo, un’unica e medesima osservazione che, provenendo da due parti diverse, significa qualcosa di completamente diverso.

 

Nel vangelo si trova un’osservazione profonda che il Cristo Gesù fa quando dice, a coloro ai quali insegnava: “In voi tutti vive un elemento divino. Non siete forse dèi?” Lo dice a tutta forza: “Voi siete dèi” (Gv 10,34). Con ciò, il Cristo Gesù intende che in ogni cuore umano c’è una scintilla che è divina, la quale deve venir ravvivata così da poter dire: “Siate come dèi!” A un altro effetto, e per la precisione proprio a quello opposto, conducono le parole di Lucifero quando si avvicina agli uomini per trarli giù dalla sfera divina, quando dice loro: “Diventereste come Dio” (Gen. 3,5). Qui il senso era completamente diverso. La stessa frase è per la rovina dell’umanità, all’inizio della discesa nell’abisso, e la medesima è un richiamo alla nostra meta suprema!

 

È questo che si dovrebbe cercare, allo stesso modo, in una qualsiasi confessione religiosa! O c’è una cosa o c’è l’altra, ma non ci sono entrambe. Si cerchi pure, ma si cerchi con esattezza, e si vedrà come molto sia contenuto nelle poche parole che sono state dette adesso. Perché il cristianesimo ha accolto in sé questa cosa importante?

Affinché si mostri che quel che conta non è il semplice contenuto, bensì da quale entità esso provenga.

E per quale motivo?

 

Perché il cristianesimo cominciò a richiamare l’attenzione e ad adoperarsi, nel giusto senso,

per quello che il suo nucleo essenziale annuncia: che non esiste unicamente la parentela della stirpe,

ma c’è la parentela umana, qualcosa che vale senza differenza di razza, nazionalità e confessione,

qualcosa che fa presa al di là di tutte le razze e di tutti i tempi.

 

Per questo il cristianesimo è anche così intimamente affine all’anima dell’uomo,

perché quanto esso può dare non ha da restare estraneo ad alcuna anima umana.

Non ancora tutti gli uomini sulla terra riconoscono questo, certo,

ma ciò che è vero alla fine deve pur affermarsi vittoriosamente.

 

Oggi però gli uomini non sono ancora pronti a riconoscere che il buddista, o l’indù, non deve necessariamente respingere il Cristo. Immaginatevi cosa significherebbe se si facesse avanti un tale che sta pensando, che sta profondamente pensando, e ci dicesse: “È ingiusto da parte vostra, seguaci del Cristo, quando proprio del Cristo affermate che tutte le confessioni possono riunirsi in lui, che possono uniformemente riconoscerlo quale loro meta più elevata. Con ciò voi date una preferenza a Cristo. Non vi è lecito sostenere un’osservazione del genere per Cristo in particolare”.

E perché no? Forse perché l’indù potrebbe pretendere che anche noi venerassimo solo la sua dottrina? Noi non vogliamo togliere nulla a questi insegnamenti, per i quali nutriamo altrettanta venerazione di un qualsiasi indù. È lecito al buddista dire: “Non posso riconoscere Cristo, perché non c’è nei miei scritti buddisti”?

 

Ha una qualche importanza se qualcosa che è vero non si trova in qualche Scrittura? È forse contrario al buddismo che si aderisca al sistema copernicano, malgrado negli scritti buddisti non ci sia niente di esso? Ha diritto il buddista di affermare: “Non è giusto, è anti-buddista aderire al sistema copernicano, perché nei miei libri non se ne parla”? Proprio come il sistema copernicano, così i recenti risultati della ricerca scientifico-spirituale sull’Essere del Cristo sono qualcosa che può venir accettato da un indù o dal seguace di un altro sistema religioso. Questo non ha niente a che fare con una confessione religiosa.

 

Chi respinge ciò che la scienza dello spirito ha da dire sull’impulso di Cristo in rapporto alle confessioni religiose, non ha vera comprensione per come si abbia da porsi nei confronti di una confessione religiosa.

– Forse, miei cari amici, verrà un tempo in cui si vedrà come ciò che abbiamo da dire sull’essenza dell’impulso del Cristo e sulla sua relazione con tutte le confessioni religiose e visioni del mondo, parli in modo altrettanto profondo al nostro cuore, alla nostra anima, di come si sforzi di andare fin nei singoli periodi di tempo con estrema coerenza. –

Riguardo ai singoli periodi non è facile capire come si cerchi di mettere insieme le cose che possono portare a una vera comprensione dell’impulso del Cristo. E l’essere umano, nel suo ciclo attuale, ha bisogno di una comprensione nei riguardi di ciò che chiamiamo l’entità del Cristo.

 

L’aderire a Cristo non ha niente a che vedere con un singolo sistema religioso che si isoli;

vero cristiano è soltanto chi è solito considerare ogni uomo come colui che porta in se stesso il principio cristico.

Un vero cristiano cerca ciò che è cristico in un cinese, come in un indù ecc…

 

La vera comprensione di ciascuno che si riconosca in Cristo si fonda sul divenire cosciente del fatto che l’impulso del Cristo non si limita a una parte della terra: questo sarebbe sbagliato. La realtà è che, a partire dal mistero del Golgota, è proprio vero quello che Paolo già diceva delle regioni alle quali doveva parlare. Paolo ha annunciato: “Cristo è morto anche per i pagani”.

 

L’umanità deve però comprendere che il Cristo non è venuto per un dato popolo,

per un determinato e limitato periodo di tempo, ma per l’intera popolazione della terra, per tutti.

Cristo ha, in ogni anima, sparso i semi del suo fantoma

e il progresso consisterà solamente nel fatto che le anime ne divengano consapevoli.

Noi non elaboriamo dunque soltanto una teoria, noi non ci riuniamo solo perché il nostro intelletto

riceva un paio di concetti in più nel lavorare in modo scientifico-spirituale,

invece ci incontriamo per far sì che i nostri cuori e le nostre anime vengano toccati.

 

Se all’impulso del Cristo portiamo incontro una comprensione di questo tipo,

allora esso alla fine farà in modo che tutti gli uomini sulla terra

giungano alla più profonda comprensione del Cristo, alla comprensione delle parole di Cristo:

•  “Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro”.

 

Chi lavora insieme in questo spirito trova un ponte da anima ad anima.

Ma ciò, l’impulso del Cristo lo farà per tutta quanta la terra.

Il giusto impulso di Cristo, è questo che ha da essere vita vivente del nostro gruppo.

 

Giunge poi l’occultismo a mostrarci che, se ce lo prendiamo a cuore,

per il fatto che sentiamo un poco la realtà dell’impulso di Cristo,

viene allora calato nelle nostre anime qualcosa che le rende adatte a trovare il passaggio attraverso la sfera solare,

così che il corpo eterico ci possa venir nuovamente dato nella prossima incarnazione nel giusto modo.

 

Assumiamo correttamente la scienza dello spirito

solo quando portiamo una approfondita comprensione all’accoglimento dell’impulso di Cristo.

Soltanto così il nostro corpo eterico sarà forte e vigoroso entrando in una nuova incarnazione.

I corpi eterici deperiranno sempre più,

se gli uomini non sapranno nulla del Cristo e della sua missione per l’intera evoluzione terrestre.

 

Grazie alla comprensione dell’entità del Cristo noi scongiuriamo il deteriorarsi del corpo eterico;

questo ci rende capaci di solarità, ci rende solari, ci rende idonei,

così che diventiamo capaci di accogliere le forze della sfera dalla quale Cristo è venuto.

 

Da quando egli, Cristo, è qui, l’uomo può prendere con sé dalla Terra le forze che lo conducono nella sfera solare.

Poi possiamo tornare sulla Terra e nell’incarnazione che segue

vivono le forze che rendono vigoroso il nostro corpo eterico.

 

Se non accogliamo l’impulso del Cristo,

i corpi eterici diventano sempre più incapaci di prendere con sé, dalla sfera solare,

le loro forze di sostentamento e di edificazione per poter agire bene qui sulla terra.

 

Ci deve essere chiaro che la vita della terra in realtà non dipende da un apprendimento puramente teorico,

piuttosto dall’essere interamente compenetrati dall’evento del Golgota.

Questo ci mostra la vera ricerca occulta.

Questa indagine occulta ci mostra anche come possiamo ricevere quello che ci prepara riguardo al corpo fisico.

 

Il corpo fisico infatti ci viene infuso mediante quello che viene chiamato il principio-Padre.

Ma a causa della particolarità che si esprime con le parole del Cristo Gesù: “Io e il Padre siamo uno” (Gv 10,30),

tramite l’impulso del Cristo noi diveniamo partecipi anche del principio del Padre,

vale a dire che l’impulso del Cristo ci conduce al contempo alle forze divine del Padre.

 

Qual è la cosa migliore che possiamo ottenere dal nostro approfondimento scientifico-spirituale? Ci si potrebbe immaginare che ci fosse tra voi un tale che più tardi esca dalla porta dicendosi: “Ho già dimenticato praticamente tutto, fin le singole parole”. Questo sarebbe un caso estremo, sarebbe il caso più radicale. E, miei cari amici, non sarebbe il danno maggiore, perché potrei immaginarmi l’eventualità che una persona così, la quale esca fuori in strada, porti tuttavia con sé un sentimento, una sensazione che è il risultato di quel che ha qui udito, anche se ha scordato tutto quanto. E questo sentimento è la cosa più importante.

L’essenziale è quello che noi viviamo nel nostro animo.

 

Ma nell’ascoltare le parole non possiamo sperimentarlo in altro modo che così:

dobbiamo darci al possente impulso in ogni più piccola cosa, in modo che i nostri animi ne vengano ricolmati.

• Quando tutto ciò che la conoscenza dello spirito può essere per noi contribuisce al miglioramento della nostra anima,

allora abbiamo ottenuto la cosa giusta.

 

E quando l’uomo, nel giusto senso, tramite ciò che si sedimenta nel suo animo grazie alla scienza dello spirito,

diventa persino capace di comprendere anche solo un pochino di più il suo prossimo,

allora essa ha svolto la sua opera in lui. Perché la scienza dello spirito è vita, vita immediata.

Non viene dimostrata o confutata con dispute logiche, viene provata e valutata attraverso la vita.

 

E si affermerà potendo trovare degli uomini nelle cui anime sia accolta. Ma cosa potrebbe elevarci più del sapere che riusciamo a incontrare la sorgente della nostra vera vita tra morte e nuova nascita, del sentire la nostra parentela con l’universo intero! Cosa potrebbe rinvigorirci nei compiti della nostra vita più del sapere che portiamo in noi le forze dell’universo e che dobbiamo prepararci in vita perché esse si riversino entro di noi, così che possano diventare operanti quando di nuovo entreremo nel mondo dei pianeti e nel mondo del Sole tra la morte e una nuova nascita?

 

E in chi veramente comprenda le cose che l’occultismo gli può rivelare riguardo al rapporto dell’uomo col mondo delle stelle, è sincera la preghiera che egli allora, pieno di comprensione, rivolge al mondo e che può suonare pressappoco così:

• “Quanto più mi rendo conto di come io sia nato dall’universo, quanto più sento la responsabilità di sviluppare in me le forze che l’intero universo mi ha dato, tanto più potrò diventare un uomo migliore”.

E chi sa pregare così dal più profondo dell’anima, può anche sperare che in lui divenga un vero ideale. Questi può anche sperare di diventare, per la forza di una tale preghiera, un uomo sempre migliore e più completo. Così lavora, fin entro le più intime profondità, quello che riceviamo dalla vera scienza dello spirito.