04 – Il rapporto di volere e pensare col destino umano passato e futuro.

O.O.226 – Il destino dell’uomo – 19.05.23


 

Sommario: L’anima umana tripartita. Il rapporto di volere e pensare col destino umano passato e futuro. La differenza fra scienza ordi­naria e scienza dello spirito.

 

Osservando l’anima umana troviamo in essa pensare, senti­re e volere, e certo anche qui ho spesso parlato di queste tre at­tività dell’anima. Oggi dunque vorrei dire ancora qualcosa in merito alla tripartizione dell’anima, perché si inserisce bene in questo ciclo.

 

Nello stato di veglia noi viviamo in effetti nei nostri pensie­ri, e in quello stato siamo pienamente coscienti di quel che pen­siamo. Se però ci chiediamo: siamo altrettanto coscienti dei sen­timenti che abbiamo quando siamo nello stato di veglia? dob­biamo rispondere con un no. Nella coscienza di veglia i senti­menti rimangono in un certo senso oscuri e indeterminati. Se poi paragoniamo quel che sperimentiamo nel nostro mondo dei sentimenti con ciò che viviamo nel multiforme mondo di im­magini dei nostri sogni, troviamo in quei due mondi, dei senti­menti e dei sogni, di avere lo stesso grado di coscienza. Nel mondo dei sentimenti si sogna in un altro modo, ma anche in esso si sogna soltanto. Ci si inganna con facilità sul carattere del mondo dei sentimenti perché ciò che si sente viene tradotto in pensieri. Ci si presentano i propri sentimenti e così li si solleva alla coscienza di veglia. Ma i sentimenti in quanto tali non sono più coscienti dei sogni.

 

In modo speciale rimangono inconsci, possiamo dire del tutto inconsci, i nostri impulsi volitivi. Pensiamo soltanto a che cosa sappiamo di quel che chiamiamo un impulso volitivo. Im­maginiamo di allungare una mano per afferrare qualcosa: abbia­mo anzitutto il pensiero di stendere la mano, ne abbiamo l’in­tenzione. Di come poi quell’intenzione discenda nel nostro or­ganismo e si trasmetta ai muscoli e alle ossa, affinché la mano possa afferrare l’oggetto, nella coscienza ordinaria ne sappiamo tanto poco, quanto poco sappiamo di quel che avviene dell’io durante il sonno. Solo dopo aver afferrato l’oggetto percepiamo di averlo afferrato, e abbiamo così di nuovo una rappresentazio­ne. Che cosa succeda fra l’intenzione e il pensiero che sorge in noi dopo che l’intenzione si è trasformata nell’azione, che cosa si sia svolto nell’organismo, per noi dorme nella nostra coscien­za di veglia. Il volere dorme, il sentire è un sogno, e solo nel pen­sare siamo davvero svegli.

 

Durante lo stato di veglia abbiamo dunque l’anima triparti­ta:

• l’anima sveglia che pensa,  • l’anima sognante che sente,  • volente che dorme;

nella coscienza ordinaria non si può mai dire che cosa in effetti avvenga negli stati nei quali la volontà vi­ve e opera.

 

Se poi con i metodi dell’indagine antroposofica si scende nelle regioni in cui pulsa la volontà, si trova che quando abbia­mo l’intenzione di eseguire una decisione volitiva abbiamo an­zitutto un pensiero, una rappresentazione. Nel momento in cui quell’intenzione fluisce nell’organismo, nasce in esso ciò che si può chiamare un interiore processo di combustione. Ogni volta nasce nell’organismo un processo di combustione lungo tutta la via che la decisione volitiva percorre. Dalla combustione dei prodotti del ricambio che sono in noi viene causato il movi­mento del braccio che esegue la decisione volitiva presa; così in effetti quando si vuole, in senso fisico si ha una consumazione, una combustione di prodotti del ricambio. In realtà dobbiamo quindi sempre rinnovare i prodotti del ricambio, perché con la volontà li consumiamo, li bruciamo di continuo.

 

Diverso è il processo del pensare, per il quale si ha un con­tinuo deposito di parti saline;

nell’organismo si depositano par­ti terrestri, saline, cenerine,

e quindi il pensare, detto fisicamen­te, è un depositare sale.

La volontà è un bruciare.

• Alla veggenza spirituale la vita umana si presenta come

un continuo deposita­re sale dall’alto e un bruciare dal basso verso l’alto.

 

Se così pos­so esprimermi, la combustione fa sì che con la coscienza abitua­le non si possa percepire nel fuoco del proprio corpo che cosa in effetti sia la volontà; fa sì che la volontà, ogni atto volitivo, dor­ma in noi.

 

Se dormiamo nella volontà, che cosa rimane dunque invisi­bile per la coscienza abituale? Illuminando con i mezzi dell’in­dagine spirituale quel fuoco organico che di continuo nasce con la volontà, si percepisce che in esso vivono gli effetti del nostro comportamento morale durante la nostra vita terrena preceden­te. Vi vive quello che possiamo chiamare destino umano, karma umano. Se ad esempio a una certa età si conosce qualcuno, av­viene veramente che l’incontro, visto spiritualmente, si veda in modo del tutto diverso da come lo si vedrebbe con la coscienza sensibile e intellettualistica.

 

Immaginiamo che qualcuno in un anno qualsiasi della sua vita abbia conosciuto un’altra persona. Si parla allora di un ca­so. Sembra che l’altra sia stata portata attraverso gli svariati casi della vita a fare quella conoscenza proprio in quel momento. Non è però così. Guardando con i mezzi della scienza dello spi­rito in tutti i casi della vita umana, in tutto ciò che rimane in­visibile a causa dei ricordati processi di combustione, si vede co­me una conoscenza avvenuta, ad esempio, a trentacinque anni, fosse stata cercata e ben pianificata durante l’intera vita. Osser­vando quell’uomo dai suoi trentacinque anni fino alla sua prima infanzia, seguendo le vie da lui percorse per arrivare al punto in cui incontra l’altro, si palesa un anelito pianificato nel subcon­scio. Osservando in questo modo il destino umano, è a volte davvero meraviglioso vedere quali giri uno faccia per arrivare in quel dato luogo e in quel particolare anno al fine di incontrare l’altro. Chi davvero guardi in una vita umana non può se non dire che chi ha un’esperienza, l’ha cercata per tutta la sua vita terrena in tutti i modi possibili.

 

Perché poi cerchiamo una determinata esperienza? Perché quella ricerca ci si è versata nell’anima in vite terrene preceden­ti. Gli effetti di quelle vite non appaiono però nella coscienza di pensiero nella quale siamo desti, ma appaiono nella coscienza in cui un processo di combustione ci culla di continuo nel sonno.

Senza averne coscienza, tendiamo alle esperienze della nostra esistenza terrena.

 

Certo si possono fare obiezioni e opporre pensieri a quel che è stato esposto. Anzitutto si può dire che così tutta la nostra vi­ta è determinata dal destino, e non avremmo libertà. Perderem­mo però la libertà se avessimo capelli biondi piuttosto che neri? Anche i capelli sono predestinati. Possiamo essere liberi avendo capelli biondi anziché neri, anche se li desiderassimo neri; pos­siamo essere liberi anche se non riusciamo ad afferrare la luna, come forse volevamo fare da bambini. Possiamo essere liberi an­che se dall’inizio della nostra vita terrena cerchiamo determina­te esperienze, perché non tutta la vita umana consiste di tali esperienze determinate dal destino, ma se ne aggiungono sem­pre altre indipendenti da quelle. La scienza dello spirito trova al­trove le libere esperienze che si aggiungono.

 

Io parlo spesso dei tre gradi della conoscenza spirituale:

• del­l’immaginazione grazie alla quale vediamo anzitutto un mondo di immagini,

• dell’ispirazione grazie alla quale entra nel mondo delle immagini la realtà e sostanzialità spirituale,

• e infine del­l’intuizione grazie alla quale noi entriamo nella realtà spirituale e nella sua sostanza.

 

Quando l’indagatore dello spirito arriva all’immaginazione e di conseguenza, come già dissi in una delle conferenze pubbli­che, ha davanti a sé il quadro della propria vita, nello stesso tempo vede anche qualcosa d’altro. Non è possibile che una co­sa avvenga senza l’altra. Non si può avere l’immaginazione, la vera conoscenza spirituale della presente vita terrena, senza che in modo notevole emergano, come un ricordo, le esperienze che sempre si sono avute durante il sonno dall’addormentarsi fino al risveglio. Già ho raccontato come sono quelle esperienze. Se dunque da un lato si arriva all’immaginazione, dall’altro si ha una forte visione di quel che si sperimenta nel sonno, se soprag­giunge anche l’interiore silenzio dell’anima.

 

Ho già descritto molto di quel che si sperimenta nel sonno.Tuttavia le esperienze che anzitutto si presentano all’occhio del­l’anima durante il sonno sono quelle relative al nuovo destino che va formandosi. Se facciamo luce sul sonno, che durante la veglia è nella volontà, arriviamo al karma che opera da prece­denti vite terrene. Quando iniziamo a conoscere le esperienze fra l’addormentarci e il risveglio, vediamo anche come alle azio­ni libere che ora compiamo si unisca il karma che si realizzerà solo nella successiva vita terrena.

 

Osservando il sonno, non si creda che sia particolarmente inquietante doversi dire che attraverso la condotta morale nel­l’attuale vita ci si è preparati un determinato karma. La cosa non è più inquietante del sapere che il sole oggi è sorto, sale al mez­zogiorno, poi tramonta per rifare domani lo stesso cammino. La regolarità che affiora dal profondo del sonno non è inquietante, perché nei modi più diversi e grazie alla libertà nella prossima vi­ta terrena avrà il suo effetto ciò che si trova disposto negli stati di sonno dell’attuale vita terrena.

Si vede comunque il karma che si manifesta negli stati inconsci della volontà, e si vede anche il karma che si prepara e che comincia a intessersi inconscio nel sonno. Si vede pure come nell’uomo il passato si intrecci sempre con l’avvenire, come i segreti interiori della volontà che attraver­siamo dormendo di giorno si intessano di notte con i segreti in­teriori dell’io e del corpo astrale, quando essi sono separati del corpo fisico e da quello eterico per tessere il karma dell’avvenire.

 

• Durante il normale stato di veglia noi pensiamo a cose este­riori, ed esse rimangono poi nel nostro ricordo

quale contenuto abituale della nostra vita animica, costituendone però solo la superficie.

• Dietro questo livello del pensare vi è una vita animi­ca molto più profonda, e ciò che sperimentiamo come nostro pensiero quando siamo svegli, lo sperimentiamo nel corpo ete­rico, nel corpo delle forze formatrici.

• Si arriva a sperimentare ciò che avviene nell’io e nel corpo astrale solo penetrando coscien­temente negli eventi che l’io e il corpo astrale sperimentano nel sonno quando sono separati dal corpo fisico e da quello eterico. Là si intesse il karma dell’avvenire. Di giorno esso ci rimane nascosto dai pensieri esteriori che sono nel corpo eterico, ma nelle profondità dell’anima s’intesse anche di giorno col karma che nell’inconscia volontà dormiente proviene dal passato. Si può così indicare con precisione il karma umano.

 

• Vi sono però altre cose caratteristiche. Per l’osservazione del karma è molto interessante il periodo della prima infanzia. Le decisioni del bambino ci appaiono del tutto arbitrarie, ma in realtà non lo sono affatto. Certo è che le manifestazioni di vo­lontà di un bambino imitano quel che avviene attorno a lui, e anche nella conferenza pubblica accennavo a come il bambino sia tutto organo di senso, come sperimenti interiormente ogni gesto, ogni movimento di chi gli è attorno. Li sperimenta però con il loro significato morale, e così se ha un padre collerico spe­rimenta l’aspetto immorale che può essere associato alla collera. Nei più sottili movimenti che gli adulti fanno attorno a lui il bambino sperimenta i pensieri che essi hanno. Non dovremmo quindi mai permetterci di avere pensieri non puri e immorali nelle vicinanze di un bambino e dire che nei pensieri possiamo permettercelo perché tanto il bambino non ne sa niente. Que­sto non è vero; quando pensiamo, in un modo qualsiasi si muo­vono sempre almeno i nostri fasci nervosi, e il bambino li per­cepisce, specialmente nei suoi primi anni. Egli è infatti un sot­tile osservatore e imitatore del suo ambiente. Straordinario e, di­rei, interessante anche in senso elevato è che il bambino non imiti tutto, ma faccia le sue scelte, che in effetti avvengono in un modo ben complicato.

 

Immaginiamo che nella casa del bambino vi sia un padre molto irascibile che faccia cose non proprio giuste. Poiché il bambino è tutto organo di senso, deve assorbire tutti quei gesti attorno a lui che gli occhi non possono evitare. Egli però li rice­ve appunto soltanto da sveglio. Poi si addormenta – i bambini dormono parecchio – e durante il sonno fa le sue scelte: ciò che vuole accogliere lo trasferisce dalla propria anima al proprio corpo, e getta via nel mondo eterico ciò che non vuole accoglie­re. Il bambino accoglie così nella propria corporeità soltanto ciò a cui è predestinato dal proprio karma. L’azione del karma è par­ticolarmente vivace nei primissimi anni dell’infanzia.

 

Quando si è intellettualistici si ha spesso la coscienza di es­sere molto intelligenti, e che i bambini siano piuttosto sciocchi. Se però a poco a poco si impara a conoscere il mondo, non si conserva più la stessa opinione e se ne acquisisce un’altra, vale a dire quanto sciocchi si è diventati dopo la fanciullezza. Solo che rispetto alla fanciullezza l’assennatezza acquisita è cosciente. Ma la saggezza con la quale il bambino fa le sue scelte nel modo de­scritto, accogliendole secondo il karma derivato da precedenti vite terrene o rigettandole nel generale etere cosmico, è molto maggiore di quella che abbiamo noi nel seguito della vita. Quel che l’uomo porta dalla sua vita precedente in quella attuale, in genere lo porta anzitutto nei primi anni dell’infanzia nei quali il problema della libertà proprio non va ancora considerato. Negli anni in cui nasce la coscienza della libertà abbiamo in effetti già portato in questa vita terrena senz’altro la maggior parte di ciò che dovevamo portare dalle precedenti. Se qualcuno a trentacinque anni ha un’esperienza del tutto particolare, si può dire che ne abbia preparato la strada già nei primissimi anni dell’in­fanzia. I primi passi della vita sono i più importanti ed essenzia­li per ciò che è determinato dal proprio destino.

 

Una volta cercai di indicare quanto il bambino sia saggio e come nel corso della vita lo diventi sempre meno. Da adulti si diviene più coscienti, si stima di più la razionalità cosciente e non più l’inconscia saggezza del bambino. In effetti la si stima solo grazie alla scienza dell’iniziazione. Una volta lo feci notare, ma da parte della filosofìa ufficiale fui molto biasimato. Pro­prio nel primo capitolo del mio libretto La guida spirituale del­l’uomo e dell’umanità lo avevo fatto rilevare. È dunque molto importante che si possa guardare in questo modo alla primissi­ma infanzia. Quando lo si potrà rilevare si potrà anche arrivare a un più sano giudizio su qualcosa che oggi viene sempre ricor­dato, ma mai compreso: le caratteristiche ereditarie.

 

Nella poesia come nella scienza oggi si vorrebbe far tutto ri­salire alle caratteristiche ereditarie ricevute dai genitori. Se un giorno ci si renderà conto di quel che il bambino porta seco karmicamente da precedenti vite terrene e persino di come egli fac­cia le sue scelte con molta saggezza, si troverà la giusta relazione fra le determinazioni del destino e l’ereditarietà. L’ereditarietà è in effetti solo una veste esteriore, né si meraviglia che sia così chi comprende nel giusto modo ciò che ho detto anche in queste conferenze, e cioè che a una certo punto fra la morte e una nuo­va nascita ci si rivolge alla successione delle generazioni. Dall’al­dilà rivolgiamo la nostra attenzione al mondo di qua per prevedere molto tempo prima quali genitori avremo. Dall’aldilà collaboriamo a determinare le caratteristiche che avranno i genito­ri, e non c’è da meravigliarsi che poi le ereditiamo, sia pur sce­gliendo nel modo prima indicato.

 

Osservando i bambini nei primi anni di vita ne risulta qual­cosa di molto interessante, e devo di nuovo usare questa espres­sione. Ho già fatto notare che cosa il bambino apprende nei pri­mi anni di vita: il camminare, intendendovi anche tutto ciò a cui ieri abbiamo accennato e cioè il parlare e il pensare; son co­se che fa sue. A chi è in grado di osservare bene queste cose: co­me egli faccia i primissimi passi, come si appoggi più o meno saldamente sulle gambine, come si muova sicuro o timoroso, co­me pieghi più o meno con forza le ginocchia, come usi di più l’indice che il mignolo, a chi è in grado di osservare tutto ciò che è legato al camminare, allo stare in equilibrio e all’orientarsi nel­le tre direzioni dello spazio, si manifesta in immagini il karma. Già dai primi passi si vede come poggi forte i piedini e da lì si può risalire al suo legame con la vita terrena precedente. Si tro­va come in certe situazioni della vita precedente sia stato prode e coraggioso. La virtù e il coraggio delle vite precedenti si manifestano in immagine dal modo di porre i piedini per terra. Pro­prio dal camminare si può osservare nel bambino una magnifi­ca immagine del karma umano. Nel modo in cui impara a cam­minare si manifesta specialmente il karma personale dell’uomo.

 

• Come seconda cosa impariamo a parlare, imitando ciò che viene detto attorno a noi. Ciascun bambino lo fa nel suo modo particolare, ma tutti apprendono per imitazione la loro lingua madre nell’ambito di una regione linguistica. Dal modo in cui il bambino si orienta nell’imitare i suoni, si vede come si esprima nel singolo il destino del popolo.

 

• a camminare si ha il destino del singolo,

• a parlare il destino del popolo,

• a pensare il destino di tutta l’umanità in un determinato momento su tutta la terra.

Tre specie di destini s’intessono in effetti nell’uomo.

 

Certo rivestiamo i nostri pensieri con le diverse lingue, ma se dalla lingua passiamo ai pensieri esigiamo che essi possano ve­nir compresi da ognuno in tutto il mondo. Vi sono due lingue: il cinese e il norvegese, ma non vi è differenza alcuna fra un pen­siero cinese e uno norvegese, se non quella che riguarda l’individuo. I pensieri come tali, nella loro verità o falsità, non cam­biano. Che il pensiero assuma un’altra coloritura è perché, par­lando, ognuno si esprime individualmente, ma il contenuto del pensiero, non la sua forma, rimane uguale per tutti.

 

• Quando il bambino si addentra nel terzo grado del suo svi­luppo, nella vita del pensiero,

lo fa in un punto stabilito per tut­ta l’umanità.

• Col linguaggio si inserisce nel destino del popolo,

• col camminare, afferrare e posizionarsi nelle tre dimensioni spa­ziali penetra nel suo destino individuale, personale.

 

Volendo comprendere l’essere umano nella sua complessità, dobbiamo vedere queste cose da tutti i lati. In merito alla vita umana in genere vorrei chiarire ancora un altro fatto. Ritornia­mo ancora una volta allo stato del sonno, alle esperienze attra­versate dall’addormentarsi fino al risveglio.

Con l’io e il corpo astrale entriamo nel mondo spirituale, in effetti al momento ini­ziale della vita. Essi però tessono il destino futuro. Quando dun­que l’io e il corpo astrale ritornano nel corpo fisico, ogni notte è stato tessuto un nuovo pezzo di destino del quale però nulla ancora comprendiamo con la nostra coscienza abituale.

Ritor­niamo di nuovo nel corpo eterico e in quello fisico. Nel corpo eterico sono rimasti i nostri pensieri; essi non ci hanno seguito nello stato del sonno notturno. Noi crediamo di non pensare quando siamo a letto. Pensiamo invece di continuo, solo che nulla ne sappiamo, perché con l’io e il corpo astrale siamo al di là del pensare. Il pensare è infatti un’attività del corpo eterico. Lo si può anche osservare con facilità nella vita ordinaria ri­guardo alle cose che fanno la più forte impressione.

Immaginia­mo ad esempio di aver ascoltato per la prima volta una sinfonia toccante. Se si è disposti in modo particolare, può succedere di destarsi spesso nella notte col suono di quella sinfonia, perché nella notte il corpo eterico continua a vibrare in essa. La sinfo­nia non cessa di vibrare in noi, e non è necessario essere presen­ti perché essa in noi risuoni. Solo quando siamo presenti ne per­cepiamo le vibrazioni nel nostro corpo eterico. Così avviene an­che con tutti i pensieri. Nel letto pensiamo tutta la notte, solo che non siamo presenti con l’io, e quindi non sappiamo come pensiamo.

 

Posso assicurare che con l’io sciupiamo assai spesso i nostri pensieri. In genere cioè pensiamo in modo molto più intelligen­te, quando di notte non siamo presenti. Possiamo anche non cre­derlo, ma è così. La maggior parte della gente ha sulle cose del­la vita un giudizio molto più sano di notte che di giorno. Quan­do il corpo eterico, che è in armonia con le leggi del cosmo, può pensare da solo, quando non roviniamo i pensieri, pensiamo al­lora in modo più sano di quando mediante l’io mischiamo i pen­sieri uno nell’altro; cosa che di giorno facciamo molto spesso.

 

Quando con l’io e il corpo astrale siamo fuori dal corpo fi­sico e da quello eterico, allora tessiamo il nostro karma futuro. Quel che vive e tesse come io e corpo astrale fra l’addormentar­si e il risveglio deve poi passare attraverso la porta della morte ed entrare nel mondo soprasensibile.

In altre parole, anche quando l’elemento astrale più tardi si inserisce nell’io e l’io poi con altra sostanza attraversa tutto ciò da solo, pure quel che nello stato di sonno aveva tessuto al di fuori del corpo fisico e di quello eteri­co deve attraversare la porta della morte, e fare il cammino fra la morte e una nuova nascita in tutte le condizioni che ho descritto in questi giorni. Da quelle descrizioni sappiamo che l’io, con altri esseri delle gerarchie superiori, deve svolgere il lavoro per preparare di nuovo per il futuro un corpo umano fisico, ora in germe spirituale. Ciò richiede fra la morte e una nuova na­scita l’immedesimazione in una profonda saggezza, nella quale si può vivere solo se si collabora in un’attività spirituale con gli es­seri delle gerarchie superiori.

 

Al karma che viene tessuto fra l’addormentarsi e il risveglio va aggiunto ancora molto affinché in avvenire tutto si unisca giustamente in un corpo fisico. Si pensi solo al cammino che si deve percorrere. Nell’io e nel corpo astrale vi è ciò che è tessuto come karma e che deve scendere nell’inconscia regione della vo­lontà che avremo nella prossima vita terrena. Vi deve discende­re e unirsi a fondo con tutta la corporeità umana. Quando sono nel normale stato di sonno, l’io e il corpo astrale hanno ancora poco di ciò che devono acquisire nel passaggio fra la morte e una nuova nascita.

L’io e il corpo astrale devono ora rientrare nel corpo fisico, ma al risveglio non comprendono molto bene come ritrovarvisi. Lo hanno ricevuto dalla precedente vita terrena, ed ora non san­no bene come comportarsi appunto al loro rientro. Poiché solo nella prossima vita terrena l’io e il corpo astrale potranno for­mare dall’infanzia il corpo fisico e quello eterico, perché solo nei primi due settenni essi hanno ciò che potrà lavorare giustamen­te al corpo fisico, per ora all’addormentarsi, dopo aver assorbito il comportamento morale umano, l’io comincia a tessere il kar­ma, e però al risveglio non comprende bene tutto ciò che è con­nesso col corpo fisico.

 

Nel corpo fisico l’io può solo immergersi in modo del tutto inconscio, ma quando diviene cosciente e attraversa la regione dei pensieri affiorano le immagini confuse del sogno. Che signi­ficato hanno? come mai spesso sono tanto poco in relazione con la vita? È perché l’io e il corpo astrale provano ad entrare nel cor­po fìsico e in quello eterico e non vi riescono bene. Il disaccor­do fra ciò che l’io ancora non riesce a fare e ciò che dovrebbe po­ter fare secondo le sagge disposizioni del corpo fisico e di quello eterico, si manifesta nella confusione dei sogni fatti al risveglio.

• Nei sogni del risveglio abbiamo l’immagine di come l’io provi ad essere in un certo unisono col corpo fisico e con quello eterico, ma non lo sia ancora. Solo quando la coscienza dell’io è sop­pressa in un’azione volitiva e l’io entra nella regione inconscia, quando cioè non si affida alla propria saggezza, esso entra di nuovo nel corpo fisico senza che si formino immagini confuse.

 

Se al risveglio l’io si inserisse nel corpo fisico del tutto co­sciente o a metà cosciente come nel sogno, da tutto il corpo fi­sico salirebbero i sogni più spaventosi. Solo la circostanza che nel momento giusto ci inseriamo nella volontà inconscia, fa sì che si attutiscano le immagini sfuggenti del sogno e che l’io e il corpo astrale entrino in modo regolare nella regione inconscia della volontà.

Per chi guarda senza pregiudizi queste cose è quin­di chiaro che ogni sogno possa mostrare la disarmonia esistente nella vita attuale fra l’io e il corpo astrale, per quanto riguarda ciò che essi hanno raggiunto nella vita attuale, e i due corpi, fi­sico ed eterico, appieno sviluppati.

Nel passaggio tra la morte e una nuova nascita il valore morale raggiunto deve prima unirsi col germe spirituale del corpo fisico. Allora ciò che tessiamo nel­la vita attuale nel sonno diverrà tanto potente, nella futura in­fanzia sognante e semi dormiente, da penetrare realmente negli anni dell’infanzia nel corpo fisico e in quello eterico ed essere usato quale strumento per l’esistenza terrena.

 

Nello studio di tutto l’essere umano in effetti si diviene in tal modo sempre più consci di come in esso si nasconda ciò che nella calma e nell’oscurità notturne era stato tessuto nelle prece­denti vite terrene, e di come nella vita fra la morte e la nuova na­scita sia stato aggiunto il meraviglioso tessuto del corpo fisico e poi da ultimo del corpo eterico. Così portiamo in noi il risulta­to delle precedenti vite terrene. Poiché portiamo di continuo nel nostro organismo, nell’organismo della volontà, le forze della precedente vita terrena, poiché le sostanze e i prodotti fisici ven­gono bruciati e quel fuoco interiore è in noi, tutto quanto vie­ne arso da quel fuoco nel contempo opera. Così ci muoviamo nel mondo col nostro karma, ed è un cammino determinato per ogni singola esperienza. Mentre nell’infanzia scegliamo che cosa imitare dal nostro ambiente e facciamo così i primi passi per un evento che forse si produrrà ai cinquant’anni, mentre tendiamo la nostra volontà proprio verso quell’evento, vengono di conti­nuo bruciate le sostanze corporee.

 

Poiché il fuoco ci rende inconscio il nostro cammino, per la nostra percezione interiore si trasforma sempre la continua stra­da del destino e ci si presenta come momentanei istinti, brame, impulsi, temperamenti e così via. Si svolgono inconsce le vie del destino, avvolte nelle fiamme di cui vediamo solo la superficie. Su questa superficie fiammeggiante vive ciò che portiamo nelle nostre anime come passioni, impulsi e istinti. E’ però solo l’ap­parenza, la manifestazione esteriore di quel che vi è nelle profondità del destino umano. Noi osserviamo soltanto le sin­gole passioni, le singole manifestazioni dell’istinto, i singoli im­pulsi, ciò che al momento si desidera o non si vuole, che si fa, o non si fa, per simpatia o antipatia. E come se avessi dei segni: d-i-o-g-u-i-d-a-i-l-m-o-n-d-o che riesco soltanto a compitare, mentre qualcuno mi dice che significano: “Dio guida il mondo”. Che è poi la differenza fra la normale psicologia e la scienza del­lo spirito. La prima sa soltanto sillabare: osserva la vita umana, trova nell’infanzia alcuni istinti e impulsi, li registra come chi sappia soltanto sillabare, e così continua per il resto della vita. Chi invece comprenda la scienza dello spirito vede attraverso la superficie delle fiamme che cosa vi è sotto e osserva le vie del de­stino umano.

 

Fra la corrente psicologica, oggi ancora sovrana, e la vera co­noscenza della vita animica umana, vi è la stessa differenza che vi è fra il sillabare e il leggere. Per questo è anche tanto difficile intendersi, perché non si può dire a un altro che quel che affer­ma sia falso. A chi sappia soltanto compitare: d-i-o, non si può dire che è sbagliato quel che legge. In sé è del tutto giusto. Solo perché non sa ancora che cosa vi si può leggere, egli sostiene che è matto chi vuol mettere insieme quei segni. Non li comprende, perché ancora non li sa leggere.

 

A chi considera valida la psicologia riconosciuta si può sol­tanto dire che ha ragione. L’antroposofo può solo dire agli scien­ziati, agli psicologi che hanno del tutto ragione; non li si con­traddice, si dà loro ragione. Essi però affermano: “Quando tu parli degli istinti, delle passioni e degli impulsi come di lettere dell’alfabeto che credi di poter leggere, sei un po’ matto”. Que­sta è appunto la difficoltà. L’antroposofo può benissimo com­prendere lo psicologo e non ha bisogno di contraddirlo; proprio non polemizza con l’altra scienza. Se però essa comincia a dargli del matto, deve naturalmente far presente che non è così, che cioè anche l’antroposofia applica gli stessi suoi principi; non può però applicare il principio secondo cui non esiste ciò che qualcuno non vede. Che non esista quel che non si vede non è infatti un criterio di verità. Ci si deve prima convincere che l’al­tro possa vederlo.

 

Chi è sul terreno antroposofico deve anche affrontare la dif­ficile relazione dell’antroposofia con le altre concezioni del mondo. Al massimo si potrà formulare il giudizio che chi ritie­ne valide solo le lettere dell’alfabeto: d-i-o-g-u-i-d-a, è solo un mezzo analfabeta. Eventualmente, a chi non sa staccarsi dal pu­ro compitare con istinti, passioni e temperamenti si potrà dire che è limitato, chiuso, arido, ma non che ha torto.

La situazione fra l’antroposofia e le altre concezioni del mondo è tale, che la comprensione sarà possibile soltanto quan­do, da parte di chi sta sillabando, vi sarà la buona volontà di im­parare a leggere. Altrimenti la comprensione non è possibile; di conseguenza le abituali discussioni sono prive di risultati, e gli avversari dell’antroposofia neanche se ne rendono conto. Poiché stimo giusto tutto ciò, ne parlo anche qui.

Direi che gli avversari dell’antroposofia aumentano di mese in mese. Poiché però in effetti nulla possono contrapporre, dato che l’antroposofia dà sempre loro ragione, mentre loro non fan­no altrettanto, non riescono in realtà a controbattere quel che di­ciamo. Attaccano allora le persone, calunniano, mentono riguar­do alle persone. Purtroppo è questa la posizione che la polemica va sempre più assumendo. Ci se ne deve rendere conto quando si è su terreno antroposofico, ed è importantissimo vederlo.

 

Oggi esistono già notevoli libri di avversari. Molti fra i pre­senti che conoscono la letteratura antroposofica avranno notato che nei miei libri dico sempre, nei punti adeguati, quel che vi si può contrapporre. Polemizzo io stesso sempre per mostrare che le obiezioni che mi si fanno si possono già trovare nei miei libri quali basi contro l’antroposofia. Oggi vi sono quindi avversari che si danno da fare per copiare le ragioni contro l’antroposofia da me esposte nei miei libri, e diffondono in tal modo scritti av­versi all’antroposofia. Oggi perciò vi sono scritti avversi all’an­troposofia che sono plagiati dai miei libri, e che semplicemente copiano quel che io dico. Proprio perché l’antroposofo stesso deve far valere ciò che gli può essere obiettato, oggi il lavoro del­l’avversario è terribilmente facilitato.

 

Non dico tutto questo per criticare, ma solo per caratteriz­zare la strada che occorre fare per arrivare ad avere i giusti im­pulsi volitivi e passare a leggere la vita anziché solo compitarla. Compitarla porta agli istinti, per così dire alla vita animale che scaturisce nei desideri, nelle brame, nelle passioni e che ha valo­re momentaneo. Sapendo come trattare le singole lettere per po­terle leggere, si arriva invece al destino umano, al singolo desti­no umano che opera alla base della vita, e con esso ci si inseri­sce nel corso progressivo di tutta l’evoluzione dell’umanità. Po­tendo comprendere in questo modo tutta la vita del singolo, si può anche capire la storia umana che nei prossimi giorni voglia­mo ancora trattare, capire la vita e il destino dell’umanità terre­na prima e dopo il mistero del Golgota, nonché l’intervento del mistero del Golgota nell’evoluzione umana. Dovevo prima met­tere le basi per mostrare che cosa agisca nell’uomo e per indicare nel modo giusto come gli dèi e il mistero del Golgota operi­no nell’uomo stesso e nel complessivo destino umano.

Ne parleremo ancora domani.