La vita culturale: arte, scienza e religione. L’educazione come arte sociale

O.O. 332a – Cultura, politica, economia – 28.10.1919


 

Sommario: La vita culturale: arte, scienza e religione. L’educazione come arte sociale

Il movimento scientifico-spirituale contribuisce al rinnovamento dell’intera vita. Il naturalismo (per esempio la pittura paesaggistica) ha fatto dell’arte un puro lusso, una vera menzogna culturale. La scienza vede solo la realtà esteriore, è diventata sempre più astratta e intellettualistica. La religione si arroga il monopolio sullo spirito, ma conosce solo uno spirito vecchio, che non è al passo con i tempi. Nella Filosofia della libertà l’uomo viene descritto come spirito individuale in grado di diventare sempre più libero. La “libertà” meccanicistica di Wilson è tutt’altro che libertà. Essere liberi vuol dire trarre da se stessi più di quanto ci dà la natura. Grazie alla “modestia intellettuale” l’uomo può sperimentare da adulto una “seconda nascita”. Da astrazione che è, lo spirito deve diventare esperienza concreta. Esempio: la volontà è di natura puramente spirituale. L’arte deve tornare a plasmare la vita quotidiana a partire dallo spirito. La religione reclama la libertà di pensiero, un tipo di incontro col cosiddetto “Cristo” sempre più individualizzato. L’arte dell’educazione deve superare la vecchia pedagogia normativa, l’insegnante deve fare del bambino il proprio maestro. L’arte euritmica è una nuova arte sociale, un “movimento pervaso d’anima” che va oltre la ginnastica puramente fisica. La questione sociale richiede una nuova struttura mentale da parte dell’individuo.

 

Cari ascoltatori!

Se osserviamo la storia degli ultimi anni e ci chiediamo come si presentino al suo interno le questioni e le rivendicazioni di natura sociale sollevate da oltre mezzo secolo, non potremo che ottenere la seguente risposta.

In vaste aree del mondo civile, vari personaggi che si sono dedicati per decenni all’osservazione delle questioni sociali avevano la possibilità di lavorare positivamente ad una fondazione, ad una riorganizzazione della società. E un fenomeno straordinariamente tipico è appunto questo: tutte le teorie e le opinioni sorte da parte socialista da oltre mezzo secolo si sono rivelate impotenti per quanto riguarda un lavoro costruttivo, una riorganizzazione in senso positivo delle condizioni attuali.

 

Cari ascoltatori! Negli ultimi anni abbiamo assistito a molti fallimenti e a poche realtà costruttive – chi vede a fondo le cose direbbe addirittura a nessuna. Non deve forse l’animo umano chiedersi quale sia la vera causa dell’impotenza delle proposte avanzate rispetto al lavoro positivo?

Mi sono permesso di dare una breve risposta a questa domanda, risposta a cui vorrei oggi fare un accenno. È successo nel momento immediatamente precedente alla grande catastrofe della guerra mondiale nella primavera del 1914, in un breve ciclo di conferenze che ho tenuto a Vienna davanti a un ristretto numero di persone – all’epoca una cerchia più grande mi avrebbe probabilmente deriso per le mie affermazioni.

 

Quella volta, rispetto a tutti i pronostici sul futuro prossimo fatti dai cosiddetti pragmatici, mi sono permesso di dire che nelle nostre condizioni sociali in tutto il mondo civile c’è qualcosa che agli occhi dell’osservatore attento della vita interiore dell’umanità appare come un’ulcera sociale, come una malattia sociale, una specie di formazione cancerosa che in breve tempo dovrà esplodere in maniera terribile in tutto il mondo civile.

Quelli che all’epoca parlavano della “distensione politica” e di cose simili – erano statisti pragmatici, esperti in materia! – l’hanno considerato il pessimismo di un idealista. Invece, cari ascoltatori, quelle parole scaturivano da una convinzione che ci si può formare osservando in modo scientifico-spirituale l’evoluzione umana, prendendo le mosse dal tipo di osservazione scientifico-spirituale che voglio descrivervi questa sera.

 

A questa osservazione scientifico-spirituale è dedicato il cosiddetto edificio di Dornach, il Goetheanum, situato qui in Svizzera, in un angolo nord-occidentale della Svizzera. Questa costruzione vuole rappresentare a livello esteriore il movimento scientifico-spirituale di cui vi sto parlando. Oggi potete sentire e leggere varie cose a proposito di ciò a cui si aspira con l’edificio di Dornach, a proposito del movimento che questo edificio rappresenta.

E nella maggior parte dei casi potete dire che è vero il contrario delle chiacchiere che si fanno oggi in proposito. In questo movimento, simboleggiato dall’edificio di Dornach, si va a cercare ogni genere di mistero, di finta mistica priva di senso, di sciocchezze. È fuori discussione che su questa corrente della vita culturale ancor oggi regnano malintesi su malintesi.

 

In realtà si tratta del fatto che con questa corrente culturale si aspira in modo cosciente a un rinnovamento di tutta la nostra vita civile quale si è sviluppata nel corso della storia nella sua arte, nella religione, nella scienza, nell’educazione e via di seguito. Per chi si rende conto della situazione è necessario un rinnovamento, un rinnovamento a partire dalle fondamenta.

E questa corrente culturale della scienza dello spirito porta alla convinzione a cui ho già accennato nelle conferenze precedenti. Porta alla convinzione che oggi, per quanto riguarda il movimento sociale, non basta pensare all’uno o all’altro provvedimento singolo, sporadico, ma che ciò che viene richiesto dal più profondo dell’evoluzione dell’umanità sia una trasformazione della mentalità, del modo di pensare, della più intima disposizione d’animo dell’umanità stessa.

 

La scienza dello spirito di cui qui si parla tende ad una trasformazione di questo tipo. E non può che pensare che, dal momento che le opinioni sociali di cui ho appena parlato, in quanto sorte da modi di pensare antiquati, non più adeguati all’evoluzione dell’umanità e alla vita attuali, hanno fatto cilecca nel loro mettersi a ricostruire, a riorganizzare la società.

Quello di cui abbiamo bisogno è un tipo di pensiero che capisce veramente le cose. Che cosa vogliono in realtà i desideri e le aspettative dell’umanità odierna, desideri e aspettative inconsci, non ancora affiorati al pensiero conscio? Che cosa vogliono soprattutto per quanto riguarda l’arte, la scienza, la religione e l’istruzione pubblica?

 

Prendiamo per esempio in considerazione ciò che negli ultimi tempi è andato formandosi come arte.

So molto bene, cari ascoltatori, che quanto sto per dire come breve caratterizzazione di quella che è andata formandosi come arte, scandalizzerò molti di voi. Molti potranno vedere la cosa come se con essa si documentasse la totale mancanza di comprensione nei confronti delle correnti dell’arte più recente.

A prescindere da singoli tentativi – peraltro molto lodevoli – fatti negli ultimi anni, la caratteristica principale della recente evoluzione artistica è quella di non aver più avuto un vero impulso interiore che consente di presentare all’umanità qualcosa che l’uomo percepisce come un suo bisogno diretto.

 

È invece sorta sempre più l’opinione che davanti a un’opera d’arte ci si debba chiedere in che misura viva in essa lo spirito, il senso della realtà esteriore, in che misura la natura esteriore o la vita esteriore umana venga riprodotta fedelmente dall’arte. E basta semplicemente chiedersi: che significato ha un’opinione del genere di fronte a un dipinto o a un’opera d’arte di Raffaello o di Leonardo?

In questi due artisti, non vediamo che l’elemento determinante non è il rapporto con l’immediata realtà esteriore, ma che si tratta invece di creazioni a partire da qualcosa di estraneo alla realtà esteriore? Quali mondi ci si illuminano quando ci troviamo di fronte al Cenacolo di Leonardo, quell’affresco a Milano che non si riesce più a vedere molto bene, o a un dipinto di Raffaello!

 

Non è in fondo irrilevante stabilire in che misura questi artisti abbiano colto questa o quella legge dell’esistenza naturale? L’importante non è forse che ci raccontano qualcosa di un mondo che non possiamo vedere con gli occhi fisici, che non possiamo percepire con i sensi esteriori? E invece l’unico criterio di valutazione di un’opera d’arte o di un prodotto artistico è che l’uomo moderno si chiede se la cosa è vera, e con “vera” intende qualcosa di naturalistico nel senso consueto.

 

Chiediamoci, per quanto oggi sembri ingenuo anche a certe correnti artistiche: nella vita, anche in quella sociale, che cos’è un’arte che non vuol altro che riprodurre un lembo di realtà esteriore?

Cari ascoltatori, nella stessa epoca in cui sono nati il capitalismo e la tecnica moderni, si è sviluppato in ambito specificamente artistico il paesaggio.

 

Ovviamente conosco anch’io la giustificazione pittorica del paesaggio, ma anche l’altra domanda è pienamente giustificata: mi trovo di fronte ad un paesaggio perfetto fin che si vuole dal punto di vista artistico – è mai in grado di raggiungere quello che si presenta ai miei occhi quando sono sul pendio di una collina e ho davanti a me il paesaggio naturale?

Proprio la nascita del “paesaggio” testimonia in che misura l’arte, ormai incapace di creare a partire da qualcosa di spirituale, di sovrasensibile, si sia rifugiata nella mera imitazione della natura, con la quale non può in nessun modo concorrere. Che cosa diviene di un’arte che vive solo di tali impulsi?

 

Un’arte siffatta, cari ascoltatori, non è qualcosa che spunta dalla vita come un fiore dal terreno, ma qualcosa che si colloca accanto alla vita come un lusso, come qualcosa che può essere apprezzato solo da chi non è completamente immerso nella vita con le sue preoccupazioni personali esistenziali.

Non è comprensibile che gli uomini occupati dalla mattina alla sera in questioni di pura e semplice sopravvivenza – che non hanno neppure accesso ad una cultura che li porti alla comprensione di quest’arte, cultura che dev’essere essa stessa qualcosa di artistico – sentano che un abisso li divide da quest’arte?

 

E anche se oggi non si osa dirlo, poiché lo si ritiene piccolo borghese, nella vita sociale si delinea il fatto che ampie cerchie considerano inconsciamente quest’arte come un lusso della vita, come qualcosa che non appartiene a tutti, e che la vera arte invece deve far parte di ogni esistenza dignitosa, poiché è solo attraverso di essa che un’esistenza dignitosa diventa piena di contenuto.

In un certo senso l’arte naturalistica sarà sempre un lusso, fatto solo per coloro che hanno la possibilità di vivere senza preoccupazioni legate alla sopravvivenza e di ricevere una formazione artefatta che li fa godere di quel tipo di arte.

 

Me ne sono ben accorto, cari ascoltatori, facendo per anni l’insegnante in una scuola di formazione per operai, dove ho avuto occasione di parlare direttamente agli animi del popolo in modo da farmi capire, rispetto a tutto ciò che certi che si definiscono “guide del popolo” inculcano come teoria socialista per la rovina del popolo – perdonatemi questa osservazione personale. Mi sono accorto cosa significhi presentare agli animi semplici questa o quella scienza usando un linguaggio universalmente umano.

E da un certo desiderio di conoscere i prodotti dell’arte moderna nacque nei miei allievi anche la richiesta di essere guidati da me nei musei la domenica.

E cosa succedeva? Naturalmente si poteva spiegare alle persone ciò che dovevano capire, dal momento che avevano il desiderio sincero di essere istruite. Ma si vedeva chiaramente che la cosa non aveva sugli animi lo stesso effetto di quanto proviene dall’umano a tutti comune quando viene comunicato agli animi semplici. Cari ascoltatori, il raccontare alla gente quello che nel recente naturalismo si è presentato come un’arte di lusso lontana dalla vita reale veniva vissuto come una menzogna culturale.

 

E non vediamo come dall’altra parte l’arte abbia perso il rapporto con la vita?

Anche lì negli ultimi decenni sono stati fatti tentativi molto lodevoli, ma assolutamente futili. Nel campo dell’artigianato artistico sono emerse delle aspirazioni che hanno visto come il nostro ambiente quotidiano abbia perso qualsiasi tipo di fisionomia artistica. L’arte ha fatto apparentemente dei progressi, ma tutte le case da cui siamo circondati, gli oggetti di uso comune in cui ci imbattiamo ogni giorno sono diventati quanto mai disadorni, privi d’arte.

 

Poiché l’arte stessa si è separata dalla vita pratica, quest’ultima non ha potuto essere elevata ad una configurazione artistica. Un’arte che vuole solo imitare la realtà stessa non avrà nessuna possibilità di dare ai tavoli, alle sedie e agli altri oggetti d’uso comune una forma tale per cui, vedendoli, si possa avere la sensazione di qualcosa di artistico – poiché questi oggetti devono trascendere la natura, allo stesso modo in cui la vita umana stessa va oltre quella naturale.

Se l’arte vuole semplicemente imitare, non può che vacillare posta di fronte alla rappresentazione della vita pratica, che diventa allora prosaica, banale, arida. Non saprà darle una forma tale per cui l’elemento artistico ci circondi in modo immediato nel quotidiano.

 

Cari ascoltatori, si potrebbe continuare a descrivere questa situazione, ma io voglio solo indicare la direzione presa dalla nostra evoluzione culturale. E anche in altri campi della civiltà moderna ci siamo mossi in maniera analoga.

Non abbiamo visto come la scienza ha rinunciato sempre più a essere portatrice di qualcosa che sta alla base della vita sensibile esteriore? Non c’è da meravigliarsi che l’arte non riesca a trovare la via d’uscita dall’esistenza materiale, se la scienza stessa ha perso di vista la strada. Passo dopo passo, la scienza si è ridotta a registrare le realtà sensibili o al massimo a catalogarle in leggi naturali.

 

Nell’attività scientifica degli ultimi tempi è andato diffondendosi un sempre più deciso intellettualismo; e gli scienziati hanno il terrore di non riuscire ad abbandonarsi interamente a questo intellettualismo nelle loro ricerche, di introdurre nella scienza anche solo un po’ di fantasia, un po’ di intuizione artistica.

Provate un po’ a leggere o ad ascoltare qualcosa di quegli scienziati che al giorno d’oggi si esprimono in questa direzione: vi accorgerete della grande paura che hanno che nella scienza possa fare il proprio ingresso qualcosa di diverso dall’arido e prosaico intelletto fondato sull’indagine sensoriale. Questi personaggi sostengono che in tutte le attività che non si attengono ai meri concetti l’uomo non sia sufficientemente distaccato dalla realtà per poterla valutare nel modo giusto.

 

Così il ricercatore, lo scienziato del giorno d’oggi, tende ad improntare la propria attività solo all’intellettualismo, perché solo così crede di essere abbastanza distante dalla realtà per poterla giudicare obiettivamente, come dice lui.

Ma a questo punto ci si dovrebbe domandare: per mezzo dell’intellettualismo non si tende invece ad allontanarsi dalla realtà al punto da non viverla più?

È questo intellettualismo che più di ogni altra cosa ci ha portati a non saper più padroneggiare la realtà con la nostra scienza, come ho già accennato nelle precedenti conferenze e come continuerò a illustrarvi oggi.

 

E per quanto riguarda la vita religiosa: con quale diffidenza e con quale critica sprezzante viene accolto dalle comunità religiose ogni tentativo intrapreso in ambito scientifico-spirituale di fare ingresso nella realtà dello spirito, come quello di cui si parla qui! Per quale motivo?

Oggi la gente non si rende affatto conto del vero motivo. Dai nostri centri ufficiali, da una scienza che si vuole attenere unicamente al mondo sensibile esteriore, apprendiamo come si debba giustificare in maniera apparentemente obiettiva il fatto che solo così è possibile che sorga una scienza autentica e rigorosa. Per chi conosce l’evoluzione storica dell’umanità le cose non stanno affatto in questo modo.

 

Per chi conosce l’evoluzione storica dell’umanità le cose stanno altrimenti: nel corso dell’era moderna – in effetti sempre più a partire dagli ultimi secoli – le comunità religiose hanno reclamato il monopolio in campo di anima e spirito, conferendo validità soltanto a quelle opinioni a cui l’umanità poteva credere perché autorizzata da loro.

E sotto l’influsso di queste pretese monopolistiche, gli scienziati hanno tralasciato di occuparsi d’altro che non di realtà sensibili esteriori, e al massimo hanno cercato di penetrare nell’ambito spirituale con alcuni concetti astratti. Credono di farlo per amore dell’oggettività della scienza, e non sospettano minimamente di farlo sotto l’effetto del monopolio della conoscenza circa l’anima e lo spirito da parte delle confessioni religiose.

 

Quello che per secoli è stato loro proibito, oggi viene dichiarato dagli scienziati come una necessità oggettiva per la loro esattezza, per la loro obiettività. Così si spiega che, non avendo le comunità religiose sviluppato ulteriormente la comprensione del mondo animico e spirituale, ma essendosi limitate a conservare delle vecchie tradizioni, nella ricerca di nuove vie verso l’anima e lo spirito per mezzo di nuovi modi di pensare si veda un elemento ostile alla religione, mentre questo modo di ricerca e queste nuove vie dovrebbero essere considerati i suoi migliori amici.

Dovremo parlare in primo piano di queste tre sfere – arte, scienza e religione –, poiché la scienza dello spirito a orientamento antroposofico si prefigge come suo compito una rifondazione di questi tre campi. Per spiegarvelo, devo spendere qualche parola sulla vera natura di questa scienza dello spirito.

 

Questa scienza dello spirito, cari ascoltatori, parte da presupposti completamente diversi da quelli della scienza odierna corrente. La scienza dello spirito riconosce pienamente i metodi scientifici, nonché i trionfi delle attuali scienze naturali. Ma siccome ritiene di capire la ricerca scientifica meglio degli studiosi della natura, per la conoscenza dello spirito e dell’anima sa di dover intraprendere strade diverse da quelle che al giorno d’oggi vengono considerate da vasti ambienti come le uniche giuste.

Dato che ogni ricerca che ha per oggetto l’anima e lo spirito viene accolta con pregiudizi così radicati, si diffondono le idee più errate e i fraintendimenti più insidiosi sulle intenzioni del movimento scientifico-spirituale. Che tale movimento non ha false e tantomeno oscure intenzioni mistiche lo si potrebbe desumere chiaramente da ciò che ho cercato di fare già all’inizio degli anni ’90 per dar l’avvio a quel movimento scientifico-spirituale di cui vi sto parlando ora e del quale l’edificio di Dornach è il rappresentante.

 

All’inizio degli anni ’90 ho riassunto nella mia Filosofia della libertà ciò che allora ritenevo indispensabile per la conoscenza sociale del presente.

Chi legga questa Filosofia della libertà non potrà accusare di falsa mistica la scienza dello spirito qui presentata. Potrà invece riconoscere il grande divario che c’è fra la visione della libertà umana contenuta in quel libro e ciò che oggi si trova nella nostra civiltà moderna come impulso, come idea di libertà.

Come esempio di quest’ultima desidero citare il concetto di libertà di Woodrow Wilson – un concetto singolare, ma assolutamente tipico della cultura, della civiltà della nostra epoca.

La richiesta di libertà di questo Woodrow Wilson per la vita politica attuale nasce in lui dal profondo. Ma qual è il suo concetto di libertà? Si arriva a capire cosa intende per libertà leggendo nei suoi scritti parole come queste: una nave, dice, si muove liberamente se si adegua a tutte le forze che risultano dalla direzione del vento, dalle onde del mare e così via, se nella sua costruzione è perfettamente conforme all’ambiente, così che le forze provenienti dal vento e dalle onde non possano mai costituire un ostacolo alla sua navigazione.

 

Così anche l’essere umano potrà “veleggiare liberamente” lungo il corso della vita se si adegua alle forze che incontra, così che non ci siano ostacoli. Woodrow Wilson paragona la libera esistenza dell’uomo anche alla componente di una macchina, sostiene infatti: di un qualsiasi pezzo montato in una macchina si dice che si muove liberamente se non urta in nessun punto, se il resto della macchina è costruito in modo che quella parte vi si possa muovere senza alcun intoppo.

 

Ho solo una cosa da dire in proposito, cari ascoltatori: che si può parlare di libertà per l’uomo solo se la si vede come l’esatto opposto di un simile adattamento all’ambiente; che non si può parlare di libertà dell’uomo se le sue manifestazioni sono solo come quelle di una nave in mare, che si adegua nel miglior modo possibile alle forze del vento e delle onde, ma che se ne può parlare solo se lo si paragona a una nave che fosse capace di andare contro il vento e le onde, di fermarsi nonostante il loro inveire, senza curarsi delle forze per cui è conformata.

Voglio dire che una simile concezione della libertà ha alla base la visione meccanicistica del mondo, che attualmente viene ritenuta l’unica possibile e che è sorta dall’intellettualismo degli ultimi tempi. Nella mia Filosofia della libertà ho dovuto oppormi nel modo più risoluto a questo modo di pensare.

 

So molto bene – permettetemi un’altra considerazione personale – che questo libro presenta per così dire le caratteristiche tipiche del suo cantiere di fabbricazione. Prende le mosse dalla filosofia europea e ha dovuto confrontarsi con i concetti ricorrenti all’interno di tale concezione del mondo, ragion per cui ad alcuni può apparire accademico, benché nelle sue intenzioni non lo sia affatto. L’intento di questo libro è che quanto in esso viene indicato come impulso interiore debba diventare una componente della vita pratica, che quanto è in grado di riversarsi nella volontà umana grazie alle idee lì sviluppate possa anche far ingresso nell’immediata vita sociale dell’uomo.

Ma per questo ho dovuto porre la domanda sulla libertà umana in modo completamente diverso dal solito. Ovunque vi voltiate, per secoli e secoli di evoluzione dell’umanità la domanda sulla libertà della volontà dell’uomo è stata posta in questi termini: questo essere umano è libero o non è libero?

 

Ho dovuto mostrare come la domanda posta in questo modo sia sbagliata, come sia necessario porla su una base del tutto nuova. Se infatti prendiamo quello che l’uomo, per via della moderna concezione scientifica del mondo e anche della moderna coscienza umana, considera come il proprio essere, del quale conosce però solo il lato fisico naturale, quello, cari ascoltatori, non potrà mai essere un essere libero. Quello deve agire in base ad una necessità di natura.

Se l’uomo fosse soltanto quello che la scienza moderna vede in lui, allora la sua “libertà” sarebbe proprio quella descritta da Woodrow Wilson. Ma quella non sarebbe una libertà, bensì solo quello che per ogni singola azione possiamo definire un effetto deterministico in base a cause naturali. Ma questa moderna coscienza umana non si è data eccessivamente pensiero per l’altro elemento, dove davvero nell’essere umano ha inizio la domanda sulla libertà.

 

Questa moderna coscienza umana parla solo di quello che sta alla base dell’uomo come elemento naturale, come essenza unicamente dipendente dalla causalità di natura. Ma colui che scende più a fondo nella natura umana deve dirsi: nel corso della propria esistenza l’uomo può diventare più di quel che è in base a ciò che la natura gli ha dato.

Si capisce che cos’è l’uomo solo nell’istante in cui si ha questo obiettivo, quando ci si dice: una componente dell’uomo è quello che ha avuto per nascita, ciò che è ereditario in lui, ma tutt’altra cosa è quello che l’uomo può sviluppare in sé liberamente, quello a cui non è indotto per via della sua fisicità, ma che può diventare solo ridestando un secondo essere che era prima sopito in lui.

 

Stando così le cose, non ho chiesto se l’uomo è libero o no, ma ho posto la domanda in questi altri termini: può l’uomo, grazie alla sua evoluzione interiore, diventare un essere libero o no?

E può sì diventare un essere libero, se solo sviluppa quello che altrimenti resta assopito dentro di lui, quello che può essere ridestato e diventare libero. Cioè, la libertà non appartiene all’uomo per natura, ma nell’uomo è libero ciò che lui stesso può e deve risvegliare in sé oltre il dato di natura.

Ma se quello che nella mia Filosofia della libertà ho svolto maggiormente in riferimento alla vita sociale deve essere reso chiaro ad una cerchia più vasta di persone, sulla base di questa filosofia va costruita quella che io chiamo “scienza dello spirito a orientamento antroposofico”. Allora bisogna mostrare il cammino che rende l’uomo capace di prendere in mano la propria evoluzione, di ridestare un essere che dorme dentro di lui.

 

Ho cercato di farlo nel mio libro L’iniziazione: come si consegue la conoscenza dei mondi superiori? e negli altri libri che ho dato alla letteratura scientifico-spirituale. In questi testi ho voluto mostrare che l’uomo ha la capacità di prendere in mano la propria evoluzione, e che solo così facendo, diventando qualcosa di diverso da quello che è per nascita o per natura, può ascendere ad una vera conoscenza dell’elemento animico e spirituale.

Tuttavia ancor oggi gran parte dell’umanità lo considera un modo di pensare balordo. Qual è infatti il presupposto di questa concezione? Essa presuppone che l’uomo si conquisti una certa modestia intellettuale, cosa che al giorno d’oggi sono in pochissimi a volere. Desidero spiegarvi nel modo seguente questa modestia intellettuale che l’uomo d’oggi è chiamato a far sua.

 

Se mettiamo in mano a un bambino di cinque anni un volume di liriche di Goethe, lui di sicuro non assumerà un atteggiamento adeguato nei confronti di questo libro. Lo farà forse a pezzi o ne farà qualcos’altro; ad ogni modo, pur stando in piedi o seduto davanti a questo volume di liriche di Goethe, non sa che cos’ha di fronte. Ma è possibile che passino dieci o dodici anni, e che noi nel frattempo abbiamo provveduto alla sua crescita e alla sua istruzione. Allora il suo atteggiamento nei confronti di quel volume delle liriche di Goethe sarà ben diverso.

 

E in fin dei conti, a livello esteriore non c’è poi una gran differenza tra il bambino che si trova davanti al volume di Goethe a cinque anni e il ragazzo che ha dodici o quattordici anni in più. A livello interiore invece c’è una differenza enorme. Noi abbiamo educato il bambino in modo che adesso sa cosa farsene del volume delle liriche di Goethe.

È più o meno come il bambino piccolo davanti al libro di Goethe che dovrebbe sentirsi l’uomo adulto davanti alla natura e al mondo intero, qualora prenda sul serio la realtà dell’anima e dello spirito.

Dovrebbe dirsi: devo prima lavorare all’evoluzione del mio essere interiore per imparare a leggere nel libro della natura e del mondo, come il bambino di cinque anni va educato a leggere e capire il contenuto delle liriche di Goethe.

 

La modestia intellettuale dovrebbe aiutarci a riconoscere che non possiamo capire il mondo con ciò che riceviamo dalla nascita o dalla natura. Dovremmo ammettere che ci possono essere delle vie per un’evoluzione personale, per lo sviluppo di quelle forze interiori dell’uomo che ci danno di vedere l’elemento animico e spirituale in ciò che si presenta ai sensi.

E le opere citate dovrebbero mostrare come questo sia possibile in pratica. Oggi ciò è diventato necessario perché l’intellettualismo invalso nel corso degli ultimi secoli non è in grado di dominare veramente la vita, ma sa solo penetrare in una delle sue sfere, quella della natura inanimata. Non può far altro che brancolare di fronte alla realtà dell’uomo, e in particolare a quella sociale.

 

E quella che ho ora definito modestia intellettuale, cari ascoltatori, dovrà porsi alla base di ogni concezione veramente moderna dell’impulso umano alla libertà, nonché di un’effettiva comprensione della necessità di trasformare anche l’arte, la religione e la cultura.

La vita puramente intellettuale ha mostrato fin troppo chiaramente che non è in grado di giungere ad una conoscenza che coglie l’elemento spirituale e animico. Come vi ho già accennato, si è limitata al mondo sensibile esteriore per registrarlo e sistematizzarlo. Per questo non ha potuto affermarsi contro il monopolio delle comunità religiose, che comunque sono state altrettanto incapaci di elevarsi ad una nuova conoscenza dello spirito e dell’anima, ma hanno invece introdotto nell’era moderna una concezione antiquata, anacronistica.

 

Una cosa va assolutamente superata: il timore che ho appena descritto di calarsi troppo intensamente nelle cose se le si deve conoscere dal punto di vista spirituale. Si trova comodo schierarsi dalla parte dell’intellettualismo, per il semplice fatto che occupandosi solo delle idee astratte anche in campo scientifico, si prendono le distanze dalla realtà in modo da essere sicuri di non subirne alcun influsso, di non venire “contagiati” dalla realtà.

Ma con una conoscenza come quella qui intesa, una conoscenza che ci si procura solo se si prende in mano la propria evoluzione, ci si deve proprio immergere a fondo nella realtà della vita. E bisogna andare a fondo anche del proprio essere, ben più a fondo di quanto sia possibile con la semplice autoeducazione in chiave di intellettualismo.

 

Il puro intellettualismo consente di toccare solo gli strati superficiali della propria vita. Scendendo invece nelle profondità del proprio essere con la conoscenza di cui stiamo parlando, non troviamo solo idee o sensazioni che rispecchiano un mondo esteriore, ma troviamo processi e realtà dell’interiorità umana davanti ai quali l’uomo che conosce solo con l’intelletto arretra spaventato, e che sono simili a ciò che avviene nella natura, nel mondo. Ecco allora che immergendosi nella propria interiorità si impara a conoscere l’essenza stessa del mondo.

Non la si conosce, invece, se ci si limita ai concetti astratti o alle leggi di natura. Occorre raggiungere uno stato di fusione con la natura. Bisogna non aver paura di avvicinarsi alla realtà, ma, grazie alla propria evoluzione interiore, bisogna entrarvi dentro senza però venirne consumati, bruciati o soffocati, ma, pur restando immersi in essa, pur senza avere la distanza da intellettuale, saper afferrare la realtà oggettiva delle cose.

 

Così, nel mio libro L’iniziazione: come si consegue la conoscenza dei mondi superiori? si trova descritto il cammino interiore dell’uomo verso la conoscenza spirituale, nel senso che l’uomo immergendosi nella realtà acquisisce conoscenze che non hanno il carattere di distanza intellettuale, ma che sono esse stesse talmente sature di realtà da potercisi immedesimare.

 

Cari ascoltatori, vedrete che una caratteristica fondamentale della scienza dello spirito di cui stiamo parlando è la sua capacità di immergersi nella realtà. Essa non parla infatti di uno spirito astratto, ma dello spirito concreto che è presente nel mondo circostante esattamente come le cose del mondo sensibile.

La moderna vita culturale ha prodotto solo osservazioni astratte. Prendete una cosa qualunque che nella moderna vita culturale non sia uno studio scientifico, ma un saggio puramente filosofico, e vedrete come spesso questa visione filosofica, o come la volete chiamare, della vita sia lontana dalla vita reale, dalla vera conoscenza delle cose.

 

Leggete per esempio in un testo di psicologia moderna qualcosa a proposito della volontà. Quello che ci trovate non va oltre a qualcosa che potremmo definire un puro e semplice gioco di parole. Nelle idee degli uomini che si dedicano a tali riflessioni non c’è la forza necessaria per immergersi nell’essere più profondo della natura. La materia resta qualcosa di esteriore perché non si è in grado di entrarci dentro con lo spirito. Lasciatemi spiegare la cosa con un esempio.

 

In uno dei miei ultimi libri, Enigmi dell’anima, ho accennato a come una certa concezione scientifica tradizionale debba essere sostituita da quella di una moderna scienza dello spirito. So quanto paradossali sembreranno a molti le cose che sto per dire, ma ciò che è all’altezza delle esigenze vere dell’uomo, che già adesso si annunciano e che in futuro si paleseranno sempre più, risulterà spesso paradossale rispetto a ciò che oggi viene considerato come l’unica cosa giusta.

 

Oggi ogni scienziato che si sia occupato di queste cose afferma che nel corpo umano e in quello animale – noi ora vogliamo interessarci solo dell’uomo – ci sono due tipi di nervi. Gli uni conducono dai sensi all’organo centrale – sono i nervi sensitivi, sensori, che vengono stimolati quando si percepisce mediante i sensi. Si sostiene che questo stimolo si propaghi fino al centro nervoso dell’uomo. Poi ci sarebbe l’altro tipo, i cosiddetti nervi motori che dal centro si dirigono agli arti dell’uomo. Grazie a questi nervi motori l’uomo sarebbe in grado di muovere i suoi arti. Mentre i primi sono “nervi senzienti”, questi sarebbero “nervi volenti”.

 

Bene, cari ascoltatori, nel mio libro Enigmi dell’anima ho illustrato, seppur a grandi linee, quanto segue: non esiste differenza sostanziale fra i nervi sensori e i cosiddetti nervi motori; i cosiddetti nervi della volontà non sono al servizio della volontà. I fenomeni che dovrebbero dimostrare che tali nervi servono alla volontà, come per esempio quella malaugurata malattia che è la tabe polmonare, la tubercolosi, provano esattamente il contrario, come può essere facilmente dimostrato, provano quello che sto per esporvi.

 

Questi cosiddetti nervi volitivi sono anch’essi nervi sensitivi. Mentre gli altri nervi sensitivi vanno dagli organi di senso all’organo centrale per far sì che quanto viene trasmesso dai sensi dall’esterno possa essere percepito, i cosiddetti nervi volitivi, che sono anch’essi nervi sensitivi, percepiscono i movimenti che avvengono dentro di noi. Non ci sono nervi volitivi, della volontà: si tratta della percezione dei propri movimenti.

Il volere è di natura puramente spirituale, è una realtà animico-spirituale che agisce direttamente come tale. Noi abbiamo bisogno dei cosiddetti nervi motori perché essi percepiscono in noi la parte che si deve muovere, che va percepita se si vuole che la volontà la metta in moto.

 

Per quale motivo vi ho fatto questo esempio, cari ascoltatori? Perché oggi potete vedere, leggere e ascoltare tante discussioni in cui si parla della volontà, solo che vengono sviluppate delle idee che non hanno la forza propulsiva necessaria per conoscerla nella sua realtà, per osservare il volere nel suo operare reale. Queste conoscenze restano astratte, avulse dalla realtà, con esse la scienza può ben venirci a raccontare che esiste un tipo di nervo volitivo-motorio.

La scienza dello spirito sviluppa sulla volontà delle idee che mostrano anche di che natura è l’elemento corporeo del sistema volitivo umano. In altre parole, la scienza dello spirito sa indagare l’essenza vera dei fenomeni naturali, delle realtà naturali; non resta in un ambito estraneo alla vita, ma si immerge nella realtà concreta.

 

Questa scienza ha il coraggio di non lasciare la materia là fuori, ma di entrarvi dentro con lo spirito. Per essa tutto diventa spirituale, e perciò essa vuole anche entrare nel merito dell’organizzazione sociale e può contribuire alla realizzazione della vita sociale, compito che le scienze naturali astratte e intellettualistiche non sono in grado di svolgere.

E così, cari ascoltatori, questa scienza dello spirito dovrà anche parlare di una conoscenza spirituale, di una nuova via per far ingresso nel mondo dello spirito e dell’anima. Avrà il coraggio di dire: oggi per noi quelle immagini dei mondi spirituali viste da artisti come Raffaello, Michelangelo e Leonardo da Vinci non possono far più testo. In base all’ulteriore evoluzione dell’umanità, siamo tenuti a cercare un nuovo accesso al mondo spirituale.

 

Ma se riacquistiamo la conoscenza del mondo spirituale, se riusciamo a farvi ingresso, se impariamo a conoscerlo non come fa un panteismo nebuloso che continua a parlare dello spirito astratto e oscuro in generale, ma se davvero ci inoltriamo nei fenomeni reali del mondo spirituale – non per mezzo dello spiritismo, ma sviluppando le forze spirituali e animiche umane, come ve le ho descritte qui –, allora si avrà di nuovo coscienza del mondo spirituale in un modo adeguato all’attuale evoluzione dell’umanità, allora i misteri dello spirito si riveleranno nuovamente al mondo.

Allora si verificherà anche quello che Goethe – che era ad uno stadio iniziale rispetto a queste cose, ma che già intuiva quello che la recente scienza dello spirito sta portando avanti – descrive già con queste parole: colui al quale la natura comincia a rivelare il proprio segreto manifesto, prova una profonda nostalgia per la sua interprete più degna, che è l’arte.

 

Allora l’artista riceverà a sua volta una rivelazione dal mondo spirituale, non sarà indotto a credere che quando si rappresenta l’elemento spirituale in un’immagine visibile si tratti di un’allegoria astratta, simbolica o fatta di carta, ma verrà a conoscere lo spirito vivente, e sarà in grado di esprimerlo con strumenti sensibili. E allora non si dirà più che il meglio di un’opera d’arte consiste nell’imitazione della realtà esteriore, ma lo si vedrà nella sua capacità di manifestare ciò che lo spirito rivela all’uomo.

Rinascerà un’arte intrisa di spirito, un’arte che non è più simbolismo o allegorismo, che non presenta un carattere di lusso ponendosi accanto alla natura, che non può comunque eguagliare, ma che dimostra di essere necessaria e legittima nella vita umana per il fatto che annuncia qualcosa che non può essere evidenziato dall’osservazione sensibile della natura, dall’immediato naturalismo.

 

E anche se quello che l’uomo plasma a partire dallo spirito fosse dapprima maldestro, si tratterebbe comunque di qualcosa che ha un suo significato, perché va oltre la vita della natura, poiché la trascende. Non imita più la natura abborracciando quello che lei sa fare molto meglio di lui. Cari ascoltatori, qui si apre la via per quel tipo di arte che abbiamo cercato di esercitare anche nella costruzione e nell’organizzazione esteriore del Goetheanum di Dornach.

Lì si è cercato di creare un’espressione per quello che dev’essere come un ateneo della scienza dello spirito. In ogni parete, in tutto ciò che è dipinto sulle pareti, in tutto ciò che è intagliato nel legno e così via, si è cercato di dar forma a quel che si rivela alla scienza dello spirito, che nel Goetheanum trova la sua rappresentazione.

 

Questo edificio è quindi un’espressione del tutto naturale dello spirito che incarna. Non lo si poteva costruire secondo un vecchio stile architettonico per il fatto che in esso si deve parlare di uno spirito nuovo. Come in natura ogni guscio assume la forma richiesta dal nocciolo che deve contenere – vi basti osservare un guscio di noce, vedrete che è conformato in base a quanto stabilisce la noce dal suo interno –, così nell’edificio di Dornach tutto è strutturato nel modo richiesto da ciò che lì dentro deve risuonare sotto forma di musica, di quello che dev’essere messo in scena sotto forma di rappresentazioni teatrali, di drammi misteriosofici, e di quanto dev’essere espresso in parole come rivelazione della scienza dello spirito.

 

Ogni parola deve per così dire riecheggiare in ciò che è scolpito nelle colonne, nei capitelli e negli altri elementi dell’edificio. In questo modo nasce un’arte – che è certo ancora agli inizi, e coloro che vi lavorano ne sono i critici più severi – creata realmente a partire da uno spirito nuovo, e quindi dallo spirito in quanto tale.

 

Cari ascoltatori, quando si intraprende una cosa simile, non si può fare a meno di esporsi a dei malintesi che sono più che comprensibili. Sono venute delle persone – anche altre, che non hanno prestato il fianco ai malintesi nei confronti di questo edificio di Dornach da parte dei suoi numerosi visitatori, che aumentano di giorno in giorno –, ma sono venute anche persone che hanno scritto: «Perbacco, questi antroposofi hanno costruito un edificio pieno di simboli, pieno zeppo di allegorie.»

 

La cosa interessante è che lì non c’è neanche un solo simbolo, neanche una sola allegoria. Ciò che è stato osservato a livello spirituale è stato direttamente sciolto nella forma artistica. Nelle cose espresse in questo edificio non c’è niente di simbolico o di allegorico, ma tutto vuol essere qualcosa di reale per via della sua forma stessa. Tuttavia oggi come oggi, cari ascoltatori, in quest’epoca in cui si costruiscono perfino le banche in quell’antico stile greco con cui gli Ateniesi edificavano le loro case, finora ci è stato possibile dare un involucro solo ad un laboratorio spirituale, poiché le condizioni sociali esteriori ancora non permettono di costruire secondo questi criteri anche una stazione ferroviaria o magari una banca.

 

Per motivi a voi forse facilmente comprensibili non siamo ancora riusciti a escogitare lo stile di una banca moderna o di un moderno emporio, ma anche queste sono cose che vanno trovate. E soprattutto bisogna trovare in questo modo il rapporto con la capacità di plasmare artisticamente tutta la vita pratica.

Pensate solo al significato sociale che avrebbe per la maggior parte delle persone! Come ho detto di recente e come illustrerò ulteriormente, la diffusione di un movimento dipende dal modo di pensare e di sentire degli uomini. Sarà di grande importanza sociale per gli uomini il fatto che gli oggetti di uso quotidiano si presentino all’anima umana in forma artistica, che un cucchiaio o un bicchiere non abbiano una forma casuale desunta dall’utilità puramente esteriore, ma che la loro forma si ispiri alla loro funzione, che nella forma stessa si possa vedere immediatamente e provare piacere per come la cosa è inserita nella vita dell’uomo.

 

La vita spirituale verrà ritenuta indispensabile da ampie cerchie solo quando avrà un legame diretto con quella pratica. Come la scienza dello spirito è in grado di illuminare la materia – ve l’ho mostrato con l’esempio dei nervi sensitivi e motori –, così l’arte sorta dalle idee scientifico-spirituali sarà capace di spingersi fino all’ideazione di ogni singola sedia, di ogni tavolo e via dicendo.

E se risulta evidente che proprio da parte delle confessioni religiose provengono i più pesanti pregiudizi e malintesi nei confronti di questo orientamento scientifico-spirituale, c’è da chiedersi a che cosa sono approdate alla fin fine queste confessioni religiose, queste Chiese. È nella loro natura che le confessioni religiose trovino una legittimazione solo nella misura in cui si occupano realmente del sovrasensibile.

 

Ma nella nostra epoca si sono conservate delle antiche concezioni sullo spirituale sorte da presupposti d’animo completamente diversi dai nostri. Una moderna scienza dello spirito vuol indagare il mondo con un nuovo tipo di pensiero, in conformità alla vita interiore dell’uomo d’oggi. Potrà mai il senso religioso degli uomini, correttamente inteso, prendersela con questa scienza dello spirito? Ma nemmeno per sogno!

Con che cosa dovrebbe infatti aver a che fare il senso religioso, tutta la prassi religiosa? La prassi religiosa non dovrebbe consistere nell’annunciare teorie o dogmi sul mondo sovrasensibile, ma nell’offrire agli uomini la possibilità di venerare il sovrasensibile. La religione ha a che fare non con la teoria, ma con la venerazione del sovrasensibile.

 

La natura umana ha bisogno di questa venerazione, ha bisogno di sollevare lo sguardo pieno di venerazione verso il sublime che vive nel mondo spirituale. Se le si impedisce un accesso al mondo spirituale consono ai tempi, occorre proporgliene uno vecchio. Dal momento però che un tale accesso non è più adeguato alla sensibilità dell’uomo d’oggi, bisogna imporlo come dogma, per decreto, obbligando l’uomo al riconoscimento dell’autorità. Da qui deriva il carattere di esteriorità delle confessioni religiose nei confronti dell’attuale indole umana. Le guide spirituali d’oggi impongono agli uomini modi vecchi di vedere il mondo sovrasensibile.

 

Cari ascoltatori, immaginatevi delle comunità che capiscono la vera essenza della religione, che consiste nella venerazione dello spirituale. Non dovrebbe essere nel più alto interesse di tali comunità che i loro membri sviluppino una conoscenza viva del sovrasensibile? I più facili da condurre alla venerazione del sovrasensibile non saranno proprio quelli che lo intravedono già nella loro anima, che gli sono vicini nel loro anelito alla conoscenza?

Fa parte della fase recente dell’evoluzione umana il fatto che a partire dalla metà del quindicesimo secolo l’essere umano abbia vissuto un’evoluzione sempre più individuale allo scopo di formarsi una personalità autonoma. Se al giorno d’oggi si esige che l’uomo giunga alla comprensione del sovrasensibile non per mezzo della sua individualità, della sua personalità, ma dovendo sottomettersi ad un’autorità, allora si pretende da lui qualcosa che va contro la sua natura di uomo moderno.

 

Se invece gli si lascia la libertà di pensiero per quanto riguarda la conoscenza dell’invisibile, allora egli si assocerà con i propri simili per coltivare in comunità la venerazione di quel sovrasensibile di cui ciascuno ha una conoscenza fatta a modo suo, del tutto individuale. E proprio il culto comune rivolto al sovrasensibile, la vera religiosità, si svilupperà nel migliore dei modi se gli uomini vivranno in libertà di pensiero, se si accosteranno alla conoscenza del mondo spirituale ognuno a partire dalla propria individualità.

 

Questo, cari ascoltatori, si manifesterà particolarmente nel modo di concepire l’entità stessa del Cristo. Nei primi secoli questa entità cristica era qualcosa di ben diverso da quello che è diventata perfino per molti teologi dei secoli scorsi, soprattutto del diciannovesimo secolo. Quanto si è allontanata l’umanità dalla contemplazione della vera realtà spirituale del Cristo, realtà che ha vissuto nell’uomo chiamato Gesù!

 

L’umanità si è allontanata di molto dal capire che nel mistero del Golgota si è verificata l’unione di un’entità sovrasensibile con un corpo umano, affinché la Terra potesse acquisire il suo significato vero e profondo all’interno dell’evoluzione universale. Quanto poco perfino i teologi moderni di un certo tipo hanno capito quest’unione fra sovrasensibile e sensibile, compiutasi grazie al mistero del Golgota!

L’uomo Gesù è diventato sempre più per la teologia il semplice uomo di Nazareth, il modo di pensare della religione è diventato sempre più materialistico. Non essendo in grado di trovare vie per la comprensione del sovrasensibile consone alla nuova umanità, si è perduta anche la via invisibile che porta all’entità del Cristo.

E molti di quelli che oggi credono di vedere il Cristo, lo credono soltanto. Non sanno immaginare quanto poco di ciò che dicono o pensano del Cristo corrisponda realmente a quello che scopre chi si avvicina a questo mistero originario con una conoscenza adeguata allo spirituale.

 

Si può quindi dire: la scienza dello spirito non vuole di certo fondare una nuova religione, vuol essere una scienza, una conoscenza. Ma si dovrebbe però anche ammettere che essa può fornire non meno le basi per un rinnovamento della vita religiosa dell’umanità. È in grado non solo di rinnovare la vita artistica degli uomini, ma anche quella religiosa.

C’è un ambito in cui la scienza dello spirito potrà agire in maniera particolarmente feconda, un ambito che deve risultare di enorme importanza a chi sa prendere sul serio il futuro sociale dell’umanità: quello della pubblica istruzione.

 

Negli ultimi tempi si è parlato moltissimo di educazione, ma bisogna dire, cari ascoltatori, che molto di quanto è stato detto non coglie l’elemento più importante. Proprio in questi ultimi tempi ho cercato di mettere in risalto questa cosa principale, avendo ricevuto l’incarico di tenere un corso seminariale per insegnanti di una scuola, la scuola Waldorf di Stoccarda, fondata nel settembre di quest’anno secondo lo spirito della triarticolazione dell’organismo sociale.

In occasione della fondazione di questa scuola ho cercato di dare non solo ai dettagli esteriori una forma corrispondente alle esigenze della triarticolazione dell’organismo sociale, ma anche di organizzare la pedagogia stessa, la didattica da presentare al collegio dei docenti di questa nuova scuola in modo che – come si può immaginare – l’uomo possa essere educato a vivere in quel futuro che, adeguandosi a esigenze immutabili della natura umana, dovrà diventare un futuro sociale nel senso giusto.

 

Allora si arriva a dirsi: la vecchia pedagogia normativa, che stabilisce determinate regole su come educare, è qualcosa che va superato. Certo, sono molti oggi a sostenere che nell’educazione e nell’insegnamento si debba tener conto dell’individualità della persona, e si citano tutte le regole possibili in base alle quali prenderla in considerazione.

 

Ma, cari ascoltatori, in futuro la pedagogia non sarà una scienza normativa, bensì una vera e propria arte umana. In futuro la pedagogia si fonderà su una conoscenza completa dell’uomo e si saprà che in quest’uomo, che si sviluppa nel corso degli anni a partire dalla nascita, c’è un’anima e uno spirito che affiorano in superficie plasmandosi gli organi del corpo.

Si vedrà come ogni nuovo anno, all’inizio della scuola, forze diverse si sviluppano dal profondo della natura umana. Questa attenzione non potrà essere accompagnata da una pedagogia normativa astratta, ma solo da una visione concreta della natura umana.

 

Negli ultimi tempi si è molto parlato di educazione visiva, di lezioni con supporti didattici. È una scelta pienamente legittima entro certi limiti, ma ci sono cose che non possono essere comunicate per mezzo di un’osservazione esteriore, cose che possono esser trasmesse all’adolescente solo se nell’insegnante, nel maestro, nell’educatore vive una vera conoscenza dell’uomo in divenire, se ogni anno lui sa veder sbocciare nell’allievo qualcosa di diverso rispetto all’anno precedente, se conosce quali sono le esigenze della natura umana a sette, a nove, a dodici anni.

Infatti, solo se l’educatore si attiene alla natura è possibile rendere forte la persona che cresce. Oggi nella vita vediamo tante esistenze spezzate, tante persone che non sanno fare niente di giusto nella vita e delle quali la vita non sa che farsene. Le esistenze di questo tipo sono molte, molte più di quanto non si creda di solito. Da che cosa dipende questo fatto?

 

Cari ascoltatori, questo proviene dal fatto che proprio nell’educazione e nell’insegnamento non si tiene conto delle leggi fondamentali dell’essere umano in crescita.

Vi faccio un esempio. Pedagoghi benintenzionati non fanno che sottolineare l’importanza di illustrare al bambino in modo plastico ciò che si presenta alla sua anima, ciò che è in grado di capire. Già, in teoria saltano fuori cose interessanti, in pratica però si sviluppano delle banalità. Ci si vuole abbassare al livello di comprensione del bambino, lo si vuole educare artificialmente, e ormai lo si fa già per istinto. Ma volendo educare in questo modo, mirando a questa falsa evidenza, che cosa si finisce per trascurare?

 

Si trascura un’importante legge della vita. Non si sa più cosa significhi per un uomo, mettiamo a trentacinque anni, ricordarsi una cosa del genere: «Una volta il mio maestro mi ha detto questo o quello» – lui all’epoca aveva forse nove o dieci anni – «e io l’ho accolto semplicemente perché a quei tempi provavo una grande venerazione per l’autorità di quel maestro, poiché in lui viveva qualcosa che gli permetteva di trasmettermi le cose che diceva. Ora che guardo indietro da adulto mi rendo conto che il suo insegnamento ha continuato a vivere dentro di me e che adesso sono maturo per comprenderlo!»

La vita acquista uno splendore indicibile quando, a trentacinque anni, grazie alla maturità conseguita, si torna col pensiero a ciò che si è accolto semplicemente con amore, senza essere ancora in grado di comprenderlo. Un tale fulgore della vita, che è pura forza di vita, va perduto se ci si abbassa alla banale “evidenza”, che al giorno d’oggi viene continuamente lodata come un ideale pedagogico da perseguire.

 

Bisogna capire quali forze vanno sviluppate nel bambino in modo tale che permangano in lui per tutta la vita, di modo che il bambino non debba solo ricordarsi teoricamente di ciò che ha imparato fra i sette e i quindici anni, ma che le cose apprese possano rinnovarsi costantemente in lui e mostrarsi come realtà trasformate quando le osserverà alla luce della maturità.

Vedete, le cose che ho appena detto ho cercato di porle alla base di una pedagogia che renda l’educazione un’arte, tramite la quale l’uomo può essere introdotto nella vita così da essere all’altezza delle esigenze sociali del futuro.

 

Cari ascoltatori, lo potete vedere in tutti i particolari: per quanto oggi la gente declami questi o quegli ideali sociali, a volte non si ha affatto una visione d’insieme della vita, quella visione vasta che si dovrebbe avere quando si tratta di simili ideali.

Per esempio, si dice che i mezzi di produzione debbono essere trasferiti alla collettività e si crede di aver raggiunto qualcosa nel sottrarli all’amministrazione del singolo. Mi sono già espresso su questo argomento e nelle prossime conferenze mi esprimerò ancora più precisamente. Ma adesso immaginiamo per un istante che sia davvero possibile trasferire i mezzi di produzione alla collettività nell’immediato presente.

 

Li avrebbe ancora in mano quella collettività che cresce con la prossima generazione? No, perché se li vogliamo affidare tali e quali anche a quella, non teniamo conto del fatto che questa prossima generazione produce forze nuove, innovative e che perciò tutta la produzione deve di nuovo trasformarsi dal suo interno.

Se si vuole preparare il futuro sociale ci si deve collocare nel pieno della vita. Dall’idea dell’uomo come essere costituito di corpo, anima e spirito, dalla vera conoscenza di questi tre elementi sorgerà anche un’arte dell’educazione del tipo che vi ho detto, un’arte che potrà essere vissuta come un qualcosa di imprescindibile all’interno della vita sociale.

 

È da un simile modo di pensare, cari ascoltatori, che all’interno del movimento spirituale che si appoggia a Dornach è sorto anche ciò che è stato più volte frainteso. Dopotutto ci sono sempre state persone che già negli anni precedenti sono arrivate a pensarla non tanto male del nostro movimento scientifico-spirituale. Ma quando, qualche tempo fa, abbiamo cominciato a mettere in scena qui a Zurigo e in altri luoghi la cosiddetta arte euritmica – che nasce dalla scienza dello spirito e che è, ne siamo ben consapevoli, solo agli inizi –, la gente ha detto: «Ora è chiaro che neanche la scienza dello spirito può essere una cosa sensata. Se al suo interno ha posto anche questo tipo strambo di danza, allora la scienza dello spirito è una cosa da pazzi.»

 

Cari ascoltatori, in una cosa del genere non si tiene conto di quanto dovrà apparire paradossale ciò che, a partire da queste basi, lavora ad una riorganizzazione del mondo, nel modo in cui lo fa ciò che è al servizio della scienza dello spirito. Quest’arte euritmica vuol essere un’arte sociale nel senso più elevato del termine, poiché intende comunicare in prima linea i misteri dell’uomo. Intende utilizzare quelle inclinazioni al movimento che sono insite nell’uomo, le vuole far sprigionare dall’uomo stesso nel modo che verrà illustrato in occasione della prossima rappresentazione di euritmia.

 

Ma qui voglio accennare al fatto che quest’arte euritmica è vera arte proprio perché rivela i misteri più profondi dell’arte umana stessa. Essendo un vero linguaggio visibile, espresso dall’uomo nella sua totalità, quest’arte euritmica è una vera e propria arte, ma nello stesso tempo – rispetto alla semplice ginnastica fisica, che proviene unicamente dalla fisiologia, dallo studio della struttura anatomica degli arti – esprime una capacità motoria grazie alla quale l’uomo si affida a movimenti pervasi di anima e di spirito.

Quella che è stata insegnata come ginnastica puramente fisiologica da un’era materialistica potrà essere insegnata ai bambini nel modo in cui già avviene nella scuola Waldorf di cui vi ho parlato: con un movimento pervaso d’anima, che interessa l’uomo nel suo insieme, mentre l’esercizio fisico puramente materiale coinvolge solo una parte dell’essere umano, lasciando così inaridire molte componenti della persona in fase di crescita.

 

Quello che vi volevo esporre oggi è che dal profondo della natura umana stessa deve emergere una vita culturale nuova che possa intervenire nei settori principali dell’esistenza.

Cari ascoltatori, nei prossimi giorni sarà mio compito mostrarvi come questa vita esteriore debba organizzarsi nel presente e per il futuro, se si vorrà darle forma a partire da un tale spirito nuovo. Diverse persone, anche persone da cui non ce lo si aspetterebbe, sentono la necessità di padroneggiare a partire dallo spirito le grandi esigenze della vita sociale che si manifestano nell’umanità odierna.

 

Si prova un profondo dolore nel vedere come al giorno d’oggi un così grande numero di persone dorma di fronte a queste esigenze sociali della vita, come molti se ne appassionino solo in un modo erroneamente agitatorio. Si cominciano anche a trovare accenni al fatto che tutti i programmi esteriori non serviranno a niente, se prima non avrà luogo una trasformazione del modo di pensare, un radicale cambiamento dello spirito.

Ma quanto è ancora esteriore l’anelito a un nuovo spirito! Possiamo dire che sovente oggigiorno questo desiderio del nuovo spirito viene sentito in modo vago e confuso anche da persone strane, che di certo non hanno in mente quello che dev’essere rappresentato dall’edificio di Dornach. E comunque viene espresso il desiderio di uno spirito nuovo, come emerge dal seguente esempio.

 

Prossimamente, alle numerose riflessioni sulla catastrofe della guerra appena trascorsa si aggiungeranno anche quelle dello statista austriaco Czernin, che promettono di essere estremamente interessanti, poiché – è difficile esprimere questa caratteristica senza essere fraintesi – Czernin era di un bel po’ meno modesto degli altri che finora hanno “esternato” le loro considerazioni sulla guerra, tanto per esprimermi con cautela.

 

Ma in questo libro di Czernin si può forse leggere quanto segue: «Versailles non è la fine della guerra, ne è solo una fase. La guerra continua, seppure in forma diversa. Credo che le generazioni future non chiameranno guerra mondiale il grande dramma che da cinque anni sta dominando il mondo, ma gli daranno il nome di rivoluzione mondiale, e sapranno che questa rivoluzione mondiale ha solo avuto inizio con la guerra mondiale.

Né Versailles né St. Germain daranno origine a qualcosa di duraturo. Questa pace contiene il germe disgregante della morte. I crampi da cui l’Europa si sente scossa non accennano ancora a diminuire, proprio come dopo un forte terremoto il sottosuolo continua a brontolare. Qui e là la Terra continuerà a spalancarsi e a lanciare fuoco contro il cielo, nei paesi continueranno a imperversare, devastandoli, avvenimenti di carattere e violenza elementari finché tutto ciò che ricorda la follia di questa guerra e le paci francesi non sarà stato spazzato via.

Lentamente e con sofferenze indicibili nascerà un nuovo mondo. Le generazioni future ricorderanno la nostra epoca come un lungo incubo, ma anche alla notte più buia segue sempre il giorno. Intere generazioni sono finite nella tomba, uccise, morte di fame, stroncate dalle malattie. A milioni sono morti nel tentativo di annientare e distruggere, con l’odio e l’assassinio nel cuore.

Ma altre generazioni rinascono, e con loro uno spirito nuovo. Ricostruiranno ciò che è stato distrutto dalla guerra e dalla rivoluzione. Dopo ogni inverno torna la primavera. Anche questa è una legge eterna nel ciclo della vita: alla morte segue la risurrezione.

Beati quelli che saranno chiamati a contribuire alla costruzione del nuovo mondo come soldati del lavoro.»