L’importanza storica del modo di pensare scientifico considerato come sintomo.

O.O. 185 – Lo studio dei sintomi storici – 25.10.1918


 

Sommario: L’importanza storica del modo di pensare scientifico considerato come sintomo.

Osservazione della natura ed esperimento. Fatti storici e realtà spirituali. Fenomeni nella rivoluzione russa. Anima cosciente e concezione del mondo. Nascita e morte. Il male nel quinto e nel sesto periodo di civiltà.

 

Prima di passare ad altro, devo ancora parlare di alcuni concetti generali che risultano da quanto è stato detto a proposito della moderna evoluzione della storia umana. Abbiamo cioè cercato di considerarla da un punto di vista sintomatologico, vale a dire abbiamo compiuto con decisione il tentativo di non considerare i fatti, generalmente chiamati storici, come la cosa essenziale della realtà storica, bensì di esaminarli come la proiezione della vera realtà che effettivamente si nasconde dietro di essi. In tal modo, questa vera realtà, per lo meno nel campo della storia dell’umanità, è estratta da quanto si può percepire soltanto esteriormente nel mondo dei sensi. In quest’ultimo, infatti, possono esser percepiti esteriormente i cosiddetti fatti storici. Se non li si considera come la vera realtà, ma in essi, quali sintomi, si cercano le manifestazioni della realtà storica che si nasconde dietro ad essi, si giunge allora del tutto naturalmente a qualcosa di soprasensibile.

 

Forse, proprio nello studio della storia, non è così facile parlare del fattore soprasensibile nel suo vero carattere, perché molti, quando trovano un qualsiasi pensiero o una qualsiasi idea nella storia, o anche se si limitano a prender nota di avvenimenti storici, credono di aver già raggiunto qualche cosa di soprasensibile. Deve esserci invece molto chiaro che non si può assolutamente considerare appartenente al mondo soprasensibile quanto incontriamo nel mondo dei sensi, sia a mezzo dei sensi medesimi, sia a mezzo dell’intelletto, sia infine a mezzo del sentimento. Di conseguenza, tutto quanto ci viene correntemente raccontato come storia va considerato come facente parte del mondo sensibile. Naturalmente, quando si studia la sintomatologia storica, i sintomi non vanno considerati tutti alla medesima stregua, ma dall’esame dei fatti si dovrà riconoscere se un sintomo è di speciale importanza per farci penetrare nella realtà che sta dietro gli avvenimenti; altri sintomi invece potranno essere del tutto privi d’importanza, al fine di guidarci verso la vera realtà soprasensibile.

 

Dopo aver passato in rassegna un certo numero di sintomi più o meno importanti, scelti dopo l’ingresso dell’umanità nell’epoca dell’anima cosciente, desidererei ora descrivere alcuni dei fatti soprasensibili che stanno dietro ai sensibili. Qualcuno di questi fatti è già stato esaminato, perché naturalmente uno dei tratti essenziali, attivi nel mondo sopra- sensibile, è appunto l’entrata dell’umanità nel periodo di civiltà dell’anima cosciente, vale a dire l’acquisizione da parte dell’umanità di organi adatti allo sviluppo dell’anima cosciente stessa. Questo è essenziale, ma abbiamo già riconosciuto che, a completamento di questa elaborazione interiore dell’anima cosciente, è pure necessario qualche cosa d’altro, vale a dire che si formi la disposizione ad aprirsi verso le manifestazioni del mondo soprasensibile e spirituale. Questo atteggiamento deve compenetrare l’umanità, il sentimento cioè che essa non potrà progredire senza muovere incontro a questo nuovo modo di manifestazione da parte del mondo soprasensibile.

 

Guardiamo per ora a questi due aspetti opposti dell’evoluzione umana. Fino ad un certo grado essi sono già affiorati nel corso dei secoli dal 1413 in poi, da quando cioè l’umanità è entrata nell’epoca dell’anima cosciente, ma si svilupperanno ulteriormente come due poderosi impulsi, assumeranno in tempi diversi, e sino al terzo millennio, i più diversi aspetti, e contribuiranno a formare i più svariati destini umani. Tutto ciò apparirà a poco a poco alle singole anime umane e, proprio in relazione a questi due impulsi, potremo apprendere quante cose essenziali sono avvenute dal secolo XV ad ora. Già oggi si è in grado di farle notare, ma nel secolo XVIII, e anche all’inizio del XIX, non sarebbe stato possibile far risultare dagli avvenimenti esterni l’attività dei due impulsi citati; essi infatti non erano ancora stati attivi abbastanza a lungo per mostrare la loro efficacia. Oggi invece lo sono stati a sufficienza per apparire anche nelle manifestazioni esteriori.

 

Vogliamo ora accennare ad un fatto essenziale e che già oggi appare significativo. Mentre avvenimenti del passato rivelavano quello di cui ora parlo soltanto a uomini più o meno iniziati, la rivoluzione russa, invece, questo movimento estremamente interessante, nella sua ultima fase e particolarmente dall’ottobre 1917 fino alla cosiddetta pace di Brest- Litovsk, per chi vuole apprendere in modo veramente serio dai sintomi storici – perché anche questo sviluppo è ovviamente soltanto un sintomo storico — la rivoluzione russa, si diceva, ha una gigantesca importanza. Questo processo inoltre è chiaramente visibile, perché si sviluppa nel corso di pochi mesi. Tutto quanto è avvenuto durante la rivoluzione russa proviene dai profondi impulsi dell’evoluzione moderna, dei quali abbiamo parlato sino ad ora; si può anche dire che si tratta di idee nuove, perché può trattarsi soltanto di idee nuove là dove si parla di vera evoluzione dell’umanità. Come abbiamo visto e come avremo ancora occasione di vedere, tutto il resto è sotto l’influenza di sintomi di morte. Si tratta cioè di realizzare delle idee nuove, ed esse debbono fluire a poco a poco nella gran massa contadina dell’Europa orientale; concetto, questo, che può essere ricavato anche da quanto ho esposto su questo tema nel corso degli ultimi decenni. Certamente si tratta di popolazioni animicamente passive, ma d’altra parte capaci di assorbire le cose più moderne,

 

proprio per la semplice ragione che, come ho spesso detto, in queste popolazioni si trova il germe per l’evoluzione del sé spirituale. Mentre le altre popolazioni della terra portano essenzialmente in loro l’impulso per l’evoluzione dell’anima cosciente, la gran massa della popolazione russa, con in più qualche altra appendice, porta in sé il germe per lo sviluppo del sé spirituale durante il sesto periodo postatlantico, il che determina a sua volta particolari condizioni. Ma ciò non ha molta importanza per il problema che vogliamo ora esaminare.

 

Idee moderne, più o meno giuste, più o meno sbagliate, o anche del tutto sbagliate, ma pur sempre idee moderne, idee nuove, per divenire patrimonio comune della gran massa della popolazione, possono derivare soltanto da chi, nella sua vita, ha occasione di accogliere delle idee; cioè dagli appartenenti alle classi dirigenti.

 

Dopo la caduta dello Zar, in un primo tempo, affiorò una classe sociale sostanzialmente sterile, la grande borghesia; in occidente essa è pure indicata col nome di industria pesante, una classe totalmente sterile. Il suo dominio non poteva essere che un episodio. Era del tutto naturale, che tale restasse, né in sostanza varrebbe la pena di parlarne, perché l’apporto di questa classe sociale è naturalmente nullo per quanto riguarda le idee, né essa può produrne, beninteso in quanto classe; trattando questi argomenti non pado mai delle singole personalità umane, dei singoli individui.

 

Verso sinistra si trovavano altre persone provenienti dalla borghesia, più o meno frammiste con operai, rappresentanti dei cosiddetti socialrivoluzionari, ai quali si unirono a poco a poco anche i menscevichi. In sostanza, per la Russia, nel corso successivo della rivoluzione, essi, almeno per il loro numero, avrebbero potuto facilmente avere una funzione di guida. È noto che così invece non fu, e che al potere giunsero gli elementi più radicali di sinistra. Quando questi ultimi arrivarono al potere, i socialrivoluzionari, i menscevichi, e tutti i partiti similari in occidente, erano naturalmente convinti che quella fase avrebbe potuto durare al massimo otto giorni, dopo di che tutto sarebbe crollato. E pure noto che quella fase dura ora da ben più di otto giorni, e si può esser sicuri che certi profeti sono spesso cattivi profeti, soprattutto se vogliono trarre le loro profezie da vecchie concezioni del mondo, provenienti dalle vedute di certe classi medie. Quale è invece la sostanza del problema? Esprimendomi con terminologia fisica direi che il problema della rivoluzione russa di ottobre, e dei mesi successivi fino a questo momento, non è un problema di pressione, ma un problema di aspirazione, sempre parlando dal punto di vista della fisica. È importante rilevare da certi problemi storici, che non si tratta di una questione di pressione, bensì di aspirazione. Che s’intende per questione di aspirazione?

 

È noto che applicando una pompa all’imboccatura di un recipiente e aspirandone l’aria, si crea uno spazio vuoto di aria; se si riapre poi l’orifizio, l’aria vi entra sibilando, non per sua propria volontà, ma perché si è creato un vuoto; l’aria cioè entra, accorre dove si forma uno spazio vuoto.

 

Qualche cosa di simile è avvenuto ai socialrivoluzionari, ai menscevichi, che erano a mezza strada fra i contadini e i bolscevichi, o radicali dell’estrema sinistra. È dunque accaduto che i menscevichi socialrivoluzionari, pur essendo in maggioranza assoluta, erano anche del tutto privi di idee, non avevano nulla da proporre che potesse esser fatto per t’avvenire dell’umanità. Avevano magari le più diverse aspirazioni etiche e sentimentali, ma come ho spesso detto, con cose del genere non si trovano i veri impulsi, capaci di far progredire l’umanità.

 

Si creò così uno spazio vuoto, o meglio uno spazio privo d’idee, ed in esso naturalmente irruppero gli elementi più radicali di sinistra. Non è da credere che per loro natura gli elementi più radicali del socialismo russo, che poco avevano a che fare con la Russia stessa, fossero destinati a prendervi specialmente piede. Non vi sarebbero anzi mai arrivati, se i socialrivoluzionari, e gli altri più diversi gruppi ad essi legati, avessero avuto qualche idea in base alla quale assumere una funzione di guida.

 

Ci si può chiedere quali idee avrebbero dovuto avere, e oggi una risposta utile può darla soltanto chi non si spaventa e non arretra quando si asserisce che per questi ceti non possono esservi altre idee capaci di sviluppo, se non quelle provenienti dai risultati della scienza dello spirito. Non può esservi altro aiuto.

 

Certo oggi la gente è diventata tutta più o meno radicale, e almeno molti tendono a rinnegare la propria discendenza dalla vecchia borghesia, anche se in realtà da essa provengono, ma l’essenziale è che sino ad ora, nell’epoca dell’anima cosciente, non è stato assolutamente possibile far avere delle idee qualsiasi a quel ceto della popolazione che ha invece creato lo spazio vuoto, o meglio privo di idee.

 

Naturalmente questo non vale soltanto per la Russia, ed anzi chi vuole studiare il fenomeno, vedrà con la massima chiarezza come nella rivoluzione russa, specialmente nella sua ultima fase, quelli che hanno contribuito a creare lo spazio vuoto, giorno per giorno, vengano messi sempre maggiormente da parte, mentre il loro posto viene occupato dagli altri. Lo stesso fenomeno è oggi senz’altro diffuso in tutto il mondo. Caratteristico è che gli strati della popolazione, oggi politicamente a mezza strada fra destra e sinistra, da molto tempo si sono tirati indietro scansandosi quando si trattava di tendere in un modo qualsiasi ad una concezione del mondo capace di portare dei frutti; e nell’epoca di sviluppo dell’anima cosciente tale non può essere se non una concezione capace di dare nuovi impulsi per la convivenza fra gli uomini.

 

Questi impulsi vissero fin da principio nel nostro movimento scientifico-spirituale; esso non fu mai un movimento settario qualsiasi, ma tese realmente a tener conto degli impulsi del nostro tempo, di tutto quanto è importante ed essenziale all’umanità odierna, in tutte le direzioni. A questo sempre più si tende, anche se oggi è difficilissimo farlo comprendere agli uomini, per la semplice ragione che, nella maggior parte di essi, certamente non in tutti, ma nella maggior parte, riaffiora sempre l’opinione che essi anche in ciò che chiamano antroposofia non vogliono trovare niente altro che una specie di più elevata predica per i pomeriggi domenicali, buona soltanto per l’edificazione privata e personale del singolo, ma da tener ben lontano dai più seri avvenimenti che si svolgono nei parlamenti o in altre sedi, magari anche ai tavoli dei caffè. Occorre invece convincersi che realmente tutta la vita deve essere compenetrata da idee che si possono prender soltanto dalla scienza dello spirito.

 

Di fronte alla mancanza d’interesse di questi ceti della popolazione, stava ed ancor oggi sta il vivo interesse del proletariato, anche se quest’ultimo, proprio per l’evoluzione storica dell’epoca moderna, non ha la possibilità di elevarsi al di sopra del mondo che cade sotto l’osservazione dei sensi. Il proletariato conosce soltanto impulsi afferrabili dai sensi, e soltanto tali impulsi vuole immettere nell’evoluzione della umanità. Ora però, mentre la concezione del mondo dei ceti borghesi, se così possiamo chiamarli, spesso non è altro che frase vuota perché non proviene dall’immediatezza della vita odierna, ma risulta piuttosto tramandata da epoche precedenti, mentre dunque la borghesia vive nelle frasi fatte, il proletariato vive entro realtà di natura sensibile, perché si trova veramente immerso in un nuovo e reale impulso economico.

 

In questo fatto abbiamo un’importante pietra miliare dell’evoluzione moderna. La vita dell’umanità si è radicalmente trasformata nel corso degli ultimi secoli, da quando cioè, in questa nostra epoca dell’anima cosciente, sono state introdotte le macchine. Le condizioni di vita dei ceti borghesi e degli altri ceti superiori sono state poco modificate con la introduzione delle macchine, anche perché i nuovi grandi impulsi dell’epoca recente furono assorbiti da questi strati sociali già prima del periodo delle macchine — per esempio l’uso del caffè per le chiacchiere da caffè, era già noto prima dell’introduzione delle macchine! Le innovazioni invece apportate dalla borghesia alle consuetudini bancarie o simili sono molto poco consone ai nuovi impulsi; non sono in fondo che la complicazione di usi antichissimi, sempre esistiti nella vita commerciale.

 

Per contro, la casta o classe proletaria è stata realmente afferrata anche esteriormente nella vita quotidiana da un nuovo impulso; in un certo senso il proletariato venne a crearsi esclusivamente per impulso dell’epoca moderna. Dall’invenzione dei filatoi o dei telai meccanici, avvenuta nel secolo XVIII, tutta l’economia mondiale venne trasformata, e il proletariato moderno è sorto soltanto grazie all’introduzione di queste macchine; è cioè una creatura dell’epoca moderna, e questo è il fatto essenziale. Il borghese non è una creatura dell’evo moderno, mentre il proletario lo è integralmente. Perché infatti la figura prima esistente e paragonabile al moderno proletario non è affatto un proletario, ma un membro del vecchio ordinamento patriarcale, a sua volta fondamentalmente diverso dall’ordinamento sociale portato dalle macchine. In tal modo peraltro il proletario venne immesso in un sistema puramente meccanico, del tutto staccato dalla natura vivente. Egli fu inserito in azioni del tutto legate ai sensi fisici; ma poiché aspirava ad una sua concezione del mondo, cercò di costruirsi un mondo uguale a quello nel quale viveva con anima e corpo. Ed è anche naturale, perché gli uomini vedono nel mondo quanto è intorno a loro. Come ho avuto occasione di dire poco tempo fa, il teologo e il militare appartengono ad una medesima categoria di persone e vedono nel mondo una continua lotta, lotta di potenze buone e di potenze cattive, senza ora entrare nel merito delle cose. Il giurista, il funzionario e anche il metafisico a loro volta fanno parte di una stessa categoria, e vedono nel mondo la realizzazione di idee astratte. Non c’è quindi da meravigliarsi se il moderno proletario vede il mondo come una grande macchina nella quale si sente inserito; desidera quindi formare il nuovo ordinamento sociale simile a quella grande macchina.

 

Esisteva ed esiste comunque ancor oggi una grandissima differenza fra il proletario moderno e il moderno borghese — né occorre parlare di altri ceti in via di sparizione. La enorme differenza consiste appunto nel fatto che il borghese moderno non ha alcun interesse per le profonde questioni relative ad una concezione del mondo, mentre il proletario è interessatissimo a questi problemi. Certo il borghese discute in numerose riunioni, ma si limita spesso alle parole. Il proletario invece discute intorno ai problemi vitali nei quali è immerso, intorno a quanto la civiltà delle macchine produce quotidianamente. Appena si passa da una riunione borghese ad una proletaria si ha subito l’impressione di una netta differenza. In quella borghese si discute sul come sarebbe bello se gli uomini vivessero in pace fra di loro, se tutti fossero pacifisti e così via. Quasi sempre si tratta però soltanto di una dialettica di parole, sia pure soffusa di una certa sentimentalità, mai comunque pervasa da un vero desiderio di penetrare nei segreti del mondo per realizzare le proprie aspirazioni.

 

Se si entra invece in una riunione di proletari, si nota che la gente parla di cose reali, anche se sono le realtà del piano fisico, conosce la storia, vale a dire la propria storia, e può raccontarla a menadito, dall’invenzione dei telai e dei filatoi meccanici in poi. Queste cose vengono inculcate a forza in tutti: come il fenomeno ha avuto inizio, come si è sviluppato e come il proletariato è giunto al punto attuale. Ognuno sa alla perfezione queste cose, purché non sia ottuso e prenda parte al movimento; e si deve anche rilevare che in quella classe della popolazione gli ottusi non sono molti.

 

Si potrebbero invece enumerare molti caratteristici momenti di ottusità, da parte delle odierne classi medie, di fronte a problemi relativi alle concezioni del mondo. È sufficiente ricordare il comportamento della gente quando avviene che un poeta porti sulla scena, o in altre composizioni, delle figure del mondo soprasensibile (chi non è poeta tralasci ogni accenno del genere per non essere considerato un visionario o qualche cosa di simile): se si tratta dunque di un poeta, la gente lascia anche fare, perché nessuno è obbligato a credere, perché ciò non riguarda la realtà e perché ognuno può dirsi che si tratta soltanto di poesia. A questo si è arrivati durante l’epoca dell’anima cosciente!

 

Nel corso della storia è quindi avvenuto che in alcune zone si è formata una classe di persone che, se non cerca di rendersene conto, corre il pericolo di vivere sempre più completamente di sole frasi fatte. Il fenomeno si può osservare anche nel tempo, ed a questo proposito ho ripetutamente fatto rilevare alcuni momenti notevoli e li ho esaminati dai più diversi punti di vista.

 

L’epoca dell’anima cosciente, cominciata circa nel 1413, era trascorsa per circa un quinto verso il 1840 o 1845. Questo quinto decennio del secolo scorso fu un periodo notevole. Secondo le potenze che danno impulsi per l’evoluzione del mondo, era prevista per quel momento una specie d’importante crisi. Esteriormente la crisi si manifestò soprattutto per il fatto che proprio in quegli anni le cosiddette idee liberali maggiormente fiorirono. In quel decennio sembrò per un momento che il mondo politico dell’umanità civile dovesse accogliere gli impulsi dell’anima cosciente nella forma di nuove concezioni politiche, ed effettivamente due cose accaddero in quegli anni. Il proletariato non era ancora del tutto svincolato dai suoi precedenti storici, non aveva ancora piena coscienza di sé; soltanto nel periodo 1860-70 esso entrò coscientemente nell’evoluzione storica; quanto prima esisteva non era ancora coscienza proletaria, nel senso moderno della parola. La questione sociale naturalmente esisteva già prima, ma non per questo gli esponenti delle classi medie ne avevano notato l’esistenza. Così per esempio un ministro austriaco molto famoso ebbe occasione di dire in quegli anni che la questione sociale cessava di esistere a Bodenbach, e, per chi non lo sapesse, Bodenbach era alla frontiera fra la Sassonia e la Boemia, allora austriaca. Tale era un famoso detto di un ministro borghese.

 

La coscienza proletaria dunque non esisteva ancora fra il 1840 e il 1850, e la borghesia, il ceto medio del quale abbiamo parlato, era allora in sostanza la guida del mondo politico. Un tratto caratteristico delle idee che allora avrebbero potuto realizzarsi in politica era la loro completa e assoluta astrattezza. E a tutti noto, almeno fino ad un certo grado, che cosa siano le idee liberali, e tali restano anche se vengono chiamate rivoluzionarie; in quel decennio esse penetrarono nell’umanità e, per così dire, scoppiarono nel 1848. Tutto ciò è noto, ed è pure risaputo che portatrice di queste idee fu la borghesia. Tutte le idee, però, che allora vivevano e che tentarono di penetrare nell’ evoluzione storica dell’umanità et ano idee del tutto astratte, a volte puro involucro senza contenuto. Ma questo non avrebbe importanza, perché nell’epoca dell’anima cosciente si dovette progredire mediante astrazioni e si dovettero formulare le idee-guida dell’umanità appunto nella loro forma astratta.

 

Dall’esperienza nostra e da quella degli altri noi sappiamo che l’uomo non apprende a leggere e a scrivere in un sol giorno. Anche l’umanità ha quindi bisogno di un certo tempo per portare ad evoluzione una qualsiasi cosa. Ritorneremo su questo concetto con maggior precisione, ma per ora sia sufficiente rilevare che allora l’umanità aveva tempo sin verso il 1880. Partendo dal 1845 e aggiungendo 33 anni si arriva al 1878, e questo era all’incirca l’anno fino al quale fu lasciato tempo all’umanità per penetrare la realtà delle idee sbocciate nel decennio 1840-50.

 

Nell’evoluzione storica moderna è straordinariamente importante tener presente i tre o quattro decenni ricordati, perché proprio su di essi l’uomo odierno deve raggiungere la massima chiarezza, deve cioè divenire cosciente del fatto che Fra il 1840 e il 1850 cominciarono a fluire nell’umanità in Forma astratta le cosiddette idee liberali, e che all’umanità, per afferrarle e trasformarle in realtà, fu concesso tempo fin verso il 1880.

 

La borghesia era la portatrice di queste idee, ma essa mancò l’occasione di realizzarle. Qualcosa di molto tragico sovrasta l’evoluzione del secolo XIX. Nell’ascoltare alcuni dei massimi esponenti del mondo civile negli anni intorno al 1840-50 — ve n’erano in tutti i paesi — in genere provenienti dalla borghesia, nell’ascoltare quanto si sarebbe dovuto fare all’umanità in tutti i campi, appunto intorno alla metà del secolo, si ha come l’impressione di un rinnovamento, quasi una primavera, che si dovesse schiudere ai popoli. Disgraziatamente, proprio per le caratteristiche del ceto medio che abbiamo visto insieme, l’occasione non fu afferrata. Già verso il 1880 si avvertiva che la borghesia non aveva capito le idee liberali e che in quei decenni, come classe, aveva sognato. Si possono osservare già ora le conseguenze di questo fenomeno. Gli eventi si svolgono sempre in una specie di moto ondoso, alternativamente con direzione verso l’alto o verso il basso, e si potrà avere un proficuo avvenire nell’evoluzione emana soltanto guardando senza preconcetti al recente diffondere le tenebre su quelle idee medesime; è possibile studiare tutto ciò con la massima precisione, soltanto che lo si voglia realmente. Gli uomini della metà del secolo XIX avevano pensato un’organizzazione politica del tutto diversa da quella che in realtà si ebbe poi in tutto il mondo civile alla fine del secolo. Non esiste maggior antitesi fra le idee, magari astratte, ma pur luminose nella loro astrattezza, degli anni 1840-48 e le altre idee che, nel secolo XIX e in tutto il mondo civile, sono state chiamate « alti ideali umani », tali considerati fino ai giorni nostri e alla fine coinvolti nella catastrofe.

 

Un completamento temporale alle considerazioni spaziali precedenti è questo: che cioè dal quinto all’ottavo decennio del secolo scorso, in uno dei periodi più produttivi e fruttuosi per la borghesia, si ebbe una specie di sonno generale. Dopo, in un certo senso, era già troppo tardi, perché infatti dopo non si poterono più raggiungere per le stesse vie i risultati che allora sarebbero stati possibili; dopo, è possibile ottenere dei risultati soltanto mediante un completo risveglio nelle esperienze della scienza dello spirito. Gli eventi della storia moderna stanno in questi rapporti fra di loro.

 

Nell’epoca considerata, dal 1840 al 1880 circa, anche se astratte, le idee erano articolate in modo da tendere a valorizzare attivamente ogni singolo accanto ai suoi simili. Se per ipotesi fosse stato realizzato il contenuto di quelle idee, si sarebbe potuto vedere l’inizio, sia pure soltanto un inizio, di una nuova tolleranza, si sarebbe dovuto permettere l’estrinsecazione di ogni uomo accanto ai suoi simili, vale a dire appunto quanto oggi specialmente manca per quel che riguarda idee e sentimenti. Proprio nella vita sociale l’uomo deve prendere dal mondo spirituale idee che agiscano molto più profondamente e intensamente. Desidero ora esporre tali idee da un punto di vista esclusivamente storico, proiettato peraltro nel futuro, per poi ulteriormente approfondirle.

 

Considerando l’umanità nel suo complesso e quindi la convivenza sociale, si può dire che la sola vera salvezza per l’avvenire è rappresentata da un sincero interesse di ognuno di noi per i suoi simili. Una particolarità dell’epoca dell’anima cosciente è la differenziazione di ogni singolo dai suoi simili. Che ogni uomo si differenzi anche interiormente dal suo simile è condizione per la formazione della singola individualità, della singola personalità. Ma una tale differenziazione deve avere il suo contrappeso, ed esso consiste appunto nel coltivare in sé un vivo interesse per i propri simili.

 

Nell’epoca dell’anima cosciente, l’aggiunta di un tale vivo interesse da uomo a uomo, come qui è inteso, deve essere sempre più cosciente, deve sempre più venir portata a coscienza. Fra gli impulsi più elementari, indicati nel mio libro L’iniziazione, si trova quello che, applicato nella vita sociale, mira appunto ad aumentare l’interesse per il nostro prossimo: dappertutto vi è indicata la cosiddetta positività, lo sviluppo cioè di un atteggiamento positivo. La maggior parte degli uomini d’oggi dovrà radicalmente modificare il proprio cammino animico se vorrà sviluppare tale positività, perché la maggior parte di essi, oggi ancora, manca persino di un qualsiasi concetto relativo appunto alla positività. Ognuno si pone di fronte ai propri simili in modo che, se nota qualche cosa che non gli aggrada – anche senza osservare profondamente, ma da una semplice osservazione superficiale – comincia a formulare giudizi, senza sviluppare il minimo interesse, e si limita a giudicare. Potrà forse sembrare paradossale, ma è realmente così; per la futura evoluzione dell’umanità è proprio antisociale al massimo grado il coltivare in sé la caratteristica di abbandonarsi ad un’immediata simpatia o antipatia di fronte al prossimo. Per la futura evoluzione, invece, la migliore e più notevole qualità sociale consisterà appunto nello sviluppare un interesse obiettivo e scientifico per gli errori degli altri, nel far prevalere l’interesse per gli errori altrui, al di sopra dei tentativi di critica. Infatti, nei tre prossimi periodi di civiltà, nel quinto, nel sesto e nel settimo, ogni uomo dovrà sempre più dedicarsi con amore agli errori degli altri. Nell’epoca greca stava scritto sul frontone del celebre tempio di Apollo la massima: « Conosci te stesso ». Allora l’autoconoscenza, nel vero significato della parola, era ancora da raggiungere; e d’ora innanzi essa sarà sempre meno raggiungibile, se ci si limiterà ad immergersi nella propria anima. Oggi ormai si può apprendere ben poco della propria natura immergendosi in se stessi. In sostanza gli uomini conoscono la loro natura così poco perché s’immergono soltanto in sé medesimi e perché considerano invece troppo poco gli altri, o più precisamente ciò che essi chiamano gli errori degli altri.

 

Un fatto puramente scientifico ci può render attenti e provarci che realmente le cose stanno in questo modo. Ho forse già detto, ma è davvero importante notarlo, che oggi lo scienziato segue due strade se vuol arrivare ai segreti della natura umana o animale o vegetale. La prima è l’esperimento, come quello che si esegue per la natura inorganica, soltanto trasportato nella natura organica. Ho già detto che mediante l’esperimento ci si allontana dalla natura vivente. Chi può seguire, con un vero senso per la conoscenza, i risultati apportati al mondo dall’esperimento, sa che esso dà soltanto la morte. L’esperimento dà soltanto l’aspetto morto della cosa, anche se nella scienza moderna l’arte dello sperimentare si è molto affinata, come avviene per esempio in Oskar Hertwig. Con l’esperimento non è possibile spiegare come un qualsiasi essere vivente venga concepito e nasca, ma con quel mezzo si fa luce solamente sopra la morte; con i mezzi di laboratorio non si potranno mai conoscere i segreti della vita. Questa è una delle due strade.

 

Oggi esiste però un altro metodo, anche se vi si lavora con mezzi insufficienti; è un metodo ancora agli inizi, ma adatto a portare un notevole contributo alla conoscenza della natura umana; si tratta dello studio dei casi patologici. L’osservazione di un uomo non del tutto normale – o in un senso o in un altro, come si dice correntemente – sveglia in noi il sentimento che ci sarebbe possibile immedesimarci in lui, che in lui ci si potrebbe approfondire per conoscere, che si progredisce approfondendosi in lui. Con gli esperimenti si viene allontanati dalla realtà, mentre osservando il fenomeno patologico, chiamato così bene da Goethe «malformazione», si viene portati nella realtà. Occorre quindi sviluppare un senso adatto per questo genere di osservazioni, e non sentirsi respingere da esse; occorre veramente dirsi che talvolta le cose tragiche, pur senza augurarsele, possono chiarire moltissimo i più profondi misteri della vita. Quale significato abbia il cervello per la vita dell’anima si potrà sapere soltanto imparando a conoscere sempre meglio i cervelli ammalati. Questa è la vera scuola dove si apprende l’interesse per i propri simili. Direi quasi che il mondo si serve dei mezzi rudimentali della malattia per attirare il nostro interesse. Certo che soltanto l’interesse per i nostri simili può far progredire socialmente l’umanità nel prossimo avvenire; essa invece socialmente regredisce se ci si abbandona al contrario della positività, se si continua ad essere superficialmente respinti dai propri simili o addirittura ad essere entusiasmati da essi. Tutte queste cose sono in relazione con l’insieme dei segreti dell’epoca dell’anima cosciente.

 

In ogni periodo di civiltà si sviluppa storicamente nella umanità qualcosa di ben determinato che ha una notevole funzione nella vera evoluzione storica. Mi permetto di ricordare le parole che ho dette alla fine della precedente conferenza, vale a dire che gli uomini si devono decidere a vedere sempre più la nascita e la morte nella realtà storica esterna: la nascita attraverso la fecondazione da parte di una nuova rivelazione spirituale, la morte attraverso tutto quanto si produce; ripeto : la morte attraverso tutto quanto si fa, perché nell’epoca dell’anima cosciente è essenziale rilevare che tutto quanto si realizza sul piano fisico lo si deve fare soltanto con la coscienza che tutto è perituro. La morte è connaturata a quanto s’intraprende. Proprio le più importanti istituzioni dell’epoca moderna, realizzate sul piano fisico, sono apportatrici di morte, e l’errore non consiste nell’averle create con questo loro carattere, ma nel fatto che non si vuol portare a coscienza che esse sono apportatrici di morte.

 

Ancor oggi, dopo trascorso un quinto dell’intero periodo di civiltà dell’anima cosciente, gli uomini dicono che il singolo nasce e muore, ma poiché ciò apparirebbe privo di senso, evitano di chiedersi: « A che scopo l’uomo dovrebbe nascere, dato che deve morire? Non ha senso nascere quando si sa di, dover morire ». Ora gli uomini non fanno questi ragionamenti perché nell’ambito della natura, sotto la sua costrizione ammaestrante, fanno valere nascita e morte. Nel settore invece della vita storica, gli uomini non sono ancora abbastanza progrediti da far valere anche qui nascita e morte; essi pensano piuttosto che tutto quanto nasce in questo settore debba essere buono in modo assoluto, e tale da durare per tutta l’eternità. Nella nostra epoca deve invece formarsi il senso che anche negli avvenimenti storici esterni valgono nascita e morte, e che quando si crea qualcosa, sia esso un giocattolo da bambini o un impero mondiale, lo si deve fare con la coscienza che anch’esso un giorno dovrà morire. Se non lo si fa nascere con questa coscienza, si agisce senza criterio, proprio come avverrebbe se qualcuno generasse un suo rampollo con l’idea di aver dato vita a qualcosa che aspiri ad avere un’immortalità terrena.

 

Nell’epoca dell’anima cosciente questi concetti devono entrare nell’anima umana. In quella greco-latina non era ancora necessario, perché allora, nella vita storica, la nascita e la morte s’imponevano da sé, allora le cose sorgevano e sparivano da sole. Nella nostra epoca invece è l’uomo stesso che deve provvedere ad inserire nascita e morte nella sua vita sociale. Appunto nascita e morte devono venir intessute nella vita sociale. Nell’epoca dell’anima cosciente l’uomo può acquisire la sensibilità adatta per inserire nascita e morte nell’organismo sociale, e può farlo per la ragione che, durante l’epoca greco-latina, in ben determinate condizioni, ne è stato gettato il germe nell’entità umana.

 

Il momento più importante per lo sviluppo individuale di un uomo, durante il periodo centrale dell’epoca greco- latina, era circa all’inizio dei trent’anni. Era il momento nel quale s’incontravano due forze attive in ogni uomo. L’uomo nasce e muore, ma le forze attive per la nascita agiscono per tutto il periodo fra la nascita e la morte, anche se risultano più appariscenti al momento della nascita. D’altronde la nascita è soltanto uno degli importanti sintomi mediante i quali le forze relative si manifestano nel corso della vita, ma ne esistono anche altri, sia pure meno importanti. Allo stesso modo le forze della morte sono attive sin dal momento della nascita, anche se si manifestano appieno in punto di morte. Si può dire che la polarità delle forze di nascita e di morte è sempre presente in una specie di equilibrio.

 

Nell’epoca greco-latina quelle due forze erano nel massimo equilibrio circa sui trent’anni, in modo che sino a quel momento l’uomo sviluppava l’anima affettiva e dopo, per forza propria, l’intelletto. Prima, infatti, poteva arrivare al raziocinio soltanto perché esso veniva risvegliato con l’insegnamento e con l’educazione. Questa è la ragione per la quale si parla di anima affettiva e razionale per l’epoca greco-latina, appunto perché le due forze s’incontravano nell’uomo intorno ai trent’anni: prima l’anima affettiva, poi quella razionale. Ma ora, nell’epoca dell’anima cosciente, non è così, ora l’equilibrio si rompe prima della metà della vita umana, ora la maggior parte degli uomini che s’incontrano, specialmente se fanno parte del ceto medio, non maturano oltre i 27 anni; in seguito vanno avanti alla meno peggio con quanto hanno appreso. Si può meglio afferrare quanto voglio dire da un fenomeno esteriore. Si pensi soltanto a come oggi siano pochi gli uomini che, dopo i 27 anni, in un campo qualsiasi, si trasformano sostanzialmente e non si limitano invece ad invecchiare fisicamente, a diventar grigi e tremolanti… ma questo nessuno vuol sentirselo dire; l’essenziale è proprio che oggi l’uomo vuol essere del tutto formato a 27 anni. Oggi un uomo, soprattutto se appartiene al cosiddetto ceto intellettuale, quando ha avuto un’istruzione qualsiasi nei suoi primi 27 anni di vita, vuol diventare qualcuno e pretende di usare per il rimanente della sua vita quanto ha appreso. Oggi sarebbe troppo pretendere che una persona media, intelligente, diventi un nuovo Faust, vale a dire che non si limiti a frequentare una facoltà, ma ne passi realmente quattro, una dopo l’altra, fino all’età di cinquant’anni — anche se a questo scopo possano esservi forse mezzi migliori che non frequentare quattro facoltà universitarie; oggi è oltremodo raro trovare qualcuno che continui a studiare e rimanga capace di trasformarsi. Presso i Greci invece il fenomeno era ancora abbastanza frequente, almeno nella parte della popolazione che si può chiamare intellettuale; era più frequente perché, subito dopo i trent’anni, non s’interrompeva il filo della continuità, dato che le forze provenienti dalla nascita erano molto attive. Quindi le forze tendenti alla morte s’incontravano con le altre, creando uno stato di equilibrio a metà della vita. Adesso invece il fenomeno è diverso, ed ora, a 27 anni, la maggior parte dei giovani stima di essere, come si suol dire, un uomo fatto. Verso i quarant’anni invece, soltanto che Io si volesse, ci si potrebbe riannodare alla propria gioventù e imparare ancora! Mi chiedo però quanti oggi realmente lo vogliano, quanti vogliano comprendere che la cosa più necessaria per l’avvenire dell’umanità è il continuo apprendere, il non volersi mai arrestare. Il che appunto non è raggiungibile senza l’interesse da uomo a uomo, prima caratterizzato. Gli uomini devono apprendere a guardare con amore i loro simili e ad interessarsi al modo di essere di ciascuno. E proprio perché l’umanità deve afferrare questo concetto, al giorno d’oggi esiste per contraccolpo così poco interesse per il prossimo.

 

Quanto ho detto ora serve pure a chiarire un fatto importante dello sviluppo interiore animico. In un certo senso il filo che unisce la nascita e la morte viene spezzato nel decennio fra i 26-27 anni e i 37-38; in questo periodo dell’evoluzione umana le forze della nascita e della morte non confluiscono in modo giusto. La giusta configurazione di cui l’uomo abbisogna, e che egli potè avere ancora nell’epoca greco-latina per la confluenza di queste forze, nell’epoca dell’anima cosciente, invece, se la deve sviluppare osservando nascita e morte nella vita storica esteriore. In breve, la nostra osservazione della vita che ci circonda deve farsi tale che noi possiamo guardare il nostro ambiente con coraggio e senza vigliaccheria, per arrivare alla conclusione che in ogni processo vitale si deve coscientemente produrre sia il crescere, sia lo sfiorire. Nessuna organizzazione sociale può mai esser costruita per l’eternità. Edificando socialmente bisogna avere il coraggio di fare sempre qualcosa di nuovo, mai di arrestarsi, perché ogni costruzione invecchia, appassisce e deve morire; per questo occorre sempre edificare a nuovo.

 

Si può anche dire che, nel quarto periodo di civiltà postatlantica, nell’epoca dell’anima razionale, nascita e morte vivessero nell’uomo in un modo caratteristico, così che non era ancora necessario vederle esteriormente. Nell’attuale epoca dell’anima cosciente, invece, esse devono vedersi all’esterno, e di conseguenza l’uomo deve sviluppare nel suo intimo qualcosa d’altro, è veramente molto importante che egli sviluppi dell’altro. Considerando l’uomo schematicamente nel susseguirsi dei periodi di civiltà (vedi disegno), possiamo dire che nel quarto periodo egli scorgeva coscientemente la nascita e la morte quando guardava nel proprio intimo. Ora invece deve vederle esteriormente nella vita storica per ricercarle poi anche nel suo intimo. Per questo è infinitamente importante che nell’epoca dell’anima cosciente l’uomo afferri nascita e morte nella loro realtà, vale a dire alla luce delle ripetute vite terrene, altrimenti non arriverà mai ad acquistare una giusta comprensione per la nascita e per la morte nel loro divenire storico.

 

Ma come, nella comprensione umana, nascita e morte sono andate dall’interno verso l’esterno, così, nel nostro quinto periodo di civiltà, l’uomo dovrà a sua volta sviluppare nel suo intimo qualcosa d’altro, un quid che possa poi passare all’esterno nel sesto periodo di civiltà, quello che inizierà nel quarto millennio. Tale quid è il male. Nella quinta epoca il male deve esser elaborato nell’intimo dell’uomo, per venir quindi proiettato e sperimentato all’esterno nella sesta epoca, come avviene per nascita e morte nella quinta. Per ora, il male deve quindi svilupparsi nell’intimo dell’uomo.

 

 

Si tratta, certo, di una verità scomoda! Si obietterà pure che è ancora accettabile quanto era importante per il quarto periodo di civiltà, vale a dire che l’uomo dovesse interiormente ben conoscere nascita e morte per poter quindi afferrare i due fenomeni da un punto di vista cosmico, come ho esposto per l’immacolata concezione e per la resurrezione, per il mistero del Golgota. Per questo la nascita e la morte del Cristo Gesù stanno di fronte all’umanità della quarta epoca di civiltà postatlantica, appunto perché nascita e morte erano particolarmente importanti nel quarto periodo postatlantico.

 

Ora che il Cristo deve riapparire nell’eterico, ora che, in altra forma, deve esser risperimentato il mistero del Golgota, ora appunto il male acquista un significato analogo a quello che nascita e morte ebbero nel quarto periodo di civiltà. In quell’epoca il Cristo Gesù fece scaturire dalla morte il suo impulso per l’umanità terrena, e si può asserire che, appunto per il fatto della morte, sorse ciò che fluì nell’umanità. Alla stessa guisa, in modo eccezionale e paradossale, l’umanità del quinto periodo di civiltà, partendo dal male, verrà guidata verso il rinnovamento del mistero del Golgota. Sperimentando il male, sarà resa possibile la riapparizione del Cristo, così come egli apparve attraverso la morte nel quarto periodo di civiltà.

 

In diverse occasioni ho già avuto modo di accennare al mistero del male, ma ora, per afferrarlo in questo contesto, sarà opportuno parlare più a fondo dei rapporti fra il mistero del male e il mistero del Golgota. E questo sarà appunto il prossimo evento storico di cui parlerò.