Nel pensare siamo esseri antisociali

O.O. 186 – Esigenze sociali dei tempi nuovi – 06.12.1918


 

Sommario: Nel pensare siamo esseri antisociali. Il progresso sta nel divenire, non nell’accontentarsi di quello che si è. Nel sentire guardiamo secondo simpatie e antipatie e siamo perciò antisociali. Nel volere, attraverso l’amore falsato, siamo antisociali. Carattere pendolare anche dei fenomeni sociali. Socialismo, libertà di pensiero e scienza dello spirito, necessità del nostro tempo.

 

Ultimamente ho messo in rilievo espressamente che, se si torna a considerare la frase allo stesso modo di come l’ho usata allora, sul piano fisico è impossibile una condizione paradisiaca; devono cioè basarsi su illusioni tutte le cosiddette soluzioni del problema sociale, tendenti a realizzare sul piano fisico in modo più o meno cosciente o incosciente una tale condizione paradisiaca che per di più dovrebbe essere duratura. Alla luce di questa indicazione prego di voler accogliere tutte le esposizioni che faccio in relazione agli eventi del presente. Senza dubbio nella realtà presente vi è infatti una determinata esigenza che si potrebbe chiamare l’esigenza tendente ad una configurazione sociale delle condizioni dell’umanità. Si tratta solo di non rendere astratto questo problema, di non prendere questo problema in senso assoluto ma, come ho già detto la volta precedente, di tendere alla comprensione di quanto è necessario proprio per il nostro tempo, attingendo a conoscenze scientifico-spirituali.

 

Quello che in genere oggi sfugge veramente moltissimo, quando si parla del problema sociale o di esigenze sociali, è che il problema sociale non può affatto essere affrontato, conformemente alle esigenze della nostra epoca, senza una conoscenza piuttosto intima dell’essere umano. Si possono ideare tutti i programmi sociali che si vogliono, si possono voler realizzare condizioni sociali più ideali possibili, tutto deve restare infecondo se non tende ad afferrare l’uomo come tale, se non ha per fine la conoscenza intima dell’uomo. Ho fatto presente che l’articolazione sociale di cui ho parlato, la triarticolazione sociale che ho dovuto indicare come un’esigenza del nostro tempo, è propria del tempo attuale perché tiene conto in ogni particolare del riconoscimento dell’uomo quale è ora, nel momento presente del quinto periodo postatlantico. Prego di considerare anche da questo punto di vista tutte le spiegazioni che darò.

 

Anzitutto si tratta del problema che non si istituisce un ordine sociale, richiesto dalle condizioni odierne, senza essere coscienti che l’uomo deve riconoscere se stesso in relazione con l’elemento sociale. Si può invero anche dire che la conoscenza dell’uomo è su per giù la più difficile, ed è anche per questo che negli antichi misteri il « conosci te stesso » è stato posto come meta più alta dello sforzo tendente alla saggezza. Per l’uomo oggi riesce particolarmente difficile intuire tutta, l’attività che gli perviene dal cosmo, ciò che è attivo in lui. L’uomo preferirebbe al massimo grado avere una rappresentazione di sé quanto più semplice possibile perché proprio al presente è diventato particolarmente pigro nel suo pensare. Ma per l’appunto l’uomo non è un essere semplice. Contro questa realtà nulla si può per mezzo dell’arbitrio nelle rappresentazioni… L’uomo anzitutto non è un essere semplice, neppure nei riguardi sociali. Proprio nei riguardi sociali egli è un essere che avrebbe un’immensa voglia di non essere avrebbe un’immensa voglia di essere diverso da come è. Si può dire che in realtà l’uomo si , ara immensamente. Non lo si può affatto negare. L’uomo si ama in modo enorme. Ed è a causa di questo amore per se stesso che l’uomo fa dell’auto-conoscenza una fonte d’illusioni. Così l’uomo non vorrebbe ammettere che in realtà è un essere sociale solo a metà, che per l’altra metà è un essere antisociale.

 

Ammettere seccamente ed energicamente questo fatto, che cioè l’uomo è in pari tempo un essere sociale ed antisociale è un’esigenza fondamentale della conoscenza sociale umana. Non basta dire di voler diventare un essere sociale; non basta dirlo perché, senza essere un essere sociale non si può affatto vivere in maniera conveniente con esseri umani.

Contemporaneamente è insito nella natura umana combattere di continuo contro la socialità, essere continuamente un essere antisociale.

 

Dai punti di vista più diversi noi abbiamo ripetutamente considerato l’uomo secondo la triplicità della sua anima, secondo il pensare o rappresentare, il sentire ed il volere. Possiamo oggi considerare l’uomo anche nel suo aspetto sociale secondo pensare o rappresentare, sentire e volere. Anzitutto bisogna rendersi chiaro conto, in relazione alla rappresentazione, al pensare, che nel rappresentare, nel pensare, è insita una fonte estremamente importante dell’antisocialità dell’uomo. In quanto l’uomo è un essere semplicemente pensante, egli è antisociale. A questo riguardo solo la scienza dello spirito può giungere alla verità in merito alle cose, perché soltanto la scienza dello spirito può dare qualche luce in merito al problema: in quanto uomini, in quale rapporto siamo con gli altri uomini? Quando mai si realizza il giusto rapporto fra uomo e uomo per la coscienza comune, quotidiana, o meglio per la vita comune, quotidiana? Ebbene, vedete, se si realizza un giusto rapporto fra uomo e uomo, allora vi senza dubbio l’ordine sociale.

 

Però – si può dire: sfortunatamente – non si sa come stanno le cose dirà: necessariamente – vi è il fatto particolare che noi sviluppiamo un giusto rapporto da uomo a uomo soltanto nel sonno. Soltanto quando dormiamo realizziamo un rapporto schietto e giusto da uomo a uomo. Nel momento in cui ci svegliamo, a causa del rappresentare, del pensare, cominciamo a sviluppare impulsi antisociali. Bisogna solo immaginare quanto diventino complicati i rapporti sociali umani per il fatto che soltanto nel sonno l’uomo si comporta veramente in modo giusto nei confronti del suo prossimo. Ho accennato a ciò varie volte da altri punti di vista. Per esempio ho accennato al fatto che da svegli si può benissimo essere nazionalisti in modo sciovinistico, e quando si dorme venir trasferiti proprio fra gli uomini che da svegli si odiano al massimo grado, essere con il loro spirito di popolo. Nulla possiamo contro ciò. Il sonno pareggia socialmente. Ma siccome la scienza moderna non vuole saper nulla del sonno, per molto tempo ancora, nelle sue considerazioni sociali, non comprenderà quello che ora ho esposto.

 

Nello stato di veglia siamo inseriti inoltre in un’altra corrente antisociale. Supponiamo di essere di fronte ad un uomo. Siamo infatti di fronte a tutti gli uomini per il fatto di stare di fronte ad ogni singolo uomo. Siamo uomini pensanti, naturalmente, perché non saremmo uomini se non fossimo pensanti. Ora parlo solo del pensare. Del sentire e del volere parleremo più tardi; dal punto di vista del sentire e del volere si può obiettare qualcosa, ma dal punto di vista del rappresentare quel che dico ora è giusto. Mentre come uomo pensante sto di fronte ad un altro si verifica il fatto particolare che, semplicemente per il rapporto reciproco che si stabilisce fra uomo e uomo, nel subcosciente si ha lo stimolo ad essere addormentati dall’altro. Il rapporto normale da uomo a uomo è tale che, quando ci si incontra, ognuno si sforza di addormentare il subcosciente dell’altro, e il fenomeno è ovviamente reciproco. Da persona pensante, che cosa à dovrebbe quindi fare? Tutto quanto dirò ora si svolge naturalmente nel subcosciente, ma ciononostante avviene. È un fatto reale anche se non arriva alla coscienza normale.

 

Se dunque ci si pone di fronte ad un uomo, esso ci addormenta, vale a dire addormenta il nostro pensare, non il nostro sentire e il nostro volere. Se si vuol rimanere uomini interiormente pensanti si deve opporre resistenza. Bisogna attivare il proprio pensiero. Bisogna resistere ..all’assopimento. Lo stare di fronte ad un altro uomo significa sempre rendersi svegli, svegliarsi, svincolarsi da quanto egli vuole fare.

 

Tali cose avvengono nella vita; la si comprende soltanto se la si osserva in modo scientifico-spirituale. Parlare con un uomo, stare insieme ad un uomo, significa doversi mantenere continuamente svegli nei confronti dei suoi sforzi di addormentare il nostro pensare. Ciò invero non arriva a coscienza, ma agisce come impulso antisociale. In certo qual modo ogni uomo ci viene incontro come nemico del nostro rappresentare, come nemico del nostro pensare. Dobbiamo difendere il nostro pensiero nei confronti dell’altro. La conseguenza ne è che noi, in quanto al rappresentare, al pensare, siamo degli esseri altamente antisociali, e che possiamo solo educarci ad essere sociali. Se attraverso l’educazione, attraverso l’autodisciplina, attraverso la necessità nella quale viviamo, non dovessimo esercitare questa continua azione di ripulsa del nostro prossimo, noi potremmo essere individui sociali col nostro pensare. Ma siccome la dobbiamo esercitare, ci deve essere anzitutto chiaro che possiamo diventare esseri sociali soltanto per mezzo dell’autodisciplina; che per natura però, quali esseri pensanti, non lo siamo.

 

Da ciò si vede quindi che senza occuparsi dell’animico, del fatto che l’uomo è un essere pensante, non si può dire proprio nulla in meritò al problema sociale, perché il problema sociale influisce su aspetti molto reconditi della vita umana. Chi non considera che l’uomo, in quanto pensa, sviluppa semplicemente impulsi antisociali, non raggiunge chiarezza in merito al problema sociale. Nel sonno la cosa è facile, perché allora siamo già addormentati. È quindi possibile gettare un ponte verso tutti gli altri uomini. Allo stato di veglia, in quanto ci si pone reciprocamente di fronte, ognuno si sforza di addormentare l’altro affinché sia possibile gettare un ponte verso di lui; ma noi ci dobbiamo difendere dall’azione del prossimo perché altrimenti, nel nostro rapporto con la gente, verremmo semplicemente defraudati della nostra coscienza pensante.

 

Non è dunque tanto facile avanzare semplicemente delle esigenze sociali, perché la maggior parte degli uomini che pongono esigenze sociali non si rendono affatto conto di quanto profondamente sia ancorato nella natura umana l’elemento antisociale. E anzitutto l’uomo non è disposto a confessarsi una cosa simile per auto-conoscenza. Gli sarebbe facile farlo se egli confessasse a se stesso che non lui solo è un essere antisociale, ma che in questo è accomunato a tutti gli altri uomini. Ma un pochino ognuno, anche se ammette che in generale l’uomo è un essere antisociale, cova in segreto il giudizio riservato di essere un’eccezione. Anche se non ce lo confessiamo pienamente, nel segreto della coscienza ci balugina sempre un po’ il pensiero di essere un’eccezione; e che gli altri, in quanto pensano, sono esseri antisociali. Per la gente riesce particolarmente difficile prendere sul serio il fatto che, in quanto uomini, non si può essere alcunché di definito, che sempre bisogna diventare qualcosa. Questo però è qualcosa che sta in un rapporto particolarmente profondo con le cose che si possono imparare nel nostro tempo.

 

Al giorno d’oggi è invero possibile accennare, e cinque o sei anni fa non lo si voleva affatto ammettere, che certi mali e difetti della natura umana sono diffusi su tutta la terra; tali mali e difetti sono invero diventati troppo scoperti. Illudendosi, la gente cerca di sfuggire alla necessità di dover diventare qualcosa. Anzitutto cerca di indicare non quello che vuol essere, ma quello che è. Così ora si troverà che un gran numero di alleati occidentali e di americani credono a quello, che sono, semplicemente per il fatto di essere membri dell’Intesa o americani. Non devono diventar nulla, basta che mettano in rilievo come essi si distinguano dagli uomini cattivi dei Paesi dell’Europa centrale, come questi siano cattivi mentre essi solo sono buoni. Questo è qualcosa che ha diffuso in larghe zone della terra un’illusione umana che col tempo porterà naturalmente terribili conseguenze. Il credere di essere qua cosa e lo stimare di non doverlo diventare è alla base di ogni opposizione alla scienza dello spirito, perché la scienza dello spirito non può far altro che fare presente agli uomini che bisogna continuamente diventare qualcosa. L’uomo si illude enormemente su se stesso se crede di far riferimento a qualcosa di assoluto che condiziona in lui qualche particolare perfezione. Tutto quanto non è in divenire condiziona nell’uomo una imperfezione, non una perfezione; e quel che ho detto in merito all’uomo come pensatore e agli impulsi antisociali che ne derivano, presenta ancora un altro lato importante.

 

L’uomo oscilla fra l’elemento sociale e quello antisociale, così come oscilla fra veglia e sonno. Si potrebbe anche dire che il sonno è sociale e che la veglia è antisociale; e come per condurre una vita sana egli deve oscillare fra veglia e sonno, così egli deve oscillare fra l’elemento sociale e quello antisociale. Ma appunto questo deve essere preso in massima considerazione per la vita dell’uomo, perché così l’uomo può tendere più all’una o all’altra cosa, così come si può perfino essere più gli impulsi sociali o più quelli antisociali. Cosi l’uomo può coltivare in sé più gli impulsi sociali o più quelli antisociali. Gli uomini sono individualmente diversi per il fatto che l’uno coltiva più gli impulsi sociali, l’altro più quelli antisociali. Conoscendo un poco gli uomini, si può benissimo distinguerli secondo questo modo. Si suddividono esattamente in queste due classi. Gli uni propendono più verso la socialità, gli altri verso l’antisocialità.

 

Ma ho detto che vi è anche un altro lato, che cioè l’elemento antisociale è in relazione col fatto che in certo qual modo noi ci difendiamo dal venir addormentati. Ma con ciò è legato qualcosa d’altro che ci fa ammalare. Se anche ne derivano delle malattie non molto percepibili – e talvolta anche molto percepibili – fra le cause di malattia vi è l’antisocialità. Sarà quindi facilmente comprensibile che la socialità ha contemporaneamente delle qualità salutari, vivificanti. Da questo si vede come la natura umana sia costituita in modo singolare: l’uomo non può rendersi sano per mezzo della socialità senza addormentarsi, e nello strapparsi dalla socialità rinforza la sua coscienza pensante, ma diventa antisociale. In tal modo però paralizza le forze apportatrici di salute che sono nel suo subcosciente, nel suo organismo. Così la quantità di impulsi sociali ed antisociali presenti nell’uomo influisce fin sullo stato di salute. Chi sviluppa la conoscenza dell’uomo in questa direzione potrà attribuire un gran numero di malattie più o meno vere all’elemento antisociale dell’uomo. Più di quanto non si creda la malattia dell’uomo è connessa con l’antisocialità, e precisamente le malattie, talvolta ben vere, che però si manifestano nell’essere «lunatici», nel tormentare se stessi ed il prossimo, nell’essere strani, nella mania di avercela con qualcuno o qualcosa. Tutto questo è legato ad una costituzione organica malsana; si sviluppa pero man mano, se si tende fortemente ad impulsi antisociali.

 

Bisognerebbe perfino rendersi ben chiaro conto del fatto che qui sta celato un mistero molto importante della vita. Conoscere in modo vivo questo mistero della vita, straordinariamente importante tanto per l’educatore quanto per l’autoeducazione, conoscerlo non solo in teoria, significa ‘ricevere anche la spinta a prendere in mano energicamente la propria vita, a pensare al superamento dell’elemento antisociale, a sentirlo per vincerlo. Molta gente non solo guarirebbe dalle sue manie, ma anche da stati malaticci di ogni genere se esaminasse i suoi impulsi antisociali. E lo si deve fare seriamente. Bisogna farlo senza amor proprio Poiché è di enorme importanza per la vita. Questo sia detto in merito all’elemento sociale ed’ antisociale nell’uomo per quanto riguarda il rappresentare o il pensare.

 

Naturalmente l’uomo è anche un essere senziente, e per quanto concerne il sentire vi è un’altra particolarità. Anche per quanto riguarda il sentire l’uomo non è cosi semplice come gli piacerebbe immaginarsi. Il sentire da uomo a uomo ha infatti una particolarità paradossale. Il sentire ha la peculiarità che tende anzitutto a darci una sensazione falsata del prossimo. La prima disposizione nel subcosciente dell’uomo, nel rapporto da uomo a uomo, consiste nel fatto che nel subcosciente sorge una sensazione falsata; e nella vita, a tutta prima, dobbiamo combattere questa sensazione falsata. Chi conosce la vita osserverà molto facilmente che la gente non è disposta a capire con interesse gli altri, in realtà parla male quasi di tutti, almeno dopo un certo tempo. Questa invero è una particolarità di un gran numero di persone. Si ama una persona per un certo tempo; ma quando quel tempo è trascorso qualcosa si muove nella natura umana si incomincia a parlarne male ad avere qualcosa contro di lei. Spesso non si sa neppure che cosa si abbia contro di lei, perché questi fenomeni si svolgono molto nel subcosciente. Ciò dipende semplicemente dal fatto che il subcosciente ha in realtà la tendenza a falsare l’immagine, che abbiamo del prossimo. Quando avremo conosciuto meglio l’altra persona, vedremo che dobbiamo cancellare le parti falsate dell’immagine che prima avevamo formata. Per quanto possa suonare paradossale, sarebbe una buona massima di vita anche se in ciò bisogna considerare delle eccezioni prefiggersi sempre di correggere l’immagine dell’uomo che si fissa nel subcosciente, di correggerla comunque in qualche modo. Questo perché il subcosciente ha la tendenza a giudicare secondo simpatie e antipatie. La vita stessa ci invita a ciò. Come la vita ci chiede di essere semplicemente degli uomini pensanti, e per questo motivo siamo antisociali, così la vita ci chiede – e sono semplici dati di fatto – di giudicare secondo simpatie ed antipatie. Però ogni giudizio, che viene dato in base a simpatie ed antipatie, è falsato. Non esiste giudizio vero, esatto, se viene dato in base a simpatie ed antipatie. E Poiché il subcosciente si basa sempre su simpatie e antipatie, esso sviluppa sempre un’immagine falsata del prossimo. Non è, affatto possibile avere nel subcosciente un’immagine esatta del prossimo. Certamente ne abbiamo talvolta una troppo buona, ma essa è sempre basata su simpatie ed antipatie e non resta altro che confessare un tale stato di fatto, confessare a se stessi che in quanto uomini non possiamo essere qualcosa di definito, ma che bisogna divenire qualcosa. Bisogna dirsi precisamente che, per quanto riguarda il rapporto sentimentale con altri uomini, si deve condurre la vita in posizione di attesa. Non bisogna tener conto dell’immagine dell’uomo che a tutta prima dal subcosciente affiora nella coscienza, ma bisogna cercare di vivere con la gente. Se si cerca di vivere con la gente, si vedrà che dall’atteggiamento antisociale dell’anima, che si aveva prima, si svilupperà quello sociale.

 

Così è particolarmente importante studiare la vita del sentimento dell’uomo, in quanto antisociale. Mentre l’esperienza pensiero è antisociale, perché l’uomo si deve difendere dall’addormentarsi, la vita del sentimento è antisociale perché l’uomo, in quanto ordina le sue relazioni con la gente in base a simpatie ed antipatie, inocula sin dall’inizio delle false correnti di sentimento nella società. Quel che proviene dagli uomini attraverso simpatie e antipatie ha fin dall’inizio la caratteristica di gettare correnti di vita antisociale, nella società umana. Si può dire, per quanto paradossale possa sembrare, che una società sociale sarebbe in realtà solo possibile se gli uomini non vivessero in simpatie e antipatie. Da ciò risulta pertanto che l’uomo è contemporaneamente un essere sociale ed antisociale; quello che viene chiamato « problema sociale » deve quindi occuparsi degli aspetti reconditi dell’essere umano. Se non ci si addentra in essi, non si raggiungerà mai la soluzione del problema sociale adatta ad un’epoca qualsiasi.

 

Per quanto riguarda il volere che si sviluppa da uomo ad uomo si rivela in modo particolarmente sorprendente e paradossale quale essere complicato sia l’uomo. Si sa che quanto alla volontà, fra uomo e uomo giocano non solo le simpatie e antipatie – ma giocano in modo del tutto particolare, nella loro manifestazione e nella loro rivelazione, inclinazioni ed avversioni che passano in azione, vale a dire simpatie e antipatie in azione. L’uomo si comporta rispetto ad un altro come gli viene suggerito dalla particolare simpatia verso quell’uomo, dal particolare grado di amore che egli gli offre. Qui ha una strana parte una ispirazione subcosciente, perché tutto quanto si riscontra in ogni relazione volitiva fra uomo e uomo va considerato alla luce dell’impulso al quale soggiace tale relazione volitiva, alla luce dell’amore, più o meno presente, che intercorre fra gli uomini. Gli uomini fondano sull’amore che agisce fra di loro i loro impulsi volitivi, che in questo modo passano da uomo a uomo.

 

Quanto all’amore, l’uomo soggiace nel senso più elevato ad una grande illusione ed ha ancor più bisogno di essere corretto che non per quanto concerne le comuni simpatie ed antipatie del sentire. Per quanto singolare appaia alla coscienza comune, è infatti assolutamente vero che l’amore sorgente fra essere umano e essere umano, se non è amore spiritualizzato, in realtà non è amore come tale, ma è l’immagine che ce ne facciamo, e generalmente no è altro che una terribile illusione; nella vita normale l’amore è assai raramente spiritualizzato, ed ora non parlo dell’amore sessuale o basato sulla sessualità, ma dell’amore in generale fra essere umano ed essere umano. L’amore che un essere umano crede di sviluppare per un altro – così è nella vita normale – non è generalmente che amore per se stesso. Un essere umano crede di amarne un altro, ma nell’amore ama in realtà solo se stesso. Si vede qui una fonte di essenza antisociale che inoltre deve essere sorgente di una spaventosa auto-illusione. Si può infatti credere di avere un amore travolgente per un altro essere umano, ma in realtà non si ama l’essere umano, ma l’esser collegati con l’altro nella propria anima. In realtà si ama la felicità che si sente nella propria anima in relazione con l’altro essere umano, quel che si sente in sé, per lo stare assieme all’altro, Il fare per esempio una dichiarazione d’amore. Si ama in tutto e per tutto se stessi accendendo questo amore per se stessi nel rapporto con l’altro.

 

Questo e un importante mistero della vita. È di immensa importanza, perché, nell’illusione relativa a tale amore, che si crede essere amore ma che in realtà è solo amore per se stessi, egoismo, egoismo mascherato – e di gran lunga la maggior parte dell’amore che agisce fra essere umano ed essere umano e che viene chiamato amore, non è altro che egoismo mascherato, – in questa illusione sta la sorgente degli impulsi antisociali più grandi ed estesi che si possano immaginare. A causa di questo amore per se stessi che si maschera di amore, l’uomo diventa un essere antisociale nel senso più lato. L’uomo è appunto un essere antisociale perché si nasconde in se stesso. E si nasconde in se stesso al massimo grado quando non sa, o non vuol sapere, di questo essere nascosto in sé.

 

Si osserva che chi parla di esigenze sociali, in ispecie nei confronti dell’umanità presente, deve prendere in attenta considerazione queste situazioni animiche. Bisogna chiedersi semplicemente come gli uomini possano giungere ad una strutturazione qualsiasi della loro convivenza, se non vogliono rendersi conto di quanto egoismo sia nascosto per esempio nel cosiddetto amore, nell’amore verso il prossimo. In tal modo l’amore può essere proprio un impulso di enorme forza per la vita antisociale. Si può dire che l’uomo come è ora, se non lavora su se stesso, se non si prende in mano con autodisciplina, quale essere amante è antisociale in ogni caso. L’amore come tale, quale è proprio alla natura umana senza che l’uomo eserciti autodisciplina, è antisociale in partenza perché, è esclusivo. Nemmeno questa è una critica! Molte esigenze della vita sono connesse col fatto che l’amore deve essere esclusivo. Naturalmente il padre amerà il proprio figlio più che un figlio altrui, ma ciò è antisociale. Non si può affatto negare che attraverso la vita fattori antisociali passino nella vita stessa. Quando si dice che l’uomo è un essere sociale, – come oggi è diventato addirittura di moda – si dice un’assurdità perché l’uomo è altrettanto antisociale quanto sociale. La vita stessa rende l’uomo un essere antisociale. Ci si immagini soltanto che venga creata una condizione sociale paradisiaca, diciamo anche superparadisiaca quale la vogliono sulla terra Lenin, Trotzki, Kurt Eisner ed altri. Già entro un breve tempo innumerevoli uomini dovrebbero sollevarsi contro di essa, perché, in una tale condizione appunto soltanto gli istinti sociali troverebbero soddisfazione, mentre immediatamente si metterebbero in moto gli istinti antisociali. Ciò è necessario come è necessario che il pendolo non oscilli in una sola direzione. Nel momento in cui viene creata una condizione paradisiaca bisogna che si muovano gli istinti antisociali. Se si dovesse realizzare quanto Lenin, Trotzki e Kurt Eisner immaginano sia una condizione paradisiaca, in brevissimo tempo tutto si trasformerebbe nel senso opposto per mezzo degli istinti antisociali. La vita è appunto fatta in modo da passare dalla bassa all’alta marea e viceversa. Se non lo si vuol capire, non si capisce proprio nulla del mondo. Invero si sente spesso dire che l’ideale della convivenza statale è la democrazia. Supponiamo pure che l’ideale della convivenza sociale sia la democrazia. Ma se si volesse introdurre la democrazia in qualche luogo, essa porterebbe necessariamente nella sua ultima fase’ alla propria soppressione. Nella democrazia c’è necessariamente sempre la tendenza, quando i democratici sono riuniti, che uno voglia sopraffare l’altro, che uno voglia aver ragione nei confronti dell’altro. È del tutto ovvio. Essa cerca il proprio dissolvimento. Si provi dunque ad introdurre in qualche luogo la democrazia: si può pensarlo nella forma più bella. Ma trasportata nella realtà, la democrazia conduce sempre all’opposto della democrazia, come il pendolo ritorna nell’altra posizione. Nella vita non va altrimenti. Le democrazie moriranno sempre dopo qualche tempo per la loro natura democratica. Queste cose Sono immensamente importanti per la comprensione della vita.

 

Si riscontra inoltre la particolarità che proprio le caratteristiche essenziali dell’uomo del quinto periodo postatlantico siano antisociali, Poiché in questo periodo si deve sviluppare la coscienza che si basa appunto sul pensare. Perciò proprio quest’epoca, attraverso la natura dell’uomo, nel modo più forte gli impulsi antisociali. Attraverso tali impulsi antisociali gli uomini provocheranno delle condizioni più o meno insopportabili, e sempre la reazione contro l’antisocialità tornerà a farsi valere con la richiesta a viva voce di socialismo. Bisogna solo capire che la bassa e l’alta marea si devono alternare. Supponiamo infatti che la società venga realmente socializzata: verrebbero allora create condizioni tali da uomo a uomo per cui nel reciproco rapporto dormiremmo sempre. Il rapporto umano sarebbe un sonnifero. Oggi lo si può difficilmente immaginare perché non è affatto possibile farsi la rappresentazione concreta di come le cose sarebbero in una repubblica cosiddetta socialistica. Ma questa repubblica socialistica sarebbe in effetti un gran dormitorio per la capacita di rappresentazione umana. Si può capire che vi siano degli intensi desideri per qualcosa di simile. Invero in moltissimi uomini sono continuamente presenti intensi desideri di dormire. Ma bisogna appunto capire che cosa siano le necessità interiori della vita, e non ci si deve accontentare di voler solo quanto va bene o piace; di regola piace quel che non si ha, e non si sa apprezzare quanto si possiede.

 

Si osserva da questa esposizione che, quando si parla del problema sociale, bisogna anzitutto penetrare intimamente l’essenza umana e imparare a conoscerla, tanto da sapere come nell’uomo si realizzino istinti sociali ed antisociali. Nella vita le spinte sociali ed antisociali si intrecciano spesso in masse inestricabili. Per questo è tanto difficile parlare del problema sociale. Difficilmente si può parlare del problema sociale se non si ha l’inclinazione a penetrare realmente l’intima natura dell’uomo, a penetrare il fatto che per esempio la borghesia è in sé portatrice di impulsi antisociali. L’essere borghesi consiste essenzialmente nel fatto di creare per sé una, sfera di vita che faccia comodo, in modo da poter stare tranquilli. Se si esamina questa mira caratteristica del borghese si trova che essa consiste nel fatto che egli vuol crearsi, secondo le caratteristiche dell’epoca presente, un’isola di vita su base economica sulla quale poter dormire per quanto riguarda tutte le altre situazioni, salvo qualche particolare abitudine di vita che egli sviluppi a seconda delle sue simpatie ed antipatie soggettive. Così il borghese può dormire moltissimo. Egli non aspira pertanto al sonno cui aspira il proletario; questi viene tenuto sveglio continuamente perché la sua coscienza non viene addormentata dalle condizioni economiche; egli pertanto desidera ardentemente il sonno dell’ordine sociale. Questo in realtà è uno scorcio psicologico molto importante. Il possesso addormenta, la necessità di lottare nella vita sveglia. L’assopimento a causa del possesso fa sviluppare impulsi antisociali perché non si desidera il sonno sociale. La continua sollecitazione per necessità di guadagno fa sorgere nelle relazioni sociali il desiderio di addormentarsi.

 

Bisogna prendere a fondo in considerazione queste cose, perché altrimenti non si capisce assolutamente il presente. Ora si può dire che, malgrado tutto ciò, il nostro quinto periodo postatlantico tende in certo qual modo alla socializzazione nella forma che recentemente ho qui illustrato. Le cose che ho detto si avvereranno: se gli uomini vi si adatteranno, attraverso la ragione umana; se non vi si adatteranno, attraverso cataclismi e rivoluzioni. Nel quinto periodo postatlantico l’uomo tende alla triarticolazione, la triarticolazione deve realizzarsi. La nostra epoca si sforza dunque di giungere ad una certa socializzazione.

 

Ma una socializzazione non è possibile come risulta dalle varie considerazioni qui fatte senza che vi si accompagni dell’altro. La socializzazione si può riferire soltanto alla struttura esteriore della società. Ma nel nostro quinto periodo postatlantico ciò può consistere solo in un soggiogamento della coscienza pensante, nel soggiogamento degli istinti antisociali umani. In certo qual modo, per mezzo della struttura sociale, bisogna che si verifichi un soggiogamento degli istinti antisociali di pensiero. Essi devono subire una sconfitta, devono essere messi in equilibrio per mezzo di qualcosa. Ma si possono mettere in equilibrio solo eliminando tutto quanto deriva da tempi passati, nei quali era giustificato l’assoggettamento dei pensieri, la sopraffazione dei pensieri di un uomo da parte di un altro, solo eliminandoli col progredire della socializzazione. Bisogna quindi che in avvenire si realizzi la libertà della vita spirituale accanto all’organizzazione della vita economica. La libertà della vita spirituale soltanto rende possibile che realmente si stia uomo di fronte ad uomo in modo che nell’altro si veda la persona che ci sta di fronte, non l’uomo in generale. Un programma tipo Woodrow Wilson parla dell’uomo in generale. Ma quest’uomo in generale, quest’uomo astratto, non esiste. Quello che esiste è sempre soltanto l’uomo singolo, individuale. Di questo ci possiamo interessare come uomini interi, non col mero pensare. Cancelliamo quanto dobbiamo sviluppare da uomo a uomo se ci comportiamo come Wilson, se abbozziamo un’immagine astratta dell’uomo. L’essenziale di cui si tratta è che in avvenire alla socializzazione si aggiunga l’assoluta libertà dei pensieri; non si può immaginare la socializzazione senza libertà di pensiero. Perciò la socializzazione dovrà essere collegata con l’abolizione di ogni asservimento del pensiero sia che l’asservimento del pensiero derivi dall’attività delle associazioni della popolazione di lingua inglese che ho sufficientemente caratterizzate, sia dal cattolicesimo romano. Ambedue si equivalgono, ed è straordinariamente importante che si tenga d’occhio la loro affinità interiore. È straordinariamente importante, in particolare in merito a cose di questo genere, che le cose non siano oscure. Si può raccontare oggi ad un gesuita quanto ho esposto qui circa le caratteristiche di quelle associazioni della popolazione di lingua inglese: sarà contentissimo di ricevere una conferma di quel che egli sostiene; ma deve essere chiaro, se si vuol stare sul terreno della scienza dello spirito, che la nostra ripulsa di quelle associazioni: non va scambiata con la ripulsa da parte dei gesuiti. È singolare che in questo campo si manifesti ancora troppo scarsa capacità di distinzione.

 

Recentemente, anche in conferenze pubbliche, ho attirato l’attenzione sul fatto che oggi non si tratta solo di quanto uno dice, ma dello spirito che compenetra quanto si dice. Ho portato l’esempio di frasi d’uguale tenore di Woodrow Wilson e di Hermann Grimm. Dico questo perché si noterà in misura sempre maggiore che da parte cattolica si assume apparentemente un atteggiamento contrario a quelle associazioni anglo-americane, ma appunto solo apparentemente; proprio come è stato fatto qui. Per questo un articolo come quello pubblicato per esempio nel numero di dicembre della rivista Stimmen der Zeit, fa un’impressione buffonescamente comica a chi guarda al concreto, perché ovviamente ciò che delle associazioni segrete anglo-americane si deve combattere è esattamente uguale a quanto si deve combattere il gesuitismo. Ambedue si stanno di fronte combattendosi reciprocamente, come due potenze che non possono stare una accanto all’altra. Né l’una né l’altra hanno il minimo e vero interesse obiettivo, ma solo interessi, di parte, di confraternita. Bisogna che oggi disimpariamo a considerare solo il contenuto e a non vedere da quale punto di vista una cosa qualsiasi viene collocata nel mondo. Se qualcosa viene, collocato nel mondo da un punto di vista valido per una epoca, può essere benefico, salutare; se viene proposto da un’altra potenza può essere qualcosa di enormemente ridicolo o perfino dannoso. Tutto ciò va considerato in modo speciale, perché si vedrà sempre più che se due dicono la stessa cosa, a seconda di ciò che sta alle loro spalle, non si tratta della medesima cosa. Dopo tutte le prove che la vita ci ha portato negli ultimi tre o quattro anni, è particolarmente necessario che una buona volta teniamo conto di cose del genere, che davvero ci addentriamo in queste cose.

Non si nota ancora molto che questi argomenti vengano abbordati realmente. Per esempio si domanderà magari come si debba provvedere a qualcosa, come lo si abbia a fare perché sia giusto. Provvedendo ad una cosa qualsiasi, se non vengono impiegati uomini che pensano secondo la nostra epoca, si potrà disporre la soluzione migliore o peggiore, con effetti propizi o contrari, a seconda degli uomini che saranno stati impiegati. Oggi è importante comprendere veramente che l’uomo deve diventare qualcosa, che non può credere di essere già qualcosa, che deve essere sempre in evoluzione. Egli deve anche sapere come osservare veramente la realtà. Ma a ciò si è molto avversi, e l’ho messo in rilievo dai punti di vista più vari. Per tutto, e in ispecie per le condizioni attuali, si è molto inclini a guardarsi bene dall’avvicinarsi alla realtà, ma si prendono appunto le cose come fanno comodo. Farsi un giudizio obiettivo non è naturalmente così facile come un giudicare che possibilmente vada diritto alla formulazione. Giudizi obiettivi non si possono formulare cosi senz’altro e soprattutto non possono essere formulati quando agiscono sull’elemento sociale o umano oppure sulla vita politica, perché in questi casi è quasi sempre giusto anche il contrario di quanto si suppone, giusto nello stesso grado come l’opposto. Soltanto quando si cerca di non formarsi per nulla un giudizio, ma di farsi delle immagini, vale a dire se già ci si solleva alla vita immaginativa, si potrà percorrere approssimativamente la via giusta. È di particolare importanza per il nostro tempo cercare di farsi delle immagini, non veramente dei giudizi astratti, definiti. Devono invero essere immagini quelle che spingono verso la socializzazione. Occorre poi dell’altro: non esiste socializzazione senza che l’uomo giunga ad un livello scientifico spirituale cioè libero nel pensiero da un lato, alla scienza dello spirito dall’altro.

 

Anche in conferenze pubbliche, anche nella conferenza di Basilea accennai a questo problema. Dissi che certe persone che pensano materialisticamente, che vogliono spiegarsi tutto come procedente dall’evoluzione animale, sostengono, che presso gli animali si trovano gli inizi degli istinti sociali che nell’uomo si sviluppano fino alla moralità. Ma proprio gli istinti sociali esistenti negli animali, se passano al livello umano, diventano appunto antisociali. Proprio quanto presso gli animali è sociale diventa nell’uomo antisociale al massimo. Gli uomini non vogliono abbordare i vari aspetti che danno un’immagine reale delle cose, ma vogliono formarsi rapidamente dei giudizi. Ci si raccapezza nelle relazioni reciproche tra uomo e uomo soltanto se non si concepisce l’uomo in base alla sua natura animale, perché in questa egli è antisociale nel senso più lato, ma se lo si concepisce quale essere spirituale. Però si può fare questo soltanto se si concepisce tutto il mondo in relazione col suo fondamento spirituale. Tre cose non possono essere staccate una dall’altra: socialismo, libertà di pensiero, scienza dello spirito.

Devono stare insieme. Nel nostro quinto periodo postatlantico una non può evolversi senza l’altra.

 

Sarà particolarmente necessario adattarsi a non considerare distrattamente che in ogni uomo si nasconde anche un essere antisociale. Si potrebbe anche dire, esprimendosi in modo grossolano, che importa moltissimo per la salvezza di quest’epoca, che gli uomini cessino di amare se stessi in modo cosi esagerato. La caratteristica dell’uomo attuale è appunto il fatto di amare tanto se stesso. E qui bisogna tornare a distinguere: egli ama il suo pensare, il suo sentire il suo volere, e se poi ad un certo punto s’innamora, per esempio, del suo pensiero, non lo molla più.

 

Chi sa pensare veramente, sa qualcosa che non manca affatto di importanza: al di la di tutto quanto si pensa in modo giusto, qualche volta si è pensato in maniera errata. In realtà si ha un’idea esatta di qualcosa solo quando si sono sperimentati gli effetti che si ‘hanno nell’anima per averne avuto un’idea errata. Ma gli uomini non abbordano volentieri tali interiori condizioni evolutive. Per questo oggi gli uomini si capiscono tanto poco fra di loro. Voglio fare ‘un esempio: la concezione proletaria, di cui ho parlato spesso, sostiene che il modo con cui la gente pensa tutta la sovrastruttura ideologica, dipende dalle condizioni economiche, per cui la gente forma i pensieri politici secondo la propria con dizione economica.

 

Chi è in grado di elaborare tali pensieri troverà che un tale pensiero è largamente esatto, è particolarmente quasi esatto per il periodo evolutivo a partire dal secolo sedicesimo, in quanto ciò che gli uomini pensano dal secolo sedicesimo in poi è quasi tutto un risultato delle condizioni economiche. Non è esatto in senso assoluto, ma in senso relativo ha un’esattezza di vasta portata. Questo non entra però nella testa di un professore di economia. Per esempio, non lontano da qui, insegna in una università un economista di nome Michels; egli afferma che ciò è falso, in quanto si può dimostrare che i pensieri politici non vengono formati dalle condizioni economiche, ma che le condizioni economiche vengono modificate particolarmente dai pensieri politici. Il professor Michels richiama l’attenzione sul blocco continentale di Napoleone a seguito del quale certi rami dell’industria, per esempio in Italia e in Inghilterra, sono stati distrutti senza cerimonie ed altri sono stati introdotti. Egli afferma quindi che qui abbiamo l’esempio più lampante di come, a seguito di un pensiero politico, a seguito del blocco continentale, vengano determinate le condizioni economiche. Fa diversi altri esempi del genere. So che se cento persone leggessero il libro del professor Michels sarebbero convinte della giustezza della sua asserzione, in quanto l’argomentazione è svolta con una logica acutissima. Sembra esatta in modo, assoluto, e tuttavia è falsa in modo ridicolo. È ridicolmente falsa perché bisogna trattare tutti gli esempi che egli cita secondo lo stesso schema del blocco continentale. Certamente il blocco continentale ha avuto per effetto che certe industrie dovettero essere trasformate in Italia, ma la trasformazione di queste industrie non ha apportato alcuna modifica nel rapporto economico tra imprenditore ed operaio. Questo appunto è l’elemento caratteristico. Tutto ciò tiene quindi come un setaccio o una botte senza fondo. Questa teoria economica del Michels è come una botte senza fondo. Tutto quanto egli espone non ha una base, perché la concezione proletaria non sostiene affatto che per mezzo di un pensiero di questo genere si sviluppi, poniamo, l’industria serica fiorentina che prima non esisteva, mentre la stessa non si sviluppa in Inghilterra. La concezione proletaria sostiene piuttosto che, malgrado il blocco continentale possa far sorgere un’industria, qua e un’altra là, non si modifica nulla nei rapporti economici fra imprenditore e lavoratore; tali rapporti sono decisivi, e quindi i fatti; citati esorbitano dalla grande corrente dei fatti economici con la relativa sovrastruttura ideologica; proprio il blocco continentale nei suoi effetti non dimostra per nulla ciò che il professor Michels vuol dimostrare.

 

Ci si domanderà perché una persona come il professor Michels insista sulla sua teoria di fronte al pensiero proletario. Semplicemente per il fatto che egli si è innamorato del suo pensare e perché non è affatto in grado di abbordare il pensiero proletario. E quindi si addormenta subito. È un addormentarsi latente. Nel momento in cui deve riflettere sui pensieri proletari egli si addormenta. Può quindi sorreggersi, soltanto sviluppando i pensieri di cui è innamorato.

 

Così bisogna abbordare i fatti animici. Al presente siamo ormai in un’epoca in cui bisogna abbordare le cose animiche, altrimenti non si capirebbe ciò che è necessario, non si potrebbe pervenire ad un benefico giudizio su queste difficili, tragiche condizioni. E giudizi benefici sono soltanto quelli che possano e facciano superare la miseria del presente. Non vi è ragione per il pessimismo in genere, ma vi sono molti motivi per capovolgere il giudizio. Anzitutto ogni singolo individuo ha al massimo grado dei motivi per capovolgere il giudizio.

 

Bisogna ben dire che è molto singolare vedere come la gente esprima quasi dormendo i suoi giudizi e come rapidamente li dimentichi da un periodo ad un altro, per quanto brevi siano tali periodi. Vedremo specialmente ora come la gente dimenticherà il modo in cui ha giudicato ciò che in tutto il mondo è stato detto circa la giustizia e la necessità di combattere per la giustizia contro l’ingiustizia. Vedremo che la maggior parte della gente, la stessa che poco tempo fa parlava così del diritto, lo dimenticherà e poi non si accorgerà affatto che la maggior parte di quelli che parlavano di diritto intendevano semplicemente far valere la pura e semplice potenza. Non è per dirne male, ma bisogna che sia chiaro che se da un lato si è parlato di giustizia, non si ha il diritto di sorvolare sul fatto che, per coloro che più si adoperavano in questo senso, si trattava in ultima analisi del potere. Come ho detto non bisogna prenderla male, ma non sarà bello vedere come si farà valere la parte che relativamente poco tempo fa parlava solo di giustizia, giustizia e giustizia. Non se ne può essere sorpresi. Dovranno essere sorpresi coloro che sono intervenuti con le parole e con i fatti, se ora trovano che il quadro è tanto cambiato! Bisognerebbe almeno che venisse loro a coscienza quanto l’uomo sia incline a formare i suoi giudizi in base a illusioni, e non in base a realtà.